GAMBERELLI, Antonio, detto Antonio Rossellino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GAMBERELLI, Antonio, detto Antonio Rossellino

Carlo La Bella

Figlio dello scalpellino Matteo di Domenico del Borra e di Mea, nacque probabilmente a Settignano, città d'origine della famiglia, nel 1427 o nel 1428: l'incertezza della datazione si deve alle indicazioni contraddittorie di due portate al Catasto, nelle quali lo scultore risulta avere trent'anni nel 1458, ma quarantadue nel 1469 (Mather).

Il soprannome Rossellino, allusivo alla capigliatura dell'artista e presto esteso anche ai suoi quattro fratelli, non compare nei documenti quattrocenteschi, e si ritrova per la prima volta nella Cronaca di Giovanni Santi (La vita e le gesta di Federico di Moncefeltro ..., a cura di L. Michelini Tocci, Città del Vaticano 1985, libro XXII, cap. XCI, v. 390).

Il G. era il più giovane dei figli di Matteo: Domenico, infatti, era nato tra il 1402 e il 1405, e Bernardo tra il 1407 e il 1410; oscillano, invece, tra il 1404 e il 1413 la data di nascita di Giovanni e tra il 1415 e il 1422 quella di Tommaso; della sorella Angela è noto che andò in sposa il 6 genn. 1444 a Tommaso di Antonio Fruosini, «pollaiollus» (Markham Schulz).

Secondo la pratica del tempo, è probabile che il G. abbia dato inizio al proprio apprendistato tra i tredici e i quattordici anni, entrando nell'avviata bottega fiorentina diretta da Bernardo e guadagnandosi gradualmente un ruolo di valido collaboratore nelle imprese commissionate al fratello maggiore.

La sua mano è infatti riconoscibile nel genio reggitarga di sinistra scolpito sul sarcofago del Monumento a Leonardo Bruni in S. Croce (1446-51), nonché in alcuni tratti della tunica del giacente (ibid.), nelle due figure angeliche del monumento della beata Villana a S. Maria Novella, realizzato nel corso del 1451 (Negri Arnoldi), e nel putto reggitarga di destra sul sarcofago del monumento a Orlando de' Medici alla Ss. Annunziata, compiuto dopo la morte dello statista avvenuta nel 1455 (Markham Schulz).

In questi primi interventi il G. già rivela una sensibilità per la resa morbida e vibrante delle superfici scolpite che lo distingue dal fratello e da altri suoi collaboratori.

Il 31 ott. 1449 il G. venne pagato per due dei fregi in pietra serena che rivestono i pulvini delle colonne della navata centrale di S. Lorenzo a Firenze, raffiguranti l'Agnello mistico su/libro della Scrittura entro una ghirlanda tra due serafini; l'anno precedente due fregi analoghi erano stati consegnati dal fratello Tommaso (Ozzola, 1903 e 1927).

La bottega di Bernardo risulta impegnata a partire dal 1443 in lavori di rifinitura e ornamentazione architettonica nel cantiere del nuovo convento di S. Miniato; uno dei pagamenti, datato 1451, è intestato al G. «per resto de muramenti delluogi comune e de fundame(n)ti del do(r)metorio nuovo di fuoris e di dentro» (Saalman). In quello stesso anno lo scultore presentava un estimo insieme con i nipoti Gilio e Giovanni, figli di Bemardo, e veniva immatricolato presso l'arte dei maestri di pietra e del legname (Markham Schulz).

La prima attestazione del G. come artista autonomo risale al febbraio del 1453, quando, senza il coinvolgimento della bottega di Bernardo, partecipò insieme con Desiderio da Settignano e con lo scalpellino Giovanni di Pierone alla stima dei quattro bassorilievi scolpiti da Andrea Cavalcanti, detto il Buggiano, per il pulpito di S. Maria Novella.

La data 1456 e la firma del G. sono segnate sul Busto del medico Giovanni Chellini al Victoria and Albert Museum di Londra, tra i primi esempi di busto ritratto quattrocentesco.

