DARA, Gabriele

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DARA, Gabriele

Rosa Maria Monastra

Nacque a Palazzo Adriano (Palermo) l'8 genn. 1826, da Andrea di famiglia arbëréshe, da tempo dedita al culto e all'esplorazione delle patrie memorie.

Compì gli studi a Palermo, prima nel seminario greco-albanese, poi all'università, dove conseguì la laurea in giurisprudenza. Di spiriti liberali, si inserì con fervore (sebbene in fondo piuttosto marginalmente) negli ambienti della propaganda antiborbonica: a Palermo, nella primavera del '47, fu tra gli animatori di un circolo politico-letterario, "ove a giorni alterni ciascuno era obbligato leggere libere poesie, che poi diffondeansi ad animare l'impaziente gioventù" (pref. ad Alcune poesie, p. 4); nel marzo del '48 lo troviamo tra i redattori del quotidiano Il Tribuno, continuazione di un Giornale patriottico apparso il 21gennaio di quell'anno a sostegno dei comitati provvisori (pare che a dirigerlo fosse lo stesso autore del celebre preannuncio rivoluzionario, Francesco Bagnasco).

Le idee espresse dal D. sul Tribuno appaiono abbastanza conformi alla linea maggioritaria del momento, la quale - com'è noto -concepiva la lotta per l'autonomia siciliana nel quadro programmatico di una nuova Italia federale. Del resto, anche in Alcune poesie (il volumetto che raccoglie i versi clandestini sopra ricordati, con l'aggiunta di una Protesta alla Sicilia datata 14 marzo 1848) il D., nonostante qualche richiamo alle glorie del Vespro (un topos della cultura sicilianista-indipendentista), dimostra un vivace interesse per l'indipendenza nazionale; ed è significativo che in tale aspirazione risorgimentale si intrecciano le due anime della borghesia antiborbonica, il mito neoguelfo (cfr. A Pio IX, ibid., pp.15-18) e l'insurrezionalismo democratico-mazziniano (non a caso, per la sua Protesta alla Sicilia, egli si scelse l'epigrafe da Guerrazzi: cfr. Alcune poesie, pp. 30-32, e Il Tribuno, 20 marzo 1848).

A Girgenti il D. intraprese la carriera forense sotto la guida dello zio Nicolò, anch'egli reduce dagli entusiasmi quarantotteschi (era stato rappresentante di quel comune alla Camera (cfr. G. Lucifora, Ricordi della rivoluzione siciliana del 1848, in Memorie della rivoluzione siciliana dell'anno MDCCCXLVIII, Palermo 1898 [ma in realtà 1904], I, p. 42). Agli anni della reazione ferdinandea risale probabilmente lo stretto sodalizio con Rocco Ricci Gramitto, un sodalizio maturato all'interno di un comune progetto di trasformazione politico-culturale. Li troviamo insieme sulle pagine del periodico palermitano Il Baretti (1856-57); e insieme essi diedero vita, a Girgenti, al mensile La Palingenesi (di cui in effetti uscirono solo otto numeri, tra i primi del '58 e l'estate del '59).

La Palingenesi è stato recentemente annoverato da F. Della Peruta tra quei periodici meridionali nei quali, nonostante la gracilità dei contenuti e l'eclettismo dell'impostazione, "pure si riscontra ... il tentativo di non perdere contatto con il movimento intellettuale del resto del paese e filtra un orientamento antiborbonico" (A. Galante Garrone-F. Della Peruta, La stampaitaliana del Risorgimento, Roma-Bari 1979, pp. 539 s.). Tra le molte: confuse suggestioni che appaiono animare la rivista, l'influsso di Gioberti costituisce forse la nota dominante, specie nelle pagine del direttore Ricci Gramitto ed in quelle dello stesso Dara. Negli interventi di quest'ultimo esso acquista però un sapore abbastanza singolare, in quanto la volontà di risuscitare le antiche glorie del genio italico sembra fondarsi su una teoria dei corsi e ricorsi autorizzata, sì, dal nome di Vico, ma in sostanza inclinante piuttosto verso il mito tutto orientale dell'eterno ritorno (v. soprattutto la Prefazione, I, 1, p. VI: e cfr. la conclusione della canzone All'Italia, in Alcune poesie, p. 25). La preoccupazione nazionale induce il D. a rifiutare il romanticismo in difesa di una presunta cultura autoctona dalle ascendenze "Pelasgo-Greco-Latine" (cfr. Cause degli errori della criticaletteraria del Cantù, e poche idee generali sulla genesi delle lettereitaliane, I, n. 5, pp. 93-100):sebbene poi egli faccia gran pregio, non solo dei Promessi sposi manzoniani, ma anche dell'Ildegonda di Tommaso Grossi (e del resto l'influsso del romanticismo è più che evidente nelle sue stesse poesie). Drastica, comunque, appare la presa di posizione in senso moderato, in polemica con le "astrattezze" e le "utopie degli ultramontani" i quali "non san persuadersi d'una verità trita e comune, cioè, che nelle cose umane la perfezione sta nel minormale possibile" (cfr. la cit. Prefazione, p. XVII).

