DE SARLO, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 39 (1991)

DE SARLO, Francesco

Patrizia Guarnieri

Nacque a San Chirico Raparo, paese dell'Appennino calabro-lucano in provincia di Potenza, il 13 febbr. 1864 da Luigi e da Stella Durante. Alle idee di rinnovamento politico e sociale che percorsero il Meridione nella seconda metà dell'800, rimase ostile la sua famiglia, eminentemente legata - come lo stesso D. avrebbe lamentato - ad una "maniera angusta di concepire la vita e l'educazione". Persino il sincero amore per lo studio e la cultura era ostacolato dal rigido ossequio alle tradizioni e "dal timore di contaminarne la purezza con contatti estranei". Nell'autobiografico Esame di coscienza. Quarant'anni dopo la laurea 1887-1927 (Firenze 1928), egli ricordò d'essere stato un bambino solitario, senza coetanei con cui giocare, a contatto solo con la natura e una ristretta cerchia di conoscenti - preti, contadini e qualche medico - dei genitori. Anziché mandarlo a scuola, questi decisero di affidarne l'istruzione allo zio sacerdote e a un signorotto del paese; da loro imparò non molto più della noia per i libri scolastici, gli unici che gli fosse concesso leggere. Temperamento riflessivo e sognatore, non si ribellò alla preoccupata sorveglianza dei genitori, ma in qualche modo vi sfuggiva costruendosi una realtà sua propria, agli altri tenuta segreta, la quale "non aveva niente a che fare con quella comune", ed egli si compiaceva d'esserne dominatore assoluto, al riparo da ogni interferenza.

In questo atteggiamento di fanciullo, il D. avrebbe ravvisato, in seguito, il primo segno della sua attitudine speculativa ed anche di una scissione in se stesso tra il comportamento, conforme alle aspettative altrui, e la convinzione interiore di una smisurata libertà. Se adempiva alle pratiche religiose secondo i dettami dell'educazione pietistica ricevuta, mai prestò fede ai dogmi del cattolicesimo. Quando si allontanò dall'ambiente in cui era nato, per frequentare le scuole a Napoli, iniziò ad avvertire anche il disagio della sua condizione psicologica: non riusciva ad identificarsi in ciò che avrebbe dovuto fare, né a realizzare le sue aspirazioni, mutevoli e troppo vaghe. Sicuramente si sentiva votato allo studio, senza sapere però in quale direzione. Le indecisioni sulla scelta della facoltà universitaria furono vinte dal volere della famiglia, nella quale era tradizionale la professione medica. Nell'autunno 1881 il D. si iscrisse perciò a medicina, presso l'ateneo napoletano. Andò frequentando i corsi di scienze fisiche e biologiche, accanto a quelli di patologia generale, anatomia, embriologia, fisiologia; ma con maggiore interesse prese a seguire le lezioni di letteratura, storia, giurisprudenza e soprattutto di filosofia. Di quest'ultima erano a quel tempo maestri, in Napoli, gli hegeliani B. Spaventa e A. Vera, il neokantiano F. Fiorentino, il positivista A. Angiulli: tutte figure di rilievo nel panorama intellettuale della nazione, che in maniera diversa stimolarono il giovane verso un approccio teorico agli studi scientifici, orientandolo alle problematiche più ricche di implicazioni speculative: l'evoluzione, le teorie antropologiche, la psicopatologia.

Dopo la laurea, esercitò la pratica medica per qualche anno, e pubblicò un volumetto di Studi sul darwinismo (Napoli 1887), che in Darwin elogiava l'indagatore paziente e modesto dei segreti della natura, colui il quale, serenamente, alle parole degli avversari opponeva i fatti.

Esistevano già precedenti ipotesi sull'origine della specie, ma egli era stato il primo ad avanzarne una soluzione scientifica, respingendo la metafisica, sebbene a quella rischiassero di retrocedere certi darwinisti, quando assolutizzavano la teoria del maestro. Il D. raccomandò di non trasformare la selezione naturale in un principio assolutizzante, poiché ne vedeva il valore limitato ai fenomeni naturali, e giudicò che la pretesa di applicarla alla società obliasse l'importante differenza fra adattamento e variazione.

