GALLARATI SCOTTI, Tommaso Fulco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GALLARATI SCOTTI, Tommaso Fulco

Nicola Raponi

Nacque a Milano il 18 nov. 1878 dal duca Gian Carlo e da Luisa Melzi d'Eril. Compì gli studi medi presso l'istituto Boselli e il libero liceo A. Manzoni. Temperamento vivace, rivelò presto una rispettosa ma decisa reazione al severo ambiente familiare ove - nonostante le simpatie liberali e l'educazione di respiro europeo del padre Gian Carlo (1854-1927) e i richiami risorgimentali della famiglia materna - dominava l'intransigentismo antirisorgimentale del nonno, Tommaso Anselmo, che non consentiva l'esposizione della bandiera nelle feste nazionali e neppure nell'anniversario delle Cinque giornate, provocando una specie di trauma nell'animo del G., che si orientò così verso un atteggiamento di autonomia e d'indipendenza di giudizio, avvicinandosi al cattolicesimo liberale e alle correnti di spiritualità più moderne e innovatrici.

Ebbe come prima guida religiosa A. Ratti, il futuro Pio XI, catechista di casa Gallarati Scotti; ma fu educato ai problemi della vita ascetica e insieme alle esigenze di una rigorosa formazione intellettuale specialmente dal barnabita P. Gazzola; fu avviato allo studio del Medioevo religioso e ai metodi della più rigorosa critica storica dal bollandista belga Fr. van Ortroy che negli anni Novanta, mentre faceva ricerche alla Biblioteca Ambrosiana, guidò con mentalità moderna un circolo di dame in casa Scotti.

Nel 1897 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Genova, ove ebbe tra i professori F. Ruffini - studioso del giansenismo, dal quale dissentirà tuttavia nell'interpretazione della formazione religiosa di A. Manzoni -, e dove si laureò il 10 luglio 1901 discutendo una tesi su "Platone e la repubblica ideale". A Genova entrò in amicizia con il barnabita G. Semeria, che proprio nel 1897 aveva aperto una scuola superiore di cultura religiosa e che lo avviò alla lettura e alla conoscenza diretta di alcuni fra i personaggi più notevoli del pensiero e della cultura cattolica, promotori di un rinnovamento degli studi biblici, della teologia, dell'apologetica e della storia ecclesiastica secondo il moderno metodo critico: J.-M. Lagrange, P.-H. Batiffol, A. Loisy, M. Blondel, L. Laberthonnière, L.-M.-O. Duchesne e soprattutto Friedrich von Hügel, che rimarrà uno dei maestri spirituali più seguiti. Pure dagli anni d'università, conobbe giovani preti e laici critici degli orientamenti tradizionali della cultura ecclesiastica, come S. Minocchi, R. Murri, A. Coari, G. Malvezzi, A. di Soragna, e fu in contatto con il gruppo romano di casa Melegari (Antonia Giacomelli, B. Casciola, G. Genocchi, G. Salvadori), che sosteneva un programma di rinnovamento religioso attraverso fogli come L'Ora presente e In cammino. Su queste riviste e su La Rassegna nazionale - della quale condivideva il riformismo religioso ma non il conservatorismo politico - il G. pubblicò i primi scritti: Don Lorenzo Perosi (1899), Mons. John Ireland (1899), Per la storia del misticismo (1900), In memoria di Gaetano Negri (1902), che anticipavano temi degli anni della battaglia modernista: la conciliabilità del cristianesimo con la libertà, la democrazia e la cultura moderna; l'idea di una Chiesa caratterizzata da un esercizio dell'autorità in senso spirituale. Determinante per il suo orientamento intellettuale fu peraltro l'incontro, appena ventenne, nel 1899, con A. Fogazzaro, al quale lo legò presto un rapporto che non si può dire da discepolo a maestro, quanto piuttosto di simpatia, di amicizia, di confidenza.

Tra i due si creò un'affinità spirituale, una comunanza di idee e di sentimenti che si manifestarono, soprattutto negli anni cruciali della crisi modernista, con la scelta della linea moderata e la presa di distanza dalle posizioni più radicali e da ogni atteggiamento di ribellione: e fu per coerenza con questa linea ch'egli dissentì da talune iniziative del Fogazzaro - scriverà poi nella biografia di lui - come la conferenza parigina del 1906, che rischiò di diventare un'adunata di modernisti e di "ribelli". Del Fogazzaro fu anche una sorta di portavoce, specialmente in occasione nella pubblicazione de Il santo (1905); fu inoltre per iniziativa del G. se anche a Milano si creò un circolo fogazzariano attraverso cui lo scrittore vicentino poté esercitare un ruolo di guida ideale nel programma riformatore.

Alla laurea seguì un periodo di ricerche e di studi rivolti, grazie anche all'incontro con lo storico di s. Francesco, P. Sabatier, alle grandi figure della storia religiosa italiana del Medioevo, ch'egli esaltava come "un'epoca di grande e drammatica spiritualità": s. Caterina da Siena, s. Francesco e soprattutto Jacopone da Todi, ch'egli interpretò come grande poeta mistico, desiderando dar ragione di quelle esagerazioni ascetiche e di quel lato pessimistico che altri si limitavano a vedervi. Nell'interpretazione del Medioevo si tenne lontano sia da atteggiamenti ereticali, sia da una sottomissione acritica alle gerarchie ecclesiastiche, scegliendo la via interiore del misticismo "liberatore e illuminante" (Violante, p. IX), come scriveva il 7 genn. 1908 al Fogazzaro: "Nella lotta presente noi dovremmo ispirarci al nostro Medioevo italiano, che ha in sé tutti i caratteri della resistenza interiore spirituale agli eccessi di Roma, ma che è sempre alto di sentimenti mistici e non diventa che raramente ribelle all'autorità suprema". Rifiutava del resto non solo il misticismo estetizzante, erotico-pagano, di stampo dannunziano allora in voga (sull'illegittimità di tale "accostamento modernismo d'annunzianesimo", v. anche la lettera di A. Casati a B. Croce del 1° maggio 1911, in Napoli, Bibl. B. Croce, Lettere di A. Casati), ma pure il misticismo sentimentale che sotto le forme di una contrapposizione alla cultura positivista e di una rinascita spiritualista, gli sembrava privo di un vero senso religioso. Nel 1905 doveva preparare un volume su Jacopone per la collana di mistici ideata da G. Prezzolini e G. Boine; ma l'iniziativa non ebbe seguito anche per il dissenso del G. sulla scelta degli autori; la figura di Jacopone venne tuttavia adombrata in una delle novelle raccolte nel volume Storie dell'amor sacro e dell'amor profano (Milano 1911).

Opera poetica più che dottrinale, contaminazione fra storia e leggenda, fra verità e fantasia, fra narrativa e filologia, questa raccolta fu messa all'Indice l'anno successivo senza motivazioni apparenti: forse per il sospetto suscitato dal nome dell'autore nella fase più dura della reazione antimodernista e per un certo soggettivismo che vi si poteva cogliere, per esempio nella novella Il crociato e s. Ruth, diffusa anche in Germania dalla rivista Hochland. La raccolta fu riedita nel dopoguerra (Storie dell'amore sacro e dell'amore profano, ibid. 1924), ma interamente rielaborata: soppressa la novella La principessa di Ninfa (intrisa di sentimentalismo fogazzariano), modificato il finale del Crociato e s. Ruth, aggiuntevi quattro novelle inedite, il volume risultò più equilibrato e gradevole anche sotto il profilo narrativo.

La precoce adesione del G. alle correnti di riforma culturale e religiosa culminate nel modernismo e la sua estrazione sociale lo collocarono subito in vista, tanto che già nel 1901 veniva indicato come un esponente del "movimento liberale religioso" in Italia accanto a G. Bonomelli, Murri, Semeria, Genocchi, U. Fracassini, Fogazzaro. Tale adesione e il suo itinerario spirituale e intellettuale non andarono esenti sin dai primi anni del secolo da difficoltà e crisi, acuite dalle critiche della Civiltà cattolica e da contrasti con taluni suoi maestri, specialmente dopo la conferenza su Giuseppe Mazzini e il suo idealismo politico e religioso (ibid. 1904) e una serie di conferenze su s. Caterina da Siena. Vi si aggiunsero anche timori e incomprensioni familiari per le sue prese di posizione di fronte all'autorità religiosa e per i suoi "ardori democratici".

Accanto a impegni di carattere sociale (nel 1902 condusse con R. Paulucci de' Calboli un'inchiesta sulla tratta di ragazzi italiani nelle vetrerie francesi) e alla collaborazione con istituzioni assistenziali non inquadrate nelle organizzazioni confessionali (come l'Opera per gli emigrati del vescovo Bonomelli; l'istituto dei ciechi; l'Opera per la fanciullezza abbandonata del sacerdote filorosminiano C. Sammartino; l'Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d'Italia, fondata nel 1909 con Fogazzaro, G. Fortunato, U. Zanotti Bianco, L. Franchetti, G. Salvemini; l'Associazione delle biblioteche popolari; il Gruppo d'azione per le scuole del popolo: impegni strettamente legati alla sua visione di un rinnovamento religioso e insieme etico-civile della coscienza nazionale), dopo il 1904, cioè dopo la svolta clerico-moderata seguita all'elezione di Pio X, il G. prese infatti risolutamente posizione in favore dell'autonomia politica dei cattolici, avvicinandosi alle posizioni del Sillon di M. Sangnier (il movimento sorto nel 1898, omonimo della rivista fondata nel 1894, poi interdetto da Pio X nel 1910) e della Lega democratica nazionale nata dal movimento democratico cristiano murriano.

In una lettera aperta a Murri (La nostra crisi, in La Cultura sociale, politica, letteraria, IX [1906], n. 4) il G. criticava l'alleanza fra clericalismo e conservatorismo dei moderati che avrebbe condannato all'immobilismo la vita politica e all'indifferentismo la vita religiosa in Italia impedendo il rinnovamento morale della società. Dopo il divieto pontificio (28 luglio 1906) fatto ai preti di iscriversi all'organizzazione murriana, il G. presiedette a Milano (15-18 sett. 1906) il primo congresso della Lega democratica nazionale tenendovi un discorso nel quale ribadiva la sua critica all'alleanza clerico-moderata, "sintesi del pensiero conservatore italiano", preludio di una "conciliazione-compromesso" e non di una conciliazione che doveva ascendere "spontanea dalle coscienze": la sola in grado di consentire alla Chiesa di cooperare, "distinta dal potere civile, al rinnovamento intellettuale della patria". La tesi della distinzione fra società religiosa e società politica, il principio della libertà religiosa, il rispetto della dimensione laica dello Stato e tuttavia il dovere di questo di favorire nell'ambito di una scuola non confessionale la cultura religiosa come ogni altra forma di cultura, verranno riproposti dal G. nella relazione programmatica al II congresso della Lega democratica nazionale di Rimini nel 1908 (La separazione della Chiesa dallo Stato e i suoi rapporti col problema della scuola, Torino 1908).

