LAURIA, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

LAURIA, Francesco

Alfonso Scirocco

Nacque a Montefusco, presso Avellino, il 6 giugno 1769, da Giuseppe e Antonia Ribas, secondo di tre maschi. Rimasto presto orfano prima del padre, poi della madre, studiò nel seminario di Nusco. Terminati gli studi, conservò l'abito talare, avviandosi al sacerdozio, e si diede all'insegnamento e alla predicazione. Non ancora sacerdote, cercò di essere nominato canonico ma, contestato da altri aspiranti, si recò a Napoli, dove intraprese la carriera di avvocato, in cui si mise subito in evidenza. Abilitato nel 1793 al patrocinio ufficioso dei poveri presso i tribunali criminali, dal 1794 cominciò a difendere, ma nel 1798 accettò la nomina a uditore della regia udienza di Salerno, e poi dell'Aquila.

Nel 1799 non ebbe cariche nella Repubblica napoletana, anzi fu costretto a smentire con manifesti di essere stato spia della polizia borbonica (De Nicola, I, p. 47, 3 febbr. 1799). Partecipò egualmente al fervore di discussioni che caratterizzò la Repubblica: di un suo intervento in un dibattito sulle successioni ereditarie (in cui si oppose alla proposta di abolire i testamenti e di regolamentare le successioni interamente per legge) fa cenno il Monitore napoletano del 23 marzo 1799. Dopo il ritorno del re Ferdinando IV (8 luglio 1799), nel luglio 1800 fu condannato all'esilio; visse a Parigi, usufruendo del sussidio governativo di 75 centesimi.

Rientrato nel Regno dopo la pace di Firenze del 28 marzo 1801, riprese la professione di avvocato, dando anche lezioni di diritto penale. Quando nel 1806, all'inizio del regno di Giuseppe Bonaparte, furono stabilite quattro commissioni giudiziali per il rapido esame degli innumerevoli detenuti, fece parte come avvocato fiscale di quella comprendente Basilicata e Calabria.

Tuttavia non si allineò del tutto ai nuovi dominatori e assunse la difesa di Giovan Battista Rodio, incaricato dal Borbone di organizzare la resistenza ai Francesi, che nell'aprile 1806 fu condannato a morte come brigante con una procedura che suscitò proteste: giudicato da una commissione militare, fu assolto perché arrestato in divisa (e quindi da ritenere combattente regolare), ma per ordine del governo fu giudicato il giorno dopo da un'altra commissione militare e condannato. Nel novembre il L. fu avvocato d'ufficio di Michele Pezza, il famoso Fra Diavolo, che non scampò al patibolo.

Escluso dalla nomina nella magistratura, che si veniva organizzando sul modello napoleonico e nella quale furono chiamati molti avvocati, fu invece nominato (dicembre 1806) professore di diritto criminale nell'Università di Napoli. Dal 1812, anno della pubblicazione del nuovo codice penale, di cui curò il commento, tenne l'insegnamento del codice criminale e correzionale. Le sue lezioni in latino, ricche di dottrina perché spaziavano dalle leggi antiche alle recenti, esposte con elegante elocuzione, furono seguite con entusiasmo. Anche nell'avvocatura il L. era assurto a grande fama, rivaleggiando con G. Raffaelli e G. Poerio, per l'eloquenza sostanziata di cultura giuridica e di erudizione letteraria e classica, e insieme appassionata e vibrante (la strenua difesa di un imputato di omicidio è narrata in De Nicola, II, pp. 377 s., 3 ott. 1807). Tra le arringhe più notevoli, ripubblicate dopo la morte, fece discutere quella in difesa di un parricida sordomuto, per il quale invocò l'incapacità di intendere e di volere per l'imperfezione fisica.

Riconoscimento del suo prestigio professionale fu la nomina ad avvocato del contenzioso (Feola). Nel 1815 Gioacchino Murat, catturato nel tentativo di recuperare il Regno, chiese di averlo come difensore (Valente). Nel 1816 i Borboni cercarono di favorire l'integrazione tra la classe dirigente formatasi nel decennio rivoluzionario e i legittimisti. Perciò il L. fu confermato nell'insegnamento universitario e assunse la cattedra di diritto e procedura criminale; al contempo continuò con successo l'avvocatura.

Nella rivoluzione costituzionale del 1820 fu eletto deputato di Avellino e partecipò attivamente ai lavori del Parlamento. Membro della commissione di legislazione, intervenne più volte nel dibattito sull'adattamento della costituzione spagnola al Regno delle Due Sicilie.

In particolare il 4 e 6 ott. 1820, a proposito della formazione del Consiglio di Stato e dei suoi rapporti con il Parlamento, sostenne l'unicità di ordinamento per Mezzogiorno e Sicilia; il 21 novembre si disse favorevole a conservare, all'inizio della costituzione, l'invocazione a Dio, autore e supremo legislatore della società; il 1° dicembre si pronunciò contro il foro ecclesiastico, nel corso di osservazioni sul funzionamento della giustizia penale. Inoltre il 15 e il 29 dicembre parlò dell'opportunità di fissare anno per anno l'entità delle contribuzioni dirette e sulla proposta di un prestito forzoso per le spese di guerra, mentre il 29 genn. 1821 espresse gravi perplessità su un progetto di prestito allo Stato da parte di banchieri privati.

