ZABARELLA, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

ZABARELLA, Francesco

Chiara Maria Valsecchi

– Nacque a Padova il 10 agosto 1360, primogenito di Bartolomeo, detto il Nero, originario di Piove di Sacco. Lo seguirono l’unico fratello maschio, Andrea, e le sorelle Caterina e Antonia. Dubbia invece l’identità della madre: il nome Laura da Prata, indicato da Gaspero Zonta (1915) senza alcun riscontro (p. 3), non trova conferme documentali né storiografiche. La famiglia, alquanto ramificata, era indubbiamente agiata e godeva di un solido prestigio sociale.

Dopo i consueti studi di grammatica, Zabarella si dedicò per almeno un biennio all’approfondimento di retorica, logica e filosofia morale, per poi indirizzarsi al diritto, sotto la guida del vescovo Antonio Naseri, del quale ricordò l’«excellentia summi viri in scientia canonica et in primo anno doctoratus mei» (Francisci Zabarellae Consilia, Venetiis 1581, cons. 90, c. 83v). Iniziò quindi gli studi giuridici presso lo Studio, come attesta anche l’incarico di prepositus presso il collegio Tornacense almeno dal settembre del 1378 (Mantovani, 2015, p. 70). Nel successivo anno accademico, tuttavia, si trasferì a Bologna, attratto probabilmente dalla presenza del grande canonista Giovanni da Legnano, del quale fu infatti allievo affezionato. Qui udì le lezioni anche di Lorenzo del Pino e di Andrea di San Girolamo e si trattenne fino alla licenza in diritto canonico, ottenuta il 27 maggio 1382.

Subito dopo, forse già all’inizio del 1383, lasciò Bologna per Firenze, dove completò gli studi civilistici e si laureò in utroque iure nel 1385, iniziando contestualmente la carriera accademica ed ecclesiastica.

Secondo un iter consueto, infatti, ancora prima del dottorato gli furono affidati i corsi canonistici minori (dedicati al Liber Sextus e alle Clementine); nello stesso anno 1385 divenne vicario del vescovo Angelo Acciaiuoli e fu eletto pievano di S. Maria all’Impruneta. L’elezione fu confermata dal pontefice, Urbano VI, anche grazie alle lettere, inviate a nome della Repubblica fiorentina dal cancelliere Coluccio Salutati, che esaltavano la sua cultura e le sue virtù morali («vitam innocentissimus», «conversationem mitis et affabilis», «mores singularis exempli cunctis», e così via: Casotti, 1714, II, pp. 155-158; Vedova, 1829, pp. 120-123). Zabarella conservò il beneficio per oltre un ventennio, fino alla creazione cardinalizia.

I fiorentini lo avrebbero voluto vescovo e il capitolo si espresse a suo favore, ma, forse per la giovane età, il papa gli preferì un altro padovano, Bartolomeo Giuliari (de Iuliariis, de Oliariis; francescano, già vescovo di Ancona), del quale Francesco fu dunque nuovamente vicario. L’anno seguente passò alla più prestigiosa cattedra ordinaria mattutina di Decretales.

Ai primi del 1391, probabilmente chiamato da Francesco Novello da Carrara, che aveva da poco riconquistato la signoria e che lo aveva conosciuto durante i mesi dell’esilio fiorentino, Zabarella tornò a insegnare nella città natale, affiancando il celebre Pietro d’Ancarano nella lettura mattutina sulle Decretales. Ricoprì quel ruolo per quasi vent’anni, fino al 1410, rifiutando gli inviti provenienti da altre sedi universitarie, come la stessa Firenze o Vienna.

A Padova, come già a Firenze, godette di uno straordinario gradimento tra gli allievi, tra i quali si annoverano personaggi destinati a loro volta alla cattedra, giuristi pratici e chierici di provincia, italiani e stranieri, nonché alcuni giovani parenti, verso i quali fu ospite generoso e sostegno negli studi e nella carriera ecclesiastica.

Vanno menzionati tra gli altri Niccolò Tedeschi, addottoratosi nel 1411 (Nicolai abbas Panormitani Commentaria super prima parte secundi libri Decretalium, Venetiis 1577, Proemium, n. 1, c. 2r), Pietro e Giacomo Alvarotti, Prosdocimo Conti, Giovanni Francesco Capodilista, Giovanni Ubaldini, Pietro e Fantino Dandolo, nonché l’olandese Arnold van Gheylhoven, il tirolese Heinrich Fleckel, il tedesco Heinrich Neithart, Marino e Pietro Zabarella.

