GASPARINI, Francesco Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GASPARINI, Francesco Giuseppe

Dario Busolini

Nacque a Venezia nel 1655 da una famiglia di condizione borghese che lo indirizzò al credito e al commercio. Ma il debutto del G. negli affari, stando ad alcune sue successive lettere, fu negativo e gli procurò un bando per debiti che lo costrinse a espatriare, intorno al 1680.

Il G. emigrò nella numerosa colonia veneziana di Bruxelles dove, con l'aiuto dei parenti rimasti in patria e di alcuni amici trasferitisi all'estero come lui, tra i quali il musicista Pietro Antonio Fiocco, suo futuro cognato, creò in pochi anni un'impresa commerciale. Iniziò facendo l'agente di cambio e il banchiere; quindi, per mezzo dei profitti ricavati, passò al finanziamento di importazioni ed esportazioni di merci varie. La sua copiosa corrispondenza (pari a più di 11.000 lettere, scritte quasi tutte in lingua italiana, riordinate in 37 filze da M. Battistini e conservate nell'Archivio comunale di Bruxelles) ha inizio con il 1689, ma diventa quantitativamente significativa a partire dal 1692. In quell'anno infatti arrivò a Bruxelles il romano Giovanni Paolo Bombarda, tesoriere del nuovo governatore generale dei Paesi Bassi spagnoli Massimiliano II Emanuele elettore di Baviera, ben presto socio del G. e suo sostenitore alla corte governatoriale.

Grazie a tali entrature, il nome del G. divenne noto e i suoi affari formarono una rete estesa dall'Inghilterra all'Olanda, alla Francia, alla Spagna, ai Paesi Bassi e a Venezia. Amsterdam, con ben dieci corrispondenti tra le principali banche della città, dalla Beck alla Van der Bent, ne divenne lo snodo principale, ma altri tre ne aveva a Parigi e a Francoforte e almeno uno in ogni città d'importanza. I documenti sono poco chiari sul volume delle monete e delle merci scambiate, ma dettagliati circa la loro tipologia: ogni sorta di generi alimentari, stoffe, pellami, prodotti coloniali, diamanti e pietre preziose, orologi, libri, strumenti musicali e articoli di lusso, compresi gli oggetti d'arte.

Una così vasta rete di transazioni fu il vanto e in pari tempo il punto debole del G., come di altri commercianti-finanzieri a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo. Se infatti gli permise di occupare un posto di riguardo tra i membri del ceto mercantile dei Paesi Bassi, presto finì pure con l'esporlo a un'altrettanto grande varietà di rischi, che egli non sempre ebbe l'esperienza e la capacità di calcolare, e alla necessità di dover sempre disporre di ingenti liquidi per poter pagare i fornitori quando - e accadeva regolarmente - un carico da vendere arrivava più tardi del previsto; senza contare le notevoli spese di segreteria e contabilità necessarie per registrare con accuratezza il movimento continuo di tante merci. A questa mancanza di specializzazione, il G. aggiungeva poi l'insolita prodigalità nel venire incontro a ogni richiesta di prestiti da parte dell'ambiente di corte, di nobili, militari, ambasciatori, prelati, cortigiani, artisti e postulanti vari che quasi mai ricordavano i loro debiti. Lo faceva sia per una certa bontà d'animo, che valse a mantenergli sempre la reputazione di uomo onesto, sia per far circolare il suo nome tra le persone di rango.

Nel 1694, quando finalmente gli riuscì di far revocare a Venezia il bando per debiti con un versamento di 200 ducati e l'assenso dei creditori, il G. aveva già costruito una solida posizione, si era destreggiato tra il fallimento di tre case con cui aveva avuto rapporti, i Guidetti di Milano, i Romieri e i Goreau di Amsterdam, e da novembre era entrato quale intendente nella società ideata dal Fiocco e dal Bombarda per la creazione di un moderno teatro dell'Opera a Bruxelles, da erigere ex novo con i proventi della gestione dell'Académie de la musique, o Opéra du quai au Foin, presa dai due in affitto.

Il Fiocco si occupava della direzione artistica e il Bombarda degli affari economici mentre il G., dal giugno 1695 alla fine della stagione 1698, ricoprì la carica di amministratore. Le sue carte permettono di ricostruire il calendario delle recite di quegli anni, tratto in larga parte dal repertorio di G.B. Lulli, il costo e la composizione delle troupes (con cantanti di grido: Lesage e Joseph Joanny, Madeleine Champenois e M.lle Boisduvant), i compensi degli artisti (centinaia di fiorini l'anno per i protagonisti, 1 o 2 per rappresentazione ai coristi) e degli operai specializzati.

