BOSCHI, Gaetano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 34 (1988)

BOSCHI, Gaetano

Giuseppe Armocida

Nacque a Padova il 19 maggio 1882, da Vitaliano Augusto e Pia Caterina Garbi. Superati i primi studi nella città natale, si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia di quella università, dove fu allievo di A. De Giovanni e si laureò nel 1906. Si indirizzò subito verso il campo degli studi neuropsichiatrici ed ebbe in questa disciplina maestri illustri, come G. Mingazzini. Conseguì nel 1913 la libera docenza in clinica psichiatrica nell'università di Roma e successivamente quella in neuropatologia nell'università di Torino. In quell'epoca la psichiatria, ancora strettamente congiunta alla neurologia nel campo clinico e nella ricerca, trovava negli ospedali psichiatrici la più importante palestra di studi. L'ampia casistica della popolazione manicomiale, alla quale ci si avvicinava con rinnovate energie sostenute dal fiorire delle ricerche biologiche, richiamava l'interesse degli scienziati e collocava gli ospedali a fianco delle cliniche universitarie nel concorrere ai progressi della disciplina.

In questa prospettiva il B., pur mantenendo efficaci contatti con l'ambiente accademico, si dedicò alla carriera ospedaliera. Nel 1909, in seguito a concorso, fu nominato primario dell'ospedale psichiatrico di Sondrio, che era stato da poco inaugurato. Dopo qualche mese si trasferì all'ospedale psichiatrico di Ferrara e in quella sede sviluppò successivamente gran parte della sua carriera e della sua intensa attività clinica e scientifica. Allo scoppio della prima guerra mondiale egli entrò nell'organizzazione sanitaria militare e raggiunse il grado di tenente colonnello. Aveva maturato a quell'epoca una discreta esperienza che mise a frutto approfondendo e perfezionando i temi della neuropsichiatria militare. Si dedicò all'organizzazione dell'importante centro neurologico militare di Bari e del dipartimento marittimo di Taranto; si interessò dell'ospedale speciale militare per malati nervosi di Villa dei Seminario presso Ferrara. Al termine del conflitto riprese la sua attività nell'ospedale di Ferrara. Quell'istituto, sotto la guida di Ruggero Tambroni, che lo diresse per più di trent'anni, si era distinto come fecondo centro di studi e di ricerche. Il B. ne fu per molti anni vicedirettore e ne divenne direttore nel 1930, quando il Tambroni lasciò il suo ufficio. Accolse l'eredità scientifica di Tambroni, ma volle imprimere un nuovo e originale impulso all'istituto consolidandone l'immagine attraverso la copiosa produzione di contributi suoi personali, e dei suoi allievi, nella ricerca. Nel 1931 fondò il Giornale di psichiatria e neuropatologia, trasformando il precedente Giornale di psichiatria clinica e tecnica manicomiale, fondato nel 1902 dal Tambroni.

La nuova rivista era espressione dell'orientamento del B. che volle acquisire una nutrita serie di collaboratori, tra i principali neuropsichiatri dell'epoca, e riuscì a collocare il suo periodico tra quelli più apprezzati in campo nazionale.

Fu anche direttore della divisione neuropatologica dell'Arcispedale S. Anna di Ferrara. Per gli aspetti vivaci e poliedrici della sua personalità, per la vastità e l'originalità della sua. produzione scientifica, egli raggiunse un'ampia notorietà e diede vita a una reputata scuola di neuropsichiairia alla quale si formarono diversi specialisti di eccellente valore. Nel 1942 venne chiamato all'università di Modena come professore ordinario alla cattedra di clinica delle malattie nervose e mentali. In quella sede rimase fino a quando non venne collocato in pensione per raggiunti limiti di età. Diresse la scuola di specializzazione in clinica neuropsichiatrica dal 1951 al 1957. Dal 1947 al 1950 fu anche rettore magnifico dell'ateneo modenese. Fu presidente dell'Accademia delle scienze di Ferrara, presidente dell'ordine dei medici di Feirara e uno dei fondatori della Società radio-neuro-chirurgica italiana.

Il B. fu sicuramente un personaggio di rilievo nella neuropsichiatria della sua epoca, e tra i principali propulsori degli studi neuropatologici, nella tradizione consacrata in quegli anni con il lavoro dei laboratori, delle cliniche e degli ospedali psichiatrici. Egli esordì in questi studi quando la disciplina era animata da ottimistico fervore verso la ricerca biologica. Aderì a questo indirizzo e operò sempre convinto della necessaria integrazione con le altre discipline mediche affini, dedicandosi alle indagini anatomopatologiche e fisiopatologiche. La sua produzione scientifica è vastissima e tocca i più vari campi della neuropsichiatria. Tuttavia si possono segnalare alcuni argomenti che ebbe più a cuore e che egli stesso considerò fondamentali nello sviluppo del suo pensiero scientifico.