Intanto l'armistizio di Villafranca faceva precipitare gli eventi. Rocco Ricci Gramitto, dopo aver partecipato alla rivolta della Gancia, si dava alla macchia con le bande di Rosolino Pilo, e quindi si associava ai Mille; il D. restava invece a Girgenti, ma neanch'egli dovette essere insensibile all'entusiasmo dell'ora, se il 23 giugno 1860 il dittatore Garibaldi lo nominò segretario generale del governatore Domenico Bartoli e poco dopo il prodittatore Mordini lo promosse a consigliere di prima classe (cfr. Collezione delle leggi, decreti e disposizioni governativecompilate dall'avvocato Nicolò Porcelli, Palermo 1861, pp. 67, 194).

La carriera burocratica del D. doveva proseguire nel nuovo Regno d'Italia, ma per interrompersi bruscamente dopo pochi anni: divenuto consigliere delegato per la provincia di Trapani nel dicembre 1866, il 19 nov. 1868 egli fu collocato a disposizione (cfr. G. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti delRegno d'Italia, Roma 1973, p. 494). Sembrerebbe che la sua delusione storica abbia trovato per qualche tempo un contesto omogeneo nell'area filocrispina: secondo l'omonimo nipote dello scrittore (un biografo invero alquanto confuso e inesatto), questi addirittura avrebbe diretto per parecchi anni il giornale La Riforma (G. D., in Kenka e spràsmee Balës, p. 8): il che appare poco credibile, vista l'assenza di altre testimonianze in proposito (cfr. O. Majolo Molinari, Lastampa periodica romanadell'Ottocento, Roma 1963, II, pp. 773 ss.).

Comunque stiano le cose, è certo che a dieci anni dall'Unità le strade dei due vecchi amici, il D. e il Ricci Gramitto, si erano decisamente divaricate: il D. inclinava sempre più a ritirarsi in uno scontroso isolamento; il Ricci Gramitto invece era ormai disponibile a una completa integrazione nella compagine della Terza Italia (e si rammenti, in proposito, il ritratto che ne avrebbe delineato più tardi il nipote Pirandello nel romanzo I vecchi e i giovani, modellandogli addosso il personaggio di Roberto Auriti).

Le divergenze tra i due ex collaboratori vengono fuori chiaramente dalla controversia in terzine dantesche che essi pubblicarono in quegli anni: mentre il Ricci Gramitto, da buon massone di sinistra, proclamava la propria inesausta fiducia nel "progresso", il D. inveiva acerbamente contro la "corrotta età" dei demagoghi e dei falsi profeti, nella quale anche i grandi di una volta - Mazzini e Garibaldi - erano divenuti artefici di discordie civili (cfr. I nostri mali e Non plus ultra).

"Rientrato nella sua diletta Girgenti, sua patria d'elezione", - si legge nel profilo del D. delineato dal nipote (p. 8) - "si ebbe onori non ambiti e non sollecitati: fu consigliere comunale, consigliere provinciale, consigliere scolastico, commissario delle antichità". Se questa veramente fu l'ultima stagione dell'ormai anziano avvocato, si direbbe che egli abbia raggiunto un piccolo compromesso con le istituzioni vigenti, autoemarginandosi in un modesto ruolo periferico.

Il D. morì il 19 nov. 1885 a Porto Empedocle (Agrigento).

Tra gli inediti, lasciava l'opera più nota, Kénka e spràsme e Balës (Ilcanto ultimo di Bala), che - dopo parziali pubblicazioni su Arbri i Rii (1887) e su La Nazione albanese (1900-03) -sarebbe apparsa in volume a Catanzaro nel 1906.

