PENTA, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PENTA, Francesco

Alessio Argentieri

PENTA, Francesco. – Nacque a Napoli l’11 agosto 1899 da Pasquale e Adelia Loforte.

Il padre, irpino di Fontanarosa, fu un noto neuropsichiatra forense e antropologo criminale.

Compiuti gli studi giovanili a Napoli, come molti ragazzi della classe 1899, Penta fu chiamato alle armi nella fase finale della prima guerra mondiale con il grado di ufficiale di artiglieria; impegnato come volontario sul fronte francese, dove riportò una lesione polmonare causata dall’inalazione di iprite che ne minò la salute per tutta la restante esistenza. Dopo la laurea in ingegneria civile nel 1924 all’Università di Napoli, vi frequentò, dal 1925 al 1929, i corsi di scienze naturali presso l’istituto di geologia, sotto la guida di Giuseppe De Lorenzo.

Nel 1927 sposò a Napoli Anna Zimbelli, con la quale ebbe fra il 1928 e il 1938, quattro figli: Pasquale (ingegnere), Maria (fisica), Adelia (geochimica) e Teresa (germanista).

La sua carriera accademica ebbe inizio nel 1929 quale assistente di Giuseppe Ronza, ingegnere capo del distretto minerario di Napoli e docente presso la facoltà di ingegneria dell’ateneo campano; in quel primo periodo Penta ebbe l’opportunità di frequentare lo svizzero Alfred Rittmann, fondatore della moderna vulcanologia, all’epoca ricercatore presso l’Istituto vulcanologico Immanuel Friedländer di Napoli. La formazione ingegneristica di base, associata alle conoscenze geologiche e petrografiche acquisite in quegli anni, conferirono a Penta la particolare impostazione scientifica che lo rese poi un innovatore nel campo della geologia tecnica e applicata in Italia. Egli divenne successivamente professore incaricato di arte mineraria e di geologia applicata presso la facoltà di ingegneria dell’Università di Napoli, insegnamenti che tenne fino al 1943. Nel 1939 era stato frattanto nominato professore straordinario di giacimenti minerari e incaricato di geologia applicata presso la facoltà di ingegneria dell’Università di Roma, dove nel 1950, vinto il concorso a ordinario, assunse la cattedra di geologia applicata e la direzione dell’istituto di geologia applicata e giacimenti minerari.

Negli anni Trenta i suoi interessi di ricerca verterono dapprima su temi mineralogico-cristallografici e quindi su litologia tecnica, risorse minerarie e vulcanologia, di cui continuò a interessarsi anche nel prosieguo della carriera. A partire dai primi anni Quaranta iniziò a occuparsi di geotecnica e geologia applicata, che diventarono i temi di maggiore rilevanza nella sua opera scientifica. Fu altresì pioniere degli studi sull’influenza dell’ambiente geologico sugli effetti dei terremoti, problema approfondito soprattutto negli ultimi anni di attività scientifica. Nel secondo dopoguerra iniziò a occuparsi di ricerche geotermiche, per le quali fu anche consulente delle Nazioni Unite e della Repubblica di El Salvador. In trentacinque anni di attività scientifica, Penta produsse oltre trecento pubblicazioni originali, nonché numerosi testi didattici, recensioni, commenti a lavori tecnici e relazioni periodiche sulle attività degli istituti e dei centri di studio da lui diretti. Il suo approccio scientifico contemperava gli aspetti descrittivi prettamente naturalistici con quelli quantitativi di stampo tecnico-applicativo. Egli curò con particolare dedizione le relazioni periodiche sulle attività degli istituti e dei centri di studio che fu chiamato a dirigere. Secondo Giovanni Battista Dal Piaz, Penta considerava quei resoconti preliminari come embrioni dei migliori studi originali suoi e dei collaboratori, che in molti casi non ebbero in seguito adeguato sviluppo.

