BOZZELLI, Francesco Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BOZZELLI, Francesco Paolo

Guido D'Agostino

Nato a Manfredonia il 22 maggio 1786 da Michele e da Maria Vittoria Ricci, dopo la prima istruzione ricevuta presso gli scolopi, studiò diritto a Napoli dal 1806, sotto la guida di Michele Terracina e Nicola Valletta, giuristi - specialmente il secondo - di vasti interessi culturali. A questo primo periodo napoletano risale l'elaborazione di una memoria universitaria rimasta interrotta e inedita, i Pensieri sullo stabilimento di una università di studi, con la quale il B. si inserì nelle discussioni sull'istruzione pubblica, "vero cardine dell'opera politica murattiana". Il B. fece le prime prove anche in campo letterario, imitando - com'era allora in voga a Napoli - Metastasio e Fantoni (cfr. Poesie varie, Napoli 1815). Dedicatosi quindi alla professione d'avvocato con indiscusso successo, preferì in seguito entrare nell'amministrazione dello Stato, divenendo nel 1513 uditore presso il Consiglio di Stato ed entrando, alcuni anni più tardi, nella sopraintendenza della Salute, di cui fu prima ispettore generale e poi segretario (1816). La sua brillante ascesa, concretatasi nella nomina a consigliere di Stato e nell'incarico di commissario, civile per l'approvvigionamento delle truppe in Abruzzo, s'interruppe quando, nella reazione borbonica seguita al fallimento dei moti del 1820-21, pagò col carcere e poi col lunghissimo esilio le proprie convinzioni liberali e l'attiva partecipazione al moti stessi. Per oltre quindici anni visse all'estero, per lo più a Parigi (con brevi soggiorni a Londra e a Bruxelles), confortato dall'amicizia e dalla stima di esuli napoletani, di intellettuali e politici stranieri e di amici rimasti in patria, con i quali manteneva affettuosi legami epistolari.

I suoi convincimenti vennero rafforzati dalla prova dell'esilio: fondamentalmente moderato, liberale ma avverso a programmi e soluzioni democratico-radicali, vedeva in un regime monarchico-costituzionale, sorretto da uomini devoti alla libertà e, insieme con la dinastia borbonica, il più idoneo sbocco alla delicata situazione politica del Regno delle Due Sicilie. Una concezione e un programma che avrebbero voluto essere la sintesi di esigenze liberali e istanze legittimistiche, ma che invece palesano nel B. un'attitudine dottrinaria e aristocratica.

Costretto a vivere lontano dalla politica attiva, il B. trovò modo di approfondire e maturare certi suoi interessi culturali, sempre presenti, ma a cui non aveva potuto prima dare organica sistemazione. Appartengono a questo periodo opere filosofiche e politiche, oltre a scritti di estetica, critica e teatro. Nel 1826 comparve anonimo a Bruxelles l'Esquisse politique sur l'action des forces sociales dans les differentes espèces de gouvernement, pubblicato all'insaputa del B., a opera di un amico che ne aveva avuto il manoscritto.

Questo "schizzo" rappresenta la teorizzazione della forma di governo monarchico-costituzionale come quella capace di garantire stabilità e ordine nel quadro d'una realistica valutazione delle forze operanti nella società. In esso il B. polemizza con le "astrattezze giacobine" e in generale con quelle che definisce utopie democratiche, negando che in qualche momento storico o in qualche determinato paese fosse stata realizzata la democrazia. Lo scritto ebbe favorevoli accoglienze e positive recensioni, e al suo autore, rapidamente individuato, ne provenne buona fama.

Un anno prima era stato pubblicato a Parigi, in forma non definitiva, l'importante Essai sur les rapports primitifs qui lient ensemble la philosophie et la morale, ristampato nel 1830 col titolo De l'union de la philosophie avec la morale.

In questa, che è considerata la più notevole delle sue opere, il B. vuole fondare la morale su basi strettamente filosofiche partendo dalle sue premesse sensiste. Alla sensazione in particolare lega il problema del piacere e del dolore, che a quella sempre si accompagnano, e lega pure l'origine delle principali facoltà umane, quali la volontà (tendenza al piacere) e il giudizio (paragone tra il piacere e il dolore). In sostanza l'etica, nel B., atteggiata in duplice chiave, edonistica e intellettualistica, non rappresenta una soluzione originale - derivata com'è dalla speculazione di Helvétius e di Adam Smith - ma consente una risistemazione di concetti e problemi tra loro connessi, non sfornita di coerenza e di acume.

