MONGENET, François-Balthazard

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MONGENET, François-Balthazard

Corrado Binel

– Nacque nel 1769 a Villersexel (Besançon) da Richard, che fu consigliere di Luigi XVI e duca di Renaucourt, e da Marie-Anne Grojan.

Discendente di una nobile dinastia di maîtres de forge della Franche-Comté, proprietari di altiforni a Renancourt (Amiens) e di impianti industriali metallurgici a Freland (Ambievillers), il M. fu costretto a lasciare la Francia durante la Rivoluzione, e insieme con il fratello Jean-Gaspard si stabilì in Piemonte, nel Canavese, dove introdusse fin dal 1792 la tipologia dei forni troncoconici originaria della Franche-Comté. Tornato dopo essere stato in Francia dal 1796, il 12 febbr. 1807 acquisì il complesso degli impianti già di proprietà di D.V. Gastaldi, situati in Piemonte e nella bassa Valle d'Aosta. Entrò così in possesso di fabbriche, strutture industriali e altri edifici a Carema (oggi nel Comune di Pont-Saint-Martin) e Lillianes, nonché dei diritti di estrazione su alcune miniere di ferro di Traversella e su un filone cuprifero nel territorio di Montjovet. A Carema fissò la sua dimora e sposò Maria Angela Fortunata Ingegnati, dalla quale ebbe numerosi figli.

Negli anni seguenti operò una sostanziale trasformazione del sistema produttivo, sostituendo la tecnologia «bergamasca» con quella «comtoise», e procedendo al concentramento e alla razionalizzazione dell’intera struttura operativa. In tale ottica, acquistò nel 1808 l'altoforno di Vert (Donnas) e nel 1810 l’altoforno e le forge dei Ponzio Vaglia alla frazione Prati Nuovi (già in Comune di Carema, dal 1929 Pont-Saint-Martin) riunendo così tutte le strutture poste sulla riva sinistra del Lys in un’unica azienda.

I diversi rapporti redatti dal Conseil général des Mines, Ponts et Chaussées e dall’Administration générale des Fôrets tra il 1807 e il 1814 consentono di descrivere nel dettaglio i diversi impianti acquisiti dal M. nel primo decennio del XIX secolo e di cogliere il ruolo che svolse nell’ambito della metallurgia piemontese dell’Ottocento.

L’altoforno del Marchetto, costruito secondo la «mode bergamasque ou italienne», aveva un’altezza di dieci metri, decisamente superiore a quella media di sei-sette metri, che consentiva una notevole economia di combustibile. L’impianto, alimentato con carbone di legna proveniente dai comuni della bassa Valle d'Aosta, utilizzava il ferro ossidulato estratto dalla miniera di Traversella, di cui il M. era uno dei coltivatori. La ghisa prodotta, più di 4000 quintali metrici annui, era «très douce et très homogène, la plus estimée du Département» ed era in parte venduta a Torino e in parte lavorata nelle sue fucine. La forgia del Marchetto consisteva in un fuoco di affineria costruito con il sistema bergamasco per fondere la ghisa, affinarla e convertirla in ferro o ferraccia; in un fuoco di riscaldo per i masselli da sottoporre al martello d’affineria per la riduzione in barre, alimentato da due mantici; e in un martinetto più piccolo, alimentato anch’esso da un fuoco di riscaldo. La forgia di La Verna, poco distante, era composta da un fuoco d’affineria e da un fuoco di martinetto. A valle dei precedenti stabilimenti, dai quali non si discostavano per struttura generale, sorgevano l’altoforno e le forge dei Prati Nuovi. Si aggiungevano infine l'affineria e l'altoforno di Lillianes. La quasi totalità delle maestranze impiegate alle forge e agli altiforni proveniva dal Bergamasco o dalla Francia, mentre gli abitanti del luogo erano essenzialmente impiegati in attività di servizio.

