Causali, frasi

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

causali, frasi

Francesco Bianco

Definizione

Le frasi causali sono frasi subordinate che esprimono la causa (➔ causalità, espressione della) o il motivo dell’evento codificato nella principale; più in generale, esse rientrano tra le costruzioni sintattiche che veicolano il rapporto di causa / conseguenza.

In particolare, la frase causale manifesta la «causalità testuale» (Torck 1995) in modo «regressivo», differenziandosi così dalla costruzione consecutiva, che la esprime in modo «progressivo» (Ferrari 1999):

(1) ora non ho fame [frase reggente = conseguenza] perché a pranzo ho mangiato tanto [frase causale = causa]

(2) a pranzo ho mangiato così tanto [frase reggente] che ora non ho fame [frase consecutiva].

Tipologia

Le frasi causali possono essere classificate in base al nesso che lega la subordinata alla reggente; secondo questa prospettiva si distinguono:

(a) la «causa efficiente» (Dardano & Trifone 1997: 404; Giusti 20012: 738-739), detta anche «causa fisica» (Previtera 1996: 29-30; Frenguelli 2002: 38) o «causa fenomenica» (Mazzoleni 2009: 1073), quando lo stato di cose espresso nella reggente è diretta conseguenza di uno specifico evento veicolato dalla subordinata:

(3) l’automobile si è fermata perché si è rotto il motore

(b) la «causa formale» (Dardano & Trifone 1997: 404; Giusti 20012: 738-739) si riferisce invece a una proposizione di tipo generale, che fa da premessa all’evento indicato nella reggente:

(4)  a. l’automobile si è fermata perché era vecchia

b. Carlo è tornato perché la sua macchina è qui sotto

Alcuni autori (Dardano & Trifone 1997) fanno rientrare in questa categoria, per affinità logica, quelle frasi in cui si enuncia il motivo per cui un’azione viene compiuta:

(5) mangio perché ho appetito

(c) la natura imprescindibilmente volontaria della causa porta Previtera (1996: 30 segg.; cfr. anche Frenguelli 2002: 39) a classificare quest’ultimo nesso come «motivo di fare»; nel «motivo di dire» invece (Previtera 1996: 32 segg.; Dardano & Trifone 1997: 404-405; Frenguelli 2002) il contenuto della subordinata serve a giustificare l’atto linguistico contenuto nella reggente (entrambi gli esempi cit. in Previtera 1996: 35):

(6) benvenuto, [te lo dico] perché tutti ti aspettavamo con ansia

(7) vai in banca? [te lo chiedo] Perché devo fare un versamento

In molti casi il contenuto della subordinata è un’asserzione che rappresenta la conseguenza di una causa espressa nella reggente; quest’ultima viene tuttavia presentata come un’inferenza del parlante, giustificata dall’evento descritto nella subordinata (che perciò si presenta sotto forma di causale). Il processo logico sottostante a questa costruzione (chiamato tecnicamente abduzione) consiste nell’«arrischiare l’interpretazione di un dato» per trarne una conclusione (Previtera 1996: 32). Tale carattere inferenziale può essere sottolineato dall’uso di forme verbali ad hoc, come il verbo modale dovere con valore epistemico:

(8) La casa, tuttavia, nel frattempo, doveva essere stata occupata da qualche estraneo, [era possibile ipotizzare ciò] perché Davide ci aveva trovato, fra l’altro, appese ai muri certe vignette che non c’erano mai state prima (Elsa Morante, La storia, in Ead., Opere, Milano, Mondadori, 1988-1990, vol. 2°, p. 732)

Forme

Causale esplicita

Le frasi causali esplicite presentano un verbo di modo finito (all’indicativo, congiuntivo o condizionale); a questi ultimi due, tuttavia, si ricorre in circostanze particolari: il congiuntivo è usato di norma per esprimere cause presentate non come fattuali, ma come possibili (9), se non addirittura improbabili (10) o platealmente irreali (11):

(9) ci sono due ipotesi sul perché il sugo tipico di Salerno si chiami genovese: o perché la ricetta sia arrivata attraverso gli scambi commerciali e culturali con la repubblica marinara di Genova, oppure perché Genovese fosse il cognome del cuoco che l’ha inventato