All'inizio del 1907, dopo il tentativo non riuscito di acquistare la Rassegna nazionale per farne l'organo del movimento riformatore, con i consigli e l'incoraggiamento di P. Gazzola e soprattutto del Semeria, il G. dava vita con A. Casati e A.A. Alfieri alla rivista Il Rinnovamento, cui collaborarono autorevoli scrittori italiani e stranieri.

Il periodico, pur dichiarandosi rispettoso dei dogmi e della Chiesa, si presentò come una rivista non confessionale, aperta alle voci più significative della cultura religiosa del tempo, riallacciandosi alla tradizione culturale, teologica e filosofica dell'Ottocento italiano ed europeo: J.H. Newman, J.A. Möhler, A. Mickiewicz, A. Rosmini, V. Gioberti, A. Manzoni, rivelandosi come l'organo "più alto e significativo del riformismo religioso e culturale in Italia" (Scoppola, 1994, p. 4).

Il senso di quella continuità e la natura delle aspirazioni culturali e religiose del movimento riformista vi fu illustrato dal G. con un articolo sull'opera postuma di V. Gioberti, La riforma cattolica. Superato il Gioberti guelfo del Primato e il Gioberti ghibellino cattolico del Rinnovamento, questo scritto aveva segnato, ad avviso del G., il ritorno dalla fase politica alle radici filosofico-teologiche del pensiero giobertiano. Benché legato ancora a una concezione troppo metafisica del cristianesimo, che gli impediva una autentica comprensione dell'esperienza religiosa cristiana; benché avesse ridotto la Chiesa a una società "aristocratica di teologi raffinati", il Gioberti postumo - che si interrogava sul significato del suo legame con la Chiesa e sulla possibilità di una riforma extragerarchica ma non antigerarchica di essa; che distingueva nella Chiesa il dato storico e caduco dal sovratemporale e immutabile; che avanzava alcune intuizioni come quella relativa al carattere "virtuale e intuitivo" del dogma, ponendosi nel solco della teologia più moderna - gli appariva tuttavia una fonte preziosa per il movimento riformatore (Il Rinnovamento, I [1907], pp. 180 ss.). Ideali di rigenerazione e di ricostruzione religiosa il G. riproponeva pure in un saggio di dura critica alle istituzioni ecclesiastiche a commento dell'opera di Mickiewicz L'Église et le Messie, ove il poeta polacco stigmatizzava il decadimento spirituale del cristianesimo e del clero rispetto alle virtualità rinnovatrici di un ritorno al Vangelo.

Sempre nel 1907 il G. organizzò, insieme con il sacerdote perugino L. Piastrelli, il convegno di esponenti delle correnti moderniste che si tenne a Molveno alla fine di agosto: il convegno, che doveva essere l'occasione per un coordinamento e l'unione di tutte le forze rinnovatrici, segnò invece la crisi delle speranze d'una sintesi unitaria delle nuove tendenze e dell'intero movimento riformatore, specialmente dopo la pubblicazione dell'enciclica Pascendi (16 sett. 1907), che condannava l'intero movimento, ridotto, con un'astratta e antistorica sintesi, a un "sistema ereticale" subdolo e complesso sotto il nome di "modernismo". Colpiti in dicembre da scomunica i direttori del Rinnovamento, il G. - pur firmando il fascicolo di quel mese già pronto e uscito poco dopo, ma obbedendo alla sua coscienza di credente con la stessa lealtà e coerenza con la quale i suoi amici avevano deciso di continuare - lasciò con comprensibile sofferenza la direzione della rivista. Approfittando dell'annuale campagna di scavi in Egitto organizzata dall'archeologo E. Schiaparelli, compì all'inizio del 1908 un pellegrinaggio in Palestina che gli offrì, oltre alla possibilità d'ottenere l'assoluzione dalla scomunica, l'occasione per un ripensamento generale sulla crisi modernista e sul movimento riformatore, senza rinunciare tuttavia a portarne avanti l'esigenza essenziale e gli ideali di fondo.

Al ritorno riprese la collaborazione alla Lega democratica nazionale con la ricordata relazione al congresso di Rimini, ma se ne distaccò a poco a poco sino a dare le dimissioni al congresso di Imola del 1910, nonostante la Lega gli avesse offerto la candidatura nelle elezioni politiche per il collegio di Albano Laziale. Si dedicò invece alle iniziative promosse dall'Associazione per il Mezzogiorno d'Italia in favore delle popolazioni del Sud compiendo alcuni soggiorni di lavoro in Calabria: un impegno civile alimentato dallo stesso spirito religioso che ispirava il suo impegno di rinnovamento culturale.

Critico dell'interventismo retorico e delle sopraffazioni antiparlamentari della "minoranza lirica" dannunziana, il G. aderì nel 1915 alle posizioni dell'interventismo democratico, in accordo con quei cattolici interventisti che avvertivano nella partecipazione italiana alla guerra l'occasione di una conciliazione tra coscienza religiosa, unità nazionale e senso dello Stato. Arruolato come sottotenente di fanteria (9 maggio 1915) fu assegnato al 5° reggimento alpini, ma su richiesta del generale C. Porro, amico di casa Fogazzaro, fu chiamato al comando del V corpo d'armata come ufficiale ricognitore, partecipando ad azioni di guerra sull'altipiano di Folgaria; durante l'offensiva austriaca del maggio 1916 partecipò alla difesa del Pasubio, ottenendovi una promozione a tenente per meriti di guerra. Passato al XXII corpo d'armata come ufficiale di collegamento, espresse nei suoi rapporti giudizi severissimi sull'inutile sacrificio di vite umane provocato dagli attacchi e dalle avanzate "a muro" praticate dai comandi. Dal novembre di quell'anno fu addetto al comando supremo come ufficiale d'ordinanza di L. Cadorna, il che gli consentì di essere vicino a molti personaggi che frequentavano il comando, come G. D'Annunzio, U. Ojetti, Semeria e di svolgere compiti che andavano oltre il suo ruolo formale: fu opera sua la riconciliazione fra il Cadorna e L. Bissolati. Vicino al Cadorna anche per l'amicizia con la figlia Carla, già simpatizzante per il movimento modernista, il G. gli espresse solidarietà nell'inchiesta dopo Caporetto e lo seguì alla commissione interalleata di Parigi.

Nel giugno 1918 tornò su sua richiesta al 5° reggimento alpini, destinato al battaglione sciatori Monte Ortles, ove conobbe Cesare Angelini, il letterato pavese studioso di R. Serra e del Manzoni, col quale avrebbe mantenuto un amichevole sodalizio sino alla morte. Il 14 ott. 1918, pochi giorni prima della fine della guerra, sposò a Padova la contessa Aurelia Cittadella Vigodarzere, donna di fine cultura, che negli anni Venti tenne un'interessante corrispondenza letteraria con R.M. Rilke, e che sarà preziosa collaboratrice del marito specialmente negli anni dell'ambasciata a Londra.

Tornato alla vita civile, unì una intensa attività letteraria (La vita di Antonio Fogazzaro, Milano 1920; Vita di Dante, ibid. 1921; Le più belle pagine di s. Caterina da Siena, ibid. 1922; S. Francesco d'Assisi, Roma 1926) a una risoluta battaglia civile per la libertà e la democrazia. Vicino alle correnti liberaldemocratiche, prese fin dall'immediato dopoguerra un atteggiamento di netta intransigenza verso il nazionalismo e il fascismo. Non ritenne mai che il fascismo potesse essere incanalato nell'alveo della legalità costituzionale e della tradizione liberale dello Stato; rifiutò offerte di collaborazione che gli erano state fatte da Giovanni Gentile con prospettive di onori e cariche; collaborò invece alle iniziative degli oppositori e in particolare con Giovanni Amendola e con il gruppo del Caffè (1924-25). Fu tra i promotori e firmatari, nel 1925, del manifesto degli intellettuali antifascisti. Presidente del Circolo filologico di Milano, ne fece un centro di cultura e di resistenza alla fascistizzazione, fin quando ne fu estromesso nel 1926; privato del passaporto e iscritto al casellario politico centrale come oppositore e sovversivo, fu sottoposto a sorveglianza dagli organi di polizia sin quasi alla vigilia della seconda guerra mondiale.

Durante il Ventennio mantenne contatti con antifascisti di fedi e partiti diversi: Casati, L. Albertini, B. Croce, C. Sforza, S. Belotti, S. Jacini, A. De Gasperi, rompendo invece con vecchi amici di gioventù su temi come la guerra di Spagna, la politica razzista e antisemita, disposto "a sacrificare anche la vita" all'ideale della libertà contro il fascismo. Durante la seconda guerra mondiale la sua casa fu ritrovo d'esponenti della resistenza polacca e di antifascisti. Autore di un appello al re perché destituisse Mussolini ristabilendo la legalità statutaria, dopo il 25 luglio 1943 ospitò le prime riunioni dei rappresentanti delle opposizioni che avrebbero dato vita al Comitato di liberazione nazionale (CLN), al quale partecipò in rappresentanza del Partito liberale italiano (dal quale si dimetterà nel 1960 per dissensi con la linea politica del segretario G. Malagodi). Dopo l'8 sett. 1943, colpito da mandato di cattura da parte del governo della Repubblica sociale italiana a seguito della pubblicazione di un documento che recava i nomi del Comitato delle opposizioni, si rifugiò in Svizzera.

Qui animò la Resistenza con una intensa rete di contatti con altri rifugiati: L. Einaudi, Belotti, Jacini, C. Marchesi, C. Facchinetti, G.B. Boeri, e con rappresentanti degli alleati, ai quali suggerì il nome di R. Cadorna come capo militare della Resistenza. Ebbe anche frequenti incontri con la principessa Maria José, moglie del principe ereditario, alla quale fece intendere che la monarchia avrebbe potuto salvarsi solo con una trasformazione in senso democratico come le monarchie nordiche, e partecipando al travaglio del popolo italiano: le suggerì per questo di rientrare clandestinamente in Italia e di unirsi alle formazioni partigiane.

