FRANCO, Battista, detto il Samolei

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)

FRANCO, Battista, detto il Samolei

Antonella Sacconi

Figlio di Iacopo, nacque a Venezia probabilmente intorno al 1510. Nella biografia che gli dedicò nelle Vite G. Vasari scrive che a vent'anni si stabilì a Roma dove cominciò a copiare dai contemporanei, soprattutto da Michelangelo. I primi anni furono dedicati al disegno, ma databile tra il 1535 e il 1536 è la piccola tavola con L'imperatore Augusto e la sibilla Tiberina, in collezione privata veneziana, che secondo Salvadori (1991, p. 148) è la prima opera pittorica del F. a noi nota.

Il Vasari fornisce notizie dettagliate sull'attività del F. negli anni 1536-37, periodo rispetto al quale rimangono poche opere del pittore veneziano.

Nel marzo 1536 partecipò, sotto la direzione di Antonio da Sangallo, all'allestimento dell'apparato per l'arrivo a Roma di Carlo V. Raffaello da Montelupo gli propose di eseguire quattro pannelli a fresco, contenenti le armi di Paolo III, Carlo V e scene tratte dalle guerre puniche, per decorare la porta Capena (oggi S. Sebastiano) attraverso la quale l'imperatore, il 5 aprile, sarebbe entrato in città. Il F., insieme con Baccio da Montelupo, si spostò quindi a Firenze, dove si stava allestendo l'apparato per l'arrivo, il 28 aprile, di Carlo V. Eseguì un piedistallo, probabilmente dipinto con una imitazione dall'antico, per la statua di Giasone, eretta dal Montorsoli. Sempre a Firenze lavorò agli apparati decorativi per le nozze del duca Alessandro de' Medici con Margherita d'Austria celebrate il 29 giugno 1536. Nello stesso periodo cominciò a studiare e a disegnare le statue di Michelangelo nella sagrestia nuova di S. Lorenzo. Venne in contatto con B. Ammannati e andò a vivere nella sua casa, ricorda sempre Vasari, insieme con Bartolomeo Genga da Urbino. Alla morte di Alessandro de' Medici (1537) il F., grazie all'interessamento del Vasari, entrò al servizio del duca Cosimo I: dipinse un grande quadro (andato perduto) con i Ritratti di Clemente VII, Ippolito de' Medicie ilduca Alessandro, i cui modelli furono presi rispettivamente da Sebastiano del Piombo, da Tiziano e dal Pontormo.

Nel 1537 il F. eseguì l'Allegoria della battaglia di Montemurlo (Firenze, Galleria Palatina); si può accostare a questo quadro un disegno a penna, attribuito al F. dal Voss (1920), che riproduce il gruppo dei due soldati in primo piano a sinistra (Oxford, Ashmolean Museum). Nello stesso anno, per il marchese Alfonso d'Avalos, realizzò il Noli me tangere (Firenze, Casa Buonarroti), tratto da un cartone di Michelangelo.

A questo periodo dovrebbe appartenere il quadro, ricordato da Vasari e andato perduto, raffigurante Tarquinio e Lucrezia; al 1537-40 la Deposizione di Cristo dalla croce (Lucca, Pinacoteca civica), già assegnata a Daniele da Volterra e attribuita al F. dal Voss (un disegno preparatorio è conservato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano). Alla fine degli anni Trenta sono inoltre da riferirsi la Caduta della manna per il duomo di Pisa e Il sogno della National Gallery di Londra.

Nel gennaio del 1539, in vista delle nozze del duca Cosimo I con Eleonora di Toledo, il F. fu coinvolto a Firenze nell'esecuzione dell'apparato decorativo: sotto la direzione di Ridolfo del Ghirlandaio, lavorò all'arco trionfale di porta al Prato, realizzando le Storie delle imprese di Giovanni de' Medici. Nello stesso anno fu condotto da Ridolfo al monastero della Madonna delle Vertighe a Monte San Savino, dove dipinse gli affreschi con la Vita di s. Giuseppe nel chiostro (Rearick, 1958-59, p. 110, estende la sua partecipazione ad altre parti della decorazione).

Tornato a Roma, fu profondamente colpito dal Giudizio universale di Michelangelo, scoperto nell'ottobre del 1541, opera dalla quale trasse diversi disegni. Intraprese la decorazione, distrutta insieme con l'edificio, del palazzo del cardinale Francesco Corner e, intorno al 1541-42, dipinse l'affresco con la Cattura del Battista nell'oratorio dei Fiorentini di S. Giovanni Decollato; il Vasari (p. 579) scrisse che l'opera era stata "fatta con stento grandissimo e d'una maniera cruda e malinconica".