Ben note sono le ricerche che egli condusse sul liquido cefalorachidiano e che si posero allora come solide acquisizioni, convalidate da uccessive indagini sperimentali. Definì la genesi, il meccanismo di produzione ubiquitaria e la modalità di circolazione dei liquor, individuandone la sede di formazione non solo nei plessi corioidei, ma in tutte le zone dei nevrasse. Da queste vedute derivò la concezione del "drenaggio neuromeningeo" quale funzione di trasporto di elementi del ricambio e di prodotti tossici, concezione che è alla base della costruzione fisiopatogenetica sulla quale fondò l'essenza della sua cura secondo il "metodo, diacefalorachidiano". Questa terapia, che godette di una certa notorietà per diversi anni, era fondata sulla possibilità di provocare una reattività neuromeningea tramite il perturbamento dell'ambiente liquorale, che si otteneva con la puntura lombare e l'introduzione di sostanze eterogenee. La puntura lombare diventerebbe terapia non solo per il suo effetto decompressivo, ma anche in quanto provoca una riproduzione di liquido che compensa quello sottratto e attiva una specie di lavaggio neuronieningeo. Tra le diverse sostanze eterogenee da introdurre il B. optò per l'acqua bidistillata (Iniezione endorachidea di fenolsulfonfialeina e di acqua bidistillata a scopo di pireto-neuro-terapia, in Giornale di patria e neuropatologia, LXI [1933], pp. 271-276). Raccomandò l'applicazione di questo metodo in molte affezioni del sistema nervoso e pubblicò una lunga serie di esperienze cliniche. Quando, di lì a qualche anno, incominciò a diffondersi l'uso di certi farmaci per via intrarachidea, egli volle insistere nel sostenerne l'efficacia secondo il meccanismo della sua dottrina diacefalorachidiana, piuttosto che secondo la loro azione specifica. Al congresso internazionale di psichiatria a Parigi, nel 1950, presentò una modalità speciale di cura diacefalorachidiana che chiamò "pneumoterapia cerebrale" e che, a suo parere, poteva dare risultati favorevoli in numerose affezioni nervose e anche extranervose. Per qualche tempo questo metodo di terapia incontrò favorevole accoglienza, tra le terapie biologiche, e da diverse parti fu giudicato uno degli strumenti importanti di cura a disposizione della neurologia.

Il B. dedicò una nutrita serie di lavori anche al tema della patologia della regione mesocefalica. Il mesocefalo, secondo la enunciazione data da Gley, è costituito dall'ambito diencefalico, mesencefalico, metencefalico e telencefalico. Il B. dedicò molti studi alla configurazione fisiologica e fisiopatologica di queste strutture, mettendone in evidenza la complessa dimensione e ravvisandovi una funzione di collegamento tra la vita vegetativa e la vita di relazione. Egli collocava nel mesocefalo il concetto di "asse biologico della specie", sede principale della vita psichica, istintiva e affettiva, e punto d'incontro delle interferenze tra uno psichismo superiore e uno psichismo inferiore. A suo parere nel mesocefalo si possono accumulare danni nel corso delle generazioni; ed egli vide in questo "asse" una sorta di punto debole dell'individuo e della specie. Derivò da questa sua concezione le entità cliniche di "mesocefalosi" e di "ipomesocefalia". Nella definizione di "mesocefalosi" egli comprendeva tutti i quadri che nella ordinaria nosografia rientrano nel capitolo delle psiconevrosi. Con il termine "ipomesocefalia" voleva definire un concetto costituzionalistico che indicava una certa labilità mesocefalica, con i segni caratteristici di astenia, eretismo emotivo, alterazioni della cenestesi e esasperazione egocentrica degli istinti. Cercò anche di trovare correlazione tra il quadro clinico di ipomesocefalia e alcune modeste alterazioni della conformazione anatomica della sella turcica. Sempre nella prospettiva di queste originali concezioni di ampio respiro, egli propose la definizione del "linfatismo neuromeningeo", collegato alla sua dottrina del liquor cefalorachidiano ed espressione di una sorta di torbidezza della circolazione liquorale; propose inoltre la definizione di "anafilassi neuropsichica", meccanismo di reazione emotiva a traumi psichici (Ancora sulla anafilassi neuropsichica, in Giornale di psichiatria clinica e tecnica manicomiale, LI [1923], pp. 183-186).

