CORNER, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORNER, Francesco

Claudio Povolo

Nacque a Venezia il 19 nov. 1597, ultimo dei cinque figli maschi di Girolamo (1562-1634) di Giorgio di Girolamo del ramo della Regina residente a S. Cassiano, e di Pisana di Federico Priuli. Fu spesso confuso con l'omonimo Francesco Corner (1585-1656) di Giovanni di Marcantonio, doge nel 1656.

Dopo l'apprendistato giovanile compiuto al seguito del padre, nei rilevanti incarichi che questi ricoprì al servizio della Repubblica, nel 1617, grazie all'estrazione della balla d'oro nel giorno di S. Barbara, entrò, pur senza diritto di voto, in Maggior Consiglio. Negli ultimi mesi del 1620 compì un viaggio a Madrid al seguito dell'ambasciatore veneto Alvise Corner, il quale, nel dispaccio del 25 genn. 1621 diretto al Senato, dava di lui un giudizio lusinghiero. Nel marzo 1623 ottenne il saviato agli Ordini, magistratura che veniva di solito assegnata ai patrizi più giovani per permettere loro di addentrarsi nelle complesse attività di governo. Dal 19 marzo al 2 nov. 1624 fu camerlengo di Comune nel giugno 1626 esecutore alle Acque. Terminati questi incarichi di minore importanza, il C. fu eletto l'anno seguente ambasciatore in Savoia.

La designazione fu lunga e complessa: Bertuccio Valier, eletto il 30 ott. 1626, si vide annullare l'elezione, e i successivi prescelti Giovanni Tiepolo e Pietro Contarini di Alvise la rifiutarono nel gennaio e nel marzo del 1627. Allargati i modi dell'elezione, la scelta cadde il 29 luglio sul C., che partì per Torino nel febbraio del 1628.

Proprio in quel periodo la questione della successione di Mantova era giunta ad una fase critica. Il C. ricevette dal Senato la commissione di interporsi per ottenere un accomodamento fra le corti di Savoia e di Mantova, al fine di scongiurare il pericolo di una guerra che inevitabilmente avrebbe coinvolto anche la Repubblica. Nel settembre 1629 calavano però in Italia le truppe imperiali e il duca di Savoia compì l'ennesimo voltafaccia, abbandonando la Francia, che inviava in Italia, in aiuto di Mantova, un forte esercito al comando del re Luigi XIII e di Richelieu. Venezia prendeva posizione in favore dei Francesi, ordinando al C. di riferire al duca di Savoia che "risultavano discare le sue ... perturbationi".

La posizione del C. a Torino divenne perciò sempre più difficile e i suoi dispacci diretti al Senato venivano intercettati e fermati a Milano. Inoltre, la sua fitta corrispondenza con l'ambasciatore Girolamo Soranzo, che la Repubblica aveva inviato al seguito del Richelieu, suscitava la diffidenza di Carlo Emanuele, e sin dal 30 marzo 1630 il Senato aveva prospettato al C. la possibilità che il duca potesse congedarlo, ordinandogli, se tale eventualità si fosse realizzata, di ubbidire, "mostrando però sempre che vi riesca la cosa molto nuova et che non poteva essere nè aspettata nè pensata dalla Repubblica".

Infatti, il 23 maggio seguente, Carlo Emanuele intimò al C. di abbandonare al più presto Torino. Il C. partì per Alessandria, dove il 3 giugno ricevette l'ordine dal Senato di recarsi a Genova. Egli chiese però grazia di rientrare a Venezia, poiché in Piemonte infieriva una micidiale pestilenza e il recarsi in quella città non sarebbe stato possibile se non assoggettandosi ad una lunga quarantena. Ottenuto il permesso, giunse a Venezia, dopo non lievi difficoltà, alla fine di giugno del 1630.

