DE LUCA, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)

DE LUCA, Francesco

Alfonso Scirocco

Nacque a Cardinale (Catanzaro) il 2 ott. 1811 da Martino, farmacista, e da Maria Carello, primo di sette figli, alcuni dei quali (Sebastiano, Domenico, Giuseppe) ebbero nome nella scienza e nell'insegnamento. Compì le scuole secondarie a Catanzaro; per ragioni cronologiche (contrariamente a quanto detto in Pelaggi-Salvi, pp. 11 s.) non poté essere allievo di F. Aracri, morto nel 1813, né del canonico Pellicano, che nel '13 nacque.

Presso l'università di Napoli conseguì nel 1832 la laurea in fisica e nel 1835 quella in diritto civile. Di ingegno versatile, coltivò entrambe le discipline: fu professore privato di fisica e matematica a Catanzaro (nel 1834 concorse invano per questi insegnamenti presso il R. Collegio di Potenza: cfr. Arch. di Stato di Napoli, Ministero degli Interni, I invent., f. 892) ed autore di opere di matematica, di metrologia, di economia; nello stesso tempo fu avvocato del ministero delle Finanze presso la gran corte civile delle Calabrie e, trasferitosi nella capitale, avvocato specializzato nelle questioni commerciali e finanziarie e patrocinatore presso la Corte di cassazione.

Nonostante la varietà degli interessi e l'impegno professionale, il D. non ebbe rilievo nella vita napoletana. Non prese parte attiva al congresso degli scienziati italiani tenuto a Napoli nel '45; decurione (consigliere comunale) a Catanzaro, non fu chiamato a cariche più impegnative; nel '48 non ebbe incarichi dai ministeri costituzionali, né fu eletto deputato: del resto non era apparso prima tra i promotori delle cospirazioni. Il 15 maggio avrebbe però combattuto sulle barricate, se è lui il "F. D. L." che risulta tra gli arrestati di quel giorno, ma in tal caso fu presto scarcerato.

Nel giugno 1848 infatti egli iniziò a Napoli la pubblicazione di una opera, Della educazione politica de' popoli del Regno di Napoli. Cenni, che non venne completata per l'accentuarsi della reazione. Nella parte pubblicata (quaranta pagine solamente) sferzò l'immoralità del regime assoluto, auspicò che ai posti di responsabilità fossero chiamati uomini onesti e preparati, come prima riforma domandò che la Chiesa fosse controllata dallo Stato, che tutti i beni di questa passassero ai Comuni, che fosse limitato il numero degli ecclesiastici; per la pubblica istruzione propose che tutte le scuole fossero chiuse nell'attesa di un nuovo sistema d'insegnamento e dello scrutinio dei professori. L'opuscolo era caratterizzato da una forte impronta moralistica, dall'esigenza che nell'"era novella" governanti e cittadini provvedessero al bene della patria: da ciò nasce l'impressione che il D. fosse aderente ad una delle sette di ispirazione carbonara che ancora esistevano nel Mezzogiorno.

Col ritorno dell'assolutismo fu tra i perseguitati, probabilmente a causa dell'opuscolo su ricordato. Nel 1852 fu arrestato col fratello Dpmenico per "detenzione di carte, stampe e libri criminosi e varie lettere di corrispondenza con persone emigrate". L'accusa era infondata. Nell'agosto i due fratelli furono scarcerati dietro cauzione e nel gennaio '53 definitivamente prosciolti. Secondo Pelaggi-Salvi (p. 14), per evitare altri pericoli, attraverso la Corsica il D. raggiunse a Parigi il fratello Sebastiano. Dell'esilio non fanno menzione le biografie dei contemporanei. Certo era a Napoli ed esercitava l'avvocatura nel '59 (R. De Cesare, La fine di un regno, Milano 1969, p. 667).

