GABI

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

Vedi GABI dell'anno: 1960 - 1994

GABÎ (v. vol. III, p. 753 e S 1970, p. 339)

A. Bellini

I recenti studi hanno sottolineato come l'importanza e lo sviluppo di G. siano strettamente connessi (come per gli altri centri protostorici del Lazio; v. laziale, civiltà) alla sua posizione geografica, posta all'incrocio di percorsi viari di primario interesse: la via di transumanza che collegava l'Appennino aquilano con la pianura Pontina, l'asse di collegamento interno tra Etruria e Campania e la strada di comunicazione tra Etruria e Sabina, che guadava probabilmente l'Aniene presso Lunghezza. Si conservano ancora resti del tracciato di questi percorsi all'interno dell'abitato.

Durante i lavori per l'installazione del nuovo condotto dell'acquedotto Marcio, a S della Prenestina attuale, sono venuti alla luce resti di una strada, nella quale si è proposto di riconoscere l'antica Via Praenestina. Verrebbe quindi a cadere la tradizionale identificazione di quest'ultima con la strada che fronteggiava il Tempio di Giunone.

Nel 1976 e nel 1977 la Soprintendenza Archeologica di Roma, in collaborazione con l'Istituto di Topografia Antica dell'Università di Roma, ha intrapreso l'esplorazione di un santuario extraurbano, in uso dalla fine del VII al II sec. a.C., situato quasi a fondovalle a E della città. Il complesso, in blocchi di tufo dell'Amene, è stato così ricostruito: su una platea si eleva un edificio rettangolare orientato NE-SO, con apertura nel lato O; accanto vi è un pozzo.

Il rinvenimento in quest'area di una stipe votiva sconvolta, databile tra la fine del VII e il VI sec. a.C., contenente fibule, coppie sedute e bambini in fasce, ha fatto supporre che nel santuario si venerasse una divinità femminile protettrice delle nascite.

Nei primi anni del II sec. a.C. a E dell'edificio fu eretto un portico in opus incertum, incentrato su un grande ambiente coperto, alle cui pareti, scandite da semicolonne e decorate con pitture del I stile, è addossato un sedile continuo. A S del portico, in una fossa, insieme a materiale del IV-III sec. a.C., sono stati rinvenuti frammenti di terrecotte architettoniche del VI-V sec. a.C. Da ricordare un acroterio raffigurante una sirena, databile al 540-30, e un'antefissa raffigurante un sileno. La presenza di un sepolcreto di età imperiale, in quest'area, testimonia l'avvenuto abbandono del luogo di culto.

Contemporaneamente allo scavo, l'Istituto di Topografia Antica ha avviato l'analisi topografica della zona, con successiva redazione di una carta archeologica. È stato così possibile definire le grandi linee dello sviluppo dell'insediamento e i confini dell'abitato, specialmente per l'età arcaica.

La presenza di una notevole quantità di frammenti fittili, databili dalla media Età del Bronzo, ha rivelato l'esistenza, fin da questo periodo, di uno stanziamento (300 x 70 m c.a) nella parte interna del margine orientale del cratere di Castiglione.

Per la prima Età del Ferro, i dati archeologici sembrano indicare un popolamento a carattere diffuso della zona a SE del lago, con insediamenti di limitate dimensioni distribuiti sia sui rilievi sia nel fondovalle, situazione tipica nei maggiori comprensori contemporanei dell'area laziale.

Pertinenti a questo periodo sono anche i resti di strutture abitative (buche per pali, canaletti) rinvenuti, durante lo scavo del santuario arcaico, nel banco di tufo sottostante l'edificio. Il carattere non concentrato dell'insediamento sembra essere confermato dalla coesistenza di diverse necropoli identificate nella zona per questo periodo. Da ricordare, fra queste, la necropoli coeva alle prime fasi di quella di Osteria dell'Osa, individuata grazie ad alcuni saggi condotti dalla Soprintendenza Archeologica di Roma nell'area dell'insediamento dell'Età del Bronzo.