Un rapporto di discepolato, ma ancora più di collaborazione e di amicizia lo legò a Pier Paolo Vergerio senior, con il quale poté coltivare gli interessi umanistici per la letteratura, a cominciare dal venerato Francesco Petrarca, per l’antichità e per la retorica classica (Cicerone su tutti). I due redassero a quattro mani il trattato De re metrica ed erano insieme quando Zabarella scrisse (e dedicò all’amico) anche i tre libri De felicitate, conservatisi in un unico esemplare, sulla base del quale, a metà del Seicento, il discendente Giacomo Zabarella curò un’edizione a stampa (Francisci Zabarellae De felicitate libri tres, Patavii 1655).

La riflessione sulle diverse vie per conseguire la felicità, secondo la diretta testimonianza dell’autore e del dedicatario, nacque in un contesto particolare, allorché i due intellettuali, tra l’estate e l’autunno del 1400, furono ospiti dell’abbazia benedettina di Praglia, dove si erano rifugiati per sfuggire alla peste che affliggeva Padova, ritardando di oltre un mese il regolare inizio delle lezioni accademiche. Su questa situazione, Zabarella scrisse anche un’ampia riflessione, costituente quasi un trattato (An fugienda sit pestilentia), in una lettera indirizzata al fiorentino Antonio di Chello sostenendo, in replica alle critiche di quest’ultimo, le ragioni di chi lascia la città per la campagna senza sfidare la malattia.

Egli tenne strette relazioni di amicizia e una fitta corrispondenza con numerosi personaggi degli ambienti umanistici, specie fiorentini, come Coluccio Salutati, il figlio Leonardo e molti altri. Inoltre, mise spesso le sue brillanti doti di oratore a servizio degli ambienti universitari, pronunciando oltre un centinaio tra collationes ‘in principio Studii’ e sermoni per presentare candidati alla laurea, commemorare studenti o colleghi defunti, celebrare eventi e occasioni solenni, sui quali egli stesso lasciò preziose notizie autobiografiche (si leggono in vari manoscritti, e in particolare nel codice Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, ms. 5513, cc. 88r-216r, su cui da ultimo i contributi di Giovanna Murano e di Clémence Revest, in Diritto, Chiesa e cultura, 2020).

I frutti del lungo magistero si tradussero soprattutto in opere esegetiche e didattiche: commentari alle compilazioni canoniche, Repetitiones, Quaestiones.

Il corposissimo commento ai cinque libri delle Decretales di Gregorio IX è trasmesso da una significativa tradizione manoscritta e da plurime edizioni, sia pure parzialmente incomplete; l’analogo lavoro dedicato alle Clementinae fu edito già nel 1469, con quasi venti ristampe fino ai primi del XVII secolo. Fu stampata nel Seicento anche una ricca repetitio al capitolo Perpendimus (X, 5.39.23) in materia di scomunica; una seconda ai primi del Novecento (V.O. Ludwig, Ein neuaufgefundener Traktat Franz Zabarellas De horis canonicis, in Jahrbuch des Stiftes Klosterneuburg, III, 1910, pp. 139-178), mentre rimangono tutt’ora inedite altre repetitiones e alcune quaestiones.

La cura per la didattica è documentata dal singolare trattato De ordine docendi et discendi, interamente dedicato a una riflessione sui modi di trasmissione del sapere, specie giuridico, nell’alveo dell’interesse umanistico per il perfezionamento morale e intellettuale dell’uomo. Originariamente concepito quale chiusura del lavoro sulle Decretales (e dell’intera carriera di professore, poiché fu scritto nel 1410), circolò in forma autonoma, essendo stato omesso dalle edizioni del Commentario.

Accolto immediatamente (27 settembre 1391) nel collegio padovano dei giudici, Zabarella svolse anche incarichi giurisdizionali: fu giudice e consiliator delle magistrature cittadine e pronunciò numerose sentenze quale delegato del pontefice, nonché arbitrati, sia in ambito civile sia canonico.

Prestò spesso la sua sapienza giuridica come consulente anche a committenti privati, più o meno illustri (i monaci di Monte Oliveto Maggiore, il cardinale Pileo da Prata, del quale fu anche esecutore testamentario, gli eredi di Petrarca, Santo de Pellegrini). Molti suoi consilia vennero riuniti in una raccolta che giunse manoscritta nelle mani di Felino Sandei e per suo tramite arrivò alla stampa per la prima volta a Pescia nel 1490 (con ulteriori edizioni cinquecentine); se ne conservano però altri, rimasti in forma manoscritta.

Divenuto già da alcuni anni membro del capitolo, il 18 marzo 1397 fu eletto a larghissima maggioranza arciprete della cattedrale di Padova, benché non avesse ancora ricevuto gli ordini maggiori, cui pare non sia mai giunto. In tale veste fu promotore di cultura e arte e come tale cantato in due mottetti da Johannes Ciconia (Lovato, in Diritto, Chiesa e cultura, 2020).

