DE FERRARI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE FERRARI, Francesco (detto anche Francesco da Pavia)

Federica Lamera

Figlio di Bartolomeo, nacque presumibilmente a Pavia intorno al 1454 (Alizeri, 1873, II, p. 86) ed esercitò l'arte della pittura a Genova, dove giunse giovanissimo e ottenne la cittadinanza nel 1479 (Staglieno, 1870, p. 48).

Sue notizie sono sovente riportate dalle fonti genovesi (quasi tutte pubblicate dall'Alizeri) per un arco di tempo che va dal 1476fino al 1495.

Nella Matricola dell'arte dei pittori operanti in Genova nel 1481 si rilevano, rispettivamente al quarto e al nono posto, le presenze di due artisti di nome Francesco, entrambi provenienti da Pavia (Varni, 1870, pp. 32 s.; Alizeri, 1873, II, p. 84). Il D. è il primo, l'altro talvolta indicato con il cognome Gradi (o Grasso o Grassi) - appare spesso citato anche semplicemente come "Franciscus de Papia". Tale ambiguo appellativo (evidentemente estendibile ad entrambi i pittori) ha spesso generato confusione nell'interpretazione - da parte degli studiosi locali - delle fonti documentarie. Compito peraltro complicato dalla concomitanza di date (i due Franceschi furono infatti attivi in un pressocché coincidente arco di tempo nelle medesime zone, operando talvolta in società) e soprattutto dalla totale assenza di opere oggi pervenuteci e ad essi certamente riferibili.

Nonostante il nome del D. s'incontri spessissimo nelle fonti documentarie, nulla rimane o conosciamo oggi delle numerose opere citate dagli atti: i dipinti attualmente attribuiti all'artista gli sono riferiti essenzialmente in base a considerazioni e confronti stilistici.

La presenza a Genova del D. è documentata - si è detto - per la prima volta nel 1476: a questa data infatti l'artista conviene in società di bottega con Corrado di Odone, pittore milanese, stipulando di dividere a metà i guadagni derivati dal comune esercizio dell'arte (Alizeri, 1873, II, p. 85). Tre anni più tardi, nel 1479, il nome del D. riappare in un rogito relativo a transazioni con Pier Battista di Guiso, con il quale il pittore diventa socio nella proprietà di un mulino. Il D., che nel documento viene dichiarato "major annis vigintiquinque", s'impegna a sdebitarsi della sua quota in parte con pagamenti in denaro, in parte con opere di pittura, quasi queste ultime fossero considerate merce comune (ibid., p. 86).

L'atto risulta interessante poiché da una parte ci consente di risalire all'anno di nascita dell'artista, dall'altra, come già sottolineò l'Alizeri anche sulla scorta delle notizie apprese dal documento del '76, delinea chiaramente la figura di un pittore ancora molto giovane e giunto da poco in città che cerca - come è solito per i novizi - di avere dei soci nella strada da percorrere.

Ma già a partire dall'anno successivo, il 1480, le fonti documentarie testimoniano la crescente fortuna del D.: da un atto che porta quella data risulta che l'artista aveva intrapreso la decorazione della tribuna dell'oratorio genovese di S. Ambrogio e che, a causa del malcontento dei confratelli suoi committenti, sorse una lite che si risolse con l'imposizione al pittore di rifare il lavoro a somiglianza di quello già condotto (il documento non dice esplicitamente se dal D. stesso o da un altro) per una tribuna nella chiesa genovese dei disciplinati di S. Stefano (Varni, 1870, p. 32; Alizeri, 1871, 113 pp. 89-91).

Un atto del 30 ott. 1481 registra l'impegno assunto congiuntamente dal D. e da Cristoforo Pignatario con Opizzino Doria, capo della società di S. Sebastiano, per dipingere con quadrature e ornamenti una cappella che, grazie ai nuovi ampliamenti nel duomo genovese di S. Lorenzo, la società aveva avuto il permesso di costruire e intitolare al proprio santo patrono (Alizeri, pp. 91 s.).

L'incarico, di notevole prestigio, dimostra la crescente considerazione della quale il D. veniva godendo in quel periodo e che trova un'ulteriore conferma nell'importanza delle opere che gli furono commesse negli anni immediatamente successivi.