Nello stesso anno stampò un articolo sopra un soggetto che da tempo lo affascinava, come un "prisma a parecchie facce", difficile da comprendersi in tutta la sua complessità. Ne I sogni. Saggio psicologico (Napoli 1887), riassunse le ricerche già compiute da Sully, Maury, Bernheim, Du Prel, Delboeuf; insistendo sui rapporti con allucinazioni, stati ipnotici e condizioni psicopatologiche, tentò di mostrare come il benessere psichico consista nella capacità di essere armoniosamente molteplici, una facoltà che vedeva venir meno tanto nella monomania, quanto nella dipendenza suggestiva o nella perdita di coscienza.

Decise, quindi, di dedicarsi intensamente ad esplorare le anormalità della psiche: nel 1890 iniziò il suo tirocinio presso il frenocomio di Reggio Emilia, ospedale psichiatrico modello e centro di studi avanzati diretto da A. Tamburini, dove lavorarono, tra gli altri, E. Morselli, G. Buccola, D. Maragliano, G. Guicciardi, G. C. Ferrari. Nell'organo della scuola reggiana, la Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale, apparvero del D. le Ricerche sulla circolazione cerebrale (XVII [1891], pp. 503-28), in collaborazione con C. Bernardini. Agli esperimenti in laboratorio predilesse l'indagine diretta sui malati e sui comportamenti devianti in generale, curando di aggiornarsi sulla letteratura italiana e straniera (cfr., per es., Sull'incosciente, ipnotismo, spiritismo, lettura del pensiero..., Reggio Emilia 1890), con particolare riguardo alla Psicologia sperimentale in Germania (Reggio Emilia 1893).

Assistente di medicina legale, per un breve periodo, all'università di Bologna, nel 1892 presentò, sul giornale di C. Lombroso, i risultati di un'inchiesta comparata su I piccoli candidati alla deliquenza (in Archivio di psichiatria, scienze penali e antropologia criminale, VIII [1892], pp. 301-27).

Prescelti due campioni di ragazzi, secondo certe caratteristiche antropologiche e psicologiche, tra i minori della casa di custodia e dell'istituto di beneficenza di Bologna, si propose di accertare se e quali rapporti intercorressero fra costituzione, ambiente e moralità. Con il passare degli anni non avrebbe più condiviso la dottrina, che avallò in quel saggio, di una simmetria fra "buono" e "normale" da una parte, e vizioso, criminale e folle dall'altra. Critiche al determinismo antropologico avrebbe poi sviluppato sia in senso teorico (con G. Calò, La patologia mentale inrapporto all'etica e al diritto, Milano 1907), sia richiamando l'attenzione sui "semi-folli", una classe psicopatologica in preoccupante aumento (I gradi della responsabilità, in La Cultura filosofica, II[1908], pp. 442-48). Anche in alcuni dei saggi raccolti in Psicologia efilosofia, (Firenze 1918, 2 voll.), avrebbe ribadito come la vita psichica, specie nelle manifestazioni del sentimento e della morale, non fosse riducibile alle attività del sistema nervoso.

Il "demone filosofico" non l'aveva abbandonato. Con l'aiuto di L. Ferri, uno spiritualista tormentato, colto e aperto alle nuove idee, il D. si trovò ad insegnare filosofia; nel 1893 a Benevento, poi, conseguita l'anno successivo la libera docenza presso l'università di Roma, venne trasferito nei licei della capitale e di Torino. Nel 1900 l'Istituto di studi superiori di Firenze lo nominò vincitore del concorso per la cattedra di filosofia teoretica, affidata nel 1899 a G. Tarozzi, e che A. Conti aveva occupato dal 1860 per un quarantennio. Il D. esordì con una prolusione, tenuta il 1º marzo, su Il concetto dell'anima nella psicologia contemporanea (Firenze 1900, poi in Psicologia e filosofia, II, pp. 1-35), e fece subito intendere quanto giudicasse indispensabili le indagini psicologiche per affrontare la realtà spirituale dell'uomo anche in termini speculativi. Di essa aveva gia variamente trattato nei Saggi di filosofia (Torino 1896-97, 2 voll.), e in Metafisica e moralità: studi di filosofia morale (Roma 1898), dove prese in considerazione l'efficacia che certe credenze metafisiche possono esercitare sul perseguimento dei valori etici. Con i successivi Studi sulla filosofia contemporanea. Prolegomeni: la filosofia scientifica (ibid. 1901), cercò di confrontarsi con le tendenze di pensiero avviate da Helmholtz, Du Bois Reymond e Darwin. Precisò inoltre la propria posizione critica in una Nota sul positivismo contemporaneo in Italia, inclusa nello stesso volume: condividerne l'elogio al sapere scientifico non significava alcuna adesione alla fede materialistica.

