GUALDO, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUALDO (Gualdi), Francesco

Maria Elena Massimi

Figlio di Ludovico, dottore in legge, e Ginevra Tabellioni, nacque nel 1576 presumibilmente a Roma - un ramo dell'antica casata riminese dei Gualdo vi si era stabilito sin dall'inizio del secolo - dove trascorrerà la sua vita.

Scarsi i dati biografici sul G. in nostro possesso. A detta di Battaglini e Cancellieri, ebbe mansioni di cameriere segreto presso i pontefici Leone XI, Paolo V, Gregorio XV e Urbano VIII, rimanendo intrinseco alla corte per decenni; particolarmente stretto fu il legame con il papa Barberini e il suo entourage. Il 21 maggio 1611, per mano di Niccolò Sacchetti, venne ordinato cavaliere dell'Ordine equestre di S. Stefano, status orgogliosamente rivendicato in più occasioni, al pari dell'origine riminese della famiglia. Per nascita e aderenze il G. fu con ogni probabilità un personaggio non marginale, ben inserito nei circuiti culturali cittadini, come prova il prestigio dei personaggi con i quali intrattenne rapporti epistolari: Cassiano Dal Pozzo iunior, Claude Ménéstrier, Lorenzo Pignoria.

Il G. risiedeva nella zona dei Mercati Traianei, presso la distrutta chiesa di S. Maria in Campo Carleo, al numero 6 della salita del Grillo, come testimonia un'incisione di I. Lauro (Antiquae Urbis vestigiae quae nunc extant, Roma 1628, tav. VI; Franzoni - Tempesta, p. 2 fig. 1). Una parte della sua abitazione - l'aula brevis, ricordata da G.B. Lauri nei Poemata (Roma 1624, p. 328) - venne adibita a museo. La collezione era celebre già nei primi decenni del Seicento, quando P. Totti la menzionò nelle sue guide di Roma come ricca di rarità acquisite a caro prezzo. All'inizio degli anni Cinquanta venne donata (si ignora se parzialmente o totalmente) a Luigi XIV re di Francia e fu esposta nel convento dei minimi alla Ss. Trinità dei Monti, dove nel luglio 1656 la visitò la regina Cristina di Svezia. Già nel decennio successivo risultava smembrata; eventuali sopravvivenze furono disperse nel 1798, durante l'occupazione francese.

Concepito come una Wunderkammer e ispirato nell'allestimento agli studioli cinquecenteschi, il museo gualdiano raccoglieva rilievi, iscrizioni, gemme, medaglie, monete, oggetti di epoca egizia, romana e paleocristiana, pietre rare e spoglie di animali esotici. Pezzi di particolare rilievo erano il sistro e il canopo egizi (Roma, Biblioteca Casanatense, Mss., 2462, cc. 37-38 [G. Aleandro]; A. Kircher, Oedipus Aegyptiacus, III, Romae 1654, tav. tra le pp. 434 s., fig. 1; Franzoni - Tempesta, pp. 7 s., figg. 7-8) e il tripode pieghevole con bacino oggi all'Antiquario comunale di Roma (fine I sec. d.C. - prima metà II sec. d.C., inv. 2178 e 2178 bis). Di un gusto aggiornato sulle ultime tendenze del mercato dava conto la serie dei reperti cristiani, tra cui una lucerna con l'immagine di Giona, crocifissi bronzei e un fondo di coppa in vetro con Cristo che incorona una coppia (illustrati in Aringhi, II, pp. 264 s., 407; Franzoni - Tempesta, pp. 10 s., figg. 13-14). Spiccava, fra i mirabilia, un ginocchio di gigante, famoso, a detta di Girolamo Gualdo iunior, "non solo in Roma, ma in Italia ancora" (dal parente vicentino, pure lui collezionista, il G. ebbe in dono, à pendant, la riproduzione di un dente smisurato, presentata come curiositas a Urbano VIII; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., cl. IV, 133 [=5103], c. 62).

Della raccolta il G. fu abile promotore, commissionando e diffondendo stampe degli oggetti più pregiati e, a partire dal quarto decennio, elargendo singoli pezzi a istituzioni ed edifici pubblici. Le offerte - accompagnate da iscrizioni dedicatorie in cui il G. esplicitava il proprio ruolo di donatore - denunciano una strategia di esibizione senza precedenti, nonché una coscienza aurorale della contestualizzazione del reperto (Franzoni - Tempesta, pp. 32 s.). Nel 1630 il G. donò al cardinale Francesco Barberini, prefetto della Biblioteca Vaticana, una medaglia con S. Pietro e s. Paolo incoronati dall'Eterno e l'Adorazione dei magi; per l'occasione fu approntata una complessa incisione commemorativa (Franzoni - Tempesta, p. 13 fig. 15). Nello stesso anno collocò un rilievo con la Vergine e un mago nella cappella della Pietà della chiesa dei Ss. Apostoli e un sarcofago paleocristiano nel portico di S. Maria Maggiore, con dedica al cardinale Antonio Barberini (Aringhi, II, p. 395; Franzoni - Tempesta, p. 15 fig. 16). Un secondo sarcofago fu murato nel portico del Pantheon nel 1646 con un'iscrizione dedicatoria al cardinale G. Mazzarino (Franzoni - Tempesta, p. 16 fig. 18), rivolgendosi al quale il G. intendeva procurarsi un nuovo referente politico dopo l'uscita di scena dei Barberini. Sono tuttora in loco i tre capitelli combinati ad are con cui il G. ornò nel 1652 - forse ad annum con la donazione della collezione ai minimi - la rampa della chiesa di Trinità dei Monti. Sopravvive pure il monumento a Scipione l'Africano, un pastiche di frammenti diversi per epoca e stile, inserito nel 1655 sul fianco settentrionale del palazzo senatorio in Campidoglio. Non sono databili, invece, né l'apposizione di alcuni fregi antichi sulla torre medievale di via IV Novembre, né la collocazione di un'immagine lignea della Vergine in S. Maria in Aracoeli (tutti ancora in situ).

A questa singolare pratica espositiva il G. affiancò moderne preoccupazioni di ordine conservativo, esposte nel suo Discorso del conservare le memorie ed edificii antichi e in particolare per risarcire il ponte di Rimini (1640; Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 4307, cc. 1-5), nel quale lodò le iniziative di restauro e ripristino promosse dai Barberini (Urbano VIII e i cardinali Antonio e Francesco), sollecitò un intervento immediato sul sepolcro di Cecilia Metella e perorò la causa del ponte romano di Rimini. A testimonianza dei suoi preminenti interessi epigrafici, il G. lasciò otto manoscritti "de consulibus senatoribus urbis Romae et de nobilibus Italiae familiis et earum insignia atque epitaphia" (Vat. lat., 8250-8257) e, a stampa, una Raccolta di lapidi sepolcrali (Roma 1652).

Nel 1656 fece erigere il proprio monumento funebre nella chiesa dei Ss. Apostoli, distrutto durante i lavori di riedificazione promossi all'inizio del Settecento. Il G. vi fu sepolto alla sua morte, avvenuta il 26 apr. 1657.

Fonti e Bibl.: Vicenza, Biblioteca Bertoliana, Mss., G.5.3.28 (=1907): G. Gualdo jr., Memorie della Casa Gualda (1638), cc. 159-169; Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 4300: A. Battaglini, Biblioteca degli scrittori riminesi, II, cc. 1 ss.; Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 9683, cc. 3768-3910 (biografia a cura di F. Cancellieri); P. Totti, Ritratto di Roma antica, Roma 1626, pp. 303 s.; Id., Ristretto delle grandezze di Roma, Roma 1637, pp. 76, 113; Id., Ritratto di Roma moderna, Roma 1638, p. 473; P. Aringhi, Roma subterranea novissima…, II, Roma 1651, pp. 264 s., 395, 407; G. Gualdo jr., 1650. Giardino di chà Gualdo, a cura di L. Puppi, Firenze 1972, ad indicem; C. Franzoni - A. Tempesta, Il museo di F. G. nella Roma del Seicento tra raccolta privata ed esibizione pubblica, in Boll. d'arte, LXXVII (1992), 73, pp. 1-42.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE