RONCATI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

RONCATI, Francesco

Elisa Montanari

– Nacque a Spilamberto, vicino a Modena, il 9 giugno 1832, secondogenito di Gaetano e di Domenica Bergonzini, entrambi denominati possidenti nelle fonti.

Conseguita nel 1854 la laurea in medicina presso l’Università di Modena, iniziò a lavorare come assistente nell’ospedale della stessa città. L’impegno sul campo durante l’epidemia di colera scoppiata nel 1855 gli valse la stima e gli elogi del duca Francesco V, che lo premiò con una borsa di studio quadriennale. Desideroso di apprendere le lezioni dei più importanti clinici e fisiologi dell’epoca (tra cui Rudolf Virchow, Emil du Bois-Reymond e Friedrich Theodor von Frerichs), si recò dunque a Vienna, Praga, Dresda e Berlino.

Rientrato in Italia a cavallo dell’unificazione, approdò a Bologna, dove divenne collaboratore di Luigi Concato, titolare della cattedra di clinica medica dell’ateneo cittadino, nonché redattore dell’Ebdomadario clinico di Bologna. Sulle pagine di questa rivista, diretta dallo stesso Concato, Roncati pubblicò diversi scritti di dermatologia, oltre che di clinica, e un primo studio sull’urina che alcuni anni più tardi, ampliata e riveduta, divenne la monografia Sull’urina: nozioni e considerazioni cliniche (Bologna 1863), opera di successo tradotta anche in francese. Nel 1864, anno in cui diede alle stampe sempre a Bologna Indirizzo alla diagnosi delle malattie del polmone e del cuore – il suo lavoro più importante di clinica medica, che l’anno successivo ampliò e pubblicò con il nuovo titolo di Indirizzo alla diagnosi delle malattie del petto, del ventre e del sistema nervoso –, assunse la direzione delle sale dementi dell’ospedale S. Orsola: si trattava del primo ‘reparto psichiatrico’ sorto a Bologna nel lontano 1710 all’interno dell’ospedale generale.

Proveniente dall’università, entrò così a far parte della cosiddetta «seconda generazione di psichiatri» (Minuz, in Sanità, 1985, p. 113), quel gruppo di medici che, digiuni di formazione propriamente psichiatrica (pressoché inesistente, all’epoca, negli atenei italiani), nella metà degli anni Sessanta dell’Ottocento si trovarono comunque a dirigere i manicomi cittadini, utilizzando prevalentemente gli strumenti della clinica medica e dell’igiene.

Da quel momento l’impegno di Roncati nella nuova veste di ‘direttore psichiatra’ fu totale. Soprattutto si batté per il trasferimento dei ricoverati in altra sede: la nascita di un’istituzione manicomiale moderna, infatti, avrebbe permesso di chiudere quel vecchio reparto ormai inadeguato e, soprattutto, avrebbe risposto alle istanze della «nuova psichiatria» intesa come «scienza medica il cui scopo principale era una maggiore conoscenza e una migliore cura delle malattie mentali» (Tagliavini, in Sanità, 1985, p. 87). Roncati cercò dunque il sostegno di Francesco Rizzoli, preside della facoltà di medicina e membro del Consiglio provinciale bolognese. Il rapporto di stima professionale che già da tempo li legava si tradusse in «fattiva collaborazione» (p. 96).

Nella loro battaglia per il nuovo, i due professori incontrarono numerose resistenze, dovute prevalentemente a ragioni di carattere finanziario e burocratico. Ma quando, nel settembre del 1867, scoppiò un’epidemia di colera nelle sale del S. Orsola, Roncati, domandandosi ironicamente «sia benedetto il colera?» (Dall’Osso, 1956, p. 229), ruppe gli indugi e realizzò finalmente il trasferimento.

La sede fu individuata in un ex convento – che fu possibile riconvertire grazie a un decreto emanato dal ‘laicizzatore’ governatore dell’Emilia, Luigi Carlo Farini – sito in via S. Isaia 90. I lavori per trasformare l’edificio un tempo abitato dalle suore salesiane in manicomio vennero effettuati con i ricoverati già trasferiti, che anzi contribuirono a piene mani alla costruzione del ‘loro’ ospedale. Così aveva voluto Roncati, dando prova di un’originale e inedita applicazione dell’ergoterapia, o terapia del lavoro, la più efficace secondo i dettami dell’epoca. Il nuovo manicomio di Bologna venne inaugurato nel 1871. Fu l’inizio di una storia che durò oltre cento anni e di cui Roncati fu non solo iniziatore ma protagonista assoluto per i primi trenta e più. Nell’ambito della tecnica manicomiale mise a punto persino alcune ‘invenzioni’ (la finestra a T, la ‘chiave unica’ e una versione modificata della cosiddetta sedia di Rush) che vennero adottate anche da manicomi di altre città; uno su tutti, il S. Lazzaro di Reggio Emilia, istituto modello dell’epoca. Inoltre, apportò alcuni cambiamenti al modello della cartella clinica dei ricoverati, al fine di sollecitare una maggiore osservazione dell’evoluzione della malattia in rapporto alla permanenza in manicomio (Montanari, 2015, p. 15).

