GALATEO

Enciclopedia Italiana (1932)

GALATEO

Giovanni Vidari

. È il titolo di un famoso trattato italiano d'argomento educativo, scritto da monsignor Giovanni Della Casa (v.), che dice di averlo dettato a richiesta di "messer Galateo", sotto il qual nome alcuni videro Galeazzo (lat. Galataeus) Florimonte, vescovo di Sessa (1478-1567); altri Antonio Galateo, insigne medico e scienziato napoletano, autore di un libriccino sopra l'educazione. Esso è divenuto nell'uso sinonimo di "buone creanze".

Nel Galateo si ragiona "de' modi che si debbono o tenere o schifare nella comune conversazione", epperò vi si parla delle male costumanze che spiacciono ai sensi, all'appetito e all'intelletto, e di quelle invece che piacciono nel linguaggio, nel contegno, nelle cerimonie; ma il Della Casa concepisce il complesso delle buone costumanze come espressione di un animo ben fatto e bene educato, poiché l'"essere costumato e piacevole, e di bella maniera è o virtù, o cosa a virtù molto somigliante"; ed egli tocca, quindi, di argomenti in apparenza tenui o anche frivoli con quella dignità e nobiltà che deriva da una più alta visione. Quale sia poi il fondamento su cui egli poggia per giudicare delle costumanze e del loro valore risulta dalla concezione eudemonistico-estetica della vita allora prevalente. L'uomo infatti, secondo il Della Casa, "non si dee contentare di far le cose buone" (cap. 28), cioè "secondo il piacere di coloro, co' quali tu usi" (cap. 2), ma "dee studiare di farle anco leggiadre". E leggiadria non è altro, egli spiega, "che una cotale quasi luce, che risplende dalla convenevolezza delle cose, che sono ben composte e ben divisate l'una con l'altra, e tutte insieme: senza la qual misura eziandio il bene non è bello; e la bellezza non è piacevole" (cap. 28). E il medesimo concetto che il Castiglione esponeva nel Cortegiano. Onde la regola suprema della condotta è per il Galateo del Della Casa quella medesima che per il Cortegiano del Castiglione e il Padre di famiglia dell'Alberti, cioé la "convenevole misura fra le parti verso di sé, e fra le parti e il tutto" (cap. 26), onde nasce quella unità, in cui pare all'artista che "dovette essere la bellezza di Venere".

Un Nuovo Galateo fu scritto nel 1802 da Melchiorre Gioia, ispirato, secondo che portavano l'indole del tempo e la cultura dell'autore, a ben diversi principî da quelli del Della Casa. Qui infatti non è più il principio della bellezza e dell'armonia estetica quello che fornisce il fondamento da cui traggono valore le norme del Galateo, bensì quello della utilità sociale. Per il Gioia il galateo o la "pulitezza" (che traduce, più male che bene, il termine francese politesse) consiste "nell'arte di modellare la persona e le azioni, i sentimenti e il discorso in modo di rendere gli altri contenti di noi e di loro stessi, oltre conquistarci l'altrui stima ed affezione entro i limiti del giusto e dell'onesto, cioè della ragione sociale". Ed egli studia in un'ampia trattazione, ricca di dottrina storica e di acute riflessioni, la pulitezza generale degli atti, degli abiti, dei discorsi, dei saluti, delle visite; la pulitezza particolare, propria cioè di taluni rapporti sociali; e la pulitezza speciale, infine, propria della conversazione. Lo sforzo fondamentale, e lodevole, del Gioia è quello di dimostrare che la pulitezza o il Galateo "non è un cerimoniale di convenzione", che "i suoi precetti non si attingono da' capricci variabili dell'uso e della moda, ma dai sentimenti del cuore umano, i quali a tutti i tempi e a tutti i luoghi appartengono". Onde egli avvicina molto, se non assimila, il galateo alla morale, esprimendo, anzi, l'opinione "che la pulitezza, considerata nel suo scopo e ne' suoi mezzi, non differisce dalla morale, fuorché nella gradazione". La quale tesi derivava, evidentemente, dal non avere a sufficienza approfondito il problema dei rapporti fra la morale e il galateo, ricollegandolo alla sua teoria generale dei bisogni: "per la Morale come pel Galateo, egli dice, è buono ciò che risponde a certe esigenze, che nell'un caso saranno i fini etici, e nell'altro altri fini, ma che, in entrambi, hanno comune radice nei bisogni stessi della natura e della società umana". In verità, le norme del galateo, se posseggono una forza imperativa, la traggono da una comune radice che è, non l'utilità né la bellezza, ma il rispetto della persona umana; e hanno per questo riguardo intima relazione con la morale; ma le forme specifiche nelle quali esse si presentano nelle varie società storiche e che riguardano gli abiti, il discorso, ecc., dipendono dalle esigenze della convivenza sociale e dei rapporti fra le classi.

Bibl.: v. educazione; della casa, giovanni; gioia, melchiorre.