Frati gaudenti

Enciclopedia Dantesca (1970)

frati gaudenti (godenti in D.)

Raoul Manselli

Vennero così chiamati gli aderenti alla Milizia della Vergine, ordine religioso sorto dalla generale esigenza di estendere il più possibile l'esperienza spirituale dei nuovi movimenti religiosi, soprattutto francescani e domenicani, alla gran massa dei laici, con l'intento di organizzarli e di dirigerli specialmente contro la diffusione dell'eresia. Venne fondato verso il 1260, in Emilia, da Loderingo degli Andalò e Gruamonte Caccianemici, bolognesi, da Scianca di Reggio e da Raniero degli Adalardi, modenese, che con altri si rivolsero al francescano Rufino Gorgone, a loro ben noto per essere stato provinciale dei minori appunto in Bologna, ed era tornato nella città per affari della curia romana.

Fra Rufino diede loro una regola e ottenne che il papa Urbano IV l'approvasse il 23 dicembre 1261. Secondo le sue prescrizioni i frati della Milizia della Vergine si dividevano in frati che vivevano in comunità conventuali e frati che vivevano nelle loro case. I primi, che potevano esser chierici e laici, seguivano la cosiddetta regola agostiniana, praticando appunto la vita comune. Come gli ordini militari, potevano portare armi di difesa, che potevano essere usate " pro sedandis tumultibus civitatum "; viene così sottolineato il loro impiego per la difesa degl'ideali cristiani all'interno delle mura cittadine e, come si è già accennato, contro l'eresia: nessuno, infatti, poteva essere ammesso all'ordine, che fosse anche solo sospetto, appunto, o di eresia o di usura. Inoltre, proprio in conseguenza della loro partecipazione alla vita della città, erano tenuti a evitare feste e divertimenti, uffici e cariche pubbliche, e gli stessi consigli, sempre che non fosse stato diversamente imposto da necessità particolari relative all'inquisizione, alla libertà ecclesiastica, all'opportunità di metter pace o di far del bene, o per ordine della sede apostolica.

Più miti le norme relative a coloro che erano legati dal vincolo matrimoniale: dovevano vestire abiti di colore e forma caratteristica, simili a quelli dei cavalieri conventuali, praticare digiuni e preghiere in tempi determinati dell'anno, osservare le stesse norme dei cavalieri circa la partecipazione alla vita politica. Va detto subito che specialmente i cavalieri coniugati vennero ben presto a compromessi con la realtà, procurando all'ordine il nome che poi gli rimase come più noto e usuale di ‛ cavalieri gaudenti '. Indizio caratteristico di questo compromesso dei f. gaudenti (tra il popolo anche " Capponi di Cristo ") è proprio l'attività politica di Loderingo degli Andalò. Mentre la regola prescriveva esplicitamente che nessuno, né conventuale né coniugato, potesse ricoprire " officia publica, scilicet potestarias civitatum vel castrorum aliorumque locorum ", l'Andalò, che era originario di una celebre famiglia podestarile bolognese, continuò a esercitare la sua attività politica: contribuì in tal modo a suscitare sospetti di secondi fini nella scelta della vita religiosa. Non si dimentichi, a tal proposito, che la condizione di religioso, nel Medioevo, accordava una serie di grandi vantaggi, specialmente sul piano economico, fino a raggiungere un'esenzione totale dal pagamento di tasse e tributi, mentre si fruiva anche della giustizia ecclesiastica invece di quella cittadina. Non a caso fra Salimbene de Adam, che per esser a lungo vissuto in Emilia e proprio nel tempo della fondazione dei f. gaudenti era in grado di giudicare con la spregiudicatezza a lui consueta l'ordine, non esita ad accusare questo di avarizia e di cupidigia, rimproverandogli anche di non aver una sua precisa finalità. Né l'osservazione è poco acuta: sorti con uno scopo ben determinato, la difesa dell'ortodossia e la tutela degl'interessi ecclesiastici contro l'invadenza dei comuni in specie ghibellini, i f. gaudenti, dopo la battaglia di Benevento e di Tagliacozzo e con la vigorosa ripresa della politica guelfa negli ultimi decenni del sec. XIII, persero, di fatto, ogni ragione storica, sempre più chiudendosi in un'esclusiva attività di perfezione personale e durando, così, ancora per qualche secolo. Si ridussero alla fine a un gruppo di commendatari che godevano dei beni dell'ordine. L'ultimo maestro generale, Camillo Volta, morì nel 1589. D'altra parte, proprio la presenza di un Guittone d'Arezzo tra i f. gaudenti ci deve indurre a prudenza nell'accettare le pesanti accuse di fra Salimbene - che è, tuttavia, portavoce di un'opinione diffusa - e il giudizio stesso di Dante.

Il poeta non esprime un suo punto di vista su tutto l'ordine dei f. gaudenti, citandone solo il nome all'inizio dell'episodio della sesta bolgia (If XXIII 103), là dove Loderingo degli Andalò e Catalano di Guido dei Malavolti si fanno conoscere a Dante. Ma, se non c'inganniamo, tutta la vicenda dell'incontro, dalla descrizione degl'ipocriti al pesante manto di piombo dorato, al dialogo tra i due e D., dà l'impressione che la colpa d'ipocrisia non sia solo dei due, ma tenda ad allargarsi, se non proprio all'ordine intero, certo a molti dei suoi membri. In questo senso è significativo il fatto che anche quando, in altre opere dantesche, è ricordato e citato Guittone, non è mai qualificato come religioso; D. nel fondo dell'anima, dunque, non lo riteneva davvero tale.

Bibl. - Sui f. gaudenti, oltre al vecchio D.M. Federici, Istoria de' Cavalieri Gaudenti, 2 voll., Venezia 1787, importante per i documenti raccolti nel Codex diplomaticus del secondo volume, si veda soprattutto la sintesi rapida ma criticamente solida di G. Meersseman, La Milice de la Vierge, in Études sur les anciennes Confréries Dominicaines. IV, in " Archivum Fratrum Praedicatorum " XXIII (1953) 303-305. Si veda inoltre A. De Stefano, Le origini dei frati Gaudenti, in Riformatori ed eretici del Medioevo, Palermo 1938, 209-269. Poco o nulla d'interessante ci dicono gli antichi commentatori di D.; generici i moderni. Si vedano inoltre le voci Andalò, Loderingo degli; Catalano de' Malavolti.