Roncati affiancò all’attività di medico psichiatra e direttore del manicomio anche la docenza universitaria presso l’ateneo bolognese, dove fin dal 1867 tenne la cattedra di igiene e medicina legale, che comprendeva l’insegnamento di clinica delle alienazioni mentali. Quando, nel 1888, tale insegnamento venne scorporato assumendo la denominazione di psichiatria e clinica psichiatrica, Roncati si vide affidata anche la cattedra di psichiatria, che conservò fino al 1905. Fu inoltre preside della facoltà di medicina (1894-96 e 1899-1902), nonché prorettore nell’anno accademico 1895-96.

Che Roncati abbia rappresentato la psichiatria a Bologna per tutta la seconda metà dell’Ottocento costituisce di fatto un’anomalia nel panorama nazionale: nella maggior parte dei manicomi italiani, infatti, i direttori si avvicendavano più frequentemente, favorendo la circolazione di nuove idee e orientamenti diversi. La «lunga egemonia» di Roncati, invece, fece sì che, nel suo sviluppo, la psichiatria a Bologna fosse soprattutto attenta al concreto funzionamento del manicomio e poco ricettiva ai grandi dibattiti che avvenivano a livello nazionale (Tagliavini, in Sanità, 1985, p. 87). Va detto infatti che egli si limitò a presenziare all’atto di fondazione della Società di freniatria (avvenuto nel 1874), ma non partecipò ai convegni successivi. Fu protagonista attivo sulla scena, citato anche da colleghi più famosi (quali Andrea Verga e Cesare Lombroso), quando, a cavallo dell’unificazione, si trattò di costruire i ‘nuovi’ manicomi e di incanalare la nascente psichiatria italiana nel solco della tradizione medica; rimase invece ai margini nei decenni successivi, quando gli psichiatri italiani dibatterono per connotare più specificamente la loro disciplina. Si può dunque affermare che Roncati incarnò fino alla fine la figura del «medico con una solida cultura da igienista» (Giacanelli - Bellagamba Toschi - Nicoli, in Sanità, 1985, p. 42), sempre attento all’organizzazione e al buon andamento del manicomio.

È una caratteristica, questa, che si rispecchia anche nella sua produzione scientifica. Come si è detto, infatti, Roncati scrisse le monografie più importanti nell’ambito della clinica medica. Un altro suo lavoro di rilievo è il Compendio d’igiene per uso dei medici, pubblicato a Napoli nel 1887, dove, dopo aver elencato le norme igieniche da seguire per la costruzione degli ospedali generali, affrontava la questione particolare dei manicomi. In ambito squisitamente psichiatrico, invece, la sua produzione è limitata alle sole voci Mania e Monomania redatte nel 1878 per l’Enciclopedia medica Vallardi (s. 2, II, Milano, s.v.). A queste si aggiunga una serie di appunti raccolti da uno studente nel corso delle lezioni di psichiatria: appunti mancanti di data, ma riconducibili agli ultimi anni dell’Ottocento e particolarmente preziosi perché consentono di conoscere il pensiero psichiatrico di Roncati in assenza di sue specifiche pubblicazioni.

Di fede socialista, individuò nella miseria, e nei patimenti fisici e morali che ne derivano – espressione questa che ricorre spesso nelle cartelle cliniche degli internati del manicomio da lui diretto (Montanari, 2015, pp. 21-38) – la ‘causa prima’ di molte forme di pazzia: secondo la sua esperienza, infatti, la malnutrizione, le pessime condizioni igieniche in cui i ceti popolari vivevano e fattori sociali quali gli squilibri economici conducevano in manicomio la maggior parte della popolazione povera, e in particolare contadina.

Nelle sue lezioni trattò diffusamente di alcuni temi tipici della psichiatria dell’epoca, tra cui il rapporto tra follia e civiltà – in relazione a un maggior dispendio di energia cerebrale e a un inasprimento della lotta per la sopravvivenza – e il comportamento sessuale, in quanto parte fondamentale della vita ‘morale’, ossia psicologica, dell’individuo. Dello psichiatra tedesco Richard von Krafft-Ebing (che nel 1886 pubblicò il fortunatissimo Psychopathia sexualis, tradotto in italiano tre anni più tardi) fece sua, oltre che l’analisi delle psicopatie sessuali, anche la classificazione delle malattie mentali. Come la maggior parte dei colleghi italiani, preferì Krafft-Ebing a Emil Kraepelin, il quale, sempre dalla Germania, esortava a utilizzare in psichiatria il metodo clinico, proponendo anche una classificazione delle malattie mentali proprio su base clinica (Babini, 2009, pp. 20-32). Va quindi osservato che nell’indirizzare i suoi studenti verso un metodo che tenesse conto di tutte le condizioni dell’organismo, Roncati si riferiva ancora una volta alla clinica medica, e non alla ‘nuova’ clinica psichiatrica.

Inoltre, da osservatore e critico attento dei suoi tempi, non mancò di considerare la decadenza della moralità come causa fondamentale della difficile situazione italiana di fine Ottocento. A questo tema dedicò la prolusione accademica La decadenza della moralità ed il contagio morale (Bologna 1895) in cui affermò che solamente l’impiego di un solido sistema etico-educativo avrebbe potuto arginare la naturale immoralità degli esseri umani.

Non soltanto uomo di scienza e di istituzione, Roncati incarnò anche la figura del benefattore filantropo, sempre attento ai bisogni dei più poveri e sfortunati (fu presidente della Società di patronato ai bisognosi convalescenti o guariti di pazzie, istituita a Bologna fin dal 1870). Per questo riuscì a guadagnarsi un posto d’eccezione nel cuore della città, dei bolognesi tutti, tanto che leggenda vuole che al suo funerale una donna esclamasse in dialetto «L’è môrt al Dío ed puvrétt» (è morto il Dio dei poveretti).

Morì a Bologna il 14 settembre 1906, all’età di 74 anni.

Roncati non si sposò, né ebbe figli: lasciò dunque alla Provincia il suo cospicuo patrimonio, con l’intento di giovare ai pazzi poveri ricoverati nel manicomio bolognese, cui di fatto aveva dedicato la sua vita.

Un mese più tardi, il 13 ottobre, gli fu intitolato il manicomio da lui fondato e a lungo diretto.

Fonti e Bibl.: Le notizie anagrafiche e familiari sono conservate presso il Polo archivistico storico Unione Terre di Castelli con sede a Vignola (Modena), www.auris.it/polo-archivistico-storico/ (2 marzo 2017).

F. Roncati, Ragioni e modi di costruzione ed ordinamento del manicomio provinciale di Bologna, Bologna 1891; Id., Psichiatria. Appunti presi alle lezioni del Prof. R. per Angelo Bazzocchi, Bologna s.d. [ma 1900 circa]; G. Peli, In memoria di F. R. Necrologia letta alla Società medico-chirurgica di Bologna nell’adunanza del 9 novembre 1906, Bologna 1906; E. Dall’Osso, La costituzione in Bologna dell’Ospedale Psichiatrico R., in Bullettino delle scienze mediche, 1956, vol. 128, n. 3, pp. 207-239 (vi sono anche riportate le lettere che Roncati scrisse a Rizzoli nel periodo del trasferimento dal S. Orsola a S. Isaia); A. Andreoli, F. R., in Strenna storica bolognese, XII (1962), pp. 7-13; V.P. Babini et al., Tra sapere e potere. La psichiatria italiana nella seconda metà dell’Ottocento, Bologna 1982, pp. 27-134; Sanità, scienza e storia, 1985, n. 1 (in partic. F. Giacanelli - K. Bellagamba Toschi - M.A. Nicoli, La costituzione del manicomio di Bologna: 1860-1870, pp. 9-62; A. Tagliavini, F. R., direttore del manicomio, pp. 85-107; F. Minuz, Le sedi di apprendimento della pratica psichiatrica. Psichiatria nazionale e psichiatria negli stati pontifici, pp. 109-138); F. Martelli, Considerazioni storiche su F. R. e sull’evoluzione degli studi psichiatrici nell’Ateneo bolognese, in Strenna storica bolognese, XLIII (1993), pp. 273-293; V.P. Babini, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Bologna 2009, pp. 9-32; E. Montanari, Sant’Isaia 90. Cent’anni di follia a Bologna, Bologna 2015, pp. 11-52.

TAG

Friedrich theodor von frerichs

Richard von krafft-ebing

Emil du bois-reymond

Luigi carlo farini

Roncati, francesco