(10) dubito che Mario non sia uscito perché piovesse

(11) Dico questo non perché sia d’accordo con Berlusconi ma perché mi sembra un ragionamento di buonsenso («La Repubblica» 15 febbraio 2008, Cronaca di Napoli)

In (9) due cause sono presentate come entrambe possibili e perciò concorrenti; in (10) è il significato del verbo della principale (dubitare) a indebolire il valore di verità della causale; in (11) compare una formula correlativa (➔ correlative, strutture) piuttosto diffusa nel discorso argomentativo (dico questo non perché ... ma perché): la causale al congiuntivo veicola una causa fittizia, che viene sconfessata; questa seguita dalla causa reale, espressa infatti all’indicativo; la negazione può essere anche affiancata da elementi che sottolineano la correlazione (non già / non tanto ... ma / quanto perché ...; cfr. Giusti 2001: 741).

Contrariamente a Serianni (1991: 575), Giusti (2001: 741-742) qualifica come agrammaticale la frase causale al congiuntivo in cui la negazione risalga alla sovraordinata; si tratta tuttavia di un’affermazione sconfessata dalla prassi, come mostra l’esempio seguente:

(12) Se malgrado ciò rispondo alle critiche di Labriola, non lo faccio perché abbia trovato i suoi argomenti fuori posto, al contrario, li stimo altamente (Enzo Collotti, L’antifascismo in Italia e in Europa: 1922-1939, Torino, Loescher, 1975, p. 163)

(9) e (11) presentano entrambi causali coordinate e correlate (o perché ... oppure perché; non perché ... ma perché); in maniera analoga, è possibile coordinare una causale a una subordinata di altro tipo, con il contenuto della quale essa sia in qualche modo correlata:

(13) non si sa se piangeva perché fosse davvero addolorata o per apparire tale di fronte agli altri

(14) il mio ginocchio è guarito non perché mi sia operato, ma benché mi sia operato

In quest’ultimo esempio la forza comunicativa dell’enunciato è data dalla somiglianza formale fra le due subordinate, in contrasto con la differenza logico-semantica fra la relazione di causa effetto e quella di concessione (➔ concessione, espressione della). Per sottolineare questo aspetto, è presumibile che il parlante marchi l’intonazione delle congiunzioni perché e benché, scandendone in particolare la prima sillaba.

Come detto, l’impiego del congiuntivo in questi casi allude al carattere non fattuale di queste subordinate; nell’italiano meno sorvegliato può tuttavia accadere che l’indicativo prenda il posto del congiuntivo:

(15) Non ho tentato il suicidio perché ero depresso all’idea di nuovi interrogatori sull’Irangate [...]. Quel che mi ha veramente portato alla disperazione è stata la coscienza di aver fallito nei miei doveri verso il paese («La Repubblica» 3 marzo 1987, cit. in Serianni 1991: 575)

L’uso del condizionale nelle causali è regolato in maniera analoga a quanto avviene nella frase semplice o nelle completive (➔ completive, frasi); si usa, per es., per esprimere una riserva oppure come modo della cortesia:

(16) è stato condannato perché avrebbe compiuto lui la rapina in banca

(17) l’ho chiamata perché mi servirebbe il Suo aiuto

La causale esplicita si serve di vari introduttori (➔ congiunzioni). La congiunzione più usata è perché, che può fungere anche da introduttore di frasi interrogative dirette o indirette che vertano sulla causa o sul motivo di qualcosa:

(18) perché piangi?

(19) mi chiedo perché tu pianga

Poiché, giacché e dacché sono più frequenti nello scritto che nel parlato; che e siccome, al contrario, sono vivi anche nel parlato e negli usi meno formali della lingua scritta. Rispetto alle congiunzioni dedicate, il complementatore che (la grafia preferibile in un testo sorvegliato è ché) esprime un legame causale meno forte, avvicinandosi talora al valore di un subordinante generico. Lo si trova soprattutto in contesti illocutivi (Dardano & Trifone 1997: 405):

(20) sbrigati, che è tardi!

La forza illocutiva di (20) è alla base delle considerazioni di Giusti (1991: 743-744), che distingue nettamente questo che, proprio del parlato ed esprimente sempre una «causa nuova», dal ché dello scritto letterario, esprimente una «causa data».

Come introduttore di causali, che è usato anche in locuzioni congiuntive, alcune delle quali formate col participio passato di un verbo: dato che, visto che, considerato che (gli ultimi due anche coordinati in un’unica locuzione: visto e considerato che), posto che, ecc., molto frequenti nell’uso. Tono letterario ha invece la locuzione gerundiale essendo che (Serianni 19912: 578). Altri connettivi causali formati con che sono: il diffusissimo dal momento che, che può avere anche valore temporale (➔ temporali, frasi); le altre locuzioni preposizione + nome + che (per il fatto che, per la ragione che, ecc.); tanto più che è usato per introdurre un argomento che rafforza il contenuto della reggente:

(21) oggi preferisco non uscire, tanto più che fino a ieri avevo qualche linea di febbre

Mazzoleni (2009: 1074) indica tant(o) è vero che come connettivo dedicato alla codificazione del ‘Motivo di dire inferenziale abduttivo’ (cfr. § 2):

(22) Al termine, poi, assurge anche ad un sostanziale disinteresse personale, […] il denaro non gli interessa più, tant’è vero che [= dico questo perché], quando Silvia fugge, tornato al suo paese tra i monti le lascia tutto quanto le ha fatto guadagnare con la sua dedizione (Guido Baldi, Eroi intellettuali e classi popolari nella letteratura italiana del Novecento, Napoli, Liguori, 2005, p. 113)

In quanto che (anche nella rara variante univerbata inquantoché; ➔ univerbazione) oggi è usato per lo più con riduzione del che:

(23) Doveva difendere il suo onore in quanto apparteneva a una società che l’avrebbe perseguitata se metteva al mondo un illegittimo? (Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato, Milano, Rizzoli, 1975, p. 81)

Serianni (19912: 577) segnala, come tipica della prosa argomentativa, l’espressione correlativa in tanto ... in quanto. Hanno valore causale due costrutti predicativi (Serianni 1991: 578-579) con le strutture seguenti: elemento predicativo + come + essere (24); (preposizione +) elemento predicativo + che / quale + essere (25):

(24) tonto com’è, Dario non si è accorto che lo stavano prendendo in giro

(25) da grande artista qual era, Picasso ha saputo esprimere tutto l’orrore della guerra in Guernica

Il nesso causale può essere veicolato talvolta anche da connettivi specializzati per altri tipi di frase (per una panoramica, cfr. Serianni 19912: 578), ad es. quando:

(26) M’ero dimostrato poco idoneo alla chimica anche per la mia deficienza di abilità manuale. Come avrei potuto averla quando continuavo a fumare come un turco? (Italo Svevo, La coscienza di Zeno, in Id., Romanzi, Milano, Mondadori, 1990, p. 657, cit. in forma leggermente diversa in Previtera 1996: 37)

Causale implicita

Le causali implicite si costruiscono con l’➔infinito, il ➔ gerundio e il ➔ participio passato.

Le frasi all’infinito sono generalmente introdotte da per; se si tratta di infinito presente, solo il senso della frase o l’eventuale presenza del soggetto chiariscono che non si tratti di una frase finale; in presenza dell’infinito passato, invece, il valore è causale (Skytte 1983: 417 segg.):

(27) per aver vinto i mondiali del 1982, la Nazionale italiana di calcio è stata ammessa di diritto a partecipare all’edizione successiva

Questo tipo di causale è piuttosto diffuso nel linguaggio giornalistico, come mostra il brano seguente:

(28) Nel 1978, dodicenne, fu arrestato a Brooklyn, per aver rubato un portafoglio e malmenato il suo possessore. Poi, in sequenza: espulso da scuola per aver provocato incidenti; cacciato da un grande magazzino per aver molestato le commesse; denunciato per aver picchiato un parcheggiatore, per aver menato la moglie, per aver cercato di violentare la sua migliore amica, per aver fatto lo stesso con altre tre-sei-nove donne, per aver molestato la donna giudice che lo processava per uno di questi casi; condannato per aver stuprato la miss entrata nella sua camera d’albergo a notte fonda («La Stampa» 7 febbraio 1999)

Il costrutto è sfruttato soprattutto nei titoli, dove l’esigenza di sintesi è massima:

(29) Obama sott’accusa per aver perdonato le torture della Cia («La Repubblica» 18 aprile 2009)

(30) Tre anni per aver rubato un pacco di biscotti («La Repubblica» 10 luglio 2009)

Per + infinito (soprattutto composto) è una formula frequente anche nel testo delle sentenze giudiziarie e nelle motivazioni dell’assegnazione di premi o riconoscimenti:

(31) Per aver unito una descrizione percettiva ad un esame accurato incorruttibile costringendoci a vedere la presenza di storie soppresse (trad. it. della motivazione del Premio Nobel per la letteratura 2001 a Vidiadhar Surajprasad Naipaul)

(32) Per il loro lavoro per la risoluzione pacifica del regime di apartheid, e per aver gettato le basi per un nuovo Sudafrica democratico (trad. it. della motivazione del Premio Nobel per la pace 1993 a Nelson Mandela e a Frederik Willem de Klerk)

La formula argomentativa non per + infinito ... ma per + infinito ricalca il costrutto esplicito non perché ... ma perché (cfr. § 3.1):

(33) Sa che si può essere ossessionati dal rimorso tutta la vita, non per aver scelto l’errore, di cui almeno ci si può pentire, ma per essersi trovati nell’impossibilità di provare a sé stessi che non si sarebbe scelto l’errore (Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, Milano, Bompiani, 1988, p. 93)

Se il soggetto della reggente è diverso da quello della subordinata, quest’ultimo viene posposto all’infinito; in caso di infinito composto, il soggetto tende ad assumere una posizione mediana, precedendo immediatamente il participio:

(34) Quella di Scriva, avverte, è una vendetta per avere lui attaccato i privilegi del collaboratore in commissione antimafia e in Parlamento («La Repubblica» 11 luglio 1995)

Anche altre proposizioni possono reggere un infinito causale:

(35) Anzi, in quelle occasioni mi veniva voglia di spifferare ogni cosa e dire: che menta e basilico! quanto siete sceme a credere certe frottole! (Elsa Morante, Menzogna e sortilegio, in Ead., Opere, cit., vol. I, p. 238, cit. in Skytte 1983: 420)

(36) Carlo è seccato di aver dimenticato gli occhiali (cit. in Previtera 1996: 40)

Il gerundio e il participio passato non sono accompagnati da marche che ne indichino il valore causale: è il contesto a sciogliere eventuali ambiguità, indicando che non si tratti, per es., di un costrutto temporale (➔ temporalità, espressione della) o concessivo (➔ concessione, espressione della; va detto che la concessività non sempre è segnalata da indicatori appositi):

(37) E a tale profusione di ringraziamenti, lei, non sapendo come sdebitarsi, e intimidita all’eccesso, rimase là, a dondolarsi sulle gambe, in una specie di balletto cerimonioso (Elsa Morante, La storia, cit., p. 822)

Tanto il participio quanto il gerundio possono avere soggetti grammaticali diversi da quello della proposizione reggente:

(38) conoscendoci molto bene, la scelta di cercare un appartamento assieme è stata naturale

(39) laureatomi col massimo dei voti, è stato facile trovare un impiego

Così come con l’infinito, il soggetto del gerundio, quando è espresso, viene posposto al verbo (oppure collocato fra i due membri del gerundio composto):

(40) Il giovane funzionario arrivato a Matignon ha imparato astuzie, trucchi e trame del potere come un ‘piccolo Machiavelli’. Capace di essere pratico e cinico al pari del grande rivale Sarkozy. Avendo entrambi frequentato il ministero degli Interni, hanno sicuramente nel cassetto qualche arma letale («Corriere della sera» 2 novembre 2005).