In patria l'attendevano incarichi altrettanto impegnativi: nel marzo dell'anno precedente era stato eletto nuovamente savio agli Ordini, e nel luglio del 1630 il Senato lo destinò all'ambasceria di Spagna, in sostituzione di Alvise Mocenigo, che nel giugno dello stesso anno aveva chiesto un successore. L'infierire della pestilenza in Venezia e nella Terraferma ritardò però la partenza del C. sino al marzo del 1631. Dopo un lungo ed estenuante viaggio, compiuto attraverso regioni colpite dall'epidemia, che lo costrinse a sottoporsi a tediosissime contumacie, giungeva finalmente a Madrid nell'ottobre del 1631 e veniva presentato dal Mocenigo al re l'11 dello stesso mese.

Un imprevisto sopravvenuto durante il viaggio l'aveva però profondamente prostrato e risolto a chiedere il permesso di ritornare a Venezia: il 23 agosto, mentre transitava per Saragozza, gli era giunta notizia che la nave, proveniente da Genova, che trasportava tutti i suoi bagagli, era stata depredata da tre galee di Algeri. Il Senato respinse con fermezza la richiesta del C., ritenendo dannoso alla Repubblica il privarsi in quella "principal legatione, di soggetto ... versato nelle ambascerie et attissimo", bocciando inoltre la proposta, presentata da alcuni savi, di soccorrerlo con un congruo indennizzo. La decisione del Senato era legittimata, nonostante l'apparente contraddizione, dal principio della non retribuzione delle cariche più rilevanti e dispendiose, generalmente affidate ai patrizi più doviziosi che dal loro espletamento traevano onori e prestigio. A soccorrere il C. fu il padre, che gli fornì il necessario per proseguire la sua ambasciata.

Il 25 marzo 1633 il Senato lo incaricò di scoprire le intenzioni della Spagna nei confronti del tentativo, promosso dal granduca di Toscana, di stabilire una lega fra gli Stati italiani contro chiunque avesse turbato l'assetto politico d'Italia. Proprio in tale occasione il C. venne a trovarsi in una situazione imbarazzante a causa delle manovre diplomatiche spagnole che miravano, attraverso inconsueti segni di deferenza e di ammirazione verso la Repubblica, ad indebolire la sua alleanza con la Francia. Egli riuscì però ad allontanare ogni sospetto ed equivoco mantenendo frequenti rapporti con l'ambasciatore francese Batru. Durante la sua ambasceria ebbe inoltre numerosi contatti con i nunzi pontifici Monti e Campeggi e con i rappresentanti degli Stati minori italiani come Lucca, Parma e Modena. Al termine del suo incarico il re lo insignì della dignità di cavaliere e con questo titolo venne poi sempre indicato nei documenti ufficiali della Repubblica, anche per distinguerlo dai numerosi omonimi.

Il C. si fermò alla corte di Spagna per circa quattro anni e al ritorno lesse in Senato la propria relazione il 5 giugno 1635.

Attento osservatore della incipiente decadenza della potenza spagnola, egli insisteva nella relazione sulla inettitudine di Filippo IV, che viveva più nell'ozio che nelle occupazioni di governo, lasciando mano libera al favorito conte duca d'Olivares "direttore assoluto di tutti gli affari"; anche se le difficoltà contingenti avevano reso instabile la posizione dell'Olivares, il quale appariva "in grande agitazione più del solito", il re continuava a concedergli i propri favori, rifiutando ogni altro consiglio ed interposizione. La politica di continua ingerenza negli affari europei e le conseguenti dispendiose operazioni belliche, erano state condotte all'insegna di una pesante imposizione fiscale, che non aveva mancato di generare malumori ed insofferenze. Nel dispaccio dell'8 maggio 1632 il C. riferiva che a Granada, mentre si procedeva alla riscossione di alcuni gravosi tributi imposti alla popolazione, erano comparsi cartelli che invitavano alla sollevazione e che "dicevano sollevata tutta la Spagna e che Dio lo comanda"; ma, egli continuava, "si vede che le sollevazioni non possono aver appoggio".