Grazie al sostegno di F. Tocco, suo collega all'istituto fiorentino fino al 1911, e con il patrocinio di P. Villari, nel 1903 il D. inaugurò il laboratorio di psicologia sperimentale, il primo in Italia, entro la facoltà di filosofia e lettere; quella che egli reputava "sede naturale" per l'insegnamento e la ricerca della disciplina, di contro a chi l'avrebbe voluta nella facoltà medica (Le cattedre di psicologia sperimentale, in La Cultura filosofica, II [1908], pp. 47s.).

Si trattava di quattro o cinque stanze ricavate da un'ala semiabbandonata dell'antico convento dei servi di Maria. Il meccanico del laboratorio di fisiologia dell'Istituto, E. Guelfi, si adoperò ad attrezzarle con apparecchi estesiometrici, chimografi di Ludwig-Baltzar e di Richard, termometri di Delabarre e di Sommer, cronoscopi di D'Arsonval, di Hipp e di Wundt, collegamenti pneumatici di Marey, mnemometro di Ranschburg e dispositivi per registrare le reazioni emotive. Le esercitazioni in laboratorio erano parte integrante dei corsi tenuti dal D. in psicologia; nel 1905-06 trattò "Le alterazioni della coscienza. Esperimenti ed esercizi sulle sensazioni"; nell'anno accademico successivo prescelse "L'associazione delle idee dal punto di vista sperimentale. Esercizi sulle sensazioni gustative e olfattive"; nel 1907-08 esaminò "L'azione dell'esercizio sulle funzioni psichiche". Studiare con metodi sperimentali la coscienza, quale oggetto tra gli innumerevoli altri dell'universo, era il programma che il D. mirava a realizzare con i suoi collaboratori. Fra costoro si distinsero soprattutto: E. Bonaventura, laureatosi nel 1913 discutendo una tesi su Il problema dell'origine delle differenze qualitative; V. Berrettoni, esperto in studi sulla percezione, cui lavorò anche G. Della Valle; A. Aliotta, che in quella sede definì l'applicazione di concetti e procedimenti matematici ai sondaggi nella psiche; G. Sarfatti, considerato un precursore della psicologia sociale italiana; G. Pergolesi, la quale aiutò a raccogliere la documentazione sui bambini della scuola elementare utilizzata dal D. per la ricerca sulle Anomalie del carattere (Firenze 1907); G. Fanciulli, che fu psicologo prima di affermarsi come scrittore per ragazzi.

A presupposto di tanta attività, documentata nei due volumi di Ricerche di psicologia (Firenze 1905-1907), stava la distinzione, interna alla psicologia, tra scienza empirica e scienza filosofica, anche se ciò non significava che l'approccio sperimentale fosse separato da quello introspettivo. La psicologia, proclamò il D., esiste in quanto è possibile l'osservazione interna. Questa poi adempirà tanto meglio al suo ufficio, quanto più sarà sorretta da altri metodi, quali l'esperimento, l'osservazione delle manifestazioni psichiche nei nostri simili, l'inchiesta, l'esame dei principali prodotti dello spirito collettivo (lingua, religione, diritto ecc.) e di quello individuale.

