Gamba

Universo del Corpo (1999)

Gamba

Rosadele Cicchetti

Il termine gamba, che nel linguaggio comune viene usato per indicare tutto l'arto inferiore, dall'articolazione coxofemorale al piede, in anatomia umana designa specificatamente il suo segmento intermedio, compreso tra il ginocchio e la caviglia (v. il capitolo Arti inferiori).

Filogenesi

L'arto inferiore dell'uomo corrisponde all'arto posteriore dei Vertebrati terrestri, detti Tetrapodi proprio in quanto dotati di quattro arti (v. arto), e come questo è formato da tre segmenti: coscia, gamba propriamente detta e piede. La struttura ossea del primo segmento è costituita dal femore, che si articola con il tronco a livello del cinto pelvico; quella del secondo dalla tibia, che si articola con il femore e con la caviglia, e dalla fibula (o perone), che si articola lateralmente con la tibia e non contribuisce allo scarico del peso sul piede, essendo esclusa dall'articolazione con il femore; quella del terzo, infine, dalle ossa della caviglia, del metatarso e delle falangi. Questa struttura comune deriva dall'evoluzione dello scheletro delle pinne pari di un gruppo di Pesci ossei (Osteitti) dal quale hanno avuto origine gli Anfibi. Nel percorso evolutivo che dagli Anfibi ha portato indipendentemente agli Uccelli e ai Mammiferi attraverso i Rettili, le pinne si sono trasformate in arti, che nel corso di diverse tappe (allungamento delle due ossa del segmento intermedio, formazione di articolazioni tra i primi due segmenti, rotazioni e flessioni) hanno acquisito una struttura atta ad assicurare un'agevole locomozione terrestre.

Negli Anfibi sono già presenti i tre segmenti definitivi, allineati tra loro e disposti ad angolo retto rispetto all'asse del corpo. In alcuni di essi, i segmenti sono già in grado di flettersi, sollevando anche se di poco il corpo da terra. La coppia degli arti posteriori comincia ad assolvere il ruolo di spinta nella locomozione, che avrà poi in tutti i Vertebrati terrestri.

Nei Rettili più evoluti, l'arto posteriore subisce una flessione e una successiva rotazione cefalica, in conseguenza della quale il femore si dispone verticalmente e quasi parallelamente alla colonna vertebrale. Inoltre il femore si allunga e si snellisce, compare una testa articolare e il ginocchio forma un angolo aperto posteriormente. In questo modo è possibile sollevare da terra il peso del corpo. Le ulteriori modificazioni degli arti posteriori nei Rettili portano o a una progressiva atrofia, fino a una condizione completamente apode, o al perfezionamento della locomozione sugli arti, come in coccodrilli, tartarughe e camaleonti. La condizione apode si trova in specie di Rettili adattate ad habitat acquatici o sotterranei, alle quali, in assenza di una o di entrambe le appendici pari, vari adattamenti a livello della colonna vertebrale, delle costole, della muscolatura, hanno consentito di adottare un metodo alternativo di locomozione; durante l'embriogenesi di questi animali, tuttavia, gli abbozzi degli arti possono apparire transitoriamente o persistere come rudimenti non funzionanti, espressione fenotipica che è indizio dell'esistenza di antenati comuni con appendici funzionanti. In alcuni Rettili, tra cui gli attuali basilischi, si afferma il bipedismo. La locomozione avviene solo sulla coppia di arti posteriori: quella anteriore ha potuto così modificarsi per il volo, come è accaduto per alcuni Rettili volatori, ormai estinti, e per gli Uccelli, che dai Rettili hanno avuto origine. Gli Uccelli, a causa del differenziamento dell'arto anteriore in ala, quando non volano assumono un'andatura bipede; durante l'embriogenesi, tuttavia, la disposizione delle cartilagini è analoga a quella di tutti i Tetrapodi e solo successivamente avvengono notevoli fusioni, fra la tibia e le ossa prossimali del tarso e tra il tarso e il metatarso; anche il perone, che è sottile, è saldato superiormente alla tibia. Tale fusione delle ossa riduce il numero delle articolazioni mobili, rendendo lo scheletro più rigido e adatto al volo. Caratteristico negli Uccelli è anche l'alluce volto indietro, che funge da puntello per il piede.