A Venezia il C, in virtù delle due lunghe e dispendiose ambascerie, ottenne una lunga serie di cariche di rilievo, che in breve tempo lo porteranno ad occupare una posizione preminente tra il patriziato dirigente veneziano. Dal 1637 al 1650 fu eletto per nove volte al Senato e alla zonta. Dal 1° febbr. 1636 al 31 genn. 1637 fu consigliere per il sestiere di San Marco; dal maggio al settembre 1637 fu provveditore alle Artiglierie; nel 1638 savio di Terraferma e depositario in Zecca; nel 1639 savio del Consiglio e nuovamente savio di Terraferma; nell'agosto 1640 fu eletto consigliere dei Dieci e in settembre nuovamente savio agli Ordini, carica che ricoprirà più volte sino al marzo del 1643.

In tale veste propose il primo marzo 1640, insieme ai colleghi e ai savi di Terraferma, una "parte" tendente a limitare l'esborso di denaro che la Repubblica andava continuamente facendo a favore dei propri segretari. Costoro costituivano il nerbo della burocrazia veneta e, sebbene godessero per lo più di prestigio e di ricchezze non indifferenti, rivolgevano di continuo suppliche alla Repubblica, chiedendo aiuti e sovvenzioni, che generalmente non venivano rifiutati. Il ceto dei "cittadini", cui i segretari appartenevano, era posto, nel rigido e chiuso sistema sociale veneziano, al di sotto di quello nobiliare che monopolizzava le cariche politiche; ma, attraverso l'esercizio della professione burocratica, quasi del tutto di sua esclusiva competenza, occupava un peso determinante nella vita politica della Repubblica. I segretari ricoprivano incarichi non soggetti a vacanze e, in virtù del carattere preminentemente tecnico della loro attività, permettevano continuità di azione e di governo nei vari uffici e magistrature. Inevitabilmente essi avevano accentrato nelle loro mani una vasta somma di poteri, legandosi al patriziato dirigente. Nel 1610 la Repubblica aveva stanziato in loro favore 10.400 ducati annui, che, a causa delle continue richieste di denaro, erano rapidamente cresciuti fino a raggiungere nel 1640 la somma di 23.500 ducati. La "parte" dei Savi, ritenendo necessario arrestare "questo corso che anderebbe sempre crescendo se non vi sia posto termine", fissava a ducati 24.000 la somma loro elargibile annualmente, vietando, inoltre, ulteriori concessioni di denaro.

Dall'aprile del 1640 al marzo del 1642 il C. fu due volte savio alla Mercanzia; nel luglio del 1641 venne destinato come aggiunto ai riformatori dello Studio di Padova; nel 1642 fu sovraprovveditore alle Pompe e poi, per "parte" dei Pregadi, inquisitore sopra il magistrato delle Acque; dal maggio del 1644 al marzo del 1645 fu provveditore sopra gli Ori e le Monete; dal dicembre 1644 al marzo 1646 tra i sei esecutori delle deliberazioni del Senato; per decisione del Consiglio dei dieci, nel dicembre 1645 fu tra i sette deputati incaricati di indagare intorno all'attività del fisco Martinengo; nel febbraio 1647 nuovamente consigliere per il sestiere di S. Croce; dal giugno all'agosto dello stesso anno depositario in Zecca; dal gennaio al marzo del 1648 provveditore alla Giustizia vecchia e, sempre nello stesso anno, aggiunto al magistrato delle Biade, inquisitore del Banco del giro, savio alla Mercanzia e provveditore all'Armar. Nel gennaio successivo era tra i cinque provveditori sopra la Provvisione del denaro; dal luglio 1650 al luglio 1651 savio all'Eresia.

Morì a Venezia il 4 sett. 1651, colpito da "febbre maligna".

Alla morte del padre erano stati assegnati al C. alcuni possedimenti posti nel Polesine e a Piombino Dese, nonché una ventina di case in Venezia. Alla sua morte questi beni furono ereditati dal fratello Federico.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, 56 (Libro d'oro nascite, VI), c. 89r; 107 (Cronaca matrimoni, II), c. 75r; Ibid., Segretario alle voci, Grazie della Barbarella, reg. 4, c. 54v; Ibid., Segretario alle voci, Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 13, cc. 20v, 21r; reg. 14, cc. 20v, 21r, 24v, 25r; reg. 16, cc. IV, 2r; reg. 18, cc. 3v, 4r; Ibid., Segretario alle voci, Elezioni del Pregadi, reg. 10, c. 184r; reg. 11, c. 19v; reg. 12, cc. 12v, 68v, 69v, 182v; reg. 13, cc. 14v, 88r, 100v; reg. 14, cc. 1v, 2-4r, 11v, 12r, 31v, 44r, 60r, 87v, 114r; reg. 15, cc. 1r 31v, 35r, 36r, 44v, 79v, 81v, 88r, 98v, 114r, 116r 138r; ret. 16, cc. 29v, 98v, 104v, 138r; Ibid. Segretario alle voci, Elezioni di senatori, di membri della Quarantia e di consiglieri dei Dieci, reg. 1, cc. 85r, 87r, 88v, 89v, 91r, 92r, 93r, 96r, 98r; Ibid., Cons. dei Dieci, Misc. codici, reg. 62, cc. 69v, 70r; Ibid., Senato, Dispacci Spagna, filza 52, lett. 24 (giudizio dell'ambasciatore Alvise Corner sulC.); Ibid., Senato, Dispacci Savoia, filza 66, lett. 1; filza 67, ott. 2-109; filza 68, lett. 110-196; filza 69, lett. 197-301; filza 70, lett. 302-434; filza 71, lett. 435-505; Ibid., Senato, Dispacci Spagna, filza 68, lett. 1-7, 9-23, 25, 28-47, 50-62; filza 69, lett. 63-65, 67-151; filza 70, lett. 152-322; filza 71, lett. 15-18; Ibid., Senato, Terra, reg. 122, cc. 2v, 3; Ibid., Senato, Secreta, reg. 134, cc. 4r-209r passim;Ibid., Senato, Corti, reg. 2, cc. 28-282 passim;reg. 3, cc. 12v-241 passim;reg. 4, cc. 3v-290 passim;reg. 5, cc. 28-282 passim;Ibid., Senato, Commissioni, reg. 6, cc. 20v, 21, 23r; Ibid., Provveditori alla sanità, Necrologi, reg. 877; Ibid., Savi alle decime, Condiz. di decima, busta 168, fasc. 494; Ibid., M. A. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de patritii veneti, III, c. 55; Ibid., G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, c. 911; gli atti relativi alla divisione dei beni del padre del C. si trovano a Venezia, Bibl. d. Civico Museo Correr, Mss. P. D. C 2229/6; sulla destinazione dei beni del C., Ibid., ibid., 2203/19; altri documenti sulle disposizioni testamentarie, Ibid., ibid., 2203/20, 2203/22-23, 2229/6, 2625/21-32; acquisti di beni e livelli del C., Ibid., ibid., 2180/12, 2402/1; Le relazioni degli Stati europei lette al Senato ... nel secolo XVII, Torino, a cura di N. Barozzi-G. Berchet, I, Venezia 1862, pp. 313, 314; Ibid., Spagna, II, Venezia 1860, pp. 3-59, dove il C. è confuso con l'omonimo Francesco Corner di Giovanni; Calendar of State papers... relating to English affairs existing in the archives... of Venice, a cura di A. B. Hinds, London 1916-1921, XXI, pp. 201-601 passim; XXII, pp. 6-363 passim; XXIII, pp. 214-282 passim;F. Verdizzotti, De fatti veneti dall'anno 1570 sino al 1644, Venezia 1646, pp. 536-537; G. Soranzo, Bibliografia venez., Venezia 1885, p. 133; F. Antonibon, Le relaz. a stampa di ambasciatori veneti, Padova 1939, p. 125; R. Quazza, Preponderanze straniere, Milano 1938, pp. 158-177, passim.

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