Nell'analisi su Idati dell'esperienza psichica (Firenze 1903), cercò di mostrare come si ottenessero maggiori garanzie di obbiettività, se si prescindeva da questioni speculative, connesse con l'etica specialmente, cui l'autore riservava altrove spazi separati. In un periodo in cui la psicologia stava emancipandosi dalla tutela metafisica, pareva più opportuno procedere attraverso metodi e campi di indagine che fossero naturalisticamente determinabili. Non doveva però mancare, secondo il D., una considerazione teleologica dei processi psichici, tesa a valutarli in quanto predisposti al conseguimento individuale dei fini. Contro questa operazione, avrebbe puntato le sue critiche B. Croce, con il quale il D., a sua volta, polemizzò a lungo su temi che andavano a riguardare il rapporto fra scienze della natura e scienze dello spirito.

Vice di R. Ardigò alla presidenza della sezione di psicologia introspettiva che si riunì al V congresso internazionale di psicologia nel 1905 a Roma, lo stesso D. denunciò i rischi del compromesso separatista che sembrava poter placare i conflitti tra filosofi neoidealisti e scienziati sperimentali. Nella sua relazione su La psicologia in rapporto alle scienze filosofiche (Atti del V Congresso..., Roma 1906), giudicò astratta e deviante la divisione per cui lo spirito veniva considerato come meccanismo o come attività libera, a seconda che lo si assumesse a oggetto rispettivamente della psicologia o della filosofia (Una dichiarazione a proposito del V congresso di psicologia, in Rivista filosofica, V[1905], pp. 431-35).

Si era spostato ormai da posizioni dualiste ad un orientamento monista, che prevale nella raccolta intitolata Psicologia e filosofia. Deciso a tenersi distante da opposti schieramenti metafisici, preferì parlare di "dualismo interferente", che auspicava potesse suggerire anche la soluzione al problema dei rapporti fra mente e corpo. Per la compenetrazione di materia e spirito, e corrispondentemente di scienza e filosofia, si servì delle suggestioni tratte dal filone spiritualistico (Le basi della psicologia e della biologia secondo Rosmini considerate in rapporto ai risultatidella scienza moderna, Roma 1893), specie da Francesco Bonatelli sul quale scrisse un saggio (Firenze 1908, poi in Filosofidel tempo nostro. Ombre e figure, ibid. 1916), e di cui apprezzò la traduzione del Mikrokosmus di R. H. Lotze. Sul significato del sapere filosofico per i progressi scientifici, tornò a parlare il 3 nov. 1906, nel discorso inaugurale per l'anno accademico all'Istituto di studi superiori (La filosofia nella cultura contemporanea, in Annuario del R. Ist. di studi superiori, Firenze 1906, pp. XVII-LV).

Su "Forme e fasi della conoscenza razionale" aveva svolto, nel 1905, le sue lezioni di filosofia teoretica; successivamente le articolò in una parte introduttiva, sullo studio della filosofia, ed in una specifica, sulla percezione e conoscenza di sé, e dopo, nel 1907-08, sulla cognizione scientifica.

Alla riflessione etica dedicò altri due volumi: L'attività pratica e la coscienza morale (Firenze 1907) e, con G. Calò, Principi di scienza etica (Palermo 1907), cui insieme aggiunsero una sostanziosa appendice, La patologia mentale in rapporto all'etica e al diritto (ibid. 1907). Valendosi delle ampliate conoscenze sullo Studio dei sentimenti nella psicologia inglese contemporanea ... (Bologna 1893) e sulle teorie de Ilpiacere e il dolore secondo Münsterberg (Roma 1893), cercò di mostrare come l'apprezzamento del valore richiedesse "il concorso di funzioni spirituali differenti dal puro intendere", e relative piuttosto alle determinazioni dell'attività pratica (sentimento, desiderio, volere).