Nell'estate del 1860, dopo l'atto sovrano del 25 giugno che ripristinava la costituzione, fu tra i candidati designati per il distretto di Catanzaro in vista della probabile elezione del Parlamento borbonico (L'Iride, 12 ag. 1860). Durante la dittatura fu vicino a Garibaldi. Il 13 ottobre partecipò ad una riunione presso il dittatore, incerto sull'oppqrtunità di insediare un'Assemblea a Napoli e porre condizioni all'unione col Regno sabaudo. Il D. contrario all'annessione incondizionata, si espresse in favore della convocazione di un'Assemblea, per completare il plebiscito, studiando i modi del l'unificazione (L'Indipendente, 20ott. 1860). Presentandosi alle prime elezioni generali del Regno d'Italia, in una lettera-programma (ibid., 19 genn. 1861) ribadì l'utilità di un'Assemblea politica ai fini dell'unificazione tra le diverse regioni, sottolineò lo scontento del Mezzogiorno, indicò i problemi da affrontare per l'ordinamento interno dello Stato e i particolari bisogni delle Calabrie, perché le regioni meridionali "studiate e migliorate sarebbero state fonti d'inesauribile ricchezza nazionale".

Battuto nelle votazioni del gennaio, riuscì a Serrastretta (Catanzaro) nelle elezioni suppletive del 7-14 apr. 1861. Rieletto nel '65, nel '67, nel '70, nel '74, resterà fedele a Serrastretta, benché eletto anche in altri collegi (Napoli IV, nel '65 e nel '67; Chiaravalle Centrale, nel '65; Molfetta, nel '67; Minervino Murge nel '74).

Alla Camera si affiancò a quei deputati meridionali che nel plebiscito vedevano il fondamento di uno Stato "nuovo", in cui fossero contemperate le istituzioni e le esigenze degli Stati preunitari, diverso dallo Stato "piemontesizzato" che stava nascendo di fatto in seguito alle annessioni.

Nella lettera-programma citata del gennaio '61 non ci sono accenni all'iniziativa popolare per Roma e Venezia, parte essenziale del programma dei democratici che si ispiravano a Garibaldi e a Mazzini. Per lui la Camera deve badare alle questioni amministrative ed economiche, "all'opportunità ed ampiezza dei sistemi di decentralizzazione amministrativa, alle condizioni del debito pubblico, alla necessità di aumentar l'introito dell'erario senza imposta di nuovi pesi e balzelli", ed ai lavori necessari per valorizzare il Mezzogiorno. Perciò è tra i democratici che, escludendo nuove iniziative rivoluzionarie, fanno del Parlamento il centro della loro azione.

Il D. infatti, nel novembre-dicembre '61, partecipò alle riunioni che tennero i deputati della Sinistra per costituire un'opposizione compatta e disciplinata, e fece parte di una commissione incaricata di convocare i presumibili aderenti all'opposizione. Anche in seguito figurò spesso in commissioni della Sinistra incaricate di illustrare le condizioni del Mezzogiorno, di fissare il programma del partito, di designare i candidati per le commissioni della Camera.

In effetti il D. si impegnò a fondo nell'attività parlamentare, e per la vita pubblica (fu anche consigliere provinciale a Napoli fin dal 1861) lasciò la professione forense. La sua competenza nelle questioni economiche e finanziarie lo fece diventare l'esperto della Sinistra in questo campo, oltre che il difensore degli interessi del Mezzogiorno.

ei suoi numerosi interventi, cominciati il 19 luglio 1861 nella discussione sull'unificazione del debito pubblico, si ricordano i principali. Il 17 dic. '61, tenendo presenti l'esperienza fatta nelle province meridionali e le condizionidella proprietà immobiliare in Italia, criticò con ampiezza di argomenti la legge sull'imposta di registro proposta dal ministero. Il 22 giugno '63 parlò a lungo, con precisi calcoli ed osservazioni tecniche, contro un progetto di riordinamento del gioco del lotto: si scrisse a torto che egli si era opposto all'abolizione del gioco, perché non su questo verteva la proposta, ma sull'unificazione delle norme che lo regolavano nelle varie parti d'Italia. Il successivo 30 giugno, poi, sottopose ad attento esame il progetto di introdurre la tassa sulla ricchezza mobile, affermando che il criterio di imposizione proposto sarebbe stato arbitrario e vessatorio; il 6 luglio completò il suo pensiero esponendo gli inconvenienti del metodo per contingente che si intendeva seguire.

