FRIGIMELICA, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)

FRIGIMELICA, Francesco

Maria Elena Massimi

Figlio di Pompeo, nacque intorno al 1570; la famiglia del padre era di origine padovana e possedeva immobili a Camposampiero e nel Padovano (Bragalenti, 1974, p. 59). Dall'entroterra veneto si trasferì, probabilmente giovanissimo, in laguna; a Venezia intraprese la professione di pittore e nel 1593 era iscritto alla debita fraglia (col solo patronimico: "Francesco quondam Pompeo": Pignatti, 1965; Favaro, 1975). Il 24 marzo 1594, negli ultimi tempi del suo soggiorno veneziano, sposò Caterina Calafati; due anni dopo si era già trasferito a Feltre dove, su commissione della locale Scuola di S. Maria del Prato, lavorò a uno stendardo e ad altre opere non identificate, ricevendone pagamento tra 1596 e 1599 (Claut, 1981). Allo scadere del secolo si stabilì a Belluno, città ove dimorò sino alla morte.

Della sua attività veneziana non rimane traccia: è probabile che essa si svolgesse in un sostanziale anonimato, destinato a stancare il pittore in breve tempo; la scelta di rifluire in provincia fu certo dettata dal bisogno di uno spazio proprio, non concorrenziale. Nei documenti a lui contemporanei viene indicato perlopiù come "pittore veneziano" (Bragalenti, 1974, pp. 45, 59); ed è lecito supporre che nell'entroterra questa "nazionalità" professionale gli conferisse un certo prestigio. A Belluno il suo successo fu immediato e costante; il corpus del pittore si compone di circa 150 opere, prodotte nell'arco di quattro decenni senza scarti tematici né variazioni stilistiche di rilievo. Da Belluno la sua attività si irradiò al Bellunese, al Feltrino, al Cadore, a Serravalle e Ceneda (entrambe oggi parte di Vittorio Veneto), diffondendosi capillarmente nel territorio.

Del 1604 è la Raccolta della manna per la chiesa di S. Stefano a Belluno, la prima opera realizzata dal F. in città. Anomala rispetto ai lavori successivi per l'impianto strutturale alquanto complesso, la tela nacque da una commissione ufficiale, destinata a lanciare il pittore sul mercato e a incoraggiarne altre.

Fu realizzata per volontà congiunta del podestà Marco Giustiniani e del Consiglio dei nobili ed era intesa a celebrare la reggenza del Giustiniani (dicembre 1603 - giugno 1605); attraverso il tema biblico della Raccolta alludeva alle provvisioni di grano procurate a Belluno. L'effigie solenne del podestà, spettatore e, nella traslazione di senso, artefice della miracolosa abbondanza, campeggia a mezzobusto sotto la figura di Mosè, cui è semanticamente correlata.

A questa prestigiosa commissione seguirono per il pittore altri impegni immediati. Del 1607 sono due tele per S. Giovanni Battista a Vittorio Veneto (S. Nicola, s. Ambrogio, un santo cardinale e due devoti; Vergine col Bambino e s. Rocco); presumibilmente entro lo stesso anno il F. dipinse il S. Sisto (la cui cornice è datata 1607) e la Madonna dei Battuti per S. Lorenzo a Selva di Cadore. Del 1608 sono le quindici formelle coi Misteri del Rosario che circondano la tela della Madonna del Rosario tra i ss. Domenico e Caterina, anime purganti e devoti in S. Stefano a Belluno; per la chiesa il pittore licenziò anche le quattro portelle dell'organo vecchio. Entro il 1610 il F. dipinse la Crocifissione della certosa di Vedana e cinque telette decorative per la cantoria di S. Maria Assunta a Fiera di Primiero, con Storie dell'infanzia di Cristo. Databili al 1614 sono due pale per S. Maria Assunta a Castion, S. Stefano lapidato e la Vergine col Bambino in gloria, i ss. Antonio abate e Sebastiano e la processione dei battuti.