Gli aspetti dell’arte metallurgica del M. meritarono tutta l’attenzione del Conseil des mines, impegnato in un'azione volta alla piena utilizzazione delle risorse industriali indispensabili al sostegno dell’Impero napoleonico. Questo particolare interesse trovava le proprie ragioni nella dimensione dell’impresa del M., in contrasto con la tradizionale struttura della metallurgia subalpina, frazionata in piccole e piccolissime unità produttive, che non consentivano l’affermarsi di un nucleo di maîtres de forge con le caratteristiche d'imprenditorialità e le risorse finanziarie necessarie per una metallurgia agli albori di una vera e propria rivoluzione industriale. In un’epoca in cui la sfida tecnica era incentrata sulla scarsità dei combustibili, dopo decenni di indiscriminato sfruttamento del patrimonio boschivo il M. riuscì a coniugare innovazione tecnologica con limitatezza delle risorse, realizzando, con l’introduzione degli altiforni alla «comtoise», importanti economie di combustibile, una maggior resa di ghisa e un ridotto tempo di fusione. Fu ancora il M. a porre il problema di una nuova razionalità dell’impresa, quasi a decretare l’inizio di un lento passaggio a un’organizzazione più propriamente industriale nel campo della metallurgia, accanto alla quale sopravvisse, almeno per tutta la prima metà del XIX secolo, parte della microimpresa proto-industriale di origine sei-settecentesca.

Nel 1814 il M. impiantò a La Verna la prima affineria «alla contese» del Département de la Doire. Nel 1827 presentò un progetto di ricostruzione dell’altoforno del Marchetto, con l’intento di migliorare l’organizzazione del lavoro all’interno dello stabilimento e di ammodernare la produzione delle ghise. L’iniziativa suscitò l’opposizione di A. Cavallo, proprietario di una magona non lontano dal Marchetto, sulla riva destra del Lys, con il quale il M. si era già duramente scontrato anni addietro.

La relazione redatta alla fine del 1828 dall’ispettore generale delle Miniere del Regno di Sardegna, il barone C. Sobrero, permette di cogliere gli elementi innovativi proposti dal Mongenet. Sobrero sostiene infatti che «l’oggetto per cui il sig. Mongenet intese di trasportare il suo forno nel sito stabile accordato si è di procurarsi maggior facilità nel lavoro e maggior salubrità, e quel che più importa di potervi stabilire un nuovo artifizio, quello cioè delle soffierie a casse, onde stabilire un parallelo tra queste e le altre trombe esclusivamente in uso nei nostri paesi».

L’opposizione di Cavallo, fondata sulla scarsità del carbone e dunque sul degrado delle risorse boschive, fu considerata nulla: le trasformazioni proposte dal M. spostavano, di fatto, il nodo dello scontro tra imprenditori dal terreno della disponibilità di materie prime a quello dell’innovazione tecnica e di conseguenza del mercato, aprendo così la strada a un rapporto con lo Stato svincolato dal paradigma d’Ancien Régime, fondato quasi esclusivamente sul privilegio accordato. Ciò che emerge dalla vicenda è che in quegli anni, caratterizzati dall'intensificarsi dei rapporti economici con la Francia e con l’Inghilterra, pare affermarsi all’interno del Regno di Sardegna una nuova politica di accorpamento delle risorse tecniche e finanziarie, già auspicata sotto il regime napoleonico, inducendo alcuni imprenditori e una parte dell’apparato dello Stato sabaudo a schierarsi dalla parte di una ristrutturazione profonda del sistema produttivo del Paese.

Nel 1833 il M. apportò significative modifiche al suo opificio. L’Azienda Economica dell’Interno gli concesse, a partire dal 1834, di installare alcuni forni a riverbero per ciascuna delle due affinerie «alla contese» in attività, e di installare un «edifizio di cilindri per assottilare e distendere il ferro» che era, insieme con quello dei fratelli Cantara a Pontboset, il primo esperimento italiano di laminazione. Alcuni anni dopo, tra il 1836 e il 1839, il M. ottenne la facoltà di compiere la stessa operazione anche ai Prati Nuovi, mutando il forno fusorio, da tempo inattivo, in un’affineria con forno a riverbero, secondo la tecnologia introdotta nella regione alpina intorno al 1825 grazie soprattutto all’imprenditore L. Frèrejean di Annecy.

Verso il 1840 il M. mandò il figlio maggiore Joseph-François-Balthazard a Wasseralfingen, nel Baden-Württemberg, per studiare il nuovo procedimento messo a punto da A.Ch. von Faber du Faur per il recupero dei gas d’altoforno nel processo di fusione. Il metodo sarebbe stato applicato a Pont-Saint-Martin tra il 1842 e il 1850 e lo stesso Faber du Faur avrebbe fornito i disegni tecnici per la realizzazione degli impianti valdostani.