La misura degli interessi e dei limiti politici del D. è offerta dal discorso del 29 giugno 1864, inserito nell'ampio dibattito sul piano finanziario proposto da Minghetti nel '63 e sui risultati fino allora conseguiti. Egli dà respiro al suo intervento enunziando i criteri che ispirano la Sinistra (rifiuto di una politica di raccoglimento e di riduzione delle spese militari fino a liberare Roma e Venezia, ma rifiuto anche di nuove tasse); per quanto riguarda il ministero, trova le sue colpe nella mancanza di iniziative e di un concetto delle riforme finanziarie. Poi, però, si disperde in una serie di osservazioni particolari sul riordinamento delle direzioni del Tesoro, sul funzionamento della contabilità dello Stato, sullo stravolgimento della legge per la vendita dei beni demaniali operata dal regolamento di attuazione, sul risparmio che si può realizzare nei ministeri militari affidando la sussistenza ai magistrati, sulle economie che si possono realizzare con la diminuzione del numero dei dipendenti statali.

La dimensione "tecnica" della visione dei problemi finanziari si manifesta ugualmente nell'intervento del 21-22 febbr. 1866, occasionato dalla discussione sul piano finanziario illustrato nel gennaio dal ministro delle Finanze A. Scialoja. Al centro delle preoccupazioni del D. è il raggiungimento del pareggio per mezzo di economie, ma il discorso si disperde sui particolari'e dà l'impressione che tutto si riduca allo sfrondamento degli organici ed alla eliminazione di alcune storture. "t un pedante. Nessuna elevazione di idee, nessuna eleganza di forma", commenta Asproni (Diario, IV, p. 213). Nello stesso modo il 18 marzo '68 partecipa al dibattito sul macinato: molte critiche alla legge, e la proposta di imporre un nuovo dazio sul consumo per ripianare il deficit. In tal modo il D. accetta l'ottica dei moderati, fondata più sulle tasse che sulle economie, rinunziando a formulare un piano organico da contrapporre a quello governativo.

Più che negli interventi alla Camera, una esposizione ordinata delle idee del D. si può trovare negli opuscoli in cui dà conto del suo operato: l'Indirizzo ai suoielettori (Torino 1863), il Resoconto agli elettori politici del collegio di Serrastretta (ibid. 1865), il Resoconto pel collegio elettorale di Serrastretta (Firenze 1867).

Ad ogni modo la competenza nel campo economico fu unanimemente riconosciuta al D., che intervenne spesso nei dibattiti, fu in permanenza componente (più volte presidente) della commissione Bilancio e figurò frequentemente nelle commissioni formate per l'esame di proposte e leggi finanziarie. In questa veste fu costante la sua presenza nella elaborazione della politica finanziaria, e notevole l'influenza esercitata. Dal dicembre '65 al dicembre '66 fu vicepresidente della Camera.

L'ampia stima di cui godeva, la cordialità del carattere, la moralità della vita portarono in questi anni il D. alla guida della massoneria italiana.

Affiliato alla loggia "Dante Alighieri" (costituita a Torino il 7 febbr. 1862), presto elevato agli alti gradi (forse per la probabile appartenenza a società segrete nel Mezzogiorno), si adoperò attivamente per l'unificazione dei quattro gruppi "scozzesisti" di Torino, Firenze, Napoli e Palermo in cui si era distinta la massoneria risorgendo dopo l'Unità. Nel dicembre '62 fu tra i promotori del gran concistoro dei sovrani principi della valle di Torino e fu membro del gran concistoro italiano costituito nel marzo '63. Tenne la presidenza della costituente massonica riunita a Firenze dal 21 al 23 maggio 1864, in cui Garibaldi fu eletto maestro, e il D. "presidente provvisorio": nelle intenzioni dei votanti sarebbe stato lui il gran maestro, perché si riteneva che Garibaldi avrebbe accettato la carica solo formalmente. Invece Garibaldi nominò suo rappresentante Antonio Mordini, incaricandolo di adoperarsi per l'unificazione dei centri massonici, come mezzo per dare unità politica alla democrazia. Fallito il tentativo, nell'agosto Garibaldi si dimise, imitato da Mordini. Il D., rimasto di fatto alla testa delle logge dipendenti da Torino e Firenze, fu eletto gran maestro il 18 maggio 1865.

