CASTELLO, Francesco di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 21 (1978)

CASTELLO, Francesco di (Frans van de Casteele o Kasteele)

Nicole Dacos

Nacque a Bruxelles, forse nel 1541 se si presta fede al Baglione che, alla data della morte (1621), lo considera ottantenne. Venne a Roma sotto il pontificato di Gregorio XIII (1572-85), probabilmente abbastanza presto, visto che già nel 1577 appare membro dell’Accademia di S. Luca di cui fu console nel 1588 insieme con G. Squilli fiorentino. Non si sa nulla della formazione che ricevette nei Paesi Bassi né delle sue prime opere. In Thieme-Becker è stata segnalata in una collezione privata viennese (coll. Anna von Vests) una miniatura su pergamena firmata dall’artista e datata 1584, con l’Adorazione dei magi; se ne è però perduta la traccia. A del 1588 un contratto (Arch. di Stato di Roma: Dacos, pp. 153-155) nel quale il francese Michel de Roman ordina al C. sei quadri su tela e cinque miniature su rame. I quadri dovevano rappresentare S. Girolamo, S. Giovanni, S. Onofrio, la Maddalena, S. Eustachio e S. Francesco, ognuno con due parabole, così che le 12 storie rappresentassero i mesi dell’anno. Le miniature dovevano illustrare la Deposizione con altre scene, il Giudizio universale, l’Adorazione del nome di Gesù, Sant’Anna con la Madonna e la Crocifissione. Un anno dopo, il C. fu incaricato di dipingere un Crocifisso sulla facciata “super domo nova in platea vulgo dicta al Crucifisso”. Nel 1603, nell’inventario dei dipinti del cardinale Pietro Aldobrandini, è menzionato un suo quadretto su rame con “Nostro Signore che sta chino, sotto la croce” (C. D’Onofrio, in Palatino, VIII [1964], p. 18 n. 10). Il C. è menzionato nei docc. archivistici insieme ai grandi artisti dell’epoca, fiamminghi e italiani. Intratteneva rapporti con umanisti dei Paesi Bassi, come Philips van Winghe, Abraham Ortelius e Henricus Corvinus, che il 31 ag. 1603 sposò a Roma, in S. Lorenzo in Lucina, la figlia del C., Caterina (Hoogewerff, 1936, p. 36). Fu eletto diverse volte principe dell’Accademia di S. Luca e fu pure membro dell’Accademia dei Virtuosi al Pantheon.

Le poche opere datate che si son conservate di lui vanno tutte situate negli ultimi anni del ’500, quando il C. lavorava soprattutto per la provincia, dove mandava i quadri che però eseguiva a Roma. Baglione aggiunge che era soprattutto miniatore e che molte delle sue miniature erano inviate in Spagna. Di fatto, finora non se ne è trovata nessuna e si è anche perduta la traccia dei due quadretti firmati segnalati già da Hoogewerff (cfr. Van Puyvelde, 1950, p. 56) uno dei quali rappresentava il Calvario.

La prima opera conservata è un grande quadro con S. Michele arcangelo, attorniato da santa Chiara, san Francesco e santa Caterina e sormontato dalla Madonna col Bambino, firmato e datato 1595, proveniente dalla chiesa dei cappuccini di Orte e attualmente nel Museo diocesano della stessa città. Per lo stesso convento il C. aveva eseguito un S. Francesco in una gloria di angeli, oggi perduto. Del 1598 è la Vocazione di san Matteo, eseguita per la chiesa di S. Paolo a Casale Monferrato, dove si trova tuttora. Sull’Ascensione dì S. Nicola a Bassiano (Latina), si poteva leggere la data del 1599. Toco lontano dà lì, nella chiesa di S. Michele Arcangelo a Sermoneta, è conservata un’Incoronazione della Vergine con san Michele. Pure del 1599 è datato un Cristo che con la Vergine accoglie le anime del purgatorio, in S. Lorenzo a Spello. Nella stessa chiesa si vede anche una S. Caterina d’Alessandria con Cristo e la Vergine, che doveva far parte della medesima ordinazione. Sono anche del C., in S. Francesco a Pisa, un S. Antonio con la visione del Crocifisso, firmato; nella chiesa dei cappuccini a Tivoli, una Crocefissione, che gli viene attribuita dal Bellori in una delle postille al Baglione (pubblicate da V. Mariani); e, infine, a Roma, un’Assunzione, in passato a S. Giacomo degli Spagnoli e ora a S. Maria di Monserrato. Secondo il Baglione, il capolavoro dell’artista era una Madonna col Bambino e i santi Nicola e Giuliano nella cappella di S. Giuliano della chiesa di S. Rocco a Roma. Il C. continuò a lavorare a lungo visto che nel 1610 ricevette ancora l’ordinazione d’uno stendardo per la chiesa di S. Maria dell’Anima, del quale si è perduta la traccia. Ma nel 1614 Hainhofer dichiara che egli era tanto vecchio che non si poteva più ottenere niente da lui.