Tramite il Genga passò poi ai servigi del duca di Urbino per dipingere, nel 1545, l'Assunzione della Vergine sulla volta della tribuna del duomo. Il F. si presentò al duca Guidobaldo II Della Rovere con alcuni disegni che questi approvò con grande entusiasmo. Nell'estate 1546 gli affreschi erano terminati (la volta è andata distrutta nel 1789). Un disegno, conservato al Louvre di Parigi e rappresentante la Madonna circondata da angeli, può essere riferito a questi affreschi (Rearick, 1958-59, p. 111). Il Vasari riferisce che, a lavori terminati, il "duca Guidobaldo, il Genga e tutti gl'altri" (p. 581) rimasero poco soddisfatti del risultato.

La Salvadori (1991) è propensa a collocare l'inizio dell'attività del F. come incisore tra il 1545 e il 1551 - anni che coincidono con il periodo marchigiano - anche se sottolinea che il F. aveva appresi i rudimenti di quell'arte a Roma, nella prima metà degli anni Quaranta.

La maggior parte delle incisioni del F. sembra appartenere all'ultimo periodo veneziano. In questa sua attività il F. attinse a due filoni principali: la pittura di scuola tosco-romana e la tradizione veneta. Usò la tecnica dell'acquaforte rinforzata spesso con il bulino. Le sue incisioni riproducono in gran parte soggetti sacri (Diluvio universale, Caduta della manna, Adorazione dei pastori, interessanti le incisioni raffiguranti gli affreschi di palazzo Te a Mantova, con le immagini rovesciate) ma anche temi tratti dall'antico.

Il F. fu anche un abile disegnatore di maioliche, prodotte tra il 1546 e il 1550 a Casteldurante (oggi Urbania) nelle Marche. Nella collezione privata di V. Sgarbi (Salvadori, 1992) è conservato un disegno con L'incontro tra Ettore ed Andromaca realizzato dal F. per un doppio servizio in maiolica commissionatogli da Guidobaldo. Molti dei disegni del F. per le maioliche ebbero come soggetto Episodi dalla guerra di Troia.

Al 1546 circa appartiene la pala, dipinta per la cappella di S. Omobono del duomo di Urbino, raffigurante la Madonna con il Bambino tra i ss. Pietro e Paolo, della quale esistono una tavola preparatoria nella collezione privata Sgarbi e un disegno agli Uffizi di Firenze. Nel 1547 eseguì la serie di quattordici piccoli pannelli con Scene della vita di Cristo e altri soggetti religiosi per il duomo di Osimo.

Il Vasari non ricorda questa tappa marchigiana del F., ma esiste un documento notarile, datato al 15 sett. 1547, consistente in un contratto, stipulato tra la Confraternita del S. Sacramento di Osimo e "Battistino de Franchis", per l'esecuzione di un quadro (Grumiero Salomoni, 1972, p. 240). Al periodo marchigiano può essere anche riferita una tavoletta con la Predica del Battista (Londra, collezione privata) della quale esistono alcuni disegni preparatori presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Tra il 1547 e il 1550 eseguì la pala d'altare con la Madonna, il Bambino e cinque santi per il duomo di Fabriano.

Nel gennaio 1548, in occasione delle nozze in Urbino del duca Guidobaldo con Vittoria Farnese, il F. ornò alcuni archi ordinati dal Genga. Nel 1550 risulta iscritto alla Compagnia di S. Luca (Parma Baudille, L'ultimo lavoro…, 1992, p. 183 n. 13). A Roma cominciò a raccogliere in un "gran Libro", molto apprezzato dal Vasari, i suoi studi dall'antico (Id., 1990, pp. 147 s.).

Non sappiamo se il F. sia riuscito a portare a termine il suo libro di disegni, ma diversi studi dall'antico furono inseriti nella cartella 33 della Biblioteca reale di Torino (inv. 14760), insieme con i fogli di Girolamo da Carpi e di altri autori. Tra i disegni che si trovano in questa cartella, sulla quale è riportato il titolo ottocentesco di Contrafazioni, dovrebbero essere del F.: Il ratto delle Leucippidi, scena tratta da un sarcofago agli Uffizi; Il giudizio di Paride, da un sarcofago a villa Medici; Il torso del Belvedere.

Nel 1550 il F. affrescò a Roma, insieme con Girolamo Siciolante da Sermoneta, la facciata del palazzo del cardinale Federico Cesi dipingendo l'Allegoria con le armi di papa Giulio III (gli affreschi sono perduti). Sempre al 1550 sono riferibili gli affreschi della cappella Gabrielli in S. Maria sopra Minerva, dove eseguì scene dalla vita della Vergine e Cristo, profeti e sibille, sulla volta, la Resurrezione di Cristo e la Natività, sulle pareti, mentre non esiste più la Crocifissione che era sul muro dell'altare.