Egli riteneva che la massoneria non dovesse compromettersi con i partiti politici e dovesse informarsi alla purezza delle Costituzioni di J. Anderson. Perciò cercò di attenuare i contrasti con i centri di Palermo e Napoli, di stabilire buoni rapporti con le massonerie straniere e di accreditare una nuova immagine della massoneria italiana. Nel '64 smentì che questa avesse avuto parte nella convenzione di settembre, ma in occasione delle elezioni del '63 diramò una circolare con l'invito a scegliere candidati di virtù e senno, rivolti al progresso (Il Diritto, 9 ott. 1865); non prese posizione, invece, per le elezioni del marzo '67. Nella costituente di Napoli del giugno '67 il D., nel lasciare la carica, tracciò un bilancio positivo del suo operato, ispirato al principio di dare sicurezza, "che la nostra massoneria, come quella delle altre parti del globo, non faceva della politica e delle querele religiose la propria occupazione, e si teneva in una sfera superiore all'una e alle altre". Nello stesso anno fu delegato a rappresentare il Grande Oriente d'Italia al Congresso della pace di Ginevra, ma non pare che vi fosse effettivamente intervenuto (M. Sarfatti, La nascita del moderno pacifismo democratico ed il Congrès international de la paix di Ginevra nel 1867, Quaderni de IlRisorgimento, Milano s. d. [ma 1983], p. 32 e n. 145).

II D. aveva sempre militato nella parte più moderata della Sinistra. Nel dicembre '63 si era rifiutato di aderire alle dimissioni in massa proposte da A. Bertani; nel '64 aveva votato in favore del trasferimento della capitale a Firenze, giudicandolo "una necessaria misura amministrativa" (Resoconto, 1865). Fautore di incisive rifeirme amministrative e finanziarie, dopo porta Pia ritenne che i tempi fossero maturi per il passaggio della Sinistra al governo. A molti sembrava opportuna una trasformazione dei partiti, si progettavano alleanze tra gli schieramenti in cui si erano divise Destra e Sinistra, si Parlava di un "nuovo connubio". Nel '73, durante le trattativé per la formazione del ministero Minghetti, in vista della partecipazione della Sinistra, il D. fu proposto per il dicastero di Agricoltura e Commercio. Fallito l'accordo, il D. si pose alla testa di una parte della Sinistra disposta ad appoggiare il governo su provvedimenti che potevano essere condivisi da tutte le correnti politiche. Perciò nel febbraio '74 i "deluchisti" (oltre sessanta deputati) contribuirono all'approvazione di una nuova legge bancaria. La collaborazione col ministero di quella che si definì "Sinistra giovane" non ebbe seguito, per il dissenso su una serie di provvedimenti finanziari presentati da Minghetti.

Battuto il 24 maggio del 1874 sulla legge sulla nullità degli atti non registrati, il ministero sciolse la Camera, indicendo le elezioni per novembre. Nell'estate, Sinistra storica e Sinistra giovane presentarono il loro programma. La prima accanto alle riforme poneva sempre rivendicazioni politiche (suffragio universale, supremazia dello Stato sulla Chiesa, istruzione laica, obbligatoria e gratuita). Alla seconda sembrava opportuno accantonare le modifiche costituzionali, non richieste dalla maggioranza del paese, e concentrare l'attenzione su poche idee concrete, "ben definite e di attuazione immediata", riguardanti principalmente il regime fiscale ed il funzionamento dell'amministrazione.