Morì a Roma, nella casa di via dei Pontefici, il 23 ott. 1621 e fu sepolto in S. Lorenzo in Lucina. La sua famiglia risulta presente nei libri parrocchiali dal 1583. Dagli Stati d’anime risultano, oltre al figlio Michele, pittore e miniatore, un Pietro nato nel 1583, che nel 1615 (f. 62) è qualificato medico, e uno Stefano nato nel 1595.

Il quadro di Orte, il migliore che sia conservato dell’artista e il solo che sia stato restaurato, rivela le ascendenze classicheggianti dei pittore e uno stretto rapporto col Calvaert e la scuola bolognese. Può darsi che, attratto dalla fama di cui godeva già il suo compatriota, il C. abbia avuto modo di conoscerlo a Bologna. Una tappa del genere nel viaggio d’Italia appare tanto più verosimile in quanto le opere del C. ricordano anche quelle di un altro bolognese, Orazio Samacchini, che non lasciò quasi mai la città natale. Più tardi, installatosi a Roma, il C. avrebbe avuto modo di vedere al Vaticano e in città le opere del Samacchini e del Calvaert e anche quelle di quel terzo bolognese, Lorenzo Sabatini, che era stato il maestro di Dionisio Fiammingo ed era entrato in modo stabile nella cerchia dei pittori di Gregorio XIII. Ma il C. non raggiunge mai il livello del Calvaert, del quale non ha né il vigore plastico né il lirismo. E nelle sue opere, più che in quelle dell’anversese, il manierismo all’italiana contrasta con i particolari trattati con minuzia, gioielli, ornamenti, bordi, resi in un modo che rimane specificatamente fiammingo. Si sa che l’artista faceva soprattutto professione di Miniatore e quando affronta delle opere di grande formato, il disagio che prova è evidente. È più padrone di sé nei piccoli quadri, come quello di una Madonna col Bambino, già sul mercato antiquario di Londra (Dacos, fig. 2), e il modello d’un S. Michele, al Museo naz. di Varsavia (ibid., fig. 3), che possono essere restituiti a lui. I visi dallo sguardo estatico e dalla resa liscia ricordano le Madonne del Morales. Forse il rapporto non è casuale. Si può infatti avanzare l’ipotesi che il C. si sia formato a Bruxelles prima dall’italianizzante Michel Coxcie poi da Pedro Campana (Peter De Kempeneer) che nel 1563 aveva lasciato la Spagna ed era tornato a Bruxelles per succedere a Coxcie nella direzione della manifattura di arazzi. Le opere sivigliane del Campana non sono senza rapporto con quelle del C. ed è presso di lui che il Morales si era formato. A Roma fu pure decisiva l’influenza del Cavalier d’Arpino e successivamente, nella Vocazione di san Matteo e nei quadri di Bassiano e di Sermoneta, quella del Muziano. Gli altri quadri, a Spello, Roma, Tivoli e Pisa rivelano un artista in costante regressione, che ripete sistematicamente formule sempre più arcaizzanti, che non hanno più le ambiguità di, fervore e d’erotismo a fior di pelle tipiche del manierismo internazionale e si riducono a mere immagini devozionali. Va espunto dal catalogo dell’artista l’affresco del Trionfo di Bacco a palazzo Mattei a Roma, attribuitogli da tutta la critica con l’eccezione di I. Faldi, che giustamente l’ha avvicinato all’arte di Federico Zuccari (in L’arte nel Viterbese, mostra dei restauri [catal.], Viterbo 1965, pp. 30 s.); gli si può invece attribuire una Madonna nella chiesa di S. Nicola riverno (Arte a Gaeta [catal.], Firenze 1976, p. 98).