Al 1830 risale pure De l'influence des lois sur les moeurs et des moeurs sur les lois, in cui il rapporto tra leggi e costumi viene esaminato rispetto ai diversi possibili quadri politici, come il dispotismo orientale, la monarchia assoluta, l'oligarchia aristocratica, la democrazia pura e il sistema rappresentativo. Accanto alle opere politiche e filosofiche, il B. pubblicò interessanti scritti sui generi teatrali, come De l'esprit de la comédie et de l'insuffisance du ridicule pour corriger les travers et les caractères che è del 1832; più tardi comparve a Lugano nel 1838 la migliore delle sue opere "letterarie", cioè i due volumi Della imitazione tragica presso gli antichi e i moderni, che rappresentano certo la più valida risposta italiana al Corso di letteratura drammatica tenuto a Vienna da August Wilhelm Schlegel nel 1808 e tradotto dal Gherardini, dal francese, nel 1817.

Il B. polemizza nell'opera con le tesi dello Schlegel, escludendo l'antitesi tra classico e romantico e fondando sul "sentimento pubblico" il criterio di valutazione dell'arte; inoltre, con diretta competenza, vengono esaminate le situazioni della produzione drammatica in varie nazioni e istituiti illuminanti raffronti.

Al suo rientro in patria, autorizzato finalmente nel 1837, la fama acquistata dal B. con questa vasta produzione gli assicurò una posizione di preminenza nel partito liberale moderato napoletano. Negli anni intorno al '40 è accertato che, col Poerio, il Blanch e molti altri, svolse un ruolo attivo nella preparazione e nel coordinamento dell'attività politica dei liberali meridionali, benché sempre difendesse l'antico programma costituzionalista e legittimista contro l'ala avanzata dello stesso schieramento liberale che era avversa ai Borboni e al piano di riforme da attuarsi all'interno del regime. Subì anzi, nel 1844, insieme con Carlo Poerio e Mariano d'Ayala, un breve periodo di prigionia, che gli valse, nel sentimento generale, ancora più vasta considerazione e popolarità. Negli anni immediatamente precedenti al 1848 egli si segnalò quindi anche per la sua cultura, la sua competenza giuridica e la sua integrità morale, come elemento idoneo a ricoprire i più delicati e impegnativi incarichi politici. Nel gennaio 1848, dopo lo scoppio dell'insurrezione di Palermo, allorché Ferdinando decise di concedere la costituzione, il ministero Serracapriola lo incaricò di preparare il decreto reale che fissava i principî costituzionali, pubblicato il 29 gennaio. Il 30 il B. fu chiamato a sostituire il ministro degli Interni Cianciulli e incaricato della stesura del testo dello statuto che fu approntato in dieci giorni di solitaria fatica (30 genn-8 febbr. 1848).

Esso ricalcò negli 89 articoli che lo composero la Costituzione francese del 1830 e, in qualche punto - per quel che concerneva le autonomie locali -, quella belga. In ciò il B., che prima del 29 gennaio era stato favorevole con il Poerio e il d'Ayala a una riedizione della Costituzione del 1820, compiva un passo indietro, stendendo un documento che lasciava al sovrano ampi poteri discrezionali e offriva insufficienti garanzie di libertà ai cittadini; i diritti elettorali erano inoltre fortemente limitati dal censo.