Il materiale di superficie sembrerebbe indicare, all'inizio del VIII sec. a.C., la formazione di un sepolcreto nella zona a E del lago, ipotesi avvalorata dal rinvenimento di una tomba a fossa. Contemporaneamente, abbandonati gli stanziamenti di fondovalle, l'abitato sembra concentrarsi nella zona rilevata a SE della cinta craterica, fino a determinare la creazione in questa zona di una vera e propria area urbana dalla fine del VII sec. a.C., come dimostrerebbe il rinvenimento diffuso di numerose tegole e di blocchi e scheggioni di tufo, insieme ad altro materiale riferibile all'età arcaica. Alla prima fase dell'Orientalizzante (720-630 a.C) dovrebbe invece appartenere la tomba con deposizione in tronco d'albero, rinvenuta a G. nel 1889, ora al Museo di Villa Giulia.

Dalle foto aeree è stato possibile ricostruire il tracciato della cinta muraria in opus quadratum di tufo dell'Amene e con riempimento interno di scheggioni di travertino, che delimitava l'abitato a SE. Il limite della città viene così definito, oltre che dalle mura, dalla cinta craterica a O e dal fossato a N. È invece impossibile accertare se la zona a NE del lago, dove tradizionalmente si riconosceva la G. latina, con acropoli nella zona della torre di Castiglione, facesse parte dell'abitato, poiché il piano originario è stato totalmente asportato dalle cave antiche di pietra gabina. Con un'area urbana così definita, G. viene a essere, dopo Roma, il centro laziale di maggiore estensione, confermando la sua rilevanza politica e culturale trasmessa dalle fonti già per l'VIII sec. a.C. (Dion. Hal., I, 84; Plut., Rom., 6). Queste testimonianze sono state avvalorate dal recente rinvenimento, nella tomba 482 della necropoli di Osteria dell'Osa, della più antica iscrizione in lingua greca rinvenuta in Italia, incisa su un vaso e risalente all'VIII sec. a.C.

Al momento della creazione dell'area urbana sono inoltre databili le prime fasi degli edifici di culto. Oltre al santuario extraurbano sopra descritto, sicuramente nel VI sec. a.C. si ha la prima sistemazione dell'area del Tempio di Giunone e quella del santuario, con fasi arcaiche e medio-repubblicane, individuato nella zona S dell'abitato, precisamente nell'area della tenuta di Pantano Borghese. La presenza di acque salubri e il rinvenimento, insieme ad altro materiale votivo, di un'ara dedicata ad Apollo, ne ha fatto proporre l'identificazione con il tempio dedicato a questa divinità ricordato in un passo di Livio (XLI, 16,6).

Dall'avanzata età arcaica si assiste a una progressiva contrazione dell'abitato, probabile conseguenza del minore potere politico ed economico della città, determinato dalla situazione creatasi nel Lazio dopo la guerra dei Romani contro gli Equi e i Volsci (462 a.C.) e, successivamente, dopo il conflitto tra Roma e Preneste (382 a.C.). Questa contrazione si accentua a partire dall'età mediorepubblicana. Si ricordino, per questo periodo, tre tombe a camera con lungo dròmos (IV sec a.C. circa) rinvenute oltre il fosso di San Giuliano e le numerose sepolture scavate da clandestini nella stessa zona, oggi solo parzialmente visibili. Dal II sec. a.C. fino alla fine della vita di G., l'abitato si concentra attorno al Tempio di Giunone con il conseguente abbandono della cinta muraria. In epoca imperiale numerose ville furono edificate nell'area circostante la città.

