FRENO DINAMOMETRICO

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

FRENO DINAMOMETRICO

Ottavio VOCCA

. I freni dinamometrici sono correntemente usati nei laboratorî di ricerca e nell'industria con lo scopo di misurare la coppia motrice e, quindi, con la contemporanea misura della velocità di rotazione, la potenza-asse (o effettiva) dei motori; con alcuni metodi, meno frequenti, è possibile anche la misura diretta della potenza. Per mezzo di questi freni e con l'ausilio di altre eventuali misure, è possibile determinare non soltanto la coppia e la potenza, ma anche altre fra le grandezze caratteristiche più importanti (curva caratteristica, rendimento totale, rendimento meccanico, ecc.) di una macchina motrice, accertare il comportamento di questa ai diversi regimi e ai diversi carichi, rilevare l'effetto di eventuali perfezionamenti in studio, ecc.

a) la misura direttta della potenza prodotta può essere eseguita con macchine dinamoelettriche tarate e con freni ad aria (mulinelli). Se il motore in prova è accoppiato ad una macchina dinamoelettrica, la sua potenza si può ottenere dividendo la potenza elettrica generata dalla dinamo per il rendimento di questa, determinato mediante preventiva, accurata taratura. I mulinelli sono per solito costituiti da un'elica piatta (fig. 1): le due piastre A possono essere fissate sui bracci b a distanze diverse dall'asse di rotazione onde assorbire, per ogni determninata velocità, potenze diverse. Eseguita preventivamente ed a parte la taratura e tracciata, cioè, la curva sperimentale della potenza (o della coppia) assorbita dal freno ad aria in funzione della velocità angolare, una volta calettato il mulinello sull'asse del motore, la semplice misura della velocità di rotazione con un tachimetro permette (tenuto debito conto della eventualmente diversa densità dell'aria) di determinare la potenza (o la coppia) prodotta.

b) Rinunziando alla misura diretta della potenza, la taratura preventiva del mulinello di cui sopra può essere evitata se il motore in prova è sostenuto da un banco oscillante: in tal caso la coppia motrice risulta misurata dal momento, rispetto all'asse di oscillazione del banco stesso, di un peso che, affidato ad un apposito braccio solidale col sistema oscillante, riesce a tenerlo nell'assetto originale (di riposo) corrispondente al motore fermo. La misura della coppia motrice con banco oscillante è possibile anche frenando il motore con freni diversi da quello descritto.

c) I freni dinamometrici di uso più frequente consentono la misura diretta della sola coppia motrice. Essi (v. dinamometro, XII, p. 900) possono essere del tipo meccanico (a ceppi o ad organo flessibile), idraulico, elettromagnetico, ma, a parte la natura delle forze agenti, il principio informatore non muta. In ogni caso, infatti, un rotore, accoppiato con l'asse del motore da provare, è racchiuso in una cassa che (mediante appoggio su cuscinetti a sfere concentrici all'albero) può oscillare intorno ad un asse ideale coincidente con quello dell'albero motore stesso. Le forze agenti fra rotore e statore (attrito combinato, oppure attrito cinetico ed azioni idrodinamiche, oppure azioni elettromagnetiche, rispettivamente) mentre frenano il motore, assorbendo l'energia prodotta, tendono a trascinare nel senso della rotazione la cassa oscillante: se, essendo il motore a regime, una forza esterna F (peso di un romano, reazione di un dinamometro, ecc.), applicata con un braccio b rispetto all'asse di oscillazione, è tale da tenere nel suo assetto iniziale (motore fermo) il sistema oscillante, il momento Fb, la coppia risultante delle reazioni fra rotore e statore e la coppia motrice saranno eguali fra loro e, indicato con n il numero di giri al minuto primo dell'asse motore, espresso F in Newton e b in metri, la potenza prodotta sarà data in kW da: P = 2 π/60.000 Fbn = 0,0001047 Fbn.

