PESARO, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PESARO, Francesco

Giuseppe Gullino

PESARO, Francesco. – Nacque a Venezia il 4 gennaio 1740 da Leonardo di Antonio, del ramo a S. Stae, e dalla seconda moglie, Chiara Vendramin Calergi di Nicolò. La famiglia era ricca, tuttavia le spese sostenute per la costruzione dell’immenso palazzo, tuttora esistente sul Canal Grande, ne avevano minato la solidità patrimoniale.

Appena ventenne accompagnò a Napoli il futuro doge Alvise IV Mocenigo, in occasione dell’ascesa al trono di Ferdinando di Borbone (missione prolungatasi con una lunga permanenza a Roma nel 1761), quindi venne eletto savio agli Ordini per il semestre aprile-ottobre 1765, incarico che gli fu confermato il 21 dicembre di quell’anno.

Dal 2 marzo 1766 al 2 marzo 1772 fu ininterrottamente provveditore sopra Banchi, cui sommò il saviato di Terraferma per il primo semestre degli anni 1767-76. In tale veste, nel 1771 propose in Senato la creazione di una Deputazione straordinaria alle arti per riformare il sistema corporativo, ma il progetto non trovò attuazione; stessa sorte conobbe un’altra sua proposta del 1775, volta a istituire una Conferenza dei deputati e aggiunti alla provvision del danaro e dei savi cassieri, che avrebbe dovuto procedere alla revisione del farraginoso sistema finanziario della Repubblica.

Forse anche per affossare i lavori della commissione, il 26 maggio 1775 Pesaro fu eletto ambasciatore a Madrid. Partì un anno dopo, nel maggio 1776; la missione non presentava particolari difficoltà, a eccezione di una spinosa questione commerciale che imponeva la quarantena ai legni veneti. Pesaro riuscì a venirne a capo e il successo gli valse, il 5 marzo 1781, l’elezione a procuratore di S. Marco de Citra.

Gran parte della legazione venne però assorbita dall’insurrezione delle colonie inglesi in America che, nel 1778, vide le corti borboniche di Parigi e Madrid intervenire a fianco degli insorti; donde l’attenzione di Pesaro per un conflitto che toccava anche le isole Baleari e Gibilterra, con inevitabili ripercussioni sul commercio veneziano.

Ma se il diplomatico poté vantare un bilancio positivo della sua azione, per l’uomo Pesaro la permanenza madrilena comportò gravi angustie, ascrivibili ai debiti contratti al tavolo da gioco, dove emersero la leggerezza e l’impulsività del suo carattere. Queste vicende sono note grazie alla corrispondenza tenuta con Elena Mocenigo Soranzo, non è chiaro fino a che punto in veste di amica o di amante (il carteggio è studiato in Perini, 1995).

Nonostante le difficoltà finanziarie, Pesaro avrebbe desiderato far seguire l’ambasceria parigina a quella madrilena, ma la famiglia si oppose, per cui, nel gennaio 1781, lasciò la Spagna alla volta di Venezia, dove a ottobre entrò savio del Consiglio, in pratica nel novero dei responsabili della politica estera della Serenissima.

In realtà, il suo maggior impegno si risolse nell’occuparsi, unitamente con Giovanni Grimani, della visita dei conti del Nord, ossia del futuro zar Paolo Romanov e della moglie Sofia Dorotea, che soggiornarono a Venezia nel gennaio 1782, al fine di instaurare regolari rapporti diplomatici fra la Serenissima e la Russia. Gli anni che seguirono furono scanditi da un incessante susseguirsi di incarichi politici in varie magistrature (deputato alla provvision del Danaro, inquisitore sopra Ori e monete, savio all’Eresia, provveditore alle Beccarie, savio alla Mercanzia, sopraintendente alla camera dei Confini e altre ancora).

Dopo aver fatto innalzare, il 15 aprile 1784, un pallone aerostatico sul bacino di S. Marco, in onore dei nuovi tempi, Pesaro appoggiò con forza la spedizione a Tunisi di Angelo Emo, iniziata nel giugno di quell’anno. Sarebbe stato un lungo conflitto, iniziato sotto felici auspici, ma poi destinato a tradursi in un pesante discapito economico e finanziario.