Nonostante ciò la nuova costituzione fu osteggiata dai gruppi reazionari e serie difficoltà si presentarono subito per la sua attuazione, che non poteva essere disgiunta dal varo di un programma di importanti e concrete riforme e dalla soluzione di gravi questioni politiche. L'incapacità di risolvere tali problemi, e in particolare la questione siciliana, provocò la caduta del primo governo Serracapriola, che venne però quasi tutto riconfermato dal re il 6 marzo con l'inserimento di alcuni elementi liberali più avanzati. Anche questo esperimento fallì, questa volta per le ripercussioni nel Regno dell'impresa di Carlo Alberto, e dal nuovo ministero costituito dal Troya (6 aprile) il B. fu escluso per la sua avversione a un intervento contro l'Austria e, in genere, per il suo eccessivo moderatismo. La situazione interna, però, degenerò sempre più, al punto da esplodere in un sanguinoso scontro nella capitale tra i liberali e truppe regie, mentre già nel mese precedente la Sicilia si era data un parlamento autonomo e aveva dichiarato decaduti i Borboni. Dal marasma che ne seguì trasse vantaggio solo il sovrano, che l'aveva probabilmente architettato ad arte, il quale sciolse le camere - elette il 18 e 20 aprile con una legge elettorale che prevedeva un criterio meno censitario di quello stabilito dal B. - ritenute implicate nella rivolta (15 maggio). Ferdinando formò un governo di moderati di destra presieduto dal principe di Cariati, affidando gli Interni e l'Istruzione Pubblica al B., che si trovò quindi a partecipare alla fase più odiosa del governo del paese dopo la tragedia del 15 maggio, riuscendo tuttavia a operare per mitigare la reazione voluta dal re e ad affrettare il ritorno alla legalità. Agli occhi dell'opinione pubblica egli però apparve come traditore e politico ambizioso, che tutto sacrifica alla brama del potere, il ministro della reazione vendutosi al Borbone. Si alienò la stima e l'amicizia di tutti i liberali, mentre pure il sovrano, dopo essersene servito, lo confinava al solo ministero dell'Istruzione, per affidare gli Interni a elemento più reazionario che gli consentisse il totale affossamento dell'istituto rappresentativo (7 settembre).

Nel 1849, inviso agli amici e compagni di un tempo e non gradito allo stesso Ferdinando, il B. si ritirò a vita privata in una casa di campagna a Posillipo. Conservò solo la pensione come consigliere di Stato, ufficio ricoperto nel 1820 - e la presidenza dell'Accademia reale delle Scienze; dopo il 1860, tacciato di indegnità per i suoi trascorsi, gli venne tolta l'una e l'altra. Seguirono anni tristi e solitari finché sopravvenne la morte, il 2 febbr. 1864.

Fonti eBibl.: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone, 5, Carte di re Ferdinando II, docc. 824, 959, 1041; Napoli, Società napoletana di storia patria, ms. XXVI B I, ff. 262, 443, 445; ms. XXIII C 14, f. 17; C. Casazza, Sul feretro del cav. F. P. B., Napoli 1864; L. Trotta, Schizzo biografico di F. P. B., Torino 1871; V. Imbriani, Lettere e documenti del 1848: A. Poerio a Venezia, Napoli 1884, pp. 90, 121, 135, 152, 392; M. d'Ayala, Memorie di Mariano d'Ayala e del suotempo, Roma, 1886, p. 139; G. Massari, I casi di Napoli dal 29 gennaio 1848 in poi, Trani 1895, passim;G. Gentile, Da Genovesi a Galluppi, Napoli 1903, pp. 172-92; F. Giordani, F. P. B., in Rass. nazionale, 16 dic. 1907, pp. 490-98; G. Paladino, La rivoluz. napoletana nel 1848, Milano 1914, passim;B. Croce, F. P. B. e Giacinto de Sivo, in Atti dell'Accad. Pontaniana, XLVIII (1918), memoria n. 3, pp. 1-14; G. Paladino, Una lettera del B. a Nicola Nicolini, in Rass. stor. del Risorg., V (1918), pp. 723-27; Id., Il quindicimaggio del 1848 in Napoli, Napoli 1920; S. Gaetani, Un carteggio inedito di F. P. B., in Rass. stor. del Risorg., IX (1922), pp. 1-44; F. Giordani, F. P.B., Foggia 1940; C. Spellanzon, Storia del Risorg. e dell'unità d'Italia, III, Milano 1936, pp. 522 ss.; A. Zazo, Le rendite beneventane del Talleyrand e una missione di F. P. B., in Samnium, XV (1942), pp. 72-84; N. Cortese, Le costituzioni italiane del 1848-49, Napoli 1945, pp. XXX-XXXV;A. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, III, Milano 1960, pp. 129 s., 132, 225, 228, 237, 241 s., 350-353; G. Berti, I democratici e l'iniziativa merid. nel Mezzogiorno, Milano 1962, pp. 200, 256, 258, 346; L. Parente, Una memoria giovanile di F. P. B. sul problema dell'istruzione pubblica, in Atti dell'Accad. sc. mor. e polit., LXXX (1969), pp. 33-66.

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