Originale appare il suo studio sulla patogenesi e la psicogenesi dell'isterismo che non è a suo parere una sindrome puramente pitiatica, ma un adinamismo della "sintesi personale psiche-psicosensomotoria" (Patogenesi e psicogenesi dell'isterismo, ibid., pp. 163-182).

In campo strettamente neurologico si devono ricordare altri suoi contributi: egli discusse già nel 1912 una atassia cerebellare con paramioclono-epilessia, che corrispondeva al quadro clinico successivamente rilevato da Ramsay Hunt come dissinergia cerebellare progressiva con mioclono epilessia. Pubblicò in collaborazione con M. Cori la monografia Compressioni midollari, Roma 1930, in cui diede contributi nuovi e originali sull'argomento. Diede la descrizione morfologica del morbo di Dercum.

Diede diversi contributi alla semeiotica neurologica con una serie di nuovi segni, tra i quali il segno della terza radice, il riflesso del pronatore quadrato, il riflesso della zampa d'oca, la prova di Ayer-Boschi nelle compressioni spinali, e altri.

Mise a punto diverse tecniche terapeutiche originali, quali le applicazioni diatermiche nelle paralisi ischemiche, la cura delle causalgie con correnti ad alta frequenza, la cura di alcune forme di diabete mellito con la radioterapia della ipofisi, la craniotornia posteriore o occipitale inferiore nella meningite sierosa ribelle e nelle ipertensioni endocraniche, la terapia delle algie tabetiche, della nevralgia dei trigemino, della paralisi reumatica del facciale. È infine da ricordare il suo Compendio di clinica neurologica, pubblicato a Milano nel 1948.

La sua geniale personalità lo fece emergere anche in campi diversi e segnatamente in quello letterario. Prolifico scrittore, pubblicò un saggio sulla diagnosi della pazzia di Orlando, un volume di considerazioni storiche e letterarie sulla Divina Commedia letta con cultura di medico, e diversi altri lavori a indirizzo storico. La complessità della sua ricca figura trova espressione nel ponderoso volume La guerra e le arti sanitarie, pubblicato a Milano nel 1931.

Il B. visse lungamente, in un periodo in cui la psichiatria vide rinnovamenti e mutamenti anche profondi. La eccezionale attività, che egli dimostrò nell'arco di tempo della sua carriera, le numerose pubblicazioni e la vasta serie delle tematiche che egli affrontò e approfondì, sono espressione di una esuberante personalità scientifica che forse inclinò eccessivamente verso la costruzione di teorie e di concezioni interpretative di ampio respiro, molte delle quali non trovarono unanime consenso negli ambienti specialistici. Egli fu comunque personaggio di primo piano e soprattutto maestro di una numerosa schiera di specialisti.

Il B. morì in Bologna il 19 marzo 1969.

Dalle opere del B. ricordiamo oltre a quelle citate: Contributo alla somministrazione celata del bromo e della dieta ipoclorurata, in Gazzetta degli ospedali e delle cliniche, XXXIV (1913), pp. 376-378; Charcot, in Giornale di psichiatria clinica e tecnica manicomiale, LIII (1925), pp. III-XIII; In tesi di violenza carnale (con R. Tambroni), ibid., LIV (1926), pp. 35-52; Sul tramonto delle endemie pellagrose, ibid., LV (1927), pp.61-68; Tensione endocranica e suoi rapporti con le neurosi e le psicosi, in Rivista sperimentale di freniatria, LII (1928), pp. 425-460; Sui meccanismi dei disturbi postpuntori e sulla pericolosità della puntura lombare nei casi di tumore endocranico, in Giornale di psichiatria e neuropatologia, LIX (1931), pp. 18-24; Fin dove possa arrivare l'esegesi medica sui letterati ed artisti e le loro opere, in La Giustizia penale, XI, (1934), pp. 210-217; Eliotropismo criptestesico, in Studi e ricerche di metapsichica, Roma 1942, pp. 147-149; Acquisizioni recenti e prospettive nella clinica del sistema nervoso, in Giornale di psichiatria e neuropatologia, LXXI (1943), pp. 1-23; Portata odierna e fascino della psichiatria, in Rassegna di neuropsichiatria e scienze affini, V (1950, pp. 450-460; Il contributo neuropsichiatrico alla "World Conference of Scientists" (Londra, 3-5 agosto 1955), in Note e riviste di psichiatria, XLVIII (1955), pp. 9- 18.

Fonti e Bibl.: G. P. Arceri, Figure della medicina cortemporanea italiana, Milano 1952, pp. 37-48. D. Conti, In memoria di G. B., in Rivista sperimentale di freniatria, XCIII (1969), pp. 844-849.

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