Sul finire dello stesso anno 1397, si recò con Nicolò Lazara e Pier Paolo Vergerio a Roma, ove il 15 dicembre tenne una lunga repetitio canonistica. A convocarlo era stato probabilmente Bonifacio IX, che sperava di ottenerne un parere favorevole nella questione dello scisma che lacerava la Chiesa da quasi un decennio; Zabarella non ritenne però ancora di pronunciarsi e, forse per questo, secondo alcune ipotesi, tornò in patria senza la promozione che i suoi estimatori si attendevano (Girgensohn, 1993-1994, pp. 12 s.).

Zabarella mantenne un legame molto forte con Francesco Novello da Carrara e con la sua corte (lo provano tra l’altro gli elogi funebri per il padre, Francesco il Vecchio, e il figlio Niccolò): per suo conto svolse delicate ambascerie. Particolarmente importante fu la missione a Parigi, per chiedere l’appoggio di Carlo VI nella guerra contro i veneziani, tra il dicembre del 1404 e il febbraio dell’anno seguente. Nonostante l’abilità oratoria di Zabarella, la missione non ebbe esito felice e la situazione in pochi mesi volse al peggio. Nell’estate del 1405, l’incertezza politica e una recrudescenza della peste indussero Francesco a lasciare la città rifugiandosi a Cittadella.

Morì in quel periodo il fratello Andrea, lasciando orfano il figlio Bartolomeo (v. la voce in questo Dizionario) di cui lo zio divenne rector e amministratore, accogliendolo nella propria casa.

Arresasi Padova all’assedio veneziano, il 3 gennaio 1406 Zabarella fu il portavoce della delegazione chiamata a compiere il solenne atto di dedizione e in tale veste, in una gelida ma affollata piazza S. Marco, tenne un complesso e dotto discorso pubblico, che costituisce un unicum nella sua produzione letteraria, perché scritto e pronunciato in lingua volgare.

Nonostante la pregressa vicinanza ai Carraresi, godette di grande credito anche presso la Serenissima, che già nell’agosto del 1406 si avvalse della sua consulenza in una trattativa con Genova. Le proteste degli studenti padovani, per la prevedibile lunga assenza dello stimato docente, indussero a dispensarlo da un analogo incarico nel febbraio del 1408; altri tuttavia gliene furono affidati in seguito.

Anche negli ambienti ecclesiali padovani ebbe salda e duratura stima: gli fu attribuito nel 1407 un canonicato nella chiesa parrocchiale di Piove di Sacco, dove la famiglia possedeva numerosi beni e dove ancora risiedevano diversi membri, e nello stesso anno ebbe in commenda la chiesa di S. Giovanni di Verdara. Nel 1409, il clero cittadino lo elesse vescovo, tributandogli aperte lodi. La scelta, forse dettata anche da un intento sovversivo nei confronti della Repubblica, che voleva in quel ruolo soltanto patrizi veneziani, non trovò tuttavia l’avallo papale. Ancora una volta, oltre al peso politico di Venezia, sulla mancata promozione incise la questione dello scisma, in questo caso tuttavia non per il silenzio, ma al contrario per le opinioni espresse da Zabarella, che del delicatissimo tema aveva cominciato a occuparsi, sotto il profilo teorico-giuridico, dal 30 dicembre 1402. A tale data risaliva la sottoscrizione di un consilium (indirizzato a una «Eccellenza» a tutt’oggi non identificata: per aggiornate ipotesi, Delivré, in Diritto, Chiesa e cultura, 2020, pp. 22 s.), che costituisce il nucleo iniziale di un ampio testo, più volte rimaneggiato negli anni.

Una seconda stesura del parere fu inserita nella raccolta dei Consilia e con essi stampata (Francisci Zabarellae Consilia, Venetiis 1581, cons. 150, cc. 154r-156v); il testo assunse poi (1408-09) la diversa e più articolata forma della repetitio sul capitolo Licet de vitanda del Liber Extra (X, 1.6.6), e fu infine incorporato nel Commentario. Per la ricchezza e l’originalità, la riflessione di Zabarella ottenne ben presto grande diffusione anche in veste autonoma di trattato, circolato tuttavia in versioni diverse e con lacune, che a lungo hanno reso difficile una ricostruzione affidabile del suo pensiero in materia (si pensi per esempio ai netti giudizi espressi da Pastor, 1958, pp. 195 s.).

