CARÌ, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)

CARÌ, Francesco

Mario Condorelli

Nato a Palermo il 17 nov. 1726, fu avviato agli studi e alla carriera ecclesiastica: conseguì infatti la laurea in teologia e fu ordinato sacerdote. Sebbene manchi, allo stato delle ricerche, ogni notizia sull'attività da lui svolta nel primo trentennio di vita, appare tuttavia certo che egli dovette ben presto affermarsi negli ambienti intellettuali palermitani, poiché già nel 1756 Tommaso Natale lo annoverava fra i maggiori ingegni siciliani viventi come studioso di scienze ecclesiastiche e soprattutto di diritto naturale alla luce dei principî della filosofia leibniziana e wolfiana, e fin dal 1759 il suo nome figurò fra quelli dei collaboratori agli Opuscoli di autori siciliani.Dopo avere per lunghi anni insegnato privatamente diritto naturale, civile ed ecclesiastico, a seguito dell'espulsione dei gesuiti del 1767 ottenne una cattedra nelle scuole superiori pubbliche (liceo dal 1768, accademia dal 1779), istituite a Palermo dal governo in sostituzione del collegio Massimo in cui i gesuiti avevano avuto il privilegio di conferire la laurea in filosofia e teologia: la giunta di educazione - presieduta dal viceré marchese Giovanni Fogliani e composta, fra gli altri, da mons. Serafino Filangieri, arcivescovo di Palermo, da mons. Francesco Testa, arcivescovo di Monreale, e dal regio consultore Diodato Targianni - gli affidò infatti l'insegnamento di teologia dommatica. Il 5 nov. 1769 il C., insieme con gli altri lettori, prese possesso del nuovo ufficio, nel quale più tardi, a seguito del riordinamento degli studi disposto da Ferdinando III nel 1779, fu confermato con l'attribuzione dello stipendio massimo di cento onze.

Nella teologia del C. talune premesse illurninistiche appaiono corrette ed attenuate dalla fede religiosa, sempre più chiaramente orientata verso una spiritualità di tipo giansenistico. Col primo scritto da lui pubblicato, il Discorso sul buon uso della ragione fatto da s. Tommaso d'Aquino a benefizio della teologia (in Opuscoli di autori siciliani, II, Palermo 1759, pp. 183-223), egli palesò con chiarezza, nei confronti del dibattito sui rapporti tra fede e ragione, le proprie tendenze antiscolastiche e la recezione di alcuni influssi illuministici, pur rimanendo aderente all'insegnamento dell'Aquinate, che dichiarava di voler seguire anche nell'affrontare il problema della grazia. Più tardi, partecipando ad una polemica locale, dimostrò di accostarsi alle posizioni dei giansenisti difendendone le dottrine rigoristiche contro gli attacchi dei gesuiti: è infatti del 1766 un suo opuscolo pubblicato anonimo (Lettera del doge della repubblica degli Apisti al reverendo Solipso p. G.G. della Compagnia di Gesù, s.l. né d.), nel quale attaccava con dura ironia gli scritti di alcuni gesuiti siciliani contro i quali anche un giansenista locale, G. E. Di Blasi, aveva preso posizione.

Questo processo di avvicinamento del C. alla spiritualità giansenistica appare già particolarmente avanzato in un gruppetto di dissertazioni teologiche lasciate dall'autore per diversi anni inedite e pubblicate nel 1776a cura di un suo allievo (Opere, raccolte da I. Venturelli, Palermo 1776, I, 1: sola parte pubblicata), nelle quali l'atteggiamento antiscolastico si arricchisce del richiamo ai principi metodologici cari ai teologi ed agli eruditi di ispirazione giamenizzante (attaccamento alla Sacra Scrittura come alla sola fonte autentica della dottrina ecclesiastica, dispregio per i teologi filosofanti, appello ad un ritorno alla semplicità ed alla purezza delle origini), alla tradizione storiografica più vicina al giansenismo, alle opere di B. Bacchini, di A. M. Querini, di E. Noris, di J. Mabillon, di L. E. Dupin (cfr. De fortuna theologiae praesertim in Sicilia ac de nova scholarum sacrorumque studiorum ratione, in Opere, pp.30 ss., 53s.).

Queste premesse metodologiche erano il punto di partenza dal quale il C. muoveva non tanto per affrontare la tematica concernente i classici problemi della grazia e del libero arbitrio, nei confronti dei quali non mostrò un interesse particolarmente spiccato, quanto piuttosto per sfrondare la disciplina ecclesiastica di tutte le novità introdotte durante il Medioevo dalle false decretali e dall'attività accentratrice della Curia romana, per ricostruirla nella sua primitiva purezza, restituendo alla Chiesa la sua antica costituzione.

Le idee professate al riguardo dal C. sono esposte in due corsi di teologia dommatica, tenuti rispettivamente nel 1771 e nel 1784, e rimasti manoscritti pur essendo stati compilati con l'intento di darli alle stampe (Palermo, Biblioteca comunale, 4 Qq B 31 e 2 Qq E 133: Institutiones dogmaticae e Theologiae dogmaticae cursus).

Egli limitava il primato pontificio, sia in campo disciplinare sia in materia di fede, in favore dei poteri dell'episcopato, attribuendo alle collezioni canonistiche medievali ed ai loro interpreti asserviti alla Curia romana l'introduzione del principio della superiorità del papa sul concilio, ignoto invece alla Chiesa primitiva; riconosceva poi al sovrano notevoli poteri in materia ecclesiastica, specialmente per quanto concerneva la convocazione e la disciplina dei concili, che affermava spettare al principe perché quanti sono adunati in concilio, sebbene vescovi, non cessano perciò di essere sudditi e quindi soggetti alla potestà civile. è facile cogliere in queste idee molteplici punti di concordanza con le dottrine professate dal contemporaneo Pietro Tamburini, sebbene questi tendesse ad accrescere non solo i poteri dei vescovi, ma anche quelli dei parroci e del laicato, mentre il C., influenzato specialmente dall'episcopalismo febroniano, rimase aderente all'insegnamento di N. von Hontheim e soprattutto a quello di Z.-B. Van Espen e di L. E. Dupin, le cui dottrine da tempo circolavano negli ambienti culturali siciliani. Di questa continuità dottrinale costituisce del resto una ulteriore testimonianza un allievo del C., il canonista Stefano Di Chiara, il quale, agli inizi del XIX secolo, tornerà ad assumere dalla cattedra dell'università palermitana le posizioni dottrinali del maestro.

Apprezzato dai contemporanei per il vigore e la nobiltà della sua eloquenza, il C. pubblicò anche diverse orazioni recitate in occasione di sacre ordinazioni, di cerimonie accademiche e di funerali (Discorso sacro per la prima messa di un sacerdote novello, in Giornale ecclesiastico [Palermo], I [1772], pp. 364 ss.; Orazione per mons. F.F. Sanseverino recitata nella Accademia del Buon Gusto, Palermo 1776; Orazione funebre pel principe di Carini, ibid. 1778), rivelando talvolta una singolare e spontanea vena satirica (Orazione funebre in lode di Giammaria Bassanelli bolognese, famosissimo ostiere in Palermo, composta dall'amico della umanità l'A.F. C.L. di T., ibid. 1787).Diessa e del suo sapore vagamente illuministico dà testimonianza anche un poema eroicomico inedito (Palermo, Biblioteca comunale, 4 Qq B 15: La Cagliostreide), mentre altre sue composizioni costituiscono il tributo alla moda di versificazione dell'epoca (Sonetti, in Opuscoli di autori siciliani, V, Palermo 1762, pp. 323-26; Per le nozze di G. Celestri marchese di Santacroce colla sig.a D.a E. Gravina e Grifeo figlia della principessa di Montevago. Poemetto, ibid. 1793;Palermo, Biblioteca comunale, 4 Qq B 1: Poesie, ff. 348 ss.).Ascritto fin dal 1744 all'Accademia del Buon Gusto di Palermo, dopo la cattedra ottenne una badia e conservò l'insegnamento sino alla morte, avvenuta a Palermo il 22 luglio 1798.

Bibl.: T. Natale, La filosofia leibniziana esposta in versi toscani, I, Firenze (ma Palermo) 1756, p. 108; P. Bentivegna, in Opuscolidi autori sicil., II, Palermo 1759, p. XVI; S. Cannella, Lettre à Monsieur le baron N.N. sur la littér. de Palerme, Naples 1794, pp. 17 ss.; N. Gianfalà, In funere F.C. carmen, Panormi 1798; D. Scinà, Prospetto della storia letter. di Sicilia nel secolo decimottavo, II, Palermo 1825, pp. 61 s., 65 s., 290-93, 301-305, 314-18, 341 s.; G. Meli, Pri la morti di lu celebri ab. F.C., in Opere, Palermo 1857, pp. 227 ss.; F. M. Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca, Diario palemitano, in G. Di Marzo, Diari della città di Palermo, XIV, Palermo 1875, p. 191; G. M. Mira, Bibl. siciliana, I, Palermo 1875, p. 178; L. Sampolo, Iprimi 25anni della R. Università degli studi di Palermo, Palermo1885, pp. 4 s., 13 s.; Id., La R. Accad. degli studi di Palermo, Palermo 1888, pp. 67, 79, 83, 100, LXXXVIIs.; G. Di Marzo, Imanoscritti della Biblioteca com. di Palermo, I, 2, Palermo 1894, pp. 7 s.; III, ibid. 1878, pp. 257 ss.; G. Cigno, G. A. Serrao e il giansenismo nell'Italia meridionale, Palermo 1938, pp. 331 s.; G. Pitré, La vita in Palermo cento e più anni fa, II, Firenze 1950, pp. 410 ss., 414; R. Romeo, IlRisorgimento in Sicilia, Bari 1950, pp. 33 s., 36 s.; M. Condorelli, Note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisti sicil. del sec. XVIII, in IlDiritto eccles., LXVIII(1957), 1, pp. 368-75; G. Leclerc, Z.-B. Van Espen (1646-1728) et l'autorité ecclesiastique, Zürich 1964, p. 409; C. Caristia, Riflessi politici del giansenismo ital., Napoli 1965, pp. 308 s.; M. Condorelli, S. Di Chiara ed il giurisdizionalismo sicil., in S. Di Chiara, Opuscoli editi inediti e rari sul diritto pubblico ecclesiastico e sulla letter. del Medioevo in Sicilia, Reggio Calabria 1971, pp. XV-XVI, XXVIII-XXXII.

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