Nei Mammiferi terrestri le differenze più rilevanti si realizzano a carico delle estremità distali. Per es., i digitigradi e gli unguligradi appoggiano sul terreno rispettivamente solo le dita e le unghie, e ciò consente loro di acquistare agilità e velocità nella corsa. La plantigradia, invece, non conferisce agilità al passo: infatti, anche l'uomo nella corsa diventa digitigrado. Tuttavia, sono piuttosto l'orientamento delle ossa, la mobilità relativa delle articolazioni e la complessità dei muscoli a rendere possibili gli adattamenti ai diversi tipi di locomozione. Così, per es., Mammiferi marini come otarie e trichechi, che trascorrono sulla terraferma periodi piuttosto lunghi all'epoca degli amori e per l'allevamento della prole, devono modificare la disposizione dello scheletro dell'arto posteriore, passando da quella longitudinale e diretta caudalmente, assunta durante il nuoto, a un assetto con rotazione sotto il corpo, più simile a quello dei Vertebrati terrestri, quando sono fuori dall'acqua; nelle balene e nei delfini, che non soggiornano mai sulla terraferma, l'arto posteriore, inutile per la deambulazione, è atrofizzato e si notano solamente i residui della cintura pelvica. Nei quadrupedi, l'arto posteriore è sempre maggiormente sviluppato rispetto a quello anteriore, e ciò dipende dalla diversa funzione nella deambulazione; l'arto posteriore infatti serve a spingere il corpo in avanti, mentre quello anteriore deve solo sopportare il suo peso. Per lo stesso motivo gli arti posteriori sono più rigidamente connessi alla colonna vertebrale, con l'articolazione diretta del cinto pelvico alle vertebre sacrali. Nei Primati, adattati alla vita sugli alberi, il rapporto tra la lunghezza degli arti anteriori e quella degli arti posteriori si modifica significativamente in relazione ai diversi tipi di locomozione. Così, nei lemuri l'arto posteriore è più lungo perché la locomozione arboricola viene effettuata con salti da un supporto verticale, mentre nei gibboni, che si muovono sfruttando la forza trainante dell'arto anteriore per spostarsi di ramo in ramo, gli arti posteriori sono più corti e vengono utilizzati soltanto come punto di appoggio.

Nell'uomo il bipedismo ha comportato notevoli adattamenti anatomici a carico degli arti inferiori, che riguardano l'angolazione del femore, l'orientamento del ginocchio, la particolare flessibilità ed estensibilità della caviglia e una peculiare modalità di scaricare il peso attraverso il piede; da non trascurare, poi, la diversa distribuzione della massa muscolare che, grazie alla maggiore larghezza del bacino, può godere di un adeguato attacco per i più potenti muscoli locomotori. L'angolazione del femore rispetto al bacino consente di mantenere la gamba al di sotto del corpo durante la deambulazione (a differenza per es. dallo scimpanzé che, quando cammina sugli arti posteriori, deve dondolarsi per portare il suo baricentro sopra la gamba in movimento); l'asse del femore è inclinato anche rispetto alla tibia, che ha a sua volta un allineamento pressoché verticale in modo da trasmettere attraverso l'articolazione del ginocchio l'intero peso del corpo; tibia e perone rimangono sempre paralleli (al contrario, nell'arto anteriore ulna e radio possono assumere in alcune specie di Mammiferi una condizione crociata o parallela). Infine, i piedi si sono ristretti e allungati e la doppia volta plantare consente un appoggio migliore; l'intero peso del corpo può essere scaricato alternativamente sui due piedi e trasmesso dal calcagno al resto del piede, quando questo oscilla in avanti nel corso della deambulazione. Durante la locomozione, il centro di gravità si muove lungo una linea retta, richiedendo così un minor dispendio di energia. L'uso dei soli arti inferiori nella deambulazione umana ha portato a uno sviluppo ancora maggiore di questi rispetto agli arti superiori e una connessione ancora più rigida alla colonna vertebrale: le vertebre sacrali che nei quadrupedi sono una o due, aumentano di numero e si fondono nell'osso sacro. L'arto inferiore, pur mantenendo la stessa struttura generale di quello superiore, ha una distribuzione diversa delle masse muscolari: la massa estensoria è situata anteriormente, per rendere possibile l'avanzamento del corpo nello spazio; inoltre è presente, oltre ai muscoli estensori e ai flessori, un terzo gruppo muscolare, quello adduttore, situato medialmente per consentire l'avvicinamento dell'arto all'asse verticale del corpo. Infine, nell'arto inferiore, rispetto all'arto superiore, è limitata l'abduzione, cioè l'allontanamento dall'asse del corpo, movimento che è invece indispensabile nell'arto superiore, in quanto consente di afferrare gli oggetti.

Ontogenesi

Nell'uomo lo sviluppo dell'arto procede nei primi stadi di sviluppo allo stesso modo di tutti gli altri Mammiferi e, in generale, riproduce lo schema organizzativo di tutti i Vertebrati. Gli arti si formano dalle cosiddette gemme degli arti già nella 4ª settimana di sviluppo intrauterino; quella dell'arto inferiore compare nella regione lombosacrale, leggermente in ritardo rispetto a quella dell'arto superiore. Tra la 5ª e la 6ª settimana di sviluppo si forma la curvatura nelle sedi delle future articolazioni dell'anca e del ginocchio, diretta all'inizio lateralmente, come quella del gomito. In seguito, l'arto inferiore ruota cefalicamente, in modo che l'angolo del ginocchio sia aperto posteriormente. Questa rotazione consente anche la corretta distribuzione delle masse muscolari: anteriormente la massa estensoria e posteriormente quella flessoria. All'8ª settimana si sono già formati i modelli cartilaginei in successione prossimodistale e alla fine del periodo embrionale comincia il processo di ossificazione, con la comparsa dei centri primari di ossificazione: progressivamente, nell'asse delle ossa lunghe si verifica una rapida ossificazione, mentre le ossa della caviglia restano cartilaginee. Alla nascita permangono ancora zone cartilaginee, che andranno in seguito incontro a ossificazione, con la comparsa dei centri secondari di ossificazione.

Bibliografia

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W.L. Hamilton, J.D. Boyd, H.W. Mossman, Human embriology, Cambridge, Heffer, 1945 (trad. it. Padova, Piccin-Nuova libraria, 19774).

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G. Spedini, Antropologia evoluzionistica, Padova, Piccin-Nuova libraria, 1997.

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