Nel dicembre del 1483, infatti, la Signoria di Genova decretò di far eseguire per l'oratorio della gran sala di palazzo pubblico una Maestà con i tre santi patroni (Giorgio al centro, Battista e Lorenzo ai lati) e con il doge Paolo Fregoso, in abiti cardinalizi, inginocchiato ai piedi del santo guerriero. L'Alizeri riferisce il sopracitato dipinto al D. che, secondo le notizie reperite dallo studioso genovese in un manuale di masseria dell'Archivio di S. Giorgio, solo tre mesi più tardi risultava impegnato nell'esecuzione di una ancona per quella stessa sala e, per ordine dei massai, riceveva dal magistrato della Moneta due quinti del prezzo pattuito (Varni, 1870, p. 32; Alizeri, 1873, II pp. 93 ss.).

Nel 1483, inoltre, un Francesco da Pavia, che è stato identificato col D., s'impegna a realizzare il supporto ligneo del polittico della Madonna della misericordia in S. Domenico di Taggia, dipinto da L. Brea (Reghezza, 1908-12; Bres, 1911).

L'ipotesi attributiva si basa essenzialmente sulle analogie emerse confrontando la punzonatura e l'intaglio del dipinto di Taggia con quelli dello scomparto centrale (unico rimasto) di un polittico con Santa Caterina in S. Maria delle Vigne a Genova, firmato Franciscus de Papia (Varaldo, 1984, p. 8,nota 3). Quest'ultimo dipinto che l'Alizeri giudicava di non elevata qualità e, indeciso se riferirlo all'uno o all'altro Francesco, assegnava infine al Grasso, è stato più recentemente attribuito al D. dal Morassi 1946) e quindi dal Castelnovi (1970) che riferisce al pittore anche uno Stemma di Genova con le figure allegoriche della Pace, della Giustizia e della Fortezza nel palazzo genovese di S. Giorgio.

L'attribuzione del Castelnovi al D. si fonda sulla recente scoperta di una tavola con S. Vincenzo Ferreri firmata "Franciscus de Verzatis de Papia" (cioè il Grasso che nacque appunto a Verzate), che risulta molto diversa dal dipinto delle Vigne, peraltro invece stilisticamente vicino allo Stemma di Palazzo S. Giorgio.

Sulla scorta di tali attribuzioni il D. si rivela artista di modi antiquati e provinciali, estraneo agli orientamenti della pittura lombarda, in un'epoca in cui era già attivo il Foppa, e connotato da un rigido schematismo che emerge tanto nel disegno quanto nel modellato.

Nel 1485 il D. è console della confraternita dei pittori (Alizeri, 1873, II, p. 104); poi le fonti documentarie genovesi tacciono fino al 1489, mentre in un atto rogato in Albenga nel 1488 (ora nelle carte dell'Archivio di Stato di Savona) è registrato un contratto per un polittico in cui "magister Franciscus Ferrarius papiensis depinctor, habitator Janue" si accorda con il rettore e alcuni parrocchiani della chiesa di S. Fedele, nella piana di Albenga: il pittore s'impegna a realizzare una Maestà con diverse figure di santi, "cum auro et coloribus arsulis et aliis coloribus finis", che misuri 2,5 x 2 m, compresi i piccoli scomparti laterali. Il pagamento per tale opera risulta comunque interamente liquidato all'artista solo nel novembre del 1491 ma, a questa data, il D., già a Genova dal 1489, si fa rappresentare da un procuratore: l'omonimo Francesco da Pavia, con il quale nel frattempo egli stesso è impegnato nel palazzo di S. Giorgio (Varaldo, 1984, p. 9).

Le notizie fornite da tali documenti hanno fatto supporre al Varaldo che negli anni in cui tacciono le fonti genovesi il D. fosse impegnato in una serie di commissioni nella Riviera di Ponente e, in via del tutto ipotetica, lo studioso suggerisce che l'opera eseguita per la chiesa di S. Fedele, della quale il relativo contratto non fornisce una descrizione, possa essere un dipinto dedicato ai santi apostoli Simone e Giuda, titolari della chiesa in questione, che due secoli più tardi fu descritto dal Paneri (1624) come l'ancona dell'altar maggiore con i due santi "riguardanti la Regina de' Cieli con il suo Bambino".

Nel 1489 il D. risulta arbitro di una contesa che intercorse fra i pittori Foppa e Bartolino della Canonica e nell'anno successivo, il 1490. si ha notizia del pagamento per un grande quadro che gli commise Achille Montaldo, dottore in fisica (Alizeri, 1871, II, pp. 95 s.).

L'Alizeri ipotizza che l'ancona rappresentasse S. Bernardo e fosse destinata a un altare che il committente aveva costruito in S. Giacomo di Gavi.

Durante questi anni si ha notizia di parecchie controversie intercorse fra il D. e Bartolomeo di Lavagna (ibid., p. 96), circostanza che fa supporre un'intensa attività dell'artista. L'ipotesi è comprovata anche dal fatto che i documenti danno notizia dell'assunzione nella bottega del D. di numerosi aiuti: nel 1489 Pierino della Mirandola, Francesco de' Ghirardenghi nel 1492 e infine Benedetto Borzone nel 1493 (ibid., pp. 96 ss., 156).

Nel 1490 e 91 sono poi registrati vari pagamenti fatti al D. e a Francesco Grasso per dipinti da loro eseguiti nel palazzo di S. Giorgio, dove istoriarono "un S. Giorgio nelle stanze medesime degli Ufficiali di Corsica, ed un altro (a quel che sembra) più in alto... il solajo e la Camera del Magnifico Ufficio, e il dentro del Portico ch'era ingresso alla Banca" (ibid., pp. 82 s.).

Sul finire del 1491 il D. risulta impegnato nell'esecuzione della decorazione a fresco e di una tavola con L'Annunciazione per una cappella delle Povere di S. Silvestro in S. Maria in Passione a Genova, sul cui pagamento si discuteva ancora nel 1493 (ibid., pp. 100-3; Maiocchi, I, 1937, p. 375 n. 1568; II, 1949, p. 13 n. 1639).

L'ultima testimonianza relativa all'artista risale al 1495 e riguarda l'acquisto di una casa e di un podere (Alizeri, 1873, IL p. 104).

Risultano iscritti nella Matricola dell'arte della pittura tre figli del D.: Urbano Girolamo e Giovanni Battista.

Urbano fu verosimilmente il più anziano, poiché vi appare iscritto prima degli altri: sue notizie sono state reperite in atti del 1499 e del 1511 dove viene definito rispettivamente "mersarius et pictor" e "merciarius et corrigiarius" (Alizeri, 1873, II, p. 117).

Sia Urbano sia i suoi fratelli non dovettero essere pittori di valore se, secondo la testimonianza dell'Alizeri che trovò i loro nomi più volte citati in rogiti datati al 1501, la loro presenza in tali atti risulta quasi sempre relativa a debiti e non a commissioni per pitture (ibid., p. 118).

GiovanniBattista fu padre di Benedetto, che nel 1532 fu console della confraternita dei pittori con Pietro Calvi Pellerano (Alizeri, 1873, III).

Fonti e Bibl.: Albenga, Arch. vesc., A. Paneri, Sacro e vago Giardinello e succinto Riepilogo delle Reggione delle Chiese e Diocesi d'Albenga... (ms., 1624), I, c. 412r; G. B. Spotorno, Matricola Artis Pictoriae et Scutariae, in Giorn. ligustico di scienze, lettere ed arti, I (1827), 2, p. 208; S. Vami, Appunti artistici sopra Levanto, Genova 1870, pp. 32 s., 79 ss.; M. Staglieno, Appunti e documenti sopra diversi artisti, Genova 1870, pp. 48, 57; F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria..., Genova 1873, II, pp. 81-104, 107 ss., 117 s. (per Urbano), 156; Regesto, p. 538 ss.; III, p. 447 (per Benedetto); IV, p. 186; W. Suida, Genua, Leipzig 1906, pp. 59, 75; J. Foulkes-R. Maiocchi, V. Foppa, Pavia 1909, pp. 163, 318; L. Reghezza, Appunti e notizie ricavate da documenti inediti dell'Archivio comunale di Taggia, Sanremo 1908-12, pp. 214 s.; G. Bres, Questioni d'arte regionale, Nizza 1911, p. 59; R. Maiocchi, Codice diplomatico artistico di Pavia, I,Pavia 1937, pp. 151, 375; II, ibid. 1949, p. 13; A. Morassi, Pittura antica in Liguria (catal.), Genova 1946, p. 32; Id., Capolavori della pittura a Genova, Genova 1951, p. 36; E. Arslan, IlMaestro dell'Annunciazione del Louvre e Carlo Braccesco, in Scritti in onore di M. Salmi, II, Roma 1962, pp. 447 fig. 6, 448, 449 n. 8; G. V. Castelnovi, Il Quattrocento e il primo Cinquecento, in La pittura a Genova e in Liguria, I,Genova 1970, pp. 124 s.; C. Varaldo, Francesco Grassi e Francesco Ferrari: due pittori pavesi tra Savona ed Albenga nel secondo Quattrocento, in Sabazia, VI (1984), pp. 6-10;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, pp. 448 s. (sub voce Ferrari, Francesco de').

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