L'opera è di qualità pittorica incostante: il s. Sebastiano risulta essere di una cifra stilistica, mediata culturalmente e svuotata d'effetto (Lucco, 1981, p. 28, individua almeno due referenti in Sebastiano del Piombo e Bartolomeo Montagna); un'intensa carica espressiva accomuna invece il severo s. Antonio abate e il ritratto del piovano Giovanni Persico (che al quadro fece fare la cornice: Bragalenti, 1974, p. 104).

Per la chiesa di S. Gottardo a Vedana, tra il 1614 e il 1616, realizzò la pala con i Ss. Bruno e Gottardo e l'Incoronazione della Vergine, i ss. Bruno e Gottardo e l'offerente Diana Grini, committente del dipinto. Del 1618 è la Messa di s. Gregorio per la pieve di S. Andrea di Bigonzo, a Vittorio Veneto; al 1623 si colloca l'Annunciazione della chiesa bellunese di S. Maria di Loreto per la quale realizzò anche il dipinto raffigurante S. Francesco d'Assisi.

È plausibile che all'atto stesso del suo trasferimento a Belluno il F. iniziasse a gravitare nell'entourage del vescovo Alvise Lollino - estimatore di Carlo Borromeo e massimo referente culturale del momento - interpretandone i desideri divulgativi e assumendone commissioni dirette. È il caso della pala per l'altare maggiore della chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta a Cavarzano, databile dopo il 1624 e raffigurante la Vergine col Bambino in gloria e i ss. Quirico, Giulitta e Carlo Borromeo. Anteriore al 1625 è una pala dipinta dal F. per la famiglia Batti in S. Nicola da Bari a Caleipo (Vergine col Bambino in gloria, i ss. Nicola e Mamante e i signori Batti); allo stesso anno è documentata una paletta con la Ss. Trinità, i ss. Andrea e Lucia e il committente per S. Michele Arcangelo a Orzes. Vanno collocate prima del 1627 una Presentazione al Tempio (Cavessago, Ss. Simone e Giuda) e la Vergine col Bambino in gloria e i ss. Severo, Brigida e Nicolò nella chiesa dei Ss. Brigida e Severo a Sagrogna.

Opera notevole dell'età matura è la cosiddetta Pietà Correr del Museo civico di Belluno, datata al 1635 (Lucco, 1983) o al 1636 (Bragalenti, 1974, pp. 57 e 102), commissionata dal podestà di Belluno Vittore Correr quale pubblico ex voto, forse in occasione della pestilenza del 1631 dalla quale la città uscì indenne: la Pietà riecheggia coscientemente la tela di analogo soggetto licenziata da Palma il Giovane per la cattedrale di Belluno; al gioco delle citazioni erudite si sottrae invece il pregevole ritratto del podestà.

È collocabile all'inizio degli anni Quaranta una terza tela per S. Lorenzo a Pieve di Cadore, la Madonna del Carmelo tra i ss. Francesco e Domenico e anime purganti (Lucco, 1983). Attorno al 1642 va datata la Madonna dei Battuti col pievano Arlotto del battistero di Castion, legata alla doppia committenza della Scuola locale e del pievano Giovanni Arlotto. Lo schema tradizionale viene qui vivificato dalla sensibilità ritrattistica dei volti, nonché dalla felice visualizzazione della Madonna come tramite tra il cielo fantastico, ricco di luci e di colori, e il mondo degli umili montanari (Lucco, 1981, p. 46), cui appartiene, ma più distante e distinto, il pievano nei suoi paramenti d'occasione. Al 1642 risalgono le tele coi Fatti della vita di s. Mamante nell'omonima chiesa di Caleipo e allo stesso anno sono documentati i Misteri del Rosario, quindici piccoli ovali disposti intorno alla cornice dell'altare di S. Rocco nella chiesa di S. Maria Assunta di Castion. Per la canonica vecchia di Castion il F. realizzò il suo unico affresco conosciuto, una Madonna con Bambino (Bragalenti, 1974, pp. 55, 105). Una pala per la parrocchiale di Rocca Pietore, con la Ss. Trinità e i ss. Sebastiano e Francesco è documentata al 1643.

La formazione artistica del F. rimane un problema insoluto, a partire dalla grande incognita del luogo del suo apprendistato, Padova o Venezia; è tuttavia possibile rintracciare i referenti culturali della sua pittura tardo-manieristica, sfasata rispetto ai tempi, ma esattamente calibrata rispetto all'humus sociale e psicologico della provincia. Il F. fu un abile compulsatore dei Vecellio - di Cesare e Marco, perlopiù, ma anche di Francesco e Tizianello - e non è escluso che scegliesse il ritiro in provincia sotto il loro esempio; fu debitore, soprattutto a uno stadio più avanzato della sua attività, di Palma il Giovane; rese piccoli ma apprezzabili tributi al gusto realistico di Leandro Bassano (Vizzutti, 1979, p. 80); risentì del Pozzoserrato (Ludovico Toeput) nei rari, affascinanti fondali paesistici delle sue pale (per esempio, lo sfondo naturalistico del S. Mamante nel paesaggio, licenziato tra il secondo e il terzo decennio del Seicento, per l'omonima chiesa di Caleipo). Dipinse figure dai gesti impacciati, racchiuse in una linea netta ed elementare; di ascendenza veneta è la cromia, dai toni singolarmente squillanti.

Il F. non sapeva scrivere (firmava con una sorta di ideogramma: Bragalenti, 1974, pp. 50, 60) né, presumibilmente, leggere; è lecito ipotizzare una forte mediazione della committenza sui contenuti dei quadri, complementare alle conoscenze orali e visive tesaurizzate dall'artista. La pala d'altare, nella formula della piramide gerarchica, coi santi a fare da tramite compositivo e ideale tra committenza e divinità, fu il genere a lui più congeniale. L'arte del F. è di carattere propiziatorio, concepita indifferentemente per i grandi nomi del Bellunese, laici ed ecclesiastici, e per i volti minori della religiosità provinciale: i piovani, le scuole dei battuti, i piccoli credenti che implorano le grazie e offrono gli ex voto. Nell'interpretare le esigenze di questa religiosità minore e nel darle voce il F. raggiunse in pittura i suoi migliori risultati. Al Museo civico di Belluno si conserva una tavoletta ex voto - con la Madonna, il Bambino, s. Andrea, s. Caterina, s. Francesco e s. Carlo Borromeo - che per la buona fattura, nonostante la sua condizione di frammento in parte abraso, è attribuibile al Frigimelica. Vizzutti (1979, p. 84) ricorda altre tre tavolette frigimelichiane, trafugate dal Museo nel 1973, anno in cui fu rubata anche una Vergine col Bambino e i ss. Francesco, Chiara e Giustina.

Tra le qualità del F. è un'indubbia capacità ritrattistica, cui è doveroso attribuire larga parte del successo riscosso dall'artista. I suoi ritratti hanno perlopiù status dipendente: sono inseriti nelle pale d'altare a esplicitare le aspettative escatologiche della committenza. Realizzò, comunque, anche ritratti isolati: intanto, plausibilmente, i due en travesti con S. Bernardino da Siena (Belluno, Seminario gregoriano) e S. Francesco in preghiera (Belluno, S. Pietro, Sagrestia: attribuito al F. da Lucco, 1981, p. 44); e poi quelli celebrativi, forniti di apparato didascalico, di Giacinto Visomio e di Alvise Lollino (1621), l'uno al Seminario gregoriano, l'altro nella cripta del duomo di Belluno; tra i quadri perduti, l'effigie del podestà Angelo Contarini, richiesta al pittore da tal Giacomo Barpo in occasione della cerimonia di avvicendamento dell'uscente Contarini con Pietro Correr (1615: Bragalenti, 1975, p. 105). Dell'abilità dell'artista testimoniano i ritratti postmortem di Alvise Lollino (Seminario gregoriano) e di Antonio Ceccardo Crepadoni (disperso: Bragalenti, 1975, p. 106). Il primo, databile tra terzo e quarto decennio del Seicento per l'indubbia vicinanza ai modi della Pietà Correr (Lucco, 1981, p. 40), recupera il modello del ritratto eseguito per la cripta del duomo, detergendolo e affinandolo; l'intenzione commemorativa e celebrativa della committenza ufficiale - probabilmente il quadro faceva parte di una "galleria" di ritratti di prelati - spiega anche la scelta dell'iconografia cinquecentesca del personaggio seduto allo scrittoio, di contro alle novità bassanesche nel genere (Lucco, 1981, p. 40).