Nel corso della campagna elettorale le due parti della Sinistra ristabilirono l'unità, sancita il 27 settembre a Napoli con un grande comizio, in cui fu eletto il Comitato centrale dell'opposizione. Il programma comune fu ispirato a quello dei "giovani", ma il D. restò fuori del comitato e non accettò il compromesso. Nel dare un indirizzo pratico e possibile al partito, volgendolo principalmente a sanare i mali dell'amministrazione, sperava di avere concordi amici ed avversari - scrisse il De Sanctis -, "e non riusci per soverchia rigidità nei principii e per l'inflessibiltà del suo carattere, mirando diritto e sdegnoso delle linee curve" (discorso pronunziato a Napoli in morte del D., il 2 ag. 1875; ora in F. De Sanctis, Un viaggio elettorale seguito da discorsi biografici, dal taccuino parlamentare e da scritti politici vari, a cura di N. Cortese., Torino 1968, pp. 522-526).

Con le vicende del '74 si concluse la sua azione politica. Il D. si ammalò nel novembre di quell'anno, per gli strapazzi di un disagiato viaggio intrapreso dalla Calabria per trovarsi all'apertura della Camera, e morì a Napoli il 2 ag. 1875. Fu sepolto a Cardinale.

Opere: oltre a quelle citate: Miscellanea letteraria col ditirambo Sileno in Calabria, s. I. 1832; J.-L. Boucharlat, Elementi di calcolo differenziale, traduz. ital. di F. De Luca, Napoli 1832; Opuscolimatematici e sviluppo d'un nuovo sistema di logaritmi, s. l. 1833; Metrologia universale, Napoli 1841; Monografia metrica della città di Catanzaro, ibid. 1845; Memorie economiche sui boschi e su fiere e mercati, s. l. 1845-46; Opuscoliletterari e discorsi accademici, s. l. 1847; Legislazione e tecnologia commerciale, Napoli 1851.

Fonti e Bibl.: Brevi e superficiali le vecchie biografie. Qualche notizia sulla giovinezza in L. Aliquò Lenzi-F. Aliquò Taverniti, Gli scrittori calabresi. Dizionario bio-bibliografico, I, Reggio Calabria 1955, pp. 245 s.; poco attendibile G. Pelaggi-G. Salvi, F. D. patriota ed apostolo dell'Unità d'Italia, Catanzaro 1958. Sulla partecipazione alla lotta contro i Borboni e le persecuzioni subite: A. Scirocco, F. D. nel 1848e le sue idee sul riscatto politico del Mezzogiorno, in Miscellanea in onore di Ruggero Moscati, Roma 1985, pp. 493-499. Sull'attività politica dopo l'Unità: G. Procacci, Le elezioni del 1874e l'opposiz. meridionale, Milano 1956, ad nomen;A. Berselli, La Destra storica dopo l'Unità, II, Italia legale e Italia reale, Bologna 1965, ad nomen;A. Scirocco, I democratici ital. da Sapri a Porta Pia, Napoli 1969, ad nomen;G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, VI, Milano 1970, pp. 19-31; A. Capone, L'opposizione meridionale nell'età della Destra, Roma 1970, ad nomen;A. Scirocco, L'impegno politico di De Sanctis nell'età della Destra e la trasformazione dei partiti, in F. De Sanctis nella storia della cultura, II, Bari 1984, pp.403-450. Sull'attività massonica: A. Luzio, La massoneria e il Risorg. ital., Bologna 1925, I, p. 248; II, pp. 89-92; A. Scirocco, Democrazia esocial. a Napoli dopo l'Unità (1860-1878), Napoli 1973, pp. 67, 139 s., 221; A. A. Mola-L. Polo Friz, Iprimi vent'anni di Garibaldi in massoneria (1844-1864), in Nuova Antologia, luglio-settembre 1982, pp. 361 s., 368-372. Brevi cenni al D. sono in Carteggi di V. Imbriani. Gli hegeliani di Napoli, a cura di N. Coppola, Roma 1964, p. 136, e in Voci di esuli politici meridionali, a cura di N. Coppola, Roma 1965, p. 415. Il D. è spesso citato, più per rapporti di amicizia che per ragioni politiche in G. Asproni, Diario politico 1855-1876, a cura di C. Sole-T. Orrù, Milano 1974-83, IV (1858-1867), V (1868-1870), VI (1871-1873), ad nomen.

CATEGORIE
TAG

Convenzione di settembre

Calcolo differenziale

Università di napoli

Imposta di registro

Sinistra storica