Nel 1842 un ingegnere dell’École des Mines di Parigi, E. De Chancourtois, compì un viaggio di studio in Italia, in seguito al quale scrisse una memoria sulla miniera di Traversella e sul trattamento metallurgico del suo minerale. Si tratta di un importante documento che fornisce una descrizione particolareggiata dello stabilimento del M. verso la metà del XIX secolo.

A quell'epoca la fabbrica era divisa in due parti: a monte, al Marchetto, vi era la fonderia, mentre più in basso, alla Verna, era situata l’affineria. La fonderia era composta da un altoforno circolare, costruito dallo stesso M., e da due forni per l’arrostimento del minerale. L'aria era riscaldata grazie al recupero delle fiamme perdute, che erano captate alla bocca del forno da un sistema di otto tubi in ghisa e rinviate alle macchine soffianti poste alla base dell’altoforno. Per la fondita veniva utilizzato il minerale di Traversella, mescolato con minerale proveniente dalla miniera di Brosso e con scorie ricche recuperate dall’affineria; come fondente la sabbia della Dora Baltea, cui fu in seguito preferito del calcare bianco proveniente dalle cave di Lessolo; il combustibile era una miscela di carbone di castagno e di larice. Il personale che assicurava l’attività dell’altoforno comprendeva un mastro fonditore, un aiuto al forno, due caricatori, un garzone, un misuratore del carbone e quattro o cinque operai addetti all’arrostimento del minerale e al suo trasporto. Ogni ventiquattro ore di marcia l’altoforno era caricato trenta volte e la colata avveniva ogni ora. L’affineria era composta da due fuochi «alla contese», dove il recupero delle fiamme perdute era utilizzato per il riscaldo dei masselli di ferro, poi trasformati in verghe sottili o in lastre. Ogni fuoco contese comportava quattro posti di lavoro specializzati, cui si aggiungevano un operaio per la preparazione dei masselli di ghisa, uno per quelli di ferro e uno per il carbone; in totale lavoravano all’affineria quattordici operai e quattro maestri affinatori; ai martinetti erano addetti un maestro martellatore e otto operai, di cui tre erano stagionali provenienti dalla Franche-Comté per l’istruzione professionale dei giovani operai valdostani.

L’introduzione del forno di pudellaggio aveva aumentato talmente la capacità produttiva che si erano rese necessarie importazioni aggiuntive di ghisa dalla Toscana e dall’Inghilterra. A sancire lo sviluppo, soprattutto qualitativo, dell’azienda in quegli anni, giunse nel 1844 la medaglia d’oro alla IV Esposizione di Torino sulla «patria industria», confermata nel 1850. Per meriti imprenditoriali, il M. fu nominato cavaliere dell'ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.

Il M. morì il 4 genn. 1854.

Anche nella seconda metà del XIX secolo i Mongenet mantennero un ruolo fondamentale nella siderurgia valdostana. Dopo la morte del M. passò alla guida dell’azienda Joseph-François-Balthazard (nato a Carema il 7 luglio 1811), che divenne uno degli uomini più potenti della bassa Valle d’Aosta, deputato nelle liste liberali al primo Parlamento dell’Italia unitaria e successivamente senatore.

Nello studio sull’industria del ferro in Italia condotto nel 1864 dall’ingegner F. Giordano, le ferriere Mongenet – cui si erano aggiunti in quegli anni una limeria a Carema e un altoforno sussidiario a Verrès – erano considerate il miglior stabilimento siderurgico della Valle d’Aosta e uno fra i migliori del Regno. Per far fronte alla crisi che investiva l'intero settore, l'azienda proseguì lungo la via del rinnovamento tecnologico e del miglioramento della produzione: nel 1859 erano stati installati i primi forni Siemens, nel 1875 fu la volta di alcuni forni speciali Bricheroux e di piccoli forni Cruginolo per la produzione di acciaio di alta qualità. Nel 1884 fu installato il primo forno Martin; all'epoca lo stabilimento contava cinque turbine, due caldaie a vapore e numerose ruote idrauliche. La produzione complessiva di quell’anno fu di 1500 tonnellate di ghisa, 1200 tonnellate di ferro fucinato in lamiere e 800 tonnellate di acciaio; gli addetti erano 220.

