FRATTURA

Enciclopedia Italiana (1932)

FRATTURA

Gian Maria Fasiani

(lat. fractura, da frango "spezzo"; ted. Knochenbruch) - Soluzione di continuo d'un osso che si determina in modo improvviso. Le fratture rappresentano un settimo circa di tutte le lesioni traumatiche; sono dieci volte più frequenti delle lussazioni. Prevalgono di gran lunga le fratture delle ossa degli arti (80% circa), con partecipazione quasi uguale degli arti superiori e inferiori. Le ossa brevi e le ossa piatte sono colpite assai meno frequentemente che le ossa lunghe, come l'omero, le ossa della gamba, il femore, le ossa dell'avambraccio. La massima parte delle fratture è dovuta a un'azione violenta che agisce dall'esterno, ma vi sono fratture dovute unicamente all'azione di forze muscolari; e spesso anche avviene che queste due azioni si sommino e insieme conducano alla frattura. Oltre a queste cause determinanti delle fratture devono anche essere considerate delle cause predisponenti in rapporto col sesso, con l'età, col lavoro, con gli esercizî sportivi, ecc. La massima frequenza delle fratture s'osserva fra i trenta e i quaranta anni, vale a dire nell'epoca di massima attività fisica: seguono, in ordine decrescente di frequenza, il secondo decennio, il terzo, il primo, il quinto, il sesto, il settimo, l'ottavo, il nono. Se però si confrontano le cifre di frequenza delle fratture nelle diverse età con le cifre della popolazione nelle stesse età, si nota il minimo di frequenza fra i 4 e i 5 anni, il massimo fra i 55 e gli 80 anni (J. F. Malgaigne). Le fratture sono più frequenti nell'uomo che nella donna, perché l'uomo è più esposto agli accidenti traumatici.

Se la frattura avviene in un osso prima sano, si parla di frattura traumatica; se invece avviene in un osso già alterato per un processo generale o locale, si parla di frattura patologica. Se la frattura interessa tutto lo spessore dell'osso si dice frattura completa; incompleta, nel caso opposto. Tra le fratture incomplete, si devono ricordare le fessure, le infrazioni, le depressioni, le perforazioni, gli strappamenti parcellari. Nelle fratture complete avviene di solito uno spostamento di frammenti; soltanto nei bambini o nei ragazzi accade non di rado che, mentre l'osso si rompe, il periostio resista e impedisca ogni spostamento (fratture sottoperiostee). Negli altri casi la dislocazione avviene in parte per l'azione diretta e in parte per l'azione immediata del trauma, dei muscoli, o per quella della gravità, o per effetto di movimenti. Si distinguono forme diverse di dislocazione: se in una frattura trasversale i due frammenti si spostano secondo lo spessore, si ha una dislocazione laterale (dislocatio ad latus); se essi si dispongono ad angolo più o meno accentuato con apice nel focolaio della frattura, s'ha una dislocazione angolare o secondo l'asse (dislocatio ad axin); se uno dei frammenti o ambedue rotano sul loro asse, s'ha una dislocazione con rotazione (dislocatio ad peripheriam). Si può avere, infine, una dislocazione secondo la lunghezza (dislocatio ad longitudinem), talvolta con accorciamento per accavallamento dei due frammenti (dislocatio cum contractione), o per penetrazione d'un frammento nell'altro (dislocatio cum implantatione); altre volte con allungamento (dislocatio cum distractione), come avviene quando uno dei frammenti costituisce il punto d'attacco d'un muscolo (rotula, olecrano). A seconda del decorso della linea di frattura si distinguono fratture trasversali, oblique, longitudinali, a T, a Y, comminute; nelle ossa lunghe, a seconda della sede si parla di fratture diafisarie o epifisarie; e fra le diafisarie s'usa precisare indicando se la frattura interessi il terzo superiore, il medio, o l'inferiore. Fratture complicate si chiamano quelle nelle quali vi fu lesione delle parti molli e dei tegumenti. Secondo il meccanismo di produzione, si distinguono fratture da strappamento, da compressione, da flessione, da trazione.