Il G. fu - con A. Tarchiani, E. Reale, G. Saragat, S. Fenoaltea, N. Carandini - tra i diplomatici non di carriera chiamati a rappresentare la diplomazia dell'Italia antifascista e democratica del dopoguerra. Mentre era esule in Svizzera gli giunse, nell'estate del 1944, la nomina ad ambasciatore italiano in Spagna, avvenuta su suggerimento di G. Visconti Venosta, sottosegretario nel ministero Bonomi: la sede di Madrid gli venne offerta, "in attesa di un più alto incarico all'estero nel successivo periodo politico internazionale". Accettò l'impegno dopo un comprensibile "dibattito interiore", ma la partenza per Madrid poté avvenire solo all'inizio di febbraio del 1945 dopo un fortunoso viaggio aereo (organizzato dagli Alleati) di rientro a Roma, via Lione, con altri esuli, fra cui Einaudi.

La missione non era facile perché, nonostante Madrid avesse preso le distanze dall'Asse - in seguito all'andamento della guerra e delle pressioni di Stati Uniti e Gran Bretagna - e la Spagna fosse isolata, Franco era deciso a mantenere inalterata la struttura autoritaria del regime. Il G. ebbe tuttavia un'accoglienza calorosa da parte della stampa e dell'opinione pubblica per i suoi legami con la Spagna: un suo antenato era stato ambasciatore di Ludovico il Moro ai re Cattolici, egli stesso era discendente di José Palafox y Melzi, eroico difensore di Saragozza nel 1808, e aveva titolo di grande di Spagna. Due mesi dopo il suo arrivo, il 10 apr. 1945 inviava al ministro degli Esteri De Gasperi un lungo rapporto sulla situazione interna della Spagna e un mese dopo sulla situazione internazionale, veri capolavori della sua cultura storico-politica e del suo intuito diplomatico (Serra, p. 106). Senza ingerirsi nella situazione interna spagnola, puntando su questa situazione personale e sul prestigio culturale con il quale arrivava a Madrid, riuscì a sviluppare un'abile azione diplomatica: contrastare nei primi giorni della sua missione l'azione della Repubblica di Salò nella numerosa colonia di fascisti rifugiati in Spagna e dei consolati repubblichini che avevano il riconoscimento franchista; difendere gli interessi commerciali italiani (riuscì a farsi rimborsare in olio, grano e generi di prima necessità, preziosi per l'Italia stremata dalla guerra, un prestito concesso al tempo della guerra civile; ottenne il ritiro di un decreto di congelamento dei beni italiani in Spagna; firmò il 10 genn. 1946 un trattato di commercio tra i due paesi); svolgere un'azione in favore dell'Italia fra i diplomatici alleati per i quali, e in particolare per l'ambasciatore USA Norman Armour, il G. divenne punto di riferimento, approfittandone per orientare la politica americana in favore dell'Italia, facendo presente che gli Alleati avevano tutto l'interesse a non umiliarla, per non gettarla in braccia alle destre o alle sinistre.

L'azione diplomatica in Spagna fu favorita in seguito da due circostanze: la nomina del nuovo ministro degli Esteri, M. Artajo - proveniente dall'Azione cattolica e avverso al nazismo e al fascismo -, vista da Franco nella prospettiva di un collegamento fra le forze d'ispirazione cattolica di Spagna, Francia (G. Bidault) e Italia (De Gasperi); e il desiderio della Spagna di uscire dall'isolamento internazionale.

Dopo un breve rientro in Italia per il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, mettendosi lealmente al servizio della Repubblica nonostante i suoi sentimenti monarchici e l'amicizia con l'ex regina Maria José, il G. tornò subito dopo in Spagna; ma la sua missione ebbe termine con la risoluzione delle Nazioni Unite del 9 dic. 1946 che invitava i paesi membri a ritirare i propri rappresentanti da Madrid: benché l'Italia non ne facesse parte, P. Nenni, allora ministro degli Esteri, vi si adeguò richiamando l'ambasciatore, il cui ultimo rapporto (26 dic. 1946) sosteneva che quella decisione avrebbe reso più lento il trapasso dal franchismo alla monarchia e alla democrazia.

Il 15 ott. 1947 il nuovo ministro degli Esteri del governo De Gasperi, C. Sforza, che ne apprezzava le doti diplomatiche nonostante la scarsa sintonia personale, nominò il G. ambasciatore a Londra.

Qui il compito era assai più difficile che a Madrid: si trattava di mitigare il risentimento degli Inglesi irritati dalla campagna denigratoria e dalla guerra fascista, proseguendo l'azione iniziata dal predecessore del G., N. Carandini (che non aveva avuto però il rango di ambasciatore); ottenere la revisione dei termini del trattato di pace del febbraio '47; superare la diffidenza che si nutriva verso il neutralismo diffuso in Italia specialmente nello schieramento politico socialcomunista. Di fronte al problema dell'adesione dell'Italia al sistema difensivo occidentale con il cosidetto Patto Atlantico (NATO), il G. era per la tesi di non porre alcuna pregiudiziale a tale adesione, per vincere la resistenza di chi vi era contrario, come la stessa Gran Bretagna, e favorire le posizioni di chi vi era favorevole, come Stati Uniti e Francia, d'accordo in ciò con gli ambasciatori A. Tarchiani (Washington) e L. Quaroni (Parigi).

