Crispi, Francesco

L'Unificazione (2011)

Crispi, Francesco


Uomo politico (Ribera, Agrigento, 1818 - Napoli 1901). Laureatosi nel 1843 in giurisprudenza a Palermo, nel 1845 si trasferì a Napoli per esercitare l’avvocatura ed entrò in contatto con esponenti del movimento liberale divenendo un tramite fra questi e i patrioti della Sicilia. Scoppiata la rivolta a Palermo, il 12 gennaio 1848, vi fece ritorno ed entrò nel governo provvisorio, occupandosi dell’organizzazione delle forze armate; ripristinata la costituzione, venne eletto deputato. Fondò, sempre in questo periodo, il giornale «L’Apostolato» sulle cui pagine sostenne posizioni democratiche e autonomiste. Fallita la rivoluzione, nel 1849 andò esule in Piemonte e iniziò a collaborare con alcuni giornali della Sinistra tra cui «La Concordia», «Il Progresso» e la «Gazzetta di Torino». Politicamente era ormai decisamente orientato in senso repubblicano ma, pur avendo contatti epistolari con Mazzini, era più vicino a Cattaneo, di cui condivideva le posizioni federaliste. Con Cattaneo collaborò per la pubblicazione di documenti della rivoluzione siciliana nell’«Archivio storico contemporaneo italiano», e ne subì l’influenza, visibile nello spirito antiaccentratore che ispira le sue opere di quel tempo: Studi sulle istituzioni comunali (1850), Il comune in Piemonte (1852) e Ordinamenti politici delle Due Sicilie (1855). Espulso dal Piemonte dopo i moti milanesi del 1853, si recò a Malta, dove fondò il giornale «La Staffetta», e si tenne in corrispondenza con Mazzini e con Rosolino Pilo. Costretto ad abbandonare anche Malta, andò a Londra, dove ebbe modo di conoscere personalmente Mazzini, poi a Parigi, finché la reazione all’attentato Orsini del 1858 non lo costrinse di nuovo ad andare esule per l’Europa. In questi anni, intanto, i suoi intensi contatti con gli esuli di parte democratica e con Mazzini lo spinsero ad abbandonare l’autonomismo siciliano e a schierarsi decisamente per la soluzione unitaria. Nel 1859 prendeva posizione con Mazzini contro la guerra regia, e si recava in Sicilia a organizzarvi l’insurrezione. L’anno successivo contribuiva in modo determinante a indurre Garibaldi alla spedizione di Sicilia, della quale egli fu, in certo modo, il cervello politico, e fu tra quanti mostrarono forti resistenze all’annessione immediata e incondizionata al Piemonte. Proclamata l’Unità, Crispi, eletto deputato nel 1861, sedette nei banchi della Sinistra e, abbandonata la pregiudiziale repubblicana, andò maturando un progressivo distacco da Mazzini e da Garibaldi, pur adoperandosi per spingere il governo ad appoggiare l’azione intrapresa da quest’ultimo per conquistare Roma. Nel 1867 fu tra i fondatori del quotidiano «La Riforma», organo della Sinistra parlamentare. La sua attività in Parlamento si distinse in questi anni per l’opposizione al disegno di legge relativo all’imposta del macinato e alle leggi eccezionali per la Sicilia proposte da Minghetti per combattere il brigantaggio. Il suo anticattolicesimo d’ispirazione mazziniana e massonica lo portò anche a opporsi alla legge delle guarentigie, considerata un’indebita concessione dello Stato alla Chiesa. Alla caduta della Destra, nel 1876, assunse la presidenza della Camera; l’anno successivo fu inviato dal governo in missione diplomatica in Francia e Germania e qui ebbe modo di incontrare Bismarck di cui divenne grande ammiratore. Ministro dell’Interno dal 27 dicembre 1877, fu però costretto a dimettersi il 7 marzo 1878 di fronte all’accusa di bigamia sollevata contro di lui per avere contratto matrimonio con Lina Barbagallo, vivente ancora Rosalie Montmasson da lui sposata, non regolarmente, a Malta nel 1854. Avverso al governo Cairoli, tornò al ministero dell’Interno il 4 aprile 1887 con Depretis e, alla morte di questi, assunse anche la presidenza del Consiglio e l’interim degli Esteri concentrando nelle proprie mani un enorme potere. Sostenuto da una larga maggioranza parlamentare, promosse un vasto programma di riforme volto a rendere più moderne ed efficienti le strutture pubbliche, compensando tuttavia la maggiore autonomia con forme nuove di controllo da parte del potere centrale. Accentuò in tal modo i caratteri autoritari e repressivi dello Stato e il controllo politico del governo sull’amministrazione. Tra i provvedimenti di riforma adottati: l’ampliamento del diritto di voto nelle elezioni amministrative, l’eleggibilità dei sindaci dei comuni con più di 10.000 abitanti, l’adozione di un nuovo codice penale (il codice Zanardelli) che abrogava la pena di morte. Convinto che l’Italia dovesse assumere un ruolo di grande potenza sulla scena internazionale, avviò una politica estera di prestigio e di espansione, accompagnata da una crescita delle spese militari. In quest’ottica puntò a un rafforzamento della Triplice alleanza e, all’interno di essa, a un consolidamento dei rapporti con la Germania bismarckiana. Corollario di tale politica fu la repressione del movimento irredentista: i circoli intitolati a Oberdan furono sciolti e proibiti i comizi. Nei confronti della Francia, invece, assunse una linea di netta contrapposizione poiché riteneva che essa fosse una temibile avversaria dell’Italia nel Mediterraneo. Il peggioramento delle relazioni italo-francesi comportò un inasprimento dei rapporti commerciali culminato nel 1888 in un’aperta «guerra doganale», che penalizzò pesantemente i prodotti agricoli del Sud, i più interessati al mercato francese. Nel frattempo Crispi aveva ripreso le iniziative coloniali: aveva inviato alla fine del 1887 a Massaua un nuovo corpo di spedizione e nel 1890 fu proclamata la colonia di Eritrea. Costretto alle dimissioni per il voto di sfiducia della Camera nel gennaio 1891, tornò al governo nel dicembre del 1893 in un momento di gravi tensioni politiche generate dallo scandalo della Banca romana e dalla ripresa delle agitazioni sociali. Crispi, che pure aveva gravi responsabilità nello scandalo bancario, si presentò al paese come «l’uomo forte», in grado di ristabilire l’ordine sia in campo economico sia sociale. Assunta la guida dell’esecutivo, avviò una politica di risanamento del bilancio, basata su un inasprimento del carico fiscale, e proseguì la riorganizzazione del sistema bancario avviata dal suo predecessore Giolitti, emanando una legge che istituiva la Banca d’Italia. In politica interna adottò una linea intransigente: i Fasci siciliani furono repressi con l’intervento dell’esercito e con la proclamazione dello stato d’assedio e gli stessi metodi vennero adottati in Lunigiana dove si era verificato nel 1894 un tentativo insurrezionale anarchico. La repressione poliziesca si estese a tutto il paese e colpì soprattutto i giornali e le associazioni facenti capo al Partito socialista che, nell’ottobre 1894, fu dichiarato fuori legge e sciolto. In difficoltà per la crescente opposizione alla sua politica interna e per l’emergere di nuove prove sul suo diretto coinvolgimento nello scandalo della Banca romana, Crispi cercò di rilanciare le sorti del governo riprendendo l’espansione coloniale. Nel 1895 le truppe italiane iniziarono dall’Eritrea la penetrazione all’interno dell’Etiopia, ma non furono in grado di contrastare le soverchianti forze etiopi e furono sopraffatte e disastrosamente sconfitte ad Adua il 1° marzo 1896. La reazione dell’opinione pubblica fu immediata: Crispi fu costretto a dimettersi e uscì definitivamente dalla vita politica attiva.

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