Fu membro di numerose accademie italiane e internazionali, con ruoli di prestigio: socio corrispondente dal 1955 e nazionale dal 1963 dell’Accademia nazionale dei Lincei; socio dal 1929 della Società geologica italiana; membro della Società nazionale di scienze, lettere ed arti in Napoli; segretario generale dell’International association of volcanology nel 1960; presidente dell’International association of hydrogeologists dal 1960 al 1963; membro dell’International association of earthquake engineering, dell’American association of engineering geologists, della Deutsche Mineralogische Gesellschaft. Fu anche redattore del Bulletin volcanologique dal 1962.

Nel corso della carriera Penta ricoprì importanti incarichi a livello nazionale: direttore del Centro di studio delle risorse minerarie dell’Italia meridionale; direttore del Centro geotecnico della Fondazione politecnica del Mezzogiorno; direttore del Centro studi sui materiali naturali litoidi da costruzione; membro del Consiglio superiore delle miniere presso il ministero dell’Industria (1947-57), assumendone la presidenza dal 1957 al 1964. Nel Consiglio nazionale delle ricerche fu: direttore del Centro di studio per la geologia tecnica; componente del Comitato per la geografia, geologia e mineralogia e poi vicepresidente dal 1960 al 1963; membro del Comitato per l’ingegneria, del Comitato nazionale per la geodesia e la geofisica, e della Commissione per la vulcanologia. Fu inoltre componente per più di vent’anni del Consiglio superiore dei Lavori pubblici.

Parallelamente, tra gli anni Quaranta e i primi anni Sessanta, Penta svolse un’intensa attività professionale, spesso con il supporto dei suoi collaboratori, quale consulente per la maggior parte delle grandi opere realizzate in Italia centro-meridionale.

Nel quadro di questi incarichi, Penta giocò nella tragica vicenda del Vajont un ruolo meritevole di approfondimento. Il tema fu omesso o solo implicitamente accennato nelle commemorazioni, scritte dai suoi colleghi e allievi fra il 1965 e il 1967; a quell’epoca, con la tragedia del 9 ottobre 1963 ancora di fresca memoria nell’opinione pubblica e il processo penale di primo grado in corso, l’argomento era effettivamente difficile da trattare.

Negli oltre cinquant’anni intercorsi dall’evento, la questione è stata invece affrontata – con visioni e approcci assai differenti e non sempre con la giusta obiettività – da cronisti, scrittori, autori teatrali e cinematografici, studiosi e specialisti; le analisi più recenti, condotte con una congrua distanza di tempo, consentono una visione adeguatamente imparziale di fatti e personaggi.

Dal 1954 Penta fu membro esperto del Consiglio superiore dei Lavori pubblici; in tale veste fu chiamato a far parte della commissione ministeriale incaricata di esaminare il progetto esecutivo della diga del Vajont, presentato dalla concessionaria Società adriatica di elettricità (SADE) di Venezia. Il parere favorevole fu espresso dalla IV sezione del Consiglio nel 1958. Nello stesso anno, Penta fu designato componente della commissione di collaudo dell’opera, assieme a Pietro Frosini, presidente della IV sezione, Francesco Sensidoni, ingegnere capo del Servizio dighe del ministero, e Luigi Greco, presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici.

Penta collaborò anche all’estensione del Regolamento per la compilazione dei progetti, la costruzione e l’esercizio delle dighe di ritenuta – poi approvato con d.p.r. 11 gennaio 1959, n. 1363 – che introdusse l’obbligo, per la relazione geologica facente parte degli elaborati progettuali propedeutici al rilascio delle relative autorizzazioni, di prevedere un accurato rilevamento geologico e di contenere elementi oggettivi relativi alla stabilità dei versanti dell’invaso. Questo approccio all’epoca non era infatti previsto da norme e criteri, né consolidato nella comunità tecnico-scientifica: il trattato di Ardito Desio Geologia applicata all’ingegneria (Milano 1948), allora pubblicazione di riferimento a livello nazionale, non contemplava l’argomento, che venne inserito solo molti anni dopo (nella II edizione Milano 1973). L’importante modifica normativa, introdotta anche grazie all’apporto di Penta nell’ordinamento giuridico italiano, non poté paradossalmente essere applicata al caso del Vajont, essendo stato il progetto approvato prima dell’entrata in vigore del Regolamento.