Nel 1646 il F. licenziò il suo ultimo lavoro documentato, la Vergine col Bambino in gloria e i ss. Vittore, Corona e Giuseppe per l'altare maggiore della chiesa dei Ss. Vittore e Corona a Voltago. Non si conosce l'anno di morte dell'artista; la Bragalenti (1974, p. 59) propone una data successiva al 1649, poiché in quell'anno il figlio si firmava ancora "Pompeo Frigimelica del Signor Francesco".

Il linguaggio e i modi della pittura del F. - sclerotizzati dall'ampiezza della domanda e dal successo della formula - vennero mutuati da un folto gruppo di epigoni, convocati nei contesti frigimelichiani subito dopo la scomparsa del pittore. Vizzutti (1980, pp. 126, 128; 1986) ha individuato alcuni lavori che riecheggiano stancamente la maniera dell'artista: le lunette della chiesa di Antole (che Bragalenti, 1974, p. 108, attribuisce comunque al F.); le pale di S. Carlo a Rivamaor, della chiesa frazionale di Bragarezza di Zoldo e della chiesa di Pralongo; una tela alla Pinacoteca gregoriana col Martirio di s. Apollonia.

Tra i frigimelichiani meno dotati va annoverato il figlio Pompeo che, nato a Belluno l'11 ott. 1601, lavorò per inerzia sotto la spinta della fama paterna. Sono sue la pala di S. Tommaso a Levego e la convenzionale e oleografica Pietà della chiesa di S. Antonio da Padova in Giamosa (Vizzutti, 1980, pp. 21 s.). Allievo e collaboratore del padre, gli subentrò nell'elaborazione e nella sottoscrizione di documenti, come appare da una carta d'archivio del 1629, che egli scrisse e firmò per conto del genitore analfabeta. Nel 1664 venne sostituito dal figlio Francesco nella realizzazione di un gonfalone per la chiesa di Combai, non tanto per incapacità, come ipotizza il Da Borso (1968), quanto per il probabile abbandono del mestiere proprio in quel torno di tempo. Morì a Belluno il 28 maggio 1669.