Generalmente il L. partecipò con interventi brevi, senza essere relatore o presentatore di mozioni. Questo gli giovò quando nel 1821, ristabilito l'assolutismo, i dipendenti pubblici furono giudicati da giunte di scrutinio; egli si difese minimizzando il suo impegno, e conservò la cattedra.

A completamento dell'attività di docente aveva stampato un commento al codice penale del decennio e alcune Riflessioni per un codice napolitano (andati entrambi perduti). Nel 1823 iniziò a pubblicare un'opera approfondita sul codice penale borbonico del 1819, ispirato alla legislazione francese, la Esposizione delle leggi penali del Regno delle Due Sicilie (I, Napoli 1823; II, ibid. 1825), prevista in quattro volumi, ma che la morte prematura gli impedì di completare. Nella prima delle due parti pubblicate, partendo dalle leggi di Roma antica, esaminò il calcolo dell'imputabilità, fissando il principio generale della misura dei reati nel dolo e nel danno, calcolando le variazioni e ragioni che potevano aggravare o diminuire l'imputabilità. Nella seconda, sempre con grande erudizione, trattò dei misfatti e delitti, soffermandosi sui reati contro la religione.

Come avvocato si espose ancora coraggiosamente, fino a prendere la difesa di presunti settari nel 1825 (Genoino). Nel 1808, installata la Camera di disciplina, ne era stato nominato membro, e aveva assunto frequentemente il patrocinio dei poveri. Il suo zelo in questo campo fu così apprezzato che nel 1817, creato un collegio di avvocati di ufficio, ne fu designato presidente, e ne fece poi sempre parte. Lasciò l'avvocatura nel 1825, chiamato nella magistratura da Francesco I: dall'ottobre fu procuratore generale sostituto della Gran Corte criminale di Napoli, e dal maggio 1826 anche avvocato degli imputati presso la commissione suprema per i reati di Stato.

Nel 1832 apparve postuma a Napoli una Raccolta di aringhe [sic] penali, precedute dall'elogio storico della sua vita in 5 volumi, contenente 19 arringhe, 3 conclusioni di pubblici ministeri e decisioni della Gran Corte, una sentenza, un Saggio sulla corruzione dei popoli letto nell'Accademia Pontaniana nel 1808 e le Riflessioni per un codice napolitano.

Il L. morì a Napoli il 29 nov. 1828.

Nel 1804 aveva sposato Aganore Patrelli, di quindici anni più giovane, dalla quale ebbe dodici figli, sei maschi e sei femmine, l'ultima delle quali, Francesca, nacque postuma nel luglio 1829.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Ministero delle Finanze, f. 12.187; Ministero della Polizia generale, Seconda numerazione, Giunta di scrutinio, f. 156; Napoli, Arch. stor. del Comune, Atti di morte, Sezione avvocata, atto 727 (1828); Atti del Parlamento delle Due Sicilie, 1820-1821, a cura di A. Alberti - E. Gentile, I-VI, Bologna 1926-41: I-III, ad ind.; C. De Nicola, Diario napoletano 1798-1825, a cura di R. De Lorenzo, Napoli 1999, I, p. 47; II, pp. 377 s.; D. Tartaglia, Elogio storico di F. L., recitato in una adunanza accademica, Napoli 1828; P. Calà Ulloa, Dell'indole della eloquenza di F. L., in Biblioteca di scienze morali, legislative ed economiche, 1844-45, n. 9, pp. 232-244; N. Sole, Pensieri poetici sulla eloquenza nel foro penale, Napoli 1856, p. 17; P. Calà Ulloa, Pensées et souvenirs sur la littérature contemporaine du Royaume de Naples, I, Genève 1858, pp. 134-136, 195, 200, 288-299, 347; II, ibid. 1859, pp. 246 s., 391; M. Monnier, L'Italie est-elle la terre des morts?, Paris 1860, pp. 207 s.; G. Amellino, I principi del diritto e della procedura penale in Napoli nei secoli XVIII e XIX, Napoli 1895, pp. 249-259; L.A. Villari, Don Ciccio Lauria. Ricordi di vita napoletana, Trani 1898 (ricco di aneddoti); F. Nicolini, Nicola Nicolini e gli studi giuridici nella prima metà del secolo XIX, Napoli 1907, pp. 99 s. (con notizie biografiche imprecise), 102, 213 s.; A. Genoino, Le Sicilie al tempo di Francesco I. 1777-1830, Napoli 1934, p. 252; A. Valente, Gioacchino Murat e l'Italia meridionale, Torino 1965, p. 404; A. Lepre, La rivoluzione napoletana del 1820-1821, Roma 1967, ad ind.; N. Salerno, F. L.: un aedo dell'eloquenza, Napoli 1978 (modesta rielaborazione delle notizie note); R. Feola, La monarchia amministrativa. Il sistema del contenzioso nelle Sicilie, Napoli 1984, p. 100.

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