Una seconda questione affrontata a Londra fu quella delle ex colonie italiane, avviata col protocollo di compromesso Sforza-Bevin (maggio 1949) che assegnava all'Italia il mandato sulla Somalia e la Tripolitania (la Cirenaica all'Inghilterra), che trovò però resistenze nell'opinione pubblica italiana, soprattutto di destra; il G. avvertiva il governo, contro chi si dimostrava sensibile a tali proteste, che anche la politica interna doveva essere inquadrata con realismo "nel quadro generale di difesa della Comunità Atlantica ed europea occidentale" (Canavero, 1979, p. 153). Fallito il compromesso, Sforza e De Gasperi si orientarono verso il principio della piena e totale indipendenza delle colonie italiane; ciò suscitò reazioni da parte degli Inglesi, preoccupati per i riflessi che queste decisioni potevano provocare nei territori africani della Corona; il G. sollecitò allora una visita a Londra del presidente del Consiglio De Gasperi.

L'incontro fra i due capi di governo, De Gasperi e C.R. Attlee (13-14 marzo 1951), dissolse le riserve di molte sfere responsabili britanniche verso l'Italia: ma cadde il progetto, elaborato dal G., che lasciava all'Italia Trieste e la zona A (quella soggetta all'amministrazione anglo-americana) del Territorio libero costituito dal trattato di pace. Mentre De Gasperi, partendo dalla dichiarazione tripartita alleata (1948), puntava a ottenere la restituzione dell'intero territorio libero, il G., ritenendo che dopo la rottura fra Tito e il Kominform il tempo e la situazione internazionale non lavorassero a favore dell'Italia, proponeva di chiudere presto la questione anche con colloqui diretti con la Jugoslavia. L'insanabile divergenza con De Gasperi, pressato dall'opinione pubblica e ora anche dai comunisti italiani che in odio a Tito erano improvvisamente divenuti favorevoli a richiedere anch'essi il ritorno all'Italia dell'intero Territorio libero di Trieste, rese difficile ogni compromesso e inevitabili le dimissioni dell'ambasciatore. Egli però acconsentì a non renderle pubbliche finché De Gasperi, in partenza per il Consiglio atlantico di Ottawa (dove intendeva perorare la causa di Trieste), non l'avesse ritenuto opportuno. Le dimissioni furono accolte il 20 ott. 1951 e rese pubbliche tre giorni dopo. Il G. restò a Londra sino al 19 dicembre, ricevendo pubblici riconoscimenti alla sua missione dalla stampa e dagli ambienti ufficiali britannici. Dando alla sua missione a Londra una forte impronta culturale basata sulla tradizione dei rapporti italo-inglesi del Risorgimento (conferenza al Circolo italiano di Oxford: 19 maggio 1949; apertura dell'Istituto italiano di cultura: 18 maggio 1950; riapertura dell'ospedale italiano di Londra: 19 giugno 1950; mostra e visita del teatro alla Scala: 15 sett. 1950; incontri con il Circolo italiano di Oxford; mostra Italia-Inghilterra nel Risorgimento: dicembre 1951), egli aveva fortemente contribuito al ristabilimento dell'amicizia italo-inglese.

Tornato in Italia fu chiamato a ricoprire incarichi di responsabilità nella vita economica e finanziaria: presidente dell'Ente Fiera di Milano (1954-58), presidente del Banco Ambrosiano (1954-65) e di altre istituzioni e società. Nel 1953 aveva iniziato una sistematica collaborazione alla terza pagina del Corriere della sera, per il quale scrisse una serie di elzeviri: ricordi, incontri, profili di personaggi, meditazioni storiche, che costituiscono una fonte preziosa per la storia di quasi un secolo di vita fra Ottocento e Novecento.

Pur in età avanzatissima, continuò a svolgere un'attività letteraria molto intensa: la terza edizione de La vita di A. Fogazzaro (Milano 1963), con una prefazione nella quale rivendicava il ruolo del movimento riformatore italiano d'inizio secolo nella storia religiosa del Novecento rispetto a chi lo riteneva una "risciacquatura" di idee d'Oltralpe; conferenze, saggi, discorsi: Il conclave del 1800 (1960), Il rinnovamento di Giulio Salvadori (1963), Idee e orientamenti politici e religiosi al comando supremo (1963), Manzoni e il mondo degli ideologi (1964), anticipazione della biografia pubblicata postuma con il titolo La giovinezza del Manzoni (Milano 1969).

L'ultimo periodo della sua vita fu caratterizzato da un ritorno alle problematiche religiose della giovinezza, ma con diverse prospettive. Già durante l'ambasciata di Londra s'era potuto incontrare con mons. A. Roncalli, allora nunzio a Parigi, e altri incontri ebbe in seguito con lui divenuto patriarca di Venezia. Ricevuto in Vaticano dopo l'elezione di Roncalli a papa, ottenne l'onorificenza di S. Gregorio Magno, un gesto che metteva fine alle diffidenze curiali nei suoi confronti e costituiva il riconoscimento del suo a lungo contestato impegno per il rinnovamento religioso ed ecclesiale che trovava espressione nel Concilio Vaticano II. Le insegne dell'ordine cavalleresco pontifico gli furono consegnate dall'arcivescovo di Milano, G.B. Montini, con il quale pure s'era aperto un dialogo che continuerà divenuto questi papa Paolo VI. Il G. fu uno dei pochi sopravvissuti alle battaglie moderniste a vedere avviate a soluzione le aspirazioni di allora.

Il suo ultimo impegno pubblico fu la commemorazione del settimo centenario della nascita di Dante, tenuto al teatro alla Scala il 18 nov. 1965. Negli ultimi giorni di quell'anno fu colpito da una crisi cardiaca cui non furono estranee le fatiche e l'ansia per tale impegno.