I tipi classici di freni dinamometrici meccanici (illustrati nella voce dinamometro) benché costruttivamente semplici, risultano adatti solamente per potenze modeste e sono comunque di uso scomodo e di difficile regolazione per la scarsa costanza del momento frenante, per la conseguente difficoltà a tenere costante il regime del motore e conseguenti squilibri improvvisi e continui del sistema oscillante. Si è cercato di migliorarne e facilitarne l'uso rendendo automatica la regolazione della forza con cui i ceppi (o il nastro) sono serrati sulla puleggia. Fra i diversi tipi automatici si ricorda qui quello Vocca (fig. 2): in esso, ottenuto col motore in moto il serraggio "base" dei ceppi mettendo in tensione, a mano ed a mezzo di un volantino, la molla M, quando per un aumento del coefficente d'attrito fra ceppi e puleggia il complesso tende ad essere trascinato nel senso della rotazione (antiorario in figura) ed il braccio b, inizialmente orizzontale, tende ad inclinarsi verso sinistra, il peso F, inizialmente sulla verticale del fulcro A, agisce attraverso le aste a e c nel senso di allentare la stretta dei ceppi, in opposizione all'azione della molla M. L'azione del peso F è invece concorde con quella della molla, nel senso di aumentare il serraggio, quando, per diminuzione del coefficente d'attrito, il sistema tende a ruotare nel senso orario. Con un opportuno dimensionamento delle parti è possibile ottenere variazioni percentuali notevoli della forza di serraggio anche con angoli (positivi o negativi) di solo qualche grado dell'asta b rispetto all'orizzontale e di quella c rispetto alla verticale.

Nei freni dinamometrici idraulici l'azione fra rotore e statore è dovuta sia all'attrito cinetico fra le parti fisse (solidali con la cassa) e quelle rotanti (solidali con l'asse motore) sia all'azione idrodinamica, fra gli stessi organi, dell'acqua che riempie parzialmente o del tutto la cassa oscillante. Esistono freni idraulici a dischi (tipo Ranzi, ad esempio: fig. 3) nei quali prevale l'azione dell'attrito cinetico, e freni a vortici (tipo Froude, ad esempio: fig. 4) nei quali le azioni e reazioni idrodinamiche sono esaltate dalla presenza, sulle due parti in moto relativo, di apposite cavità affrontate. La regolazione della coppia frenante (a pari velocità di rotazione) si ottiene, nei primi, variando opportunamente la massa d'acqua presente nella cassa e cioè lo spessore radiale dell'anello liquido che si forma per forza centrifuga. Nei secondi, l'acqua riempie interamente lo spazio libero fra rotore e statore e la regolazione della coppia viene ottenuta riducendo o aumentando la porzione affrontata delle due superfici provviste di cavità con la interposizione di otturatori che sono manovrabili per mezzo di un volantino.

I freni idraulici, se adoperati nel loro campo di misura, sono molto stabili e di uso comodo. Essi sono adatti sia per coppie modeste (corrispondenti anche a potenze di pochi kW) sia per coppie molto elevate (potenze di migliaia di kW), purché si disponga della portata d'acqua occorrente per lo smaltimento del calore risultante dalla trasformazione dell'energia meccanica assorbita.

I freni dinamometrici elettrici sono indubbiamente i più comodi e perfetti, ma anche i più costosi ed ingombranti. Essi (fig. 5) si riducono per solito a un generatore (di corrente continua o di corrente alternata), il cui rotore viene accoppiato all'albero motore, mentre lo statore è reso al solito oscillante mediante appoggio su cuscinetti a sfere. La misura della coppia si esegue come già detto, mentre la regolazione si effettua da un quadro di manovra (a destra nella fig. 5) agendo sulla corrente di eccitazione e sulla resistenza del circuito esterno che assorbe (ed eventualmente utilizza) l'energia elettrica prodotta. Se si esclude l'alimentazione della macchina in prova e si fa funzionare da motore il generatore alimentandolo da una sorgente di energia elettrica, esterna il complesso permette di misurare la coppia passiva corrispondente alle perdite organiche della macchina motrice e, volendo, anche di eseguire il rodaggio di essa.

Rinunziando a queste due ultime possibilità, da alcuni anni sono stati creati freni elettrici che, pur presentando le ottime caratteristiche di quelli a cui si è già accennato, risultano sensibilmente più economici. In essi; realizzati con materiali di buona permeabilità magnetica, il rotore R non è dotato di alcun avvolgimento, mentre nello statore S (vedi schizzo in fig. 6) è semplicemente allogata una bobina toroidale B. È evidente che, eccitando la bobina, il campo magnetico generato provoca intense correnti parassite nella massa metallica e di conseguenza una energica coppia frenante. In questo caso l'energia meccanica risulta, come nei freni meccanici ed idraulici, trasformata in calore al cui smaltimento si dovrà provvedere con una efficace circolazione di acqua (fori F).

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