La cappella Gabrielli, che secondo il Vasari fu il miglior lavoro realizzato dal F. sino a quel momento, segna il ritorno dell'artista al michelangiolismo della Sistina dopo il periodo marchigiano volto a Raffaello e Tiziano. Un nucleo di disegni conservato a Parigi, al Louvre, può essere riconnesso con questo ciclo: uno di essi, uno Studio di Cristo risorto, secondo la Monbeig Goguel (1985), è riferibile alla Resurrezione perché un tempo sarebbe stato inserito dal Vasari nel suo Libro de' disegni (quest'ultimo, tuttavia, non dichiarò mai di possedere disegni del F.); un altro Studio per una Resurrezione può essere ritenuto il più vicino alla soluzione finale dell'affresco, mentre, per quanto riguarda la volta, un esiguo nucleo di disegni può essere connesso con il riquadro raffigurante L'adorazione dei magi (Parma Baudille, L'ultimo lavoro…, 1992).

Nel 1551 il F. fu richiamato dal duca Guidobaldo a Urbino per decorare in duomo la volta della cappella del Sacramento; da un documento datato 7 dic. 1551 si ricava che il duca, per motivi che sono ignoti, ne fece poi sospendere l'opera (Gronau, 1936). Nello stesso periodo l'artista realizzò i dipinti raffiguranti La Madonna con i ss. Pietro e Paolo, la Conversione di s. Paolo, l'Adorazione, la Flagellazione e la Resurrezione di Cristo (solo le ultime due tele sono conservate, e si trovano presso la sagrestia del duomo). Al 1552 risale l'unica opera, oggi nota, firmata e datata dal F.: si tratta del Cristo che cade sotto la croce (Firenze, Uffizi) che si trovava presso la collezione Manfrin di Venezia, dove, presumibilmente, fu eseguita.

Esiste uno studio preparatorio per il gruppo a destra, sullo sfondo (Parigi, Fondazione Custodia, collezione Lugt). A Roma, presso il Museo nazionale di Palazzo Venezia, è inoltre conservato un piatto in maiolica di Urbino riproducente l'intera scena del quadro. A Venezia si trova un'altra tavola raffigurante il Cristo portacroce (Salvadori, 1992).

Nel novembre del 1554 il F. è ricordato a Venezia come affittuario di una casa situata in corte del Boter (Hadeln, 1911). Ricevette l'incarico di realizzare la pala con il Battesimo di Cristo per la cappella della famiglia Barbaro in S. Francesco della Vigna (due disegni preliminari si trovano a Edimburgo, presso la National Gallery of Scotland) e, dai frati osservanti, ricevette l'incarico della perduta tavola d'altare con la Madonna e il Bambino tra i ss. Marco eMaddalena per la cappella Foscari della chiesa di S. Giobbe.

Il 20 marzo 1555 il F. fece testamento in favore del figlio Giacomo - nato cinque anni prima probabilmente a Urbino, dall'unione che il F. ebbe con una certa Francesca, che non sposò - e della giovane madre, avendo come testimone Girolamo Taverna, intagliatore di cristalli. L'anno seguente il pittore Costantino di Giangiacomo da Cremona accusò il Taverna di eresia e citò come testimone il F., che sostenne di non conoscere l'accusato. Il Taverna, scagionato grazie alla testimonianza di Paris Bordone, querelò il F. che, il 9 marzo 1556, venne condannato per calunnia a un giorno di prigione e al pagamento di una multa.

Il 31 luglio dello stesso anno il F., su richiesta del pittore Polidoro da Lanciano, fece la stima dei dipinti appartenuti alla veneziana Chiara Sanuto (Hadeln, 1911). Il 19 ag. 1556 gli fu offerto un contratto per tre tondi, raffiguranti le allegorie del Lavoro, dell'Agricoltura e della Caccia, da eseguire nella sala della Libreria Vecchia; il lavoro fu terminato il 10 febbr. 1557 e pagato 60 ducati; al Louvre si conservano uno studio preliminare per l'Agricoltura e un disegno, di forma ottagonale, che può essere avvicinato al tondo della Caccia, mentre a quello del Lavoro è riferibile un foglio dell'Albertina di Vienna.

Tra la fine del 1556 e il febbraio 1557 il F. ricevette un'altra importante commissione: fu incaricato, insieme con il pittore A. Donato e con un certo Giovanni Maria per le dorature, di realizzare le decorazioni per il soffitto della sala dell'estate del fondaco dei Tedeschi: dei quarantotto pannelli originari, raffiguranti figure allegoriche e mitologiche, ne sono stati rintracciati sei (Venezia, Museo civico Correr), uno soltanto dei quali, il Consilium, è attribuibile al Franco.