Nel marzo 1959 la società SADE chiamò Penta come consulente per la frana di Pontesei-Fagarè. Il 4 novembre 1960, con il progredire della risalita del livello idrico nell’invaso del Vajont, si verificò una frana, preceduta dal formarsi sul versante settentrionale del monte Toc della grande fessura perimetrale a forma di ‘M’. A seguito dell’evento, la commissione di collaudo, formalmente incaricata di valutare solo la diga, fu chiamata a pronunciarsi anche sulla stabilità dei versanti circostanti l’invaso; Penta sostenne erroneamente l’ipotesi di un movimento di versante lento e superficiale, limitato a una coltre di 10-20 metri di spessore. Un’ipotesi diversa fu avanzata da Edoardo Semenza (geologo, figlio dell’ingegnere Carlo progettista dell’impianto), che a partire dall’agosto 1959 studiò la frana assieme a Franco Giudici e ne ipotizzò la natura di paleofrana di notevole spessore (150-250 m). Tale interpretazione fu condivisa da Leopold Müller (ingegnere minerario austriaco e all’epoca massimo specialista in meccanica delle rocce) chiamato come consulente della SADE. La commissione di collaudo effettuò diverse visite tra il 1960 e il 1961, l’ultima delle quali il 17 ottobre 1961, in occasione dell’inaugurazione e concluse le attività nell’ottobre 1961 senza che l’opera fosse nè collaudata nè collaudabile. Nel frattempo, nel maggio 1961, si era tenuto a Roma, presso l’Accademia dei Lincei, il convegno internazionale Le funzioni della geologia nelle opere di pubblico interesse, presieduto da Penta. Dopo la morte del progettista Carlo Semenza, avvenuta nell’ottobre del 1961, la SADE abbandonò l’approccio collaborativo con gli organi di controllo fino allora tenuto, assumendo invece comportamenti omissivi e fuorvianti; l’azienda nascose o addirittura falsificò le informazioni nei confronti del genio civile territorialmente competente e della commissione di collaudo, rispetto sia alle evidenze di attività del movimento franoso del Monte Toc, sia ai risultati della modellazione idraulica condotta dalla società presso il proprio Centro modelli idraulici di Nove di Vittorio Veneto, con il coordinamento del professor Augusto Ghetti dell’Università di Padova. La tesi del nascondimento, sostenuta anche dal giudice istruttore Mario Fabbri, fu però confutata dalla corte d’appello dell’Aquila nella sentenza del 1969, che riformò in parte la decisione del tribunale di Belluno del 1968. La sentenza d’appello accertò anche che nessuno dei geologi coinvolti, incluso Penta, consigliò mai l’abbandono del bacino.

La vicenda va analizzata nel contesto dell’epoca, quando la meccanica delle rocce era una disciplina specialistica ancora agli albori (il primo congresso internazionale sul tema si sarebbe tenuto a Lisbona nel 1966). Penta, che vantava una grande conoscenza della geologia dell’Italia centro-meridionale, non si era però mai confrontato con grandi frane delle zone alpine; inoltre compì l’incarico ministeriale da solo, senza coinvolgere alcun collaboratore. Anche per tali ragioni egli commise il grave errore di sottovalutare l’entità delle masse in movimento, e quindi le conseguenze sull’invaso che portarono all’infausto epilogo. Il 10 novembre del 1963, un’ulteriore tragedia aggravò il bilancio di vittime della sciagura: un elicottero in ricognizione sui luoghi del disastro si schiantò al suolo al Passo di S. Osvaldo, presso Erto, a causa della presenza del cavo d’acciaio di una teleferica abusiva. Nell’incidente perirono, oltre al pilota, i tecnici Bruno Conforto e Filippo Falini (quest’ultimo allievo prediletto di Penta e promessa della geologia applicata italiana), incaricati dall’ENEL delle indagini per il collegamento tra il lago superiore e quello inferiore formatisi dopo la frana. La disgrazia toccò profondamente Penta, che dedicò ai due allievi uno dei suoi ultimi scritti In memoria di Filippo Falini e Bruno Conforto, pubblicato nel Bollettino della Società geologica italiana, LXXXIV (1965), 1, pp. 5-13.

Penta morì a Roma il 16 ottobre del 1965.

Nel febbraio del 1964 la Procura della Repubblica aveva nel frattempo trasmesso al giudice istruttore del tribunale di Belluno gli atti per l’avvio del procedimento penale a carico di diversi soggetti coinvolti nella vicenda, fra i quali Penta. Con sentenza del 20 febbraio 1968, il magistrato Fabbri dispose il rinvio a giudizio di Penta e di altri imputati; l’avvenuto decesso del medesimo, già malato all’epoca del disastro, comportò il non luogo a procedere nei suoi confronti.

Opere. Fra gli studi di litologia tecnica, risorse minerarie e vulcanologia si segnalano: I materiali naturali da costruzione dell’Italia meridionale, Napoli 1935; Sul confronto fra le caratteristiche meccaniche delle lave vesuviane e di altre rocce ignee adoperate per pavimentazione stradale di Napoli, in Bollettino della Società dei naturalisti in Napoli, 1935, vol. 102, pp. 69-72; Carbon fossile nel Mesozoico di Longobucco in Calabria, in Atti della Reale Accademia nazionale dei Lincei, Rendiconti della classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, s. 6, 1936, vol. 23, pp. 794-801; Le terre bianche delle Isole Pontine, in L’Industria mineraria d’Italia e d’Oltremare, XII (1938), 1, pp. 13-26; 3, pp. 87-97; Le recenti idee del Rittmann sul magma originale e della origine del Sial, in Bollettino della Società sismologica italiana, XXXVII (1939), 3-4, pp. 107-136; Le recenti idee sul magmatismo, vulcanismo e migmatismo in rapporto anche alla profondità degli ipocentri di terremoti vulcanici o magmatici in genere, ibid., 5-6, pp. 243-256; Contributo agli studi sulle pozzolane con speciale riguardo alle pozzolane romane, in L’industria mineraria, IV (1953), 9, pp. 409-417; I materiali da costruzione del Lazio, Spoleto 1956; Studio sui carboni fossili italiani, in La ricerca scientifica, s. 2, XXXIII (1963), 9, pp. 993-997. Tra i lavori riguardanti fondazioni e meccanica delle terre si rammentano: Natura e classifica dei terreni in rapporto alle fondazioni, in Meccanica dei terreni e stabilità delle fondazioni. Secondo corso di aggiornamento, Roma 1943, pp. 7-37; Il sottosuolo della città di Napoli in rapporto alla progettazione di una metropolitana, in Memorie dell’Accademia di scienze matematiche, fisiche e naturali in Napoli, s. 3, III (1960), 7, pp. 1-50. Fra i numerosi scritti sui fenomeni franosi sono degni di nota: Frane: relazione generale sul tema, in Geotecnica, VI (1959), 5, pp. 181-229; Frane e movimenti franosi, Roma 1960; Caratteristiche delle frane, in Geotecnica, IX (1962), 6, pp. 253-258. Le ricerche principali di carattere geologicotecnico e sugli effetti di sito dei terremoti sono: Le azioni sismiche sulle dighe, in Giornale del genio civile, XCV (1957), 7-8, pp. 499-513; Contributo allo studio geologico-tecnico del problema dell’attraversamento dello Stretto di Messina, in Atti della accademia nazionale dei Lincei, Rendiconti della classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, s. 8, 1961, vol. 30, pp. 155-162 (con F. Capozza); Applicazioni di geologia all’ingegneria sismica: le nuove norme edilizie italiane, in Bollettino della società geologica italiana, LXXXI (1962), 1, pp. 233-247; Fondazioni in aree franose e in zone sismiche, in Geotecnica, XI (1964), 2, pp. 78-91; Caratteristiche e fattori determinanti i danni sismici, in Giornale del genio civile, CIII (1965), 6-7, pp. 313-317. Effetti dell’alluvione del 26 ottobre 1954 nel Salernitano, in Geotecnica, I (1954), 6, pp. 245-258 (con R. Lupino - F. Capozza - F. Esu); Sull’aspetto sismico del problema statico delle dighe, in Geotecnica, IX (1962), 2, pp. 79-85; Lo studio geologico nella creazione dei laghi artificiali, ibid., 5, pp. 185-193; Tra i lavori in campo idraulico e sugli sbarramenti di ritenuta si citano: Relazione conclusiva della commissione di consulenza per lo studio della galleria di attraversamento del massiccio del Matese dell’acquedotto campano, Roma 1962 (con F. Capozza et al.). In campo geotermico, si segnalano: Temperature nel sottosuolo della regione flegrea, in Annali di geofisica, II (1949), 3, pp. 328-346; Sulle misure di temperatura nel traforo del Monte Bianco, in Atti della Accademia nazionale dei Lincei, Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, s. 8, 1959, vol. 26, pp. 731-737 (con S. Olivero); Sulle origini del vapore acqueo naturale e sull’attuale stato delle relative ricerche (ricerche per ‘forze endogene’), in La ricerca scientifica, XXIX (1959), 12, pp. 2520-2536; Sullo stato delle ricerche e dell’utilizzazione industriale (termoelettrica) del vapore acqueo sotterraneo nei vari paesi del mondo, in Atti della Accademia nazionale dei Lincei, Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, s. 8, 1962, vol. 32, pp. 451-466 (con G. Bartolucci). Fra i testi didattici: Lezioni di geologia applicata per gli allievi ingegneri civili e minerari, I-II, Roma 1947-1948 (con F. Falini - U. Ventriglia); Appunti delle lezioni di geologia tecnica. Frane e ‘movimenti franosi’, Roma 1956, integrato da un terzo fascicolo (Appendice II) pubblicato due anni dopo (Roma 1958).

