JAMMES, Francis

Enciclopedia Italiana (1933)

JAMMES, Francis

Diego Valeri

Poeta francese, nato a Tournay (Alti Pirenei) il 2 dicembre 1868. Passò una parte della fanciullezza a Bordcaux, poi si stabilì a Orthez, piccola città del Béarn, che divenne, con la campagna circostante, tutto il suo mondo. La sua vita solitaria e operosa può essere divisa in due distinti periodi, segnati dal suo ritorno al cattolicismo nel 1905 (v. prefazione a Clairières dans le Ciel, 1906). Da quell'anno in poi J. ha rifiutato risolutamente tutto ciò che può contrastare alle leggi della Chiesa, che sono per lui la verità: "Tout ce qui est contraire a cette vérité est faux; donc laid en morale et en art". Ciò nonostante, la sua opera di poeta ha una continuità di spiriti e di forme evidentissima.

Dal primo volume di poesie De l'Angélus de l'aube à l'Angélus du soir (1898) a L'Antigyde ou Élie de Nacre (1932), specie di romanzo che, sotto la maschera della satira, piange l'irreparabile rovina di un'amicizia carissima (l'amico-nemico, come dice il titolo, è André Gide), J. non ha mai mutato stile né sensibilità: mutati, fino a un certo punto, sono soltanto i suoi temi e i suoi pensieri. Il naturismo sentimentale e quell'ambigua ingenuità d'anima che incantarono i lettori delle prime poesie e dei romanzetti di Clara d'Ellébeuse (1899) e di Almaïde d'Etremont (1901), si risentono anche nei versi e nei racconti ultimi, benché il poeta "convertito" rifugga, com'è ovvio, da quelle figurazioni di jeunes filles nues, onde si compiacque candidamente un tempo. Basti dire che se ne trova traccia perfino ne La divine Douleur (1928), che è un libro d'edificazione cristiana, dove pur s'insinuano immagini pagane, già care alla fantasia giovanile del poeta. I modi dell'espressione sono, anch'essi, immutati: J. scrive, oggi come ieri, avendo piena fiducia nella sua ispirazione, obbedendo, quasi senza controllo, all'amore che gli detta dentro; soltanto, poiché non ha più la sovrabbondanza interna di una volta, può parere più composto e corretto. La sua forza di poeta è sempre la stessa: la facoltà cioè di assumere direttamente dall'umile realtà che lo circonda le immagini che gli occorrono a esprimersi, e di versare in quelle immagini familiari una meraviglia e una gioia, manifeste, e una passione e una malinconia, segrete, in cui si rispecchiano la bellezza e il mistero della vita. Poeta di "cose", felice scopritore di "particolari", J. ha qualche somiglianza con il Pascoli. Egli ha segnato per sempre della sua impronta certi temi (interni provinciali, libri della fanciullezza, chiese rustiche, avventurose storie di zii e di prozii morti nelle isole del Tropico, asini e uccelli, fiori e frutti della campagna bascobearnese) e ne ha tratto una nuova poesia. L'opera sua ha esercitato un notevole influsso sui crepuscolari italiani, specie su Guido Gozzano.

Opere principali, oltre a quelle citate: Opere in poesia: Le Denil des Primevères, 1901; Le Triomphe de la vie, 1902; Les Géorgiques Chrétiennes, 1911; Le Poète rustique, 1920; Quatre livres de Quatrains, 1923-25 (voll. 4); Les Nuits qui me chantent, 1928. - Opere in prosa: Le roman du Lièvre, 1902 (nel quale sono comprese anche Clara d'Ellébeuse, Almaïde d'Etremont, Des choses, ecc.); Ma fille Bernadette, 1910; Le Rosaire au soleil, 1916; Leçons poétiques, 1930, ecc.

Bibl.: A. Gide, in Prétextes, Parigi 1905; E. Pilon, F. J. et le sentiment de la nature, Parigi 1908; A. de Bersancourt, F. J. poète chrétien, Parigi 1910; D. Valeri, in Poeti francesi del nostro tempo, Milano 1924; M. Arland, in Essai critiques, Parigi 1931; A. Guidetti, F. J., Torino 1931.

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