Anche se il Bombarda inaugurò il nuovo théâtre de la Monnaie nel 1699-1700, edificato su di uno spazio reso disponibile dagli effetti del bombardamento di Bruxelles nel 1695, l'iniziativa non dovette essere particolarmente redditizia. Il G. se ne distaccò, gratificato da iniziative più lucrose, come il commercio di arazzi fiamminghi. All'inizio del 1698 il G. venne incaricato da Tarino Imperiali, residente del duca di Savoia a Bruxelles, di trovare e assoldare 20 operai specializzati e due maestri disposti a trasferirsi a Torino per impiantarvi una fabbrica di tessuti d'Olanda. Vi riuscì in un tempo assai breve e a luglio la squadra si era già imbarcata per l'Italia con gli strumenti da lavoro.

Gravida di conseguenze negative fu invece una grande speculazione sul prezzo del grano da lui tentata nello stesso anno. Alcune annate cattive e un blocco delle esportazioni polacche avevano fatto salire il prezzo del grano per la panificazione sul mercato locale. Il G. progettò una colossale importazione di questo cereale dall'Italia per approvvigionare le Fiandre, convinto di poter realizzare un cospicuo profitto. A tale scopo formò una società con il Bombarda e con il napoletano Nicola Pignatelli duca di Bisaccia, soci di maggioranza, Giovanni Raimondi di Bologna e le case Armellini e Santinelli e Francesco Vezzi di Venezia, soci di minoranza, per acquistare sul mercato pugliese, e in parte minore su quello di Romagna, 130.000 raseri (più di 9000 tonnellate) di grano, da caricare su di una flotta di nove navi di varie bandiere appositamente noleggiate.

Fu un'impresa segnata da errori dall'inizio alla fine. Il Pignatelli, militare di professione, incaricato degli acquisti perché ben introdotto nel Viceregno di Napoli ma inesperto di commercio, per il desiderio di svolgere il suo compito in fretta rivelò a troppi l'intenzione di comprare, finendo con il pagare al prezzo più alto un grano di qualità mediocre. Inoltre, i costi dei noli, delle assicurazioni, dello stoccaggio dei carichi (quasi tutti dal peso inferiore a quello dichiarato nei contratti), si rivelarono sottostimati e i tempi di viaggio delle navi dall'Adriatico al Mare del Nord più lunghi del previsto. Poi, quando il grano arrivò finalmente nelle Fiandre, nell'estate del 1699, il Bombarda non era più in grado di far fronte alle proprie cambiali, la Polonia aveva ripreso le esportazioni e il prezzo del cereale scendeva. Il G. tentò, affrontando nuove spese, di dirottarlo in Olanda, ma anche là il mercato versava in condizioni analoghe e poté venderne a poco prezzo solo una minima parte. Alla fine dovette svendere il grano ai birrai di Bruxelles (dopo altri viaggi e toltane una grande quantità ormai marcita), che lo comprarono solo quando fu abrogato il divieto del suo impiego nella fabbricazione della birra, a due anni dall'inizio dell'impresa.

Dichiarato il fallimento, il G. scampò l'arresto fuggendo a Namur, territorio del principe-vescovo di Liegi. I creditori vollero essere disponibili nei suoi confronti e, tenuto anche conto dell'appoggio alla corte del governatore, egli ottenne il permesso di rientrare a Bruxelles nel giugno 1700 quale amministratore e curatore dei propri beni. Riuscì così a stipulare un concordato, promettendo il saldo di almeno il 20 per cento di ogni debito.

Pur con questo vincolo, il G. riportò le attività a un livello quasi pari a quello precedente l'avventura del grano, compresa la compravendita di arazzi e, stavolta, anche di quadri, ma non ebbe successo: l'andamento della guerra di successione spagnola portò al blocco dei commerci con l'Inghilterra, fondamentali per il G., che accumulò lettere di cambio finché, nella seconda metà del 1710, non fu più in grado di pagarle. Per la seconda volta, ai primi del 1711, riparò a Namur, dove per qualche tempo fece il commerciante di vini, sovvenuto da un legato testamentario del suocero.