A fine secolo, in relazione al negativo andamento della siderurgia italiana, anche l’azienda Mongenet si sarebbe avviata al tramonto. Il 22 marzo 1885 morì a Point-Saint-Martin Joseph-François-Balthazard, che aveva nominato eredi universali i figli di secondo letto Gaspare Eugenio Enrico (Carema, 1838-99) e Riccardo Giuseppe Baldassarre (Carema, 1853-94); nel febbraio 1886, in virtù di una divisione intercorsa tra i fratelli, le proprietà industriali rimasero al solo Riccardo. Quell'anno, riferisce la stampa locale, gli impianti erano inattivi e la fabbrica quasi deserta. Successivamente si registrò una ripresa dell’attività della ferriera, ma nel 1891, con l'aggravarsi della crisi generale, subentrarono nuove difficoltà, questa volta insormontabili; nel 1892 Riccardo fu costretto a liquidare lo stabilimento, che fu rilevato dalla Società anonima delle Ferriere di Udine e assunse la denominazione di Ferriere di Udine e Pont-Saint-Martin. La miniera di Traversella, per quasi un secolo uno degli elementi portanti dell’attività siderurgica dei Mongenet, fu abbandonata e gli eredi vi rinunciarono ufficialmente con atto del 9 genn. 1895.

Fonti e Bibl.: La maggior parte dei documenti relativi all'attività della famiglia è conservata nell'Archivio di Stato di Torino e, per il periodo napoleonico, presso gli Archives nationales di Parigi (F.14, 1034, dossier 28: Balthazar Mongenet. Usines de Carema, Pont-Saint-Martin et Lillianes. Arrondissement d'Aoste; 1035, dossier Mongenet. Carema, Pont-Saint-Martin et Lillianes); altri atti si trovano negli archivi comunali di competenza territoriale degli impianti industriali. Importanti fonti coeve sono le citate relazioni di C. Sobrero (Arch. di Stato di Torino, Materie economiche, Miniere, VIII, n. 1d, 1828) e di E. De Chancourtois (Parigi, Archives de l'École nationale des Mines, Fonds Journaux de voyages, M.1842 [314]: Mémoire sur la mine de Traverselle au Piémont et le traitement métallurgique de son minerai, 1842), nonché quelle edite di A. Sobrero, Relazione del viaggio fatto dal dott. Ascanio Sobrero nella Valle d’Aosta e nella Savoia nei mesi di luglio e di agosto 1846, Torino 1847, e F. Giordano, Industria del ferro in Italia dalla relazione dell’ing. Felice Giordano per la Commissione delle Ferriere istituita dal ministero della Marina, Torino 1864. Le notizie relative al periodo più recente si desumono dai documenti presso la Conservatoria dei registri immobiliari di Aosta, dalla Rivista del servizio minerario e dalla stampa locale. Per le vicende biografiche si rimanda a: S. Miniotti, Borgo e frazioni di Pont-Saint-Martin, Aosta 2002, pp. 87-92, 96, 101, 107. Una prima indagine sull'attività dei Mongenet si deve a M. Abrate, L’industria siderurgica e meccanica in Piemonte dal 1831 al 1861, Torino 1961, pp. 126-131. Per un inquadramento più specifico all'interno del contesto valdostano si vedano i quaderni di R. Nicco editi dall’Istituto storico della Resistenza in Valle d'Aosta, dedicati a vari problemi e riuniti in L’industrializzazione in Valle d’Aosta. Studi e documenti, I, Aosta 1987, pp. 78-84; II, ibid. 1988, pp. 96-104. Una sintesi in R. Nicco, Il ruolo dell’industria minerario-metallurgica nella Valle d’Aosta dei secoli XVIII e XIX, in La Valle d'Aosta, a cura di S.J. Woolf, Torino 1995, pp. 471-542 (in partic. pp. 511-514, 519-522, 539-541). Si veda infine G. Berattino, Le miniere dei «Baduj» di Traversella, Ivrea 1988, pp. 300-304.

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