Il complesso del Santuario di Giunone. - I recenti studi, pubblicati in seguito agli scavi della Scuola Spagnola di Roma nell'area del Tempio di Giunone, hanno fornito elementi per una migliore conoscenza del complesso. Benché non si possa escludere l'esistenza di un luogo di culto già nel corso del VII sec. a.C., l'analisi delle strutture rinvenute ha permesso di datare la prima organizzazione sicura del santuario alla fine del VI sec. a.C. Da ascrivere a questa fase sono i blocchi e i filari di tufo rinvenuti nello strato sottostante l'edificio ellenistico e alcune antefisse arcaiche. Non oltre il IV sec. a.C. è databile la prima sistemazione delle fosse per gli alberi e i resti di ambienti, rinvenuti a O del témenos. Il complesso, orientato N-S come i santuari etruschi, si componeva probabilmente di un sacello collegato con un bosco sacro, il lucus, presente frequentemente nei santuari italici fin dalle origini. Qui doveva sorgere un albero particolarmente venerato, poiché il suo sito, disposto sull'asse dell'edificio templare, è rintracciabile anche nelle fasi successive del santuario. L'analisi di una stipe votiva, rinvenuta presso il sacello dedicato alla Fortuna, suggerisce una datazione all'inizio del III sec. a.C. per la sistemazione della zona come luogo di culto; mentre ai primi del II sec. a.C. risalirebbero alcuni ambienti, appartenenti ad abitazioni, pavimentati in cocciopesto, rinvenuti a Ν dell'area sopracitata.

Lo studio del materiale di scavo ha permesso di datare tra il 160-150 a.C. la ricostruzione monumentale del santuario, la cui tradizionale attribuzione a Giunone è stata confermata dal rinvenimento di un'antefissa con sovradipinta l'iscrizione ivn. Sull'altare innalzato davanti al tempio, ascrivibile nel suo rifacimento attuale a quest'epoca, è un iscrizione recante il cognomen del dedicante, Cetegus, da identificare forse con M. Cornelio Cetego, il console del 160 a.C. Accanto all'altare è ancora conservata la lastra di pietra con l'anello per l'aggiogamento delle vittime.

Contrariamente a quanto in precedenza proposto, l'analisi delle strutture ha dimostrato trattarsi di un complesso concepito in modo rigorosamente unitario, per la costruzione del quale fu deviata la strada che correva lungo la riva del lago di Castiglione. L'edificio, che segue un diverso orientamento (NO-SE) rispetto alle strutture precedenti, è realizzato sulla base del triangolo pitagorico e di un modulo di 10 piedi, che ritorna sistematicamente sia in pianta sia in alzato. Benché si conservino alcuni elementi dell'architettura templare italica, come l'alto podio e l'assenza del colonnato nella parte posteriore, le caratteristiche tecniche e le proporzioni, come l'ampio spazio tra colonnato frontale e cella, permettono di stabilirne la dipendenza da architetture ellenistiche, in particolare da quelle elaborate dall'architetto greco Hermogenes. Per questo è stato proposto di vedere nel tempio gabino l'opera dell'architetto Hermodoros di Salamina, attivo a Roma in quegli anni. Cinque ingressi davano l'accesso all'area sacra: il principale doveva essere quello posto a SE, dal quale partiva una via lastricata che giungeva fino alla scalinata del tempio. Sotto l'angolo orientale della cella è stato rinvenuto uno stretto corridoio sotterraneo, ricavato entro il podio al momento stesso della costruzione; per il suo orientamento N-S, gli scavatori l'hanno identificato con una meridiana, mentre altri hanno invece proposto trattarsi di un'installazione collegata con un oracolo (Coarelli).

Nel periodo successivo alle guerre civili, si può supporre un restauro sistematico del tempio, testimoniato dai numerosi frammenti rinvenuti e databili in questo arco cronologico. Coevo è l'allestimento di un piccolo luogo di culto, lastricato e munito di due altari, collocato all'interno del témenos, presso il suo ingresso E. Ai lati lunghi e a quello posteriore del tempio fu addossato un basamento per sostenere statue. Nel bosco sacro si raddoppiò il numero e si ridussero le dimensioni delle fosse per gli alberi. Si è pensato che ciò fosse determinato da un cambiamento nel culto: gli alberi sarebbero stati sostituiti da essenze di mirto, per l'assimilazione del culto di Giunone con quello, tipicamente sillano, di Venere (Coarelli, 1987).

Fra gli altri restauri di epoca imperiale si ricorda quello eseguito sotto Augusto.