Francesco, nato a Belluno nel 1630, fu allievo del nonno e come lui si dimostrò attento alle tracce lasciate in città dai maestri del Cinquecento. I suoi studi dei modelli "classici" furono comunque tutt'altro che acuti e non lo arricchirono, né lo abilitarono a vivificare l'ormai stantia tradizione familiare. Lo dimostra la sua opera più rappresentativa, il S. Bernardino da Siena commissionatogli, certo perché nipote del F., dal Consiglio dei nobili di Belluno nel 1662 (oggi al Museo civico bellunese, ma in origine collocato nel palazzo del Consiglio: Lucco, 1983): un quadro inteso a commemorare la predica con la quale, nel settembre del 1423, il santo senese aveva ricomposto la sanguinosa lite fra le fazioni cittadine. Il s. Bernardino è esemplato su quello dipinto dallo Schiavone per la chiesa di S. Pietro (oggi in duomo); un tocco più personale mostra lo sfondo della tela, cui è riservata la rievocazione dell'episodio che motivò la commissione. Questo squarcio paesaggistico minuscolo, ma compiuto, testimonia un'abilità nell'impaginazione miniaturistica che fu forse il miglior pregio dell'artista e che lo rese celebre e degno d'imitazione tra i tanti piccoli pittori di ex voto (Vizzutti, 1980, p. 15). Allo stesso Francesco è attribuibile, per precisione e leggerezza di tratto, una tavoletta frammentaria con la Vergine e i ss. Andrea e Francesco (Belluno, Museo civico). Va collocata nel suo catalogo la pala con la Vergine, il Bambino e i ss. Antonio da Padova, Pellegrino e Rocco, del 1663, conservata nell'oratorio Buzzati-Traverso dedicato a S. Pellegrino, opera che Vizzutti (1980, p. 21) attribuisce invece al padre Pompeo. Questa circostanza, assieme al fatto che a Francesco viene attribuito da alcuni (Da Borso, 1968; Vizzutti, 1980, p. 21) anche il S. Francesco d'Assisi di S. Maria di Loreto, realizzato dal F., mostra la piena sovrapponibilità delle mani dei pittori, di generazione in generazione. Datate al 1664 sono le lunette con Storie della Vergine e di Cristo della Scuola dei Battuti di Castion, già luogo frigimelichiano; nel 1668 egli concepiva, su richiesta di Girolamo Agosti, una pala per la parrocchiale di Gron. Per S. Maria Assunta di Castion realizzò nel 1672 due dipinti, oggi perduti, a soggetto cristologico: una Disputa coi dottori e un Cristo alla colonna.

Francesco morì a Belluno nel 1699.

Fonti e Bibl.: F. Miari, Diz. storico-artistico-letterario bellunese, Belluno 1843, p. 78; F. Pellegrini, Uomini illustri della casa Frigimelica, Belluno 1882; T. Pignatti, La fraglia dei pittori di Venezia, in Bollettino dei Musei civici veneziani, X (1965), 3, p. 26; E. Donzelli - G.M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, pp. 188 s.; A. Da Borso, Pittori bellunesi, in Arch. storico di Belluno, Feltre e Cadore, XXXIX (1968), pp. 5-7; M.G. Bragalenti, L'opera di F. F., ibid., XLV (1974), pp. 45-60, 99-111, 149-152; Id., L'opera di F. F., ibid., XLVI (1975), pp. 29-34, 103-106; E. Favaro, L'arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975, p. 147; M. Lucco, in Tavolette votive bellunesi (catal.), Brescia 1979, p. 57; F. Vizzuti, ibid., pp. 87 s.; Id., Contributi per una rivalutazione della pittura bellunese nell'età barocca, in Arch. storico di Belluno, Feltre e Cadore, L (1979), pp. 77-84; Id., Contributi per una rivalutazione della pittura bellunese nell'età barocca, ibid., LI (1980), pp. 14 s., 21 s., 124-126, 128 s.; M. Lucco, I dipinti del Museo civico di Belluno (II), in Dolomiti. Riv. bimestrale di cultura e attualità della provincia di Belluno, III (1980), 1, pp. 44 s.; F. Vizzuti, Seicento inedito: la ritrattistica del F., ibid., pp. 49-51; Id., La pittura bellunese nel Seicento, ibid., 2, pp. 23-25, 31 s.; S. Claut, Note d'archivio, in Arch. storico di Belluno, Feltre e Cadore, LII (1981), p. 156; M. Lucco, Arte del '600 nel Bellunese (catal.), Padova 1981, pp. 24 s., 28 s., 34 s., 40 s., 44-47, 187; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, I, Milano 1981, pp. 75 s.; M. Lucco, Catalogo del Museo civico di Belluno, Vicenza 1983, I, pp. 18 s.; F. Vizzutti, Breve storia della pittura bellunese dal secolo XV al XIX secolo, Belluno 1986, pp. 25-27; M. Lucco, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, I, pp. 206 s.; II, pp. 746 s. (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XII, p. 486.

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