A detta dello stesso D., il suo lavoro sarebbe consistito solo nell'ordinare (e tradurre) una serie di canti popolari, già raccolti dall'avo Gabriele e dal padre Andrea: di nuovo egli avrebbe aggiunto soltanto Il canto dell'augelletto, anch'esso del resto appartenente al patrimonio folklorico della sua gente. Ma non gli si può prestar fede: la storia di Skanderbeg e di Nik Peta, posta in bocca al mitico aedo Bala, pur usufruendo di temi e toni propri delle rapsodie tradizionali italoalbanesi, si rivela chiaramente come una creazione letteraria concepita sulla falsariga dell'Ossian. L'amore per l'antica madre Albania, e il desiderio di autonobilitarsi esibendo antenati consanguinei del Castriota, costituiscono l'etimo ispiratore di questo poema epicolirico. Lo scopo politico - enunciato formalmente dall'autore nella Prefazione agli Albanesi - è quello di propagandare, contro i Turchi oppressori, un blocco nazionale di "Cristiani e Maomettani, Cattolici ed Ortodossi" e una solidarietà etnica tra "quanti abitano dal piede del Montenegro e dalle vette della Mirditia e di Chimara, sino al mare di Arta e di Giannina".

Opere: Alcune poesie, Palermo 1848; Inostri mali, epistola del D. e risposta di R. Ricci Gramitto, Girgenti 1870; Non plus ultra, seconda epistola del D., E pur simuove!, risposta di R. Ricci Gramitto, Firenze 1871 (estratto dalla Rivista europea); Un'escursione sulle Alpi, Girgenti 1883; Kënkae spràsme e Balës (Il canto ultimo di Bala), Catanzaro 1906. In G. M. Mira, Bibliografia siciliana, I, Palermo 1875 (rist. anastatica Bologna 1973), p. 292, si cita anche uno studio archeologico, Das alte "Catana". Mit einem Plan, Lübeck 1873.

Bibl.: Per notizie biobibliogr. (ma non sempre attendibili): G. D. [= G. Dara: cfr. G. Petrotta, Poeti siculo-albanesi, Palermo 1950, p. 10], G. D.,in La Nazione albanese, 15 luglio 1900, pp. 4 s., e poi come introduz. a Kenka e spràsme e Balës, cit., pp. 5-10. La voce D. G. del Dizionario encicl. della letter. ital., diretto da G. Petronio, Bari 1966, praticamente parla solo del Canto ultimo di Bala; e lo stesso grosso modo può dirsi dei seguenti studi: G. Petrotta, Letteratura albanese ed italo-albanese, in Albania, I, Venezia 1939, pp. 165-202; N. Ressuli, G.D. I Riu (1826-1885), in Shkrimtarët Shquiptarët, botim i Ministris s'Arsimit, I, Tirane 1941; G. Petrotta, Poeti siculo-albanesi, cit., pp. 8-24; S. Petrotta, Albanesi di Sicilia. Storia e cultura, Palermo 1966, pp. 148 ss..Su Alcune poesie cfr. G. A. Cesareo, La poesia della rivoluz. in Sicilia, in Natura ed arte, XIX (1910), pp. 145-48, 217-21, e anche (con qualche rimaneggiamento e col titolo La poesia patriottica nella Rivoluzione), in Conferenze sulla storia del Risorg. in Sicilia nel 1860, Palermo 1910, pp. 103-24; G. Santangelo, Letter. in Sicilia da Federico II a Pirandello, Palermo 1975, p. 89. Per la stampa risorgimentale sicil. cui collaborò il D.: A. Narbone, Bibliografia sicula sistematica, IV,Palermo 1855, p. 321; G. Lodi, Giornali di Palermo pubbl. nel 1848-49, in Memorie della rivoluzione sicil. dell'anno MDCCCXLVIII, Palermo 1898 [ma in realtà 1904], II, pp. 1-28 [con numerazione a parte]; M. Beltrani Scalia, Giornali di Palermo nel 1848-49, Palermo 1931, pp. 11 ss.; A. Boselli-N. D. Evola, La stampa period. siciliana del Risorgimento, in Rass. stor. del Risorgim., XVIII (1931), suppl. al fasc. 1, pp. 299-359; E. Appio, La stampa palermitana dai moti del 1845 all'Unità d'Italia, in Giornalismo del Risorgimento, Torino 1961, pp. 27-64. In particolare su La Palingenesi: R. Composto, Giornali siciliani nella Restaurazione borbonica, Palermo 1970, pp. 153-69, 190.

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