La Repubblica non era più in grado di uscire dal suo paralizzante immobilismo e sostenere le velleitarie iniziative di Pesaro, che riscosse invece maggior successo in un settore più consono al crepuscolo della Serenissima, quello culturale. Buon conoscitore delle letterature classiche, il 13 agosto 1786 fu eletto bibliotecario della Marciana per un triennio e poi ancora dal 1793 al 1796; affiancò inoltre a tale incarico quello di riformatore dell’Università di Padova, ossia di responsabile della cultura veneta, cui venne eletto il 10 maggio 1787 per un biennio, e successivamente dal 23 luglio 1791 al 1793 e poi dal 20 agosto 1795 sino alla caduta della Repubblica.

Nomine prestigiose, ma prive di incidenza sulla politica attiva; analogamente gli furono appoggiate ambascerie di mera rappresentanza, per l’incoronazione del nuovo sovrano di Spagna, Carlo IV, nel 1789 e dell’imperatore Leopoldo II nel 1790 e del suo successore Francesco II nel 1792; ancora, il 19 marzo 1791 fu incaricato di accompagnare l’imperatore Leopoldo in visita a Venezia con i figli, assieme con il re delle Due Sicilie, Ferdinando IV e alla consorte Maria Carolina.

Il clima di timore e incertezza seguito allo scoppio della Rivoluzione francese ripropose la personalità di Pesaro, che rientrò a far parte dei Savi del Consiglio dal 1791 al 1796, sempre per il semestre ottobre-marzo dell’anno successivo.

Gli eventi precipitarono nell’estate del 1796; in ottobre fu incaricato di trattare con l’ambasciatore francese Jean-Baptiste Lallement un accordo onde appianare i contrasti con Bonaparte. Convinto antifrancese, Pesaro non si dimostrò la persona più adatta, ma, nonostante l’insuccesso, il 15 marzo 1797 il Senato lo inviò ancora da Bonaparte, a Gorizia, assieme con Giovan Battista Corner, in un estremo tentativo di evitare la catastrofe. Fu un nuovo fallimento; di fronte alle inaccettabili condizioni poste dal generale, Pesaro propose l’uso della forza contro l’invasore. Di fronte alla perdurante inerzia del governo, e non sentendosi più sicuro in patria, il primo maggio 1797 si imbarcò di notte sulla nave del nipote Leonardo Correr, alla volta di Fiume. Qui si fermò quasi un mese, meditando di riparare in Russia, ma poi optò per Vienna, dove si erano rifugiati altri patrizi veneziani dopo la caduta della Repubblica (12 maggio 1797).

Presso la corte asburgica Pesaro godeva della protezione del barone Thugut; fu lui, il 20 gennaio 1799, a nominarlo commissario straordinario per la riorganizzazione amministrativa di quella che ormai era divenuta una provincia asburgica.

Giunse nella sua città il 3 febbraio, ma non ebbe il tempo di porsi concretamente all’opera: morì il 25 marzo 1799 per un’infezione polmonare di probabile origine malarica. È sepolto a Venezia, nella chiesa di S. Maria Mater Domini.

Fu uomo dalla personalità complessa, contradditoria e velleitaria (nelle sue memorie, il vecchio segretario del Senato, Giuseppe Giacomazzi, lo definì «vano e leggero»), ambiguo nella sua cultura umiliata dal vizio del gioco e instabile politicamente: né vero riformatore, né deciso reazionario.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii, VI, p. 88; Archivio Pesaro, b. 2, f. 74; sulla corrispondenza di Pesaro, Archivio Gradenigo rio Marin, bb. 283, 286, 300, 309, 311, 316-318, 341 (di particolare interesse l’epistolario con i fratelli, b. 320, f. I); Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Cicogna, 3426/25: Fascicolo intorno al senatore F. P. (si tratta di un curriculum vitae, con una Aggiunta storico inedita che serve ad illustrare le glorie singolari di S.E. Francesco Pesaro, Venezia 1799).

M. Zorzi, La Libreria di San Marco. Libri, lettori, società nella Venezia dei dogi, Milano 1987, pp. 295-298, 306-318, 557 s.; M. Gottardi, L’Austria a Venezia. Società ed istituzioni nella prima dominazione austriaca 1798-1806, Milano 1993, pp. 25, 31-40; L. Perini, Per la biografia di F. P. (1740-1799), in Archivio Veneto, s. 5, 1995, vol. 145, 180, pp. 65-98, in partic. pp. 76-86; R. Bratti, La fine della Serenissima, Venezia 1998, pp. 44, 97, 131, 163 s., 167 s., 175, 209, 217; M. Favetta, Le vicende degli ultimi Pesaro dal Caro e la vendita del loro palazzo a San Stae, in Studi veneziani, n.s., LXI (2010), pp. 457-464.

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