Trasferito presso villa Melzi a Bellagio, il G. vi morì il 1° giugno 1966 e là fu sepolto nella cappella di famiglia.

Pur attento e talora appassionato partecipe nella sua lunga vita agli eventi e ai problemi del tempo, il G. fu sostanzialmente un solitario, per la sua formazione aristocratica (della quale sentiva il ruolo e gli obblighi), per un certo disdegno delle appartenenze partitiche, letterarie o mondane, per l'attenzione rivolta ai problemi intimi della coscienza e della riflessione religiosa. Esercitò tuttavia un ruolo sociale e un'autorità morale che gli furono riconosciute non solo per la sua estrazione, ma per la sua coerenza morale senza compromessi e la sua disponibilità a mettersi al servizio della società civile e del paese senza ambizioni, pur potendo aspirare a posizioni più elevate (una sua candidatura alla presidenza della Repubblica fu avanzata nelle elezioni presidenziali del 1955).

Manca una bibliografia completa degli scritti del G., che fu scrittore fecondo, riuscendo veramente originale ed efficace soprattutto nel genere biografico e nella memorialistica. La già ricordata Vita di A. Fogazzaro (pubbl. nel 1920, ma già pronta nel 1914) è certamente il suo capolavoro storico-letterario. Designato come suo biografo dallo stesso Fogazzaro (lettera del 10 luglio 1910), egli ebbe a disposizione un ricco materiale inedito: il volume vendette quasi 20.000 copie nello stesso anno di pubblicazione. Il G. inseriva il Fogazzaro nella tradizione cattolico-liberale, rilevando le tre ascendenze che ne avevano foggiato la personalità: il liberalismo e il separatismo cavouriano, la filosofia e l'ecclesiologia del Rosmini, il patriottismo nazionale e credente del Manzoni. Il libro fu posto all'Indice nel 1921, in quanto - secondo la congregazione romana - in esso l'autore avrebbe ripreso ed esaltato le tesi moderniste: la condanna diede luogo anzi a un ampio dibattito nelle riviste culturali del tempo. Riveduto, con i suggerimenti del domenicano Felice Cordovani, fu riedito, senza mutamenti sostanziali nel 1934 e poi nel 1963.

La Vita di Dante (Milano 1920), scritta per il sesto centenario dantesco, è fra le più vivaci e brillanti biografie del poeta fiorentino: un libro che ha il "timbro […] di una tragedia spirituale che ha il suo epilogo nell'eternità" (A. Momigliano, in L'Italia che scrive, IV [1921], p. 225). Ristampata nel 1922, rivista e riedita nel 1929, essa è stata più volte ripubblicata dal 1957 nella Biblioteca universale Rizzoli con una nuova interessante prefazione.

La giovinezza del Manzoni (pubblicata postuma con una prefazione di C. Angelini, Milano 1969, con varie edizioni successive), costituisce, ancorché incompiuta, la terza opera biografica del G.; anche questa è una biografia "interiore": le esperienze illuministiche, la crisi religiosa, il tormento della conversione del giovane Manzoni riecheggiano con una risonanza di evidente marca autobiografica.

Tra gli altri scritti vanno ricordati due romanzi: Miraluna (ibid. 1927) e Un passo nella notte (ibid. 1942): quest'ultimo riedito subito dopo con il titolo La confessione di Flavio Dossi; le ricordate Storie dell'amore sacro e dell'amore profano e una seconda raccolta di novelle, o meglio di racconti, Storie di noi mortali (ibid. 1932); tre drammi: Così sia (ibid. 1922), scritto per Eleonora Duse, dalla quale fu portato al successo, dopo la caduta al Costanzi, a Bologna e altrove; La moglie di Pilato (1959), rappresentato la prima volta a Bergamo nel 1961, che affronta, nella figura del "discepolo occulto", il tema della coscienza umana di fronte al problema religioso (i due testi sono stati editi con una introduzione dell'autore nel volume Due drammi e la Duse, ibid. 1963); infine l'inedito Lo specchio del diavolo, scritto durante l'ambasciata del G. a Madrid, si ispira alla religiosità drammatica e alla tradizione mistica spagnola.

Gli articoli pubblicati negli ultimi anni nel Corriere della sera sono stati raccolti in due successivi volumi: Interpretazioni e memorie (ibid. 1960) e Nuove interpretazioni e memorie (prefaz. di C. Angelini, ibid. 1972).

Fonti e Bibl.: L'archivio personale del G., donato da lui stesso, nel 1964, alla Bibl. Ambrosiana di Milano, è diviso in varie serie (Prima guerra mondiale, Ambasciata in Spagna, Ambasciata a Londra, Scritti letterari, Carte Fogazzaro, Carteggi, Raccolta di opuscoli). Le carte riguardanti il curriculum personale, le cariche pubbliche, le onorificenze, l'amministrazione del patrimonio immobiliare sono invece nell'Archivio privato Gallarati Scotti, nel palazzo Scotti di Milano. La corrispondenza diplomatica nel periodo dell'ambasciata di Spagna è stata ampiamente utilizzata da L. De Llera, España actual. El regimen de Franco (1939-1975), (Historia de España), XIII, 2), Madrid 1944; scritti e carteggi sono editi parzialmente nelle seguenti raccolte: A. Fogazzaro, Lettere scelte, a cura di T. Gallarati Scotti, Milano 1940; L. Bedeschi, I pionieri della D.C. Modernismo catt. 1896-1906, prefaz. di G. de Rosa, Milano [ma Verona] 1966; Documenti su padre Gazzola, a cura di C. Marcora, Bologna 1970; Carteggio Casciola - Gallarati Scotti, a cura di N. Raponi, in Fonti e documenti (Urbino), II (1973), pp. 229-295; Carteggio Gallarati Scotti - Sabatier, a cura di L. Pazzaglia, ibid., III (1974), pp. 754-872; Carteggio Piastrelli - Gallarati Scotti (1907-1920), a cura di N. Raponi, ibid., XVI-XVII (1987-88), pp. 409-440; G. Salvadori, Lettere (1878-1928), I-II, a cura di N. Vian, Roma 1976; Carteggio Giovanni Boine - "Amici del Rinnovamento", III, 1-2, a cura di M. Marchione - E. Scalia, Roma 1977; alcune lettere anche in G. Semeria, Lettere a T. G.S., a cura di C. Marcora, Milano 1987.