I fenomeni che accompagnano una frattura sono in parte soggettivi, in parte oggettivi: fra i primi ricorderemo il dolore spontaneo o provocato, e l'impotenza funzionale; fra i secondi la deformazione della parte, le macchie ecchimotiche della pelle, la mobilità abnorme della parte, lo scroscio o scricchiolio durante i movimenti. Col rilievo di questi sintomi il riconoscere una frattura è di solito facile, ma per le fratture senza spostamento dei frammenti, per quelle incomplete, per quelle sottoperiostee, la radiografia rappresenta il più prezioso sussidio. In tutti i casi, la radiografia riconosce con esattezza la direzione della linea di frattura, il numero dei frammenti, il loro spostamento, e controlla il risultato delle cure intraprese.

Le fratture guariscono per il formarsi, all'estremo dei frammenti, d'un tessuto connettivo giovane, il quille si consolida per il precipitare di sali di calcio; questo tessuto di riparazione prende il nome di callo osseo (v.); dapprima esuberante e complesso nella sua struttura, dopo qualche tempo acquista tutti gli attributi dell'osso normale. La durata del processo di guarigione d'una frattura varia in rapporto con l'età, essendo tanto più rapida quanto più giovane è il soggetto; col volume dell'osso, essendo assai più rapida la riparazione d'una frattura d'un osso piccolo (clavicola, radio) che quella d'un osso voluminoso (femore, tibia); con la perfezione della cura, essendo la guarigione più rapida quanto più esattamente sono stati affrontati i frammenti. Si dichiara consolidata una frattura, quando il callo sia così solido da non permettere alcun movimento dei frammenti, e la pressione sul callo stesso non sia dolorosa.

Mentre si compie la frattura, o più tardi, durante la cura, si possono manifestare accidenti che costituiscono complicazioni capaci di ritardare o d'impedire la formazione del callo o di compromettere la vitalità della parte o anche di mettere in pericolo la vita.

Anzitutto la ferita della pelle (prodotta dall'agente traumatico o da un frammento tagliente) che rende esposto un focolaio di frattura, può permettere la penetrazione di germi patogeni e condurre quindi all'infezione suppurativa o cancrenosa. In ogni frattura esposta si devono perciò allontanare eventuali corpi estranei, escidere i tessuti contusi, assicurare il drenaggio dei secreti, sorvegliando attentamente ogni minaccia d'infezione. La frattura d'alcune ossa s'accompagna talvolta con lesione di vasi sanguigni, determinata dall'agente vulnerante o dai frammenti ossei; specialmente nelle ossa che hanno rapporti anatomici stretti con un tronco arterioso (p. es. osso temporale, terzo inferiore del femore, terzo superiore della tibia). L'emorragia che ne consegue può, se esterna, divenire minacciosa per la vita; se interna, condurre a voluminosi ematomi capaci di compromettere la nutrizione dei tessuti. Inoltre l'ischemia risultante dalla rottura d'una grossa arteria può condurre alla cancrena o facilitare lo sviluppo dei germi e soprattutto degli anaerobî della cancrena gassosa. Il pericolo maggiore della lesione di vene è rappresentato dalla formazione di trombi, che per lo più s'organizzano creando per lungo tempo ostacoli alla circolazione, ma talvolta si distaccano come emboli, causa d'accidenti improvvisi non di rado mortali. Anche può accadere che nel lume beante di vasi venosi aperti nel focolaio della frattura penetri in certa quantità il grasso reso libero dallo spappolamento del midollo, e che si producano delle embolie di grasso. Questi emboli possono essere innocui, ma talvolta giungono a occludere molte diramazioni dell'arteria polmonare; altre volte riescono ad attraversare la piccola circolazione e penetrare nel cuore sinistro per essere portati in tutti gli organi, producendo embolismi del cervello, del cuore, del rene, della pelle. Gli embolismi polmonari e quelli cerebrali possono divenire pericolosi per la vita (v. embolia). Determinate fratture si possono complicare con lesioni di nervi, per l'intimità di rapporti anatomici esistenti e per la possibilità che i frammenti colpiscano il nervo vicino, o che il callo osseo lo inglobi. Ricordiamo la lesione del nervo radiale nelle fratture dell'omero al terzo medio, quelle del nervo peroneo comune nelle fratture alte del perone.