Oltre alle sventure professionali, il G. in quegli anni ne dovette sopportare altre familiari. Aveva sposato dopo il suo arrivo a Bruxelles Marie-Marguerite-Esther Deudon, figlia dell'agiato maestro di posta di Mons, e da lei ebbe quattro figli. Tre di essi, Adriana, Pietro - su cui faceva affidamento per continuare la casa - e Giovanna Maria Caterina, morirono adolescenti tra il 1709 e il 1718 e la quarta, Giovanna Francesca Giuseppa, visse minata da una grave malattia nervosa. Confortato da una sincera religiosità, nutrita da frequenti elemosine, si dedicò, mentre anche la moglie perdeva la salute, alla rinascita della Confraternita di S. Antonio da Padova e al culto di questo santo, che gli ricordava la patria. Ne fu tesoriere dal 1709 fino al suo secondo fallimento e la sua amministrazione la trasformò in un'istituzione di prestigio i cui membri appartenevano tutti alla classe elevata della città.

Nel 1716 il G. ottenne nuovamente, ancora con l'appoggio dei suoi creditori, il permesso di riprendere la direzione dei propri affari a Bruxelles. Il Consiglio del Brabante glielo rinnovò anche negli anni successivi, fino al 1720. Tornò così a lavorare nella capitale, lasciando però a Namur la consorte che, dopo anni di sofferenze, finì con il morirvi nel 1728.

Gli ultimi anni del G. sono segnati dalle vicende dell'ultima figlia rimasta. Come le sorelle, a causa della malattia della madre, Giovanna Francesca Giuseppa era stata affidata alle cure di alcune religiose e di un padre spirituale. Vanamente un buon amico del G., il medico bolognese Rinaldo Duglioli, ammonì il genitore che il monastero non sarebbe stato il luogo adatto a una "histerica melancolica". La giovane donna ne sperimentò diversi e quando finì in quello di Hal, nel 1734, la sua malattia mentale esplose in crisi violente. Il padre, obbligato a riprenderla con sé, nell'impossibilità di dedicarle le cure necessarie, dovette rassegnarsi a mandarla in pensione nel piccolo convento di Gheel, un centro di cura e custodia di mentecatti dove, migliorando lentamente, la donna condusse una vita da beghina.

Ormai vecchio e solo, il G. restò sicuramente sul mercato fino al 1733, come attesta la corrispondenza con Giuseppe Biffi di Venezia, sia pure con un volume di scambi ridotto rispetto agli anni precedenti, però sempre vario dal punto di vista delle merci: calze, specchi, libri, triaca, lacche, cambi. Poi, probabilmente, lavorò ancora per un decennio, finché non lo colse la morte, a Bruxelles, il 15 apr. 1745, senza essere riuscito a liberarsi dai debiti, ragione della custodia delle sue carte da parte delle autorità.

Fonti e Bibl.: G. Des Marez, Rapport sur les services des Archives communales, Bruxelles 1906, pp. 7 s.; E. Closson, Un intendant de l'Opéra de Bruxelles à la fin du XVII siècle, in Le Guide musical, LIII (1907), pp. 479-482, 499-503, 515-519; H. Liebrecht, Histoire du théâtre français à Bruxelles au XVII et au XVIII siècle, Paris 1923, pp. 97, 103-108; G. Lonati, F. G., in Archivio veneto, s. 5, VI (1929), p. 337 s.; M. Battistini, La correspondance commerciale de F. G. (1689-1744), in Académie royale de Belgique. Bulletin de la Commission royale d'histoire, XCIII (1929), pp. 245-280; Id., La Compagnia di S. Antonio da Padova nella chiesa di N.D. de la Victoire a Bruxelles, in Studi francescani, XXVI (1929), 3, pp. 372 s., 375, 378, 380; Id., Il medico bolognese Rinaldo Duglioli nel Belgio ed una sua lettera medica, in L'Archiginnasio. Bullettino della Biblioteca comunale di Bologna, XXVIII (1933), 5-6, pp. 345-349; Id., Un mercante-banchiere italiano a Bruxelles nel sec. XVIII. F. G. di Venezia, in Annales du Prince de Ligne, XVIII (1937), pp. 128-169; C. Stellfeld, Les Fiocco, une famille de musiciens belges aux XVII et XVIII siècles, in Académie royale de Belgique. Classe des beaux-arts, Mémoires, s. 2, VII (1936), pp. 12, 14-16, 22; R. Wellens, G. F., in Biographie nationale… de Belgique, XXXVIII, Bruxelles 1973-74, coll. 235-241; La musique en Wallonie et à Bruxelles, I, a cura di R. Wangermée - P. Mercier, Bruxelles 1980, p. 235.

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