Posizione

La causale può precedere o seguire la reggente; nel primo caso, in genere, il nesso causale è più forte: la causa è messa in rilievo, la subordinata ha valore tematico e la principale è presentata come diretta conseguenza della premessa:

(41) Poiché non tutto ciò che tecnicamente si può fare deve inevitabilmente essere fatto, sarà bene collaborare il più possibile alla reinvenzione di quella virtù aristotelica che si addice alla tragicità dell’avventura umana: la prudenza («La Stampa» 28 settembre 1993)

(42) Poiché è senza testa e senza cuore, il sistema manifesta un’incredibile capacità di rimarginazione e di riequilibrio (Umberto Eco, Sette anni di desiderio: Cronache 1977-1983, Milano, Bompiani, 1983, p. 112)

Se in seconda posizione, invece, la causale può essere percepita come informazione supplementare, non essenziale:

(43) Un problema non secondario è quello di decidere in quale sede formulare le proposte di riforma della Costituzione, poiché comunque spetterà al parlamento approvarle con l’attuale art. 138 o con un 138 modificato («Il Giornale» 29 giugno 2006)

(44) L’unica strada è proprio quella della corporeità, poiché il corpo è ciò che l’umanità ha in comune con Cristo («Left» 23 gennaio 2009)

La causale può altresì trovarsi in posizione parentetica (➔ parentetiche, frasi):

(45) Mario, poiché ha sposato / per aver sposato Elena, è oggi una persona ricca

Non tutti i connettivi causali sono flessibili come poiché; in italiano contemporaneo, la causale introdotta dalla congiunzione perché e soprattutto dalla locuzione tant’è vero che segue di norma la principale:

(46) mangio perché ho fame ~ * perché ho fame mangio

(47) Giorgio era molto stanco, tant’è vero che si è addormentato davanti al televisore ~ * tant’è vero che si è addormentato davanti al televisore, Giorgio era molto stanco (cit. in Mazzoleni 2009: 1078)

Per poter essere anteposta alla propria reggente, la causale introdotta da perché dev’essere «inserita in una frase scissa oppure focalizzata in modo contrastivo» (Mazzoleni 2009: 1075; diversa è la situazione nell’italiano antico: cfr. § 5):

(48) è perché sono stanco che non esco, non perché non abbia voglia di vederti

(49) perché ero stanco, non sono uscito, non perché non avessi voglia di vederti

Anche la locuzione tanto più che e il connettivo che (o ché) introducono una subordinata posposta alla reggente; sono spesso (ma non sempre) posposte le causali introdotte da in quanto (che), per il fatto che, per la ragione che, ecc.; in quanto è usato sovente in posizione protatica quando precede un predicativo:

(50) in quanto docente, spetta a Lei mantenere la disciplina [= poiché esercita il ruolo di docente, spetta a Lei ...]

Siccome introduce una causale per lo più anteposta alla reggente o incassata fra il soggetto e il verbo di quest’ultima (come il poiché di 42) e codifica una informazione data (➔ dato/nuovo, struttura):

(51) Siccome quel disco mi piace, mi chiedevo da dove veniva (Sandro Veronesi, Caos calmo, Milano, Bompiani, 2005, p. 237)

Possono occupare qualsivoglia posizione le locuzioni participio + che e preposizione + sostantivo + che (cfr. § 3.1), così come le frasi implicite all’infinito (cfr. § 3.2).

Considerazioni diacroniche

L’italiano dei secoli passati presenta importanti differenze quanto ai tratti della causale esposti sopra, che sono da considerarsi tipici della situazione linguistica attuale. In passato avevano diffusione più o meno ampia alcuni introduttori, oggi scomparsi: mercecché, stanteché, secondoché, però che (con le varianti formali perocché, perciocché, imperocché), con ciò sia cosa che (anche nelle forme conciòssiaché, conciòffossecosaché, ecc.); quest’ultimo reggeva solitamente il congiuntivo e poteva avere anche valore concessivo o condizionale.

Alla scomparsa dei connettivi sopra citati rispondono lo sviluppo e la diffusione, nel corso del Novecento, della locuzione dal momento che e il progressivo avanzamento delle forme participio + che (cfr. § 3.1).