A ogni individuo colpito da una frattura si devono apprestare soccorsi d'urgenza, che sono rappresentati quasi esclusivamente dalle modalità di raccolta e di trasporto fino al luogo di cura. Occorre immobilizzare la parte che è sede della frattura per impedire che durante i movimenti necessarî per la raccolta e il trasporto del ferito i frammenti, non di rado aguzzi e taglienti, feriscano le parti molli e soprattutto i nervi e i vasi, o perforino la cute e rendano aperta la frattura. Questa immobilizzazione può essere fatta, per l'arto inferiore, con adatte stecche di legno o di rete metallica, ma anche con qualsiasi mezzo di fortuna (cartone, assicelle, bastoni, ecc.); per l'arto superiore, con l'avvicinarlo al tronco e fissarvelo.

La cura d'una frattura deve esse compiuta dal chirurgo, e questi deve provvedere a ridurre la frattura e poi a contenerla, vale a dire a mantenere la riduzione avvenuta per tutto il tempo necessario alla consolidazione, e infine praticare quelle cure complementari che hanno lo scopo di favorire la ripresa funzionale della parte. La riduzione è tanto più facile quanto più precocemente viene eseguita, perché per alcune ore dopo la frattura i muscoli vicini rimangono in uno stato di rilasciamento; più tardi, invece, essi entrano in contrattura, cosicché la riduzione richiede forze traenti molto più considerevoli. Di solito è quindi necessario ricorrere all'anestesia generale, o regionale, o locale, durante la quale vengono compiute manovre di trazione, di controtrazione, di pressione (diverse per le diverse fratture) con lo scopo di portare i capi di frattura ad affrontarsi. L'affrontamento viene reso manifesto dal rumore di scroscio delle superficie scabre che vengono a contatto, e dal ripristino della forma e della lunghezza della parte. La contenzione deve seguire immediatamente la riduzione, ed essere applicata mentre ancora è in atto l'anestesia: essa deve durare il tempo minimo necessario a ottenere la consolidazione, e cedere poi subito il passo alla fisioterapia che si propone d'ottenere la reintegrazione funzionale. Vi sono fratture senza dislocazione dei frammenti o con penetrazione d'un frammento nell'altro, per le quali il metodo del massaggio e della mobilizzazione precoce è certamente il più vantaggioso. Ma quando i frammenti abbiano tendenza a dislocarsi facilmente dopo la riduzione, per contenerli occorre immobilizzarli. Ciò si può ottenere fissando la parte con fasciature e apparecchi a ferule o a docce, o con fasciature gessate; o esercitando per lungo tempo una trazione continua a pesi; o fissando con atto chirurgico cruento i frammenti nel focolaio della frattura o a distanza da questo.

Fra i mezzi del primo gruppo, i bendaggi gessati circolari sono i più comunemente usati, ed essi rispondono allo scopo in un grandissimo numero di casi. Per applicarli, si riduce la frattura, s'avvolge la parte con falde di cotone e sopra queste s'applicano le bende gessate che, diventando solide, la immobilizzano. Questi apparecchi possono poi essere tagliati a docce e divenire quindi temporaneamente amovibili; o possono essere traforati con aperture che consentono ispezioni e medicazioni (v. fasciature e apparecchi). Dopo l'applicazione di ogni bendaggio gessato è necessario ripetere l'esame radiografico per accertare che la riduzione è stata mantenuta; e lo stesso esame potrà essere in seguito ripetuto per seguire le fasi della formazione del callo e constatarne la raggiunta consolidazione. L'immobilizzazione nel bendaggio gessato dovrà in ogni caso essere limitata al tempo minimo indispensabile per la riunione dei capi ossei.

