GIANDEMARIA, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 54 (2000)

GIANDEMARIA (Zandemaria), Francesco

Dario Busolini

Nacque a Parma nel 1649, secondo figlio maschio del marchese Papiniano (II) e di Giulia Pallavicini.

Morto il padre nel 1650, a seguito della scelta del fratello primogenito Giacomo di avviarsi alla carriera ecclesiastica, il G. divenne il principale esponente della famiglia; fu nominato gentiluomo di camera del duca di Parma. Sposò la contessa Diamante Rangoni (prima del 1678, data di nascita del loro primo figlio, Papiniano) e fu in seguito inviato straordinario di Ranuccio II Farnese presso Luigi XIV (1680), presso l'elettore palatino di Neuburg (1690), e presso la corte imperiale di Vienna (1692).

Erano viaggi di circostanza, dal peso politico molto limitato, fatti a nome del duca per portare gli auguri in occasione di matrimoni e ricorrenze. Il G. redasse un diario della sua missione in Francia, compiuta per presentare a Luigi XIV le felicitazioni del duca di Parma per il matrimonio del delfino con la figlia dell'elettore di Baviera. Il documento, interessante per numerose note di costume, è custodito, insieme con altre carte della famiglia, nell'Archivio Ferrari di Piacenza.

Partito il 10 apr. 1680 da Piacenza (dove abitava in primavera e in estate, mentre la residenza avita di Parma fungeva da domicilio invernale), accompagnato soltanto da un segretario e un domestico, il G. si diresse a Torino, dove fece visita alla duchessa reggente Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, della quale lodò la bellezza e l'abilità nel dirigere lo Stato giovandosi dell'alleanza francese. Quindi, dopo una sosta a Lione per visitare la città (24 aprile), il G. giunse a Parigi il 5 maggio. Qui l'ambasciatore di Parma, Vittorio Siri, lo mise al corrente del fatto che il segretario di Stato per gli affari esteri Charles Colbert, fratello del potente sovrintendente alle Finanze Jean-Baptiste, sembrava intenzionato a declassare di rango gli ambasciatori e gli inviati dei principi italiani e che, quindi, sarebbe stato difficoltoso ottenere udienza da lui e dal re prima della definizione di tale questione, già oggetto di una formale protesta da parte dei diplomatici italiani.

Il G. approfittò del periodo d'attesa per visitare Parigi. Intanto, per non compromettere le cerimonie augurali, si trovò una soluzione di compromesso e il G. fu ricevuto a Fontainebleau il 26 maggio dal Colbert e il 28 dal re; nei giorni successivi incontrò gli altri membri della corte, in una lunga serie di cene, cacce e serate a teatro. Ai primi di giugno seguirono le visite di congedo, con i consueti scambi di doni.

Nel diario il G. tentò un'analisi politica del viaggio, lodando l'assolutismo di Luigi XIV, la sua forza militare e la politica estera della Francia, capace di imporre a tutta l'Europa, eccetto l'Inghilterra, le sue condizioni, con le armi o con il denaro. Prevedendo una nuova guerra nelle Fiandre, il G. pronosticava la vittoria francese, rallegrandosi dei buoni rapporti di Luigi XIV con gli Stati italiani, compromessi solo dalle divergenze di politica religiosa in corso con la S. Sede.

Dietro a tante lodi per il re di Francia stava, però, la mai sopita speranza dei Farnese di ottenere dal papa, grazie all'appoggio francese, la restituzione del ducato di Castro. Probabilmente il G. aveva sperato di tornare a Parma con qualche risultato positivo in tal senso, ma non ottenne dal Colbert che parole di circostanza, in ricordo dell'ambasciatore parmense a Roma Mario (I) Giandemaria, zio del G., coinvolto nei precedenti negoziati per Castro tra lo stesso Colbert e Alessandro VII.

Il desiderio di emulare lo zio e avere anch'egli parte nell'annosa questione di Castro, nella speranza che ne potessero derivare incarichi più prestigiosi, lo persuase a scrivere, un anno dopo il viaggio in Francia, una relazione di oltre 500 pagine, che dedicò proprio a Luigi XIV, sulla storia di tale vicenda dal 1635 al 1668. Datata Parma 1° giugno 1681 e intitolata Publici moti di guerra e privati maneggi d'accordo per le ragioni del ducato di Castro e Ronciglione. Istoria del conte Francesco Giandemaria parmigiano, l'opera non riscosse interesse e rimase inedita (Pezzana, p. 714).

Il G., deluso, volse le sue attenzioni al patrimonio familiare. Entrato in possesso, nel 1690, dopo la morte del fratello, del marchesato di Castione, lo vendette nel 1691, insieme con quasi tutti i territori della propria casata nel Parmense, per acquistare dalla Camera ducale il marchesato di Borgonovo in Val Tidone, all'epoca il più popoloso feudo del Piacentino. L'operazione si dimostrò proficua e gli permise, secondo un conto da lui fatto nel 1703, di quintuplicare le sue risorse. Con ciò, però, egli allontanò la famiglia da Parma e dalla vita di corte, per isolarsi a Piacenza e a Borgonovo: il che nei due secoli successivi provocò la lenta decadenza e infine l'estinzione del casato.

Il G. morì nel 1709, probabilmente a Piacenza.

Dei due figli maschi del G., il marchese Papiniano (III), autore di alcuni testi teatrali, divenne colonnello della cavalleria ducale; il cadetto Gherardo fu diplomatico, cavaliere di Malta, ufficiale al servizio dell'Austria e infine ecclesiastico, diventando prima vescovo di Borgo San Donnino e poi, nel 1732, di Piacenza.

Fonti e Bibl.: A. Pezzana, Continuazione delle Memorie degli scrittori e letterati parmigiani di Ireneo Affò, pt. II, t. VI, Parma 1827, pp. 714, 731; G.B. Janelli, Diz. biografico dei parmigiani più illustri…, Genova 1877, p. 187; C. Greppi, Notes du voyage du comte G. envoyé du duc de Parme à la cour de Louis XIV (1680), in Revue d'histoire diplomatique, IV (1890), 3, pp. 352-367; D. Ferrari, I Giandemaria marchesi di Borgonovo, in Arch. stor. per le provincie parmensi, s. 4, XVI (1964), pp. 230-233; Le antiche famiglie nobiliari di Piacenza e i loro stemmi, Piacenza 1979, p. 239.

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