Schlegel, Friedrich von

Dizionario di filosofia (2009)

Schlegel, Friedrich von


Scrittore e filosofo (Hannover 1772 - Dresda 1829).

Dagli studi filologici a un nuovo genere di critica letteraria

S. studiò diritto a Gottinga e poi a Lipsia, ma i suoi interessi si rivolsero soprattutto alla letteratura e alla poesia greca di cui, nella sua giovinezza, volle essere il ‘Winckelmann. I suoi primi scritti, composti a Dresda dove si era trasferito nel 1794 (Von der Schule der griechischen Poesie, 1794; Über das Studium der griechischen Poesie, 1795-96, trad. it. Sullo studio della poesia greca), sono infatti un’esaltazione della poesia greca – secondo linee interpretative molto vicine alla distinzione schilleriana tra poesia «ingenua» e poesia «sentimentale» – come veramente «oggettiva», intrinsecamente e spontaneamente armonica, a differenza di quella moderna intrinsecamente soggettiva e incapace di vera perfezione. Dopo lo scritto Über den Republikanismus del 1796, dove si avvertono i risultati della riflessione sul decorso della Rivoluzione francese, S. pubblicò alcuni saggi, importanti anche come esempio di un nuovo stile di critica letteraria, storica e filosofica insieme, su Jacobi (1796), Forster (1797), Lessing (1797) e il Meister di Goethe (1798), a cui seguirono la Geschichte der Poesie der Griechen und der Römer (1798) e la Lucinde (1799), un romanzo oggetto di molte polemiche per la sua spregiudicata presentazione della concezione romantica dell’amore. Furono anni di esperienze decisive per S. che, prima a Jena (1796) e poi a Berlino (1797), incontrò quelli che dovevano essere tra i maggiori esponenti del primo Romanticismo, come il poeta e filosofo Novalis e il teologo e filosofo Schleiermacher; con quest’ultimo e con il fratello August Wilhelm collaborò, a Berlino, alla rivista Athenaeum (1798-1800), organo del primo Romanticismo. Prima nella rivista Lyceum (1797) e poi appunto nell’Athenaeum, S. pubblicò una nutrita serie di frammenti che, insieme al Gespräch über die Poesie (1800, sempre nell’Athenaeum; trad. it. Dialogo sulla poesia), contengono i principali fondamenti della sua concezione della poesia.

La riflessione estetico-filosofica

Sviluppando motivi già presenti nei primi scritti, ma in un quadro ormai di minore entusiasmo classicistico, in questa fase della sua riflessione S. sottolinea il legame tra la poesia romantica e alcuni caratteri essenziali della civiltà moderna come la mancanza di una mitologia che potesse svolgere una funzione analoga a quella della mitologia greca, su cui la poesia classica era interamente incentrata (da ciò il programma di una «nuova mitologia» fondata su una filosofia della natura di tipo schellinghiano), e la presenza ormai insopprimibile dell’aspirazione, posta dal cristianesimo, a cogliere ed esprimere l’infinito. Per questo la poesia romantica non può che essere «progressiva», nel senso che non può mai trovare realizzazione adeguata dell’idea nel reale e deve pertanto perseguirlo incessantemente; per questo la poesia romantica è anche inscindibile dall’«ironia» come consapevolezza intrinseca alla poesia del proprio limite costitutivo, per cui è destinata a rimanere sempre sospesa tra apparenza e realtà, tra il giocoso e il serio. In questo senso ancora la poesia romantica è «trascendentale» giacché, analogamente alla filosofia trascendentale kantiana e fichtiana, è costituita dal continuo riferimento ai modi di operare del soggetto ed è «poesia della poesia», in quanto deve rappresentare insieme l’artista e l’opera, il producente e il prodotto, come ha saputo fare magistralmente Goethe. La poesia romantica, infine, non può che essere «universale», giacché non può certo ridursi o identificarsi con nessuno dei tradizionali generi letterari isolatamente, ma tende a una continua compenetrazione non solo dei diversi generi, ma soprattutto di arte e vita, di arte e filosofia; in questo senso il romanzo è la tipica forma di arte romantica per il suo carattere storico e poetico insieme. Considerazioni analoghe, secondo S., valgono per la filosofia che non può né deve rimanere chiusa nelle strettoie del finito e dei procedimenti dimostrativi propri della matematica, o, peggio, irrigidirsi in un sistema, dovendo piuttosto operare come incessante distruzione dei diversi sistemi al fine di promuoverne una integrazione continua e circolare simile a quella dei processi chimici e biologici in natura. All’approfondimento di questi temi filosofici, largamente influenzati da Fichte, sono dedicati i primi anni dell’Ottocento in cui S. tenne un corso di filosofia a Colonia (1804) e fondò a Parigi una nuova rivista, Europa (1803-05).

Il periodo austriaco: la centralità dell’esperienza cristiana

Frattanto i suoi interessi andarono allargandosi dalle letterature germaniche a quelle romanze, specie a quella spagnola, e poi a quelle orientali e soprattutto a quella indiana a cui è dedicata l’opera Über die Sprache und Weisheit der lnder (trad. it. Sulla lingua e la sapienza degli Indiani) del 1808. Nel 1808 S. si convertì al cattolicesimo e successivamente partecipò attivamente alla lotta antinapoleonica, stabilendosi a Vienna come segretario della Cancelleria imperiale. Nel 1815 fu a Francoforte come segretario della missione austriaca presso la Dieta e nel 1819 si recò in Italia con K. Metternich. A Vienna nel 1812 tenne le Vorlesungen über die Geschichte der alten und der neuen Literatur (trad. it. Storia della letteratura antica e moderna) che furono edite poi nel 1815 ed ebbero molta fortuna nell’Ottocento. Fondò due nuove riviste: Deutsches Museum (1812-13), e Concordia (1820-23), con lo scopo di promuovere un completo rinnovamento della vita e della cultura tedesca in base a un cristianesimo inteso in chiave di motivi romantici, come appare anche dalle lezioni che tenne negli ultimi anni della sua vita: Philosophie des Lebens (1827), Philosophie der Geschichte (1828) e Philosophie der Sprache und des Wortes (1828). La storia, il linguaggio e la rivelazione sono riportate a un concetto di «vita» come pienezza interiore e armonia originaria di facoltà andate perdute con il peccato e con l’oblio della «parola eterna» su cui si fondano tutte le filosofie, anche quelle precristiane; pienezza e armonia che è compito della storia, come conquista del divino, ritrovare e realizzare.

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