Il metodo di cura con la trazione continua a pesi presenta sul metodo dei bendaggi immobilizzanti il vantaggio di permettere la continua sorveglianza della parte e l'applicazione di precoci cure fisiche ai muscoli e alle articolazioni; oltre a ciò dà modo d'ottenere la contenzione di quelle fratture oblique o comminute nelle quali i frâmmenti tendono a facili e rinnovati spostamenti. Tutti gli apparecchi per applicare la trazione continua si propongono di contrastare durevolmente la contrazione dei muscoli e quindi esercitare un'azione traente sull'arto, e un'azione controtraente alla sua estremità prossimale. La trazione viene di solito applicata per mezzo di strisce di cerotto adesivo applicate sulla pelle dell'intero arto: talvolta (quando la forza traente debba essere molto considerevole) per mezzo di chiodi metallici infissi nello scheletro (A. Codivilla). Essendo il paziente a letto e in posizione supina, una cordicella tesa su una carrucola trasmette ai cerotti o al chiodo la trazione d'un peso sufficiente a vincere la resistenza dei muscoli. La controestensione per l'arto inferiore può essere assicurata dal peso del corpo, o dall'applicazione di un'ansa alla radice della coscia; per l'arto superiore la trazione si compie in abduzione, e la controtrazione si compie con un'ansa applicata sul torace o sull'ascella. Nei bambini s'usa applicare la trazione in posizione verticale, mentre il peso del corpo compie la controtrazione. Nell'adulto è utile applicare la trazione in posizione dell'arto, tale che tutti i muscoli si trovino in atteggiamento di massimo rilasciamento (posizione acamatica); infatti in tale atteggiamento l'effetto traente esercitato da un dato peso è triplo o quadruplo di quello che verrebbe dato se l'arto fosse in completa estensione. Il metodo della trazione a pesi s'adatta soprattutto per la cura delle fratture delle ossa lunghe degli arti, specialmente delle fratture della diafisi del femore. Presenta notevoli vantaggi, ma non è scevro d'inconvenienti, richiedendo attenta e continua sorveglianza, lunga immobilità. Il trattamento cruento dev'essere riservato alle fratture nelle quali non è possibile ottenere la riduzione incruenta (irriducibili) o a quelle ribelli alla contezione (incontenibili) o a quelle con interposizioni di parti molli tra i frammenti, o a quelle paraarticolari che s'accompagnano a lussazione, o a quelle da strappamento con allontanamento dei frammenti (rotula, olecrano, calcagno), o a quelle che si complicano con ferite di vasi o di nervi. L'operazione consiste nello scoprire il focolaio della frattura, nel portare a contatto i frammenti con manovre manuali o strumentali, nel fissare i capi ossei per mezzo di fili, o di chiodi, o di viti, o di placche metalliche, o di nastri metallici (V. Putti). In alcuni casi (pseudoartrosi) è opportuno riunire i frammenti per mezzo d'un pezzo d'osso dello stesso individuo (innesto osseo).

Raggiunto il consolidamento della frattura, non si deve ancora considerar chiuso il periodo della cura. Infatti, come conseguenza delle lesioni traumatiche dello scheletro e delle parti molli, e della più o meno lunga e più o meno completa immobilità, residuano nella parte che fu sede della frattura disturbi circolatorî, trofici, funzionali di grado maggiore o minore, che si manifestano soprattutto con le atrofie dei muscoli, gli edemi, le limitazioni di movimento e le rigidità articolari. Complemento indispensabile della cura è quindi l'applicazione dei mezzi fisici che sono capaci di riattivare la nutrizione dei tessuti o di correggere progressivamente le rigidità: i movimenti attivi e passivi, il massaggio, le applicazioni elettriche, i bagni d'acqua calda e d'aria calda, le fangature, le sabbiature, ecc.

Bibl.: D. Taddei, Semeiotica e diagnostica chirurgica, Torino 1924; G. Lusena, Traumatologia clinica, Torino 1926.

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