Fonti e Bibl.: F. Esu Cugusi, Memorial to F. P. (1899-1965), in Bulletin of volcanology, XXIX (1965), 1, pp. 827-831; F. Ippolito, F. P. (1899-1965), in Memorie e note dell’Istituto di geologia applicata dell’Università di Napoli, IX (1965), pp. 80-82; G.B. Dal Piaz, Commemorazione del socio F. P., in Atti della Accademia nazionale dei Lincei, Rendiconti della classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, s. 8, 1966, vol. 41, pp. 586-596, con l’elenco delle opere; U. Ventriglia, Commemora-zione del Prof. F. P., in Bollettino della Società geologica italiana, LXXXVI (1967), 1, pp. 3-7; P., F., in Dizionario enciclopedico italiano, IX, Roma 1970, p. 214; T. Merlin, Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont, Milano 1983, pp. 89, 98, 104, 116, 119, 140, 142 s., 173 s.; E. Semenza, La storia del Vajont scritta dal geologo che ha scoperto la frana, Ferrara 2001, pp. 80 s., 105, 145 s., 160, 188, 215, 226 s., 251; G.B. Vai, Vajont, 1963. Cinquanta anni dopo: cronaca, etica e scienza, in L’Italia dei disastri. Dati e riflessioni sull’impatto degli eventi naturali 1861-2013, a cura di E. Guidoboni - G. Valensise, Bologna 2013, pp. 43-72.

Si ringraziano Maurizio Barbieri, Marcello Bernabini, Carlo Doglioni e Giuseppe Sappa per le informazioni sulla vita e sull’attività scientifica del personaggio. La voce è stata redatta con la collaborazione di Marco Pantaloni.

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