Michele, figlio del C. e di Diana de Giorgi, fu battezzato in S. Lorenzo in Lucina il 22 febbr. 1587 (Roma, Archivio storico del Vicariato, S. Lorenzo in Lucina, Libro dei battesimi, VI, f. 116). Fu pittore e soprattutto miniatore. Avrebbe dipinto a olio per l’altar maggiore della chiesa della Madonna del Pianto, da ogni lato dell’immagine miracolosa, un S. Paolo – che però, secondo la postilla del Bellori, sarebbe stato un S. Carlo Borromeo – e un S. Francesco. L’opera non è conservata. Alla fine della sua vita, avrebbe lasciato la pittura e sarebbe diventato cassiere della Dogana di Pescheria.

Fonti e Bibl.: P. Hainhofer, Des Augsburger Patriciers Philipp Hainhofer Beziehungen zum Herzog Philip II. von Pommern-Stettin. Correspondenzen aus den Jahren 1610-1619, a cura di O. Döring, Wien 1896, p. 123; G. Baglione, Le vite de’ Pittori, scultori et architetti dal Pontificato di Gregorio XIII, del 1572, in fino ai tempi di papa Urbano VIII [Roma 1642], a cura di V. Mariani, Roma 1935, pp. 86-87 (p. 87 per Michele); G. B. Mola, Roma l’anno 1663, a cura di K. Noehles, Berlin 1966, ad Indicem (oltre al quadro in S. Giacomo degli Spagnoli ne cita uno in S. Maria del Pianto); A. Bertolotti, Artisti belgi ed olandesi a Roma nei secc. XV, XVI e XVII, Firenze 1880, pp. 87 s.; J. A. F. Orbaan-G. J. Hoogewerff, Bescheiden in Italii omtrent Nederlandsche kunstenaars en geleerden, I-II, ’s Gravenhage 1911-1913, ad Ind.; G. J. Hoogewerff, Nederlandsche schilders in Italië in de XVIe eeuw, Utrecht 1912, pp. 171-173; G. J. Hoogewerff, Philips van Winghe, in Mededeelingen van het Nederlandsch historisch Instituut te Rome, VII (1927), 1, p. 66; T. H. Fokker, Werke niederland. Meister in den Kirchen Italiens, Haag 1931, pp. 34 s.; N. Gabrielli, L’arte a Casale Monferrato dall’XI al XVIII secolo, Torino 1935, p. 73; G. J. Hoogewerff, Documeniten betreffende Frans van de Kasteele, schilder van Brussel, in Mededeelingen van het Nederlandsch historisch Instituut te Rome, V (1935), 2, pp. 83-88; Id., Henricus Corvinus (Hendrick de Raeff van Delft), ibid., VI (1936), 2, pp. 36, 102; G. J. Hoogewerff, Nederlandsche kunstenaars te Rome (ca. 1600-1725), ’s Gravenhage 1942, ad Ind.; L. Van Puyvelde, La peinture flamande à Rome, Bruxelles 1950, pp. 52-56; Il tempo di Michelangelo. Mostra commemorativa, Varsavia 1963-1964, pp. 62 s.; L. Mortari, in Dipinti fiamminghi di collezioni romane (catal.), Roma 1966, p. 27; Id., Museo diocesano di Orte, Viterbo 1967, pp. 27-29; D. Bodart, Les peintres des Pays-Bas méridionaux et de la principauté de Liège à Rome au XVIIe siècle, Bruxelles-Roma 1970, pp. 20-25; N. Dacos, Frans van de Kasteele: quelques attributions et un document, in Bulletin de l’Institut historique belge de Rome, XLIV (1974), pp. 145-155; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, s.v.

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