Alcune congiunzioni, in uso nell’italiano antico, hanno subito mutamenti semantici e sintattici: perché (anche nella scrittura etimologica per che) poteva marcare una coniunctio relativa (per che = per la qual cosa), introducendo una frase sintatticamente indipendente o quasi; come congiunzione causale propriamente detta, inoltre, poteva precedere la proposizione reggente:

(52) Perché l’uno savio e l’altro dicea il vero, ad ambidue donoe (Il Novellino, a cura di A. Conte, Roma, Salerno, 2001, p. 49, cit. in Frenguelli 2002: 416)

Il valore di siccome (scritto anche sì come) era in origine comparativo (➔ comparazione); l’evoluzione verso il significato attuale è ben testimoniata dalla presenza, per es. nella prosa di Ippolito Nievo, di espressioni correlative siccome ... così, in cui la congiunzione introduce già una frase di senso causale (cfr. Serianni 19912: 577; Previtera 1996: 37):

(53) Ecco la morale della mia vita. E siccome questa morale non fui io ma i tempi che l’hanno fatta, così mi venne in mente, che descrivere ingenuamente quest’azione dei tempi sopra la vita d’un uomo potesse recare qualche utilità a coloro, che da altri tempi son destinati a sentire le conseguenze meno imperfette di quei primi influssi attuati (Ippolito Nievo, Le confessioni d’un italiano, a cura di S. Casini, Parma, Guanda, 1999, vol. I, p. 4)

Alcune antiche forme del nesso causale hanno perso terreno nel corso dei secoli, sopravvivendo solo nella lingua letteraria: è il caso del costrutto come + dimostrativo + frase relativa:

(54) Il primo biografo, ed anche il più autorevole, come quegli che conobbe da presso il poeta, Francesco Reina, esce fuori tutt’a un tratto così (Giosuè Carducci, Storia del «Giorno», in Edizione nazionale delle opere di Giosuè Carducci, vol. XVII, Studi su Giuseppe Parini: Il Parini maggiore, Bologna, Zanichelli, 1937, p. 17)

Analogamente, la locuzione essendo che, oggi limitata all’uso di pochi autori ricercati, nei secoli passati trovava applicazione anche in contesti non letterari:

(55) Essendo che tu, Galileo fig.lo del q.m. Vinc.o Galilei, Fiorentino, dell’età tua d’anni 70, fosti denunziato del 1615 in questo S.o Off.o, che tenevi come vera la falsa dottrina, da alcuni insegnata, ch’il Sole sia centro del mondo e imobile, e che la Terra si muova anco di moto diurno (Galileo e gli scienziati del Seicento, tomo I, Opere di Galileo Galilei, a cura di F. Flora, Milano - Napoli, Ricciardi, 1953, pp. 1121-1122)

Studi

Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1997), La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli.

Ferrari, Angela (1999), Tra rappresentazione ed esecuzione: indicare la ‘causalità testuale’ con i nomi e con i verbi, «Studi di grammatica italiana» 18, pp. 113-144.

Frenguelli, Gianluca (2002), L’espressione della causalità in italiano antico, Roma, Aracne.

Giusti, Giuliana (20012), Le frasi causali, in Grande grammatica italiana di consultazione, nuova ed. a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 3 voll., vol. 2° (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione), pp. 738-775 (1a ed. 1991).

Mazzoleni, Marco (2009), Tant’è vero che: aspetti morfo-sintattici e retorico-concettuali, in Sintassi storica e sincronica dell’italiano. Subordinazione, coordinazione e giustapposizione. Atti del X congresso della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (SILFI) (Basilea, 30 giugno - 3 luglio 2008), a cura di A. Ferrari, Firenze, Cesati, 3 voll, vol. 2º, pp. 1071-1087.

Previtera, Luisa (1996), I costrutti causali, in La subordinazione non completiva. Un frammento di grammatica filosofica, a cura di M. Prandi, «Studi italiani di linguistica teorica e applicata» 25, 1, pp. 29-46.

Serianni, Luca (19912), Grammatica Italiana. Italiano comune e lingua letteraria, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.

Skytte, Gunver (1983), La sintassi dell’infinito in italiano moderno, København, Munksgaards, 2 voll.

Torck, Danièle (1995), Aspects de la causalité discursive en français oral contemporain, Amsterdam, IFOTT.

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