Durante la messa in opera del nuovo condotto dell'acquedotto Marcio sono stati rinvenuti i resti del teatro situato davanti al tempio, che confermano l'esattezza della pianta già data dal Visconti nel 1797.

La necropoli di Osteria dell'Osa. - Dal 1971, la Soprintendenza di Roma alla Preistoria e all'Etnografia ha intrapreso lo scavo sistematico della necropoli di Osteria dell'Osa. Relativa a uno dei centri protostorici della zona, è situata sul margine O del cratere di Castiglione, a breve distanza dalla Via Prenestina attuale, all'altezza del km 17,500. Per l'abbondanza e il valore dei rinvenimenti, riveste un ruolo primario nello studio dello sviluppo dei centri laziali dell'Età del Ferro; in particolare per la fase Laziale IIA (900-830 a.C.), la più antica documentata nella necropoli. Particolare interesse per questo periodo presentano due gruppi di tombe, ognuno dei quali si distingue per le differenze tipologiche e stilistiche dei materiali ceramici e metallici presenti nel corredo: in ciascuno di essi sepolture a inumazione (prevalentemente femminili e infantili) si dispongono attorno a un piccolo nucleo di incinerazioni in pozzetto riservate a individui di sesso maschile, tra i 20 e i 40 anni, contenenti urne a forma di capanna e oggetti miniaturizzati, in particolare armi. I rinvenimenti permettono di ipotizzare l'esistenza di altre situazioni simili nella necropoli, anche se non così nettamente identificabili sul terreno. I corredi, determinati principalmente dal sesso e dall'età del defunto, sembrano rivelare la mancanza di un'effettiva gerarchia sociale.

Dalla seconda metà del IX sec. a.C. scompaiono le sepolture a incinerazione e con esse la presenza di armi nelle tombe.

A ciò corrisponde l'assenza quasi totale di deposizioni maschili appartenenti a quelle classi di età alle quali in precedenza era riservato questo rito. È stato quindi proposto che la scomparsa dell'incinerazione abbia determinato, nel trattamento funebre di questa categoria, un cambiamento del quale finora non sono state rinvenute tracce archeologicamente riconoscibili.

Dall'inizio dell'VIII sec. a.C., la necropoli offre un quadro notevolmente diverso: alle tombe sparse su tutta l'area del sepolcreto, con distribuzione più rada rispetto al periodo precedente e senza raggruppamenti evidenti, si oppone un nucleo di sepolture apparentemente più consistente, caratterizzato dalla sovrapposizione delle singole deposizioni e da una fittissima concentrazione spaziale, resa più evidente dalla presenza nell'area circostante di ampi spazi completamente liberi. Quest'ultima situazione parrebbe voler sottolineare l'unità come gruppo degli individui lì sepolti e, conseguentemente, il maggior valore attribuito alla linea di discendenza. Il fenomeno sembra anticipare una realtà riscontrata finora negli altri centri laziali solo a partire dall'Orientalizzante Recente. Nelle tombe sparse contemporanee la composizione del corredo pare invece rispecchiare maggiormente le attribuzioni personali e sociali dei defunti. Questa differenziazione tra tipi di sepolture potrebbe indicare la progressiva suddivisione della comunità in classi sociali.

Mentre per il IX e Vili sec. a.C. la presenza di concentrazioni significative di sepolture permette di supporre che la necropoli corrispondesse a una comunità residenziale, dalla metà dell'VIII sec. a.C. e per tutto il corso dell'Orientalizzante (730-580 a.C.), il numero limitato di tombe e la loro distribuzione su tutta l'area del sepolcreto sembrerebbero indicare che il complesso non è più rappresentativo di tutti i componenti della comunità.

Nell'ultima fase della necropoli (630-580 a.C.), accanto alle sepolture individuali, è stata rinvenuta una tomba a camera a due vani con lungo dròmos d'accesso, nella quale il collocamento, all'interno di uno spazio determinato, delle singole deposizioni esprime l'appartenenza dei defunti allo stesso gruppo familiare e documenta la distinzione ormai consolidata fra l'aristocrazia gentilizia e gli altri membri della comunità.

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