Nel gennaio 1907, sfidando il monopolio de La Critica, fondò La Cultura filosofica, che diresse per un decennio. Egli stesso vi contribuì ad aggiornare i lettori sulla recente letteratura straniera, con note su Reinke, Zeller, Wundt, Lutoslawski, Ribot, James, Mach; confrontandosi con le idee dei colleghi italiani - da B. Varisco e R. Mondolfo a A. Gabelli e F. Enriques -, spesso ingaggiò aspre dispute con B. Croce, "avvezzato male da quel pubblico di semi-letterati e semi-filosofi che da alcuni anni a questa parte pende dalle sue labbra" (Hegel superato, in La Cultura filosofica, I[1907], pp. 111-13). Al periodico, mensile e poi bimestrale, collaborarono A. Aliotta, F. Bonatelli, G. Calò, A. Levi ed altri, con il programma di offrire una rassegna valutativa, non solo descrittiva, sul pensiero filosofico contemporaneo in rapporto con le scienze. Nel bilancio del primo anno di attività si ribadì la distanza sia dal dilettantismo positivista, che identificava filosofia e scienze, sia dal neoidealismo accusato di paralizzare lo sviluppo scientifico. Il 9 febbraio 1912 il D. tenne il Discorso inaugurale del Circolo di studi filosofici (Firenze 1913), aperto nel capoluogo toscano, presso la Biblioteca filosofica.

Al consiglio direttivo appartenevano, con lui, M. Calderoni, G. Calò, G. Fanciulli e R. Assagioli, che ne redasse lo statuto; tra i collaboratori anche G. Villa, A. Levi, G. C. Ferrari ed E. Morselli: tutti uniti dall'insofferenza per il teorizzare all'infinito su generalissime questioni e dal convincimento che invece occorresse lavorare a indagini specifiche, senza la pretesa, però, che gli interrogativi sulla psiche potessero svelarsi tutti in laboratorio. Il Circolo si ampliò tanto da trasformarsi nell'Associazione di studi psicologici - di cui il D. fu eletto presidente il 29 marzo 1914 - dotata di un Bollettino trimestrale. I soci si riunivano mensilmente con l'impegno di "mostrare come alla psicologia competa un posto particolare tra la filosofia da un lato e la fisiologia e la psichiatria dall'altro".

Tra le prime iniziative varate fu un'inchiesta tesa ad individuare le cause dell'antipatia ed i suoi rapporti con caratteristiche fisiopsicologiche. Dalle risposte, non molto numerose, raccolte nell'arco di tre anni, il D. dedusse che quello speciale antagonismo aveva "il suo fondamento ultimo nella differente o anche contrastante determinazione fisio-chimica" degli organismi individuali (con G. Fanciulli, Iresultati del questionario sull'antipatia, in Boll. d. Ass. di studi psicol., [1915], pp. 33-53, e in Psiche, IV[1915], pp. 367-89). Una conclusione abbastanza sorprendente, da parte di chi - come il D. - andava sempre più insistendo sulla specificità della natura psichica rispetto alla fisica, e che non si peritava di riparlare dell'anima, intesa non come un'entità bensì come lo specifico degli atti psichici (Idee metafisiche intorno all'anima, in Psicologia e filosofia, II, pp. 37-90).

Criticando le opposte unilateralità sia dello spiritualismo, incapace di cogliere la dinamicità psichica, sia dell'evoluzionismo, a quella soltanto limitato, il D. difese il progetto di una scienza della soggettività, possibile qualora l'agire umano non fosse astrattamente riferito a leggi universali - logiche, estetiche ed etiche -, ma venisse indagato nelle concrete esperienze degli individui che creativamente procedono, anche attraverso errori e squilibri (Ilsoggetto e L'esperienza psichica, in Psicologia e filosofia, I, rispettivamente pp. 111-27 e 73-95). Convinto che la coscienza rappresentasse soltanto una parte del campo psichico, raccomandò di sondare il più possibile le ombre de L'attività psichica incosciente (ibid., II, pp. 155-201), a comprendere le quali né l'approccio associazionista né il neurofisiologico potevano bastare. Indizi significativi di questa realtà profonda scorse nei sogni, nel sonnambulismo naturale o indotto, negli stati di suggestione e di ebbrezza, nelle personalità multiple. Esplorando le varie Alterazioni della vita psichica (ibid., II, pp. 221-402) le classificò in anomalie dell'immaginazione e dell'intelligenza, anomalie affettive e dell'attività pratica; e tentò di definire il concetto di normalità. Criteri psicologici e sociologici andavano combinati, poiché le qualità intellettuali e morali dei contenuti di ogni coscienza richiedevano riconoscimento e consenso da parte degli altri uomini, viventi in simili condizioni.

Contribuì a Psiche, redatta da R. Assagioli a Firenze tra il 1912 e il 1915, aderendo al programma di emancipare la ricerca psicologica oltre i limiti naturalistici (specie con Imetodi della psicologia, ibid., III [1914], pp. 245-68; IV [1915], pp. 19-47, 221-47). In un'ulteriore riflessione sulle tendenze de Il pensiero moderno (Palermo 1915) il D. rivendicò i diritti della metafisica e suggerì che alla filosofia competesse esplicarsi "come dottrina e critica delle scienze umane", anche se a tale proposta non dette sufficiente realizzazione né chiarezza. A proposito delle tendenze irrazionaliste - si riferiva a F. Paulsen e a E. v. Hartmann -, dell'empirismo di S. H. Hodgson e dell'idealismo di F. M. Bradley, rilevò la mancanza di equilibrio nel come diversamente concepivano il rapporto tra soggetto e oggetto. Tra i Filosofi del tempo nostro (Firenze 1916) riconobbe in J. Reinke l'esempio del come giustamente intendere il binomio scienza-filosofia. Dalla conoscenza diretta di Franz Brentano, trasferitosi a Firenze dal 1895, derivò l'ispirazione fenomenologica evidente nel libro che gli dedicò: Introduzione alla filosofia (Milano 1928); il primo capitolo riguardava i Lineamenti di una fenomenologia dello spirito, uscito originariamente cinque anni prima.

Nel 1923 aveva lasciato l'insegnamento della psicologia sperimentale a E. Bonaventura; mantenne la cattedra di filosofia teoretica fino al 1933. Da quel lungo magistero, il D. dette prova di impegno morale e politico, sia durante la guerra (Lo spirito nazionale, in La Cultura filosofica, IX [1915], pp. 193-212), sia nel periodo del fascismo. Nella difesa della libertà trovò un certo avvicinamento con Croce, dopo tante polemiche culminate nel libro Gentile e Croce. Lettere filosofiche di un superato (Firenze 1925). Quando G. Gentile era ministro della Pubblica Istruzione, il D. espresse le proprie idee in merito alla riforma della scuola, temi cui si interessava da tempo, collaborando anche alla Rivista pedagogica di L. Credaro. Presidente al V congresso della Società filosofica italiana nel 1923, il D. pose al centro del dibattito La filosofia nell'ordinamento degli studi (in Atti, Città di Castello 1924); raccomandò la necessità di confronto con l'indagine scientifica, in dissenso con la "troppa filosofia" del momento. Il 30 marzo 1926, coraggiosamente rivendicò i diritti delle università di contro alle sopraffazioni politiche, davanti al VI congresso della Società filosofica a Milano; i lavori presieduti da F. T. Marinetti furono sospesi per autorità prefettizia, dopo gli incidenti suscitati dal discorso del D. su L'altra cultura e la libertà, il quale sarebbe stato pubblicato soltanto nel 1947. Sul rapporto politica e morale, con un lungo capitolo sulla nozione e sui compiti dello Stato, stampò il volume intitolato L'uomo nella vita sociale (Bari 1931). Quattro anni dopo, apparve Vita e psiche. Saggio di filosofia della biologia (Firenze 1935). Erano quelle, per il D., i due aspetti diversi di un'unica realtà. Lungi dal parergli palcoscenico di atti o mera somma di esperienze, credeva che la vita contenesse pieno significato come processo in cui l'io cerca di affermare la propria identità.

Morì a Firenze il 14 genn. 1937.

Fonti e Bibl.: Un ricco fondo De Sarlo, composto di libri, opuscoli e riviste, è conservato presso la Biblioteca della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Firenze; altro materiale librario, nonché strumenti del suo laboratorio si trovano nell'Istituto di psicologia del Magistero a Firenze, in parte schedati nel catalogo della mostra Misura d'uomo. Strumenti, teorie e pratiche dell'antropometria e della psicologia sperimentale tra '800 e '900, Firenze 1986. Autobiografico è F. De Sarlo, Esame di coscienza. Quarant'anni dopo la laurea 1887-1927, Firenze 1928, in occasione del suo ritiro dall'insegnamento, fu redatto un intero fascicolo di Logos, XVI (1933), nel quale scrissero: A. Aliotta, L'eredità spirituale di F.D., pp. 245-49; E. P. Lamanna, Il problema metafisico-religioso nel pensiero di F.D., pp. 250-67; G. Calò, Il pensiero etico di F. D., pp. 268-83; A. Levi, Il problema della libertà e l'applicabilità dell'apriori al soggetto secondo F. D., pp. 284-90; G. Capone Braga, La tradizione di una filosofia dell'esperienza secondo F. D., Ricordi, pp. 291-97. Per la bibliografia parziale dei suoi numerosissimi lavori, si veda, con 130 titoli, E. P. Lamanna, F. D., in Rivista internaz. di filosofia del diritto, XVII (1937), pp. 518-27, su cui si basa quella, inclusiva di alcuni scritti dei collaboratori, in S. Sirigatti, Gli studi di psicologia scientifica all'università di Firenze (1903-1945), Siena 1967, pp. 25-35. Per l'importanza della polemica, sono da ricordare le feroci note comparse su La Critica nel 1907 e poi raccolte in B. Croce, Pagine sparse, Bari 1960, I, pp. 231-56; nonché quanto lo stesso scrisse in privata corrispondenza, del 22 apr. 1907, riprodotta da R. Colapietra, Lettere inedite di B. Croce a Lombardo Radice, in IlPonte, XXIV (1968), pp. 980 s. Tra i necrologi, cfr. quelli di L. Limentani, in Riv. pedagogica, XXX (1937), pp. 111-14, e di A. Levi, in Rend. del R. Ist. lombardo di scienze e lettere, s. 3, LXX (1937), pp. 166 s. Vedi inoltre G. Ponzano, L'opera filosofica di F. D., Napoli 1940 (con ulter. bibl.); M. F. Sciacca, Il secolo XX, Milano 1942, I, pp. 60 s.; G. Calò, Commem. del socio F. D., in Rend. dell'Acc. naz. dei Lincei, classe di scienze mor. stor. e filos., s. 8, II (1947), pp. 71-81; N. Spada, F. D., maestro di psicologia, in Riv. di psicologia, XLIII (1947), pp. 52-69; E. Garin, Cronache di filosofia italiana 1900/1943, Bari 1955, ad Indicem; S. Sirigatti, op. cit., pp. 9-23; D. Pesce, Un'ined. lettera di Croce a D. su marxismo e vita morale, in Riv. di studi crociani, V (1968), pp. 73-83; R. Cordeschi-L. Mecacci, La psicologia come scienza "autonoma": Croce, D. e gli sperimentalisti, in Per un'analisi storica e critica della psicologia, II (1978), pp. 3-32; S. Marliaba, Lineamenti della psicologia ital. 1870-1945, Firenze 1981, pp. 154-65. In Lettere a Bernardino Varisco (1867-1931), a cura di M. Ferrari, Firenze 1982, pp. 235-41 sono riprodotti sei biglietti del D., con una nota su di lui, scritti tra il 1907 e il 1912. Si veda inoltre A. Olivieri, L'insegnamento della filosofia nell'Istituto di studi super. di Firenze, in Università di Firenze, Annali dell'Istituto di filosofia, IV (1982), specie pp. 130-35; B. Milanesi, Prassi e psiche. Etica e scienze dell'uomo nella cultura filosofica ital. del primo Novecento, Trento 1983, pp. 74-78; P. Guarnieri, Il morale e il normale. Sull'antideterminismo di F. D., in Riv. di filosofia, LXXV (1984), pp. 251-71; F. Mondella, F.D.: dalla psicologia senz'anima allo spiritualismo (1887-1893), in Giulio Cesare Ferrari nella storia della psicologia italiana a cura di G. Mucciarelli, Bologna 1984, pp. 109-39.

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