G.A. Borgese, Tempo di edificare, Milano 1923, pp. 208-215; P. Treves, T. G.S., in L'Italia che scrive, XIX (1936), 7, pp. 167 s.; P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico, Bologna 1961, ad ind.; M. Ranchetti, Cultura e riforma religiosa nel modernismo, Torino 1963, passim; C. Giovannini, Politica e religione nel pensiero della Lega democratica nazionale (1905-1915), Roma 1965, passim; P. Scoppola, Coscienza religiosa e democrazia nell'Italia contemporanea, Bologna 1966, pp. 120 s., 135, 137-143, 161, 205 s., 236, 299, 378; N. Raponi, Ricordo di T. G., in Riv. di storia e letter. religiosa, II (1966), pp. 394-600; Id., T. G. tra politica e cultura, Milano 1971; Id., Ideali separatistici e motivi religiosi nella partecipazione di T. G. alla Lega democratica nazionale, in Storia contemporanea, II (1971), pp. 843-862; O. Confessore, Conservatorismo politico e riformismo religioso. "La Rassegna nazionale", Bologna 1971; C. Angelini, T. G.S., in Tre cattolici liberali: A. Casati, T. G.S., S. Jacini, a cura di A. Pellegrini, Milano 1972, pp. 121-143; N. Raponi, Appunti per una biografia, ibid., pp. 61-120; F. Sacchi, Ricordo di T. G.S., ibid., pp. 273-285; G.G. Gallarati Scotti, Mondo nero e mondo bianco sul finire del 1800 a Milano, Vimercate 1973; L. Bedeschi, Modernismo a Milano, Milano 1974, passim; C. Giovannini, Nuovi documenti su G.S. e la Lega democratica nazionale, in Riv. di storia e letter. religiosa, XII (1976), pp. 391-405; N. Raponi, Intellettuali e istituti di cultura di fronte al fascismo. Il caso del Circolo filologico di Milano (1919-1928), in Scuola e Resistenza, Parma 1978, pp. 133-172; Id., Giovanni Amendola e T. G.S., in G. Amendola: una battaglia per la democrazia, Bologna 1978, pp. 183-214; A. Canavero, Il contributo di T. G.S. alla politica estera ital. del secondo dopoguerra, in Journal of Italian history, II (1979), 1, pp. 32-51; N. Raponi, La spiritualità di papa Giovanni nella esperienza religiosa di T. G.S., in Angelo Giuseppe Roncalli dal patriarcato di Venezia alla cattedra di S. Pietro, Firenze 1984, pp. 47-70; L. De Llera, Relaciónes culturales italo-hispánicas. La embajada de T. G.S. en Madrid (1945-1946), Milano 1985; N. Raponi, Precursori e protagonisti della storia religiosa contemporanea. T. G.S. e Paolo VI, in Notiziariodell'Istituto Paolo VI, Brescia 1987, pp. 41-90; V.E. Alfieri, Ricordo di T. G.S., in Il Risorgimento, XL (1988), 2, pp. 75-84; E. Serra, T. G.S. diplomatico, ibid., pp. 103-114; L. De Llera - J. Andreas-Gallego, La España de posguerra: un testimonio, Madrid 1992; F. De Giorgi, Aspetti della tradiz. cattolico-liberale. S. Caterina fra storiografia e mito, in Ottocento romantico e civile. Studi in memoria di E. Passerin d'Entrèves, Milano 1993, pp. 317-345; Rinnovamento religioso e impegno civile in T. G.S., a cura di F. De Giorgi - N. Raponi, Milano 1994 (con scritti di P. Scoppola, E. Passerin d'Entrèves, F. Traniello, C. Bo, G. Spadolini, N. Raponi, L. Pazzaglia, A. Canavero, P. Treves, G. Picasso, F. Contorbia, F. De Giorgi; per le citazioni riportate nel testo si vedano in partic. i saggi: P. Scoppola, T. G.S. per il rinnovamento religioso, pp. 4-27; G. Picasso, Interessi per il Medioevo cristiano, pp. 199-212; F. Mattesini, La prima ed. della "Vita di A. Fogazzaro", pp. 213-237); G.E. Viola, Il Fogazzaro di G.S., in A. Fogazzaro. Le opere i tempi, a cura di F. Bandini - F. Finotti, Vicenza 1994, pp. 367-384; C. Violante, Introduzione a G. Volpe, Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medioevale italiana, Roma 1998, pp. VII-XII, XLVII.

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