Obiettivo essenziale per Zabarella era la riunificazione della Chiesa, e la sua azione, oltre che la sua riflessione, fu una costante ricerca dei possibili ‘modi’ per giungere all’auspicato e indefettibile esito. Sul piano teorico, l’autorità del pontefice non fu posta in dubbio dal canonista padovano, che anzi la difese, anche in rapporto alla potestà imperiale, in discorsi pubblici, come quello tenuto di fronte a Bonifacio IX per incarico di Francesco Novello da Carrara nel 1398. Solo gradualmente, di fronte al perdurare e all’inasprirsi della frattura, giunse ad attribuire apertamente la potestà universale a un concilio, la cui convocazione sarebbe spettata in primo luogo agli stessi papi contendenti, ma in caso di rifiuto – ed è uno dei punti più discussi e delicati della sua tesi – anche ai cardinali e, in ultima istanza, all’imperatore.

Egli si orientò in tal senso dal 1408, allorché i Collegi cardinalizi di Gregorio XII e Benedetto XII, pur senza l’avallo dei rispettivi pontefici, convocarono un concilio generale che si svolse a Pisa tra primavera ed estate del 1409. Alla decisione Zabarella diede il suo appoggio dottrinale attraverso il trattato, che proprio in quel periodo venne ampliato e arricchito di argomenti, e forse con altri scritti (Deutsche Reichstagsakten..., a cura di J. Weizsäcker, 1956, pp. 515-518, n. 298; Delivré, in Diritto, Chiesa e cultura, 2020, pp. 48 s.). L’esito fu tuttavia tutt’altro che risolutivo poiché, come noto, l’elezione di Alessandro V non fu accompagnata dalla rinuncia dei due papi deposti.

L’anno seguente, deceduto Alessandro V e salito al soglio romano Baldassarre Cossa, Giovanni XXIII, che da tempo conosceva e stimava Zabarella, giunse per lui la nomina a vescovo di Firenze (18 luglio 1410). Regolati i propri affari e redatto testamento (28 dicembre), Francesco prese possesso della diocesi l’8 febbraio 1411.

L’esperienza durò però solo pochi mesi, poiché il 5 giugno 1411, ricevuta la porpora cardinalizia, rinunciò all’episcopato per il nuovo ruolo, nel quale subito si distinse. Il 26 giugno prese parte a Roma al concistoro che gli attribuì, con la parola e il voto in collegio, il titolo di diacono dei Ss. Cosma e Damiano al Foro romano. Nel 1413 partecipò in febbraio al Concilio di Roma, pronunciandosi contro le dottrine di John Wyclif, e fu poi inviato, con Antoine Challant e Manuele Crisolora, a Como, presso l’imperatore eletto Sigismondo, con pieni poteri decisionali circa tempo e luogo di un nuovo concilio; una seconda missione si svolse nel marzo dell’anno seguente. Scelta la città di Costanza e la data del 1° novembre, ivi Zabarella fu attivamente presente già dall’ottobre del 1414.

Con un intensissimo lavoro diplomatico, svolto non senza contrasti e tensioni negli anni successivi, fu indubbiamente tra gli artefici delle risoluzioni e dei decreti che portarono, l’11 novembre 1417, all’elezione papale di Oddone Colonna, con il nome di Martino V.

Morì a Costanza, domenica 26 settembre 1417, senza poter cogliere i frutti della sua dedizione, che secondo alcune testimonianze lo avrebbe potuto condurre addirittura al soglio pontificio.

Durante i solenni funerali, Poggio Bracciolini fu incaricato di pronunciarne l’elogio (Poggius Bracciolini, Opera omnia, I, Scripta in editione Basiliensi anno MDXXXVIII collata, a cura di R. Fubini, Torino 1964, pp. 252-261). Altri ne redigeranno Francesco Barbaro, Pietro Paolo Vergerio, Pietro Donato e Gasparino Barzizza (Epistole illustrium virorum post obitum Francisci Zabarellae Cardinalis Contantia Patavium missae, Patavii 1655). Il corpo fu poi traslato nella cattedrale di Padova, ove i nipoti fecero erigere un ricco monumento.

Fonti e Bibl.: Aula Zabarella, sive Elogia Illustrium Patavinorum Conditorisque Urbis. Ex Historiis Chronicisque collecta, Patavii 1670, pp. 138, 175-178; De augusta regiaque origine et nobilitate familiae Zabarellae ex Ioannis Cavaccia, Gasparis Scioppii Comitis a Claravalle, et aliorum clarissimorum virorum Commentariis deducta studio et opera Burchardi Brudersenii Brunsuicensis, Patavii 1670, pp. 197, 279, 557 s.; P.P. Vergerio, Epistolario, a cura di L. Smith, Roma 1934, pp. 362-378; Deutsche Reichstagsakten unter König Ruprecht: 1406-1410, III, 3, a cura di J. Weizsäcker, Gottingen 1956, pp. 515-518, n. 298.

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