Nel 1557 venne chiamato a lavorare in palazzo ducale, dove eseguì gli affreschi della scala d'oro tra gli stucchi dorati di A. Vittoria. Il lavoro fu portato a termine nel 1561 e i due collaborarono ancora negli anni 1559-60, lavorando alla scala monumentale della Libreria Vecchia. Del F. potrebbe essere uno dei Filosofi dipinti nella sala della Libreria Vecchia (a sinistra dell'entrata, il terzo filosofo sul muro della finestra); un disegno raffigurante un Uomo stante fortemente panneggiato (Londra, British Museum) può essere riferito a questo soggetto (Gere - Pouncey, 1983).

Da datarsi probabilmente agli anni 1555-61 sono il Cristo frustato dai farisei (ubicazione ignota), visto dal Vasari in casa del mercante veneziano Antonio Della Vecchia, e il quadro con l'allegoria dell'Abbondanza, Mercurio e la Fama, che il Vasari ricorda eseguito per la tomba del mercante tedesco Cristoforo Fugger in S. Bartolomeo a Venezia e che è andato distrutto, insieme con la sepoltura, al momento della ricostruzione della chiesa nel XVIII secolo.

Intorno agli anni 1552-60 il F. deve aver messo mano a un fregio di una delle stanze superiori di palazzo Chiericati a Vicenza, rappresentante una campagna militare romana, una copia quasi perfetta della colonna Traiana. Alla seconda metà del sesto decennio è riferibile un affresco in una lunetta vicino al campiello della Pasina a Venezia, probabilmente un ex-voto, raffigurante la Madonna con il Bambino e i ss. Francesco d'Assisi e Nicola di Bari (Salvadori, 1992, p. 209).

Negli stessi anni il F. lavorò per il palazzo del patriarca Giovanni Grimani a S. Maria Formosa, realizzando un affresco in una lunetta (raffigurante, molto probabilmente, scene tratte dalla Vita di Coriolano) per il quale esistono disegni preparatori a Windsor, all'Albertina di Vienna e al Louvre. Alla fine degli anni Cinquanta tornò a lavorare in S. Francesco della Vigna, eseguendo, nella volta della cappella Grimani, un ciclo di affreschi con Virtù ed Angeli, divisi in quindici riquadri, che alla sua morte furono portati a termine da F. Zuccari.

Presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano, la National Gallery di Edimburgo e l'Albertina di Vienna sono conservati alcuni disegni a sanguigna del F., che sono preparatori per i tondi della volta. La tecnica della sanguigna è insolita a Venezia nella seconda metà del Cinquecento e fu raramente usata dal F., che preferì la penna o il bistro, oppure la matita nera. Nella lunetta sopra l'altare dipinse, al centro, una Resurrezione (uno studio della quale si trova all'Albertina), sulla sinistra Cristo che incontra gli Apostoli sulla strada verso Emmaus (o La chiamata degli apostoli) e, sulla destra, probabilmente, Il massacro degli innocenti.

Nell'autunno del 1561 il F. fu impegnato nella villa Foscari di A. Palladio, detta la Malcontenta, dove iniziò l'affresco con la Caduta dei titani, che fu portato a termine da Giovanni Battista Zelotti.

Il F. morì a Venezia nel 1561.

Come riferisce il Farinella (1992, p. 168) il F. aveva portato con sé a Venezia un vecchio libro di disegni da riutilizzare per la produzione calcografica; otto acqueforti, realizzate tra il 1554 e il 1561, dipendono, in controparte, da alcuni disegni dall'antico conservati nel cosiddetto taccuino di Oxford. Il F. stampò personalmente i suoi studi dall'antico più meritevoli, con l'idea di formarne un libro. Anche per la produzione a stampa dall'antico non sappiamo se sia riuscito a realizzare il progetto, ma la sua idea fu portata avanti dal figlio Giacomo, che stampò nel 1611 a Venezia un'opera in due volumi dal titolo De excellentia et nobilitate delineationis libri duo. Il secondo volume - è dichiarato nel frontespizio - contiene le incisioni tratte dagli studi dall'antico del F., delle quali Giacomo aveva ereditato i rami. L'unica edizione integrale dell'opera è conservata agli Uffizi (Parma Baudille, 1990, p. 150). In un foglio inserito in una cronaca veneta manoscritta, conservata nella Biblioteca nazionale Marciana di Venezia, compaiono in incisione alcuni cammei appartenenti alla collezione Grimani di Venezia incisi dal F. (Neverov, 1984). Il rame è quello originale, ma la tiratura del foglio è tarda: vi si trova scritto, oltre a "Camei antichi Batista Franco fece", anche il nome del figlio Giacomo e del più tardo stampatore veneziano Stefano Scolari; questo raro foglio faceva parte dell'opera De excellentia (Collezioni…, 1988).

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