Il G. ottenne una resa rigorosamente veristica dei tratti somatici dell'effigiato utilizzando un calco tratto dal volto, secondo una tecnica romana che lo scultore applicò per primo in età moderna alla tipologia del busto ritratto (Pope-Hennessy, 1958 e 1966), e che unì a un'acuta delineazione delle caratteristiche psicologiche del personaggio.

Identica tecnica e dati stilistici si ritrovano nel profilo di Neri Capponi, scolpito in rilievo all'interno di un medaglione sul sarcofago del monumento funebre dello statista a S. Spirito, eseguito prima della sua morte (1457) e unico elemento della tomba assegnabile motivatamente al G. (planiscig; Pope-Hennessy, 1966; Markham Schulz).

Dalla bottega del G. proviene anche la Tomba del beato Marcolino Amanni in origine in S. Domenico a Forlì e oggi nella locale Pinacoteca civica, datata 1458 ma già ultimata nel marzo dell'anno precedente, quando vi fu deposto il corpo del beato; il G. è personalmente responsabile dell' Annunciazione che sovrasta l'urna e dei rilievi di maggior qualità che la decorano.

Nella portata al Catasto del 1458 il G. risulta risiedere in via Fiesolana, nella parrocchia di S. Pier Maggiore, insieme con la madre, i fratelli Domenico, Giovanni e Tommaso e le famiglie di questi; i loro beni erano assai più modesti di quelli presentati al Catasto l'anno precedente da Bernardo, che viveva in una diversa abitazione con la moglie e i figli (Gaye; Mather).

Tra la fine degli anni Sessanta e l'aprirsi del nuovo decennio si datano i bassorilievi raffiguranti la Madonna in trono col Bambino conservati alla Pierpont Morgan library e al Metropolitan Museum di New York e il distrutto esemplare già al Kaiser Friedrich Museum di Berlino (Pope-Hennessy, 1970); un perduto rilievo dallo stesso soggetto e di affine datazione, detto la Madonna delle Candelabre è noto da alcune copie quattrocentesche (Marquand, 1919; Pope-Hennessy, 1970). A questo stesso periodo va ricondotto il busto di S. Giovannino già nell'oratorio di S. Francesco dei Vanchetoni a Firenze e ora nella National Gallery di Washington.

Il G. risente profondamente, in queste opere, dell'influenza dell'arte di Desiderio da Settignano, anch'egli reduce dalla bottega di Bernardo, adottando soluzioni compositive già elaborate da Desiderio e perfezionando gli effetti di morbidezza del modellato; la maniera del G. si distingue tuttavia per i volumi più netti e pronunciati delle sue figure e per il dinamismo più contenuto delle composizioni.

Il 21 giugno del 1460 l'arte dei mercatanti largì la concessione per la cappella funeraria del cardinale Jacopo di Portogallo, morto a Firenze il 27 ag. 1459, da erigersi nella chiesa di S. Miniato al Monte in conformità a un progetto già presentato (Frey).

Il G., nel gennaio del 1461, consegnò un'acquasantiera destinata alla chiesa dello spedale degli Innocenti, ma il 1° dicembre dello stesso anno si impegnò a realizzare il monumento funebre del cardinale, sottoscrivendo con Alvaro vescovo di Silves un contratto oggi perduto, ma riassunto dal Manni nel 1746. In un secondo contratto redatto il 23 dicembre con la banca Cambini, il G. e Bernardo furono vincolati a completare il sepolcro entro il Natale dell'anno successivo, attenendosi al modello approvato; Bernardo risulta dunque coinvolto solo in un secondo momento in un'impresa già assegnata e progettata dal fratello minore. Il G. ricevette pagamenti per il proprio lavoro alla tomba dal 24 dic. 1462 al 20 giugno 1465; il saldo finale, per un totale di 421 fiorini, gli fu versato l'8 febbr. 1466. Nei mesi seguenti il G. lavorò al trono cardinalizio posto sulla parete sinistra della cappella, il cui ultimo pagamento risale al 9 sett. 1466. Nel corso di questo periodo il fratello Giovanni aveva assunto la direzione del cantiere architettonico della cappella dopo la morte di Antonio Manetti ideatore del progetto (1460), Luca della Robbia aveva realizzato la decorazione della volta con formelle di terracotta invetriata mentre Antonio e Piero Pollaiolo e Alesso Baldovinetti avevano eseguito la decorazione pittorica delle pareti. il 12 sett. del 1466 la cappella fu consacrata e il corpo del cardinale venne deposto nella sepoltura.

La cappella ha pianta a croce greca con bracci appena sporgenti e volta a padiglione, la cui intera decorazione interna risponde a un piano progettuale unitario e omogeneo, verosimilmente riconducibile all'ideazione del Gamberelli. In reciproca corrispondenza, su ogni parete si apre infatti un'ampia nicchia, che ospita un altare sul muro di fronte all'entrata, il trono cardinalizio sulla parete sinistra e sulla parete opposta il monumento funebre, che il G. realizzò rielaborando lo schema della tomba parietale ad arco del Monumento a Leonardo Bruni di Bernardo, incrementandone gli elementi decorativi e la tensione dinamica delle figure scolpite.

Il sepolcro si erge su un basamento rivestito da un fregio con figurazioni simboliche, che alludono alla vittoria del defunto sulle passioni e all'ascesa della sua anima, tratte da modelli classici e di soggetto mitraico (Saxl; Chastel). AI di sopra è collocato il sarcofago, ispirato a un antico esemplare in porfido oggi inserito nel sepolcro di Clemente XII a S. Giovanni in Laterano, su cui è la figura del giacente, dal volto ricavato da una maschera mortuaria, vegliato da due putti seduti sul coperchio; ai suoi Iati si posa una coppia di angeli inginocchiati, recanti uno una corona e l'altro la palma della castità, oggi mancante. Due angeli in volo a rilievo sollevano un tondo con la Madonna col Bambino incorniciato da una ghirlanda, mentre all'entrata della nicchia, dal sottarco decorato a cassettoni, si apre una finta cortina in marmo.

Il G. eseguì personalmente gran parte dell'apparato scultoreo della tomba, da cui vanno esclusi alcuni elementi decorativi, l'angelo reggicorona e l'angelo in volo di destra, questi ultimi attribuiti da alcuni studiosi a Bernardo (Hartt, 1961 e 1964; Pope-Hennessy, 1970).

Nel corso dei lavori della cappella Bemardo era morto (1464) e il G. e Giovanni, nell'ottobre del 1464, si assunsero la responsabilità di realizzare la Tomba di Filippo Lazzan in S. Domenico a Pistoia, già assegnata al fratello che aveva avuto modo di presentare il solo progetto (Milanesi); i due artisti riscossero regolarmente i pagamenti per l'impresa fino al saldo finale datato al 29 giugno 1468 (Bacci); ma l'apparato scultoreo della tomba, smontata e arbitrariamente ricomposta nel XVII secolo, si rivela interamente realizzato da collaboratori di bottega.

Firmato e datato 1468 è invece il busto ritratto di Matteo Palmieri oggi al Museo nazionale del Bargello a Firenze, esposto, secondo l'uso romano, sulla porta della casa dell'umanista, da dove fu rimosso solo nell'Ottocento con grave danno per la superficie scolpita (Planiscig; Pope-Hennessy, 1966).

In quello stesso anno la bottega di Antonio e Piero Pollaiolo era stata incaricata da Benedetto Salutati di realizzare dei sontuosi paramenti per lui e per il suo seguito, da esibire in occasione della giostra di Lorenzo il Magnifico, programmata per il 7 febbraio dell'anno successivo; i Pollaiolo coinvolsero nel progetto il G., che eseguì una figura allegorica per la cresta dell'elmo di uno dei due paggi che fecero da scorta allo statista (Covi).

Quando nel 1469 presentava la propria portata al Catasto, il G. aveva tre figlie, Margherita di quattro anni, Cassandra di due e Bartolomea di uno, e la moglie Lisabetta, ventottenne, era incinta di sette mesi; si dichiarava titolare di una bottega autonoma, e viveva ancora nell'immobile di via Fiesolana, per metà abitato dal fratello Giovanni. I fratelli Gamberelli erano comproprietari di una casa a Gamberaia, abitata da Tommaso (Markham Schulz).

Nell'agosto 1471 il G. ricevette da Antonio Piccolomini la commissione della pala marmorea raffigurante la Natività per la cappella funeraria della moglie Maria d'Aragona nella chiesa di S. Anna dei Lombardi a Napoli, che il maestro completò nel maggio del 1474 (CarI, 1996). Il monumento funebre della nobildonna, che costituisce una replica con minime varianti della tomba del cardinale di Portogallo, fu anch'esso assegnato al G.; ma lo scultore non mise mano alla sua realizzazione, tanto che nel 1481 il committente chiese agli eredi del G. la restituzione . di quel più che aveva pagato » per l'impresa (Fabriczy, 1907, p. 162). La tomba venne compiuta solo dopo il 1481 da Benedetto da Maiano e collaboratori.

Nel periodo in cui il G. risulta impegnato nei lavori per la pala Piccolomini attese contemporaneamente a diversi altri incarichi. Venne infatti pagato nel 1472 per il cornicione in marmo della nuova copertura del tetto del battistero di S. Giovanni a Firenze (Nardini Despotti), e nel giugno dell'anno successivo fu tenuto a stimare il monumento funebre di Pietro da Noceto scolpito da Matteo Civitali per il duomo di Lucca (Ridolfi). Alla presenza di Andrea del Verrocchio e di Pasquino di Matteo da Montepulciano, il G. ricevette il 23 ag. 1473 il compito di eseguire tre bassorilievi in marmo, raffiguranti la Lapidazione di s. Stefano, le Esequie del santo e l'Assunzione della Vergine, da porre nella balaustra del pulpito interno del duomo di Prato, insieme con due Storie di S. Giovanni affidate a Mino da Fiesole.

Il G. scolpì su un fondo convesso tre scene inquadrate da ampie prospettive architettoniche, forse ispirate a opere di Donatello, in cui si ambientano gruppi di figure rese con vivido e concitato effetto dinamico.

Oltre all'esecuzione di questi rilievi, al G. va riferita l'ideazione dell'intero pulpito (pope Hennessy, 1958; Petrucci), composto da una cassa circolare esemplata sul pulpito esterno di Donatello nello stesso duomo, montata su uno snello basamento scolpito in modo da rievocare le forme di un calice eucaristico.

Alcune sculture del G., anch'esse riferibili alla prima metà degli anni Settanta, pur mantenendo una qualità che non lascia dubbi sull' autografia del maestro, denotano un certo irrigidimento formale e un recupero di soluzioni compositive più tradizionali, come la Madonna Nori in S. Croce, chiusa in una mandorla, la Madonna con Bambino della National Gallery of art di Washington e il tondo con la Natività al Museo nazionale del Bargello a Firenze.

In questo periodo il G. dovette eseguire anche la lastra tombale di Leonardo ed Elisabetta Tebaldi in S. Croce, oggi molto consunta, per la quale nell'ottobre del 1474 rivendicava il mancato pagamento presso gli eredi del committente; si tratta di un caso assai raro in Toscana di lastra destinata a una doppia sepoltura, in cui il G. realizzò le figure in scorcio, ottenendo un sofisticato effetto di illusionismo prospettico, pienamente fruibile a una visione frontale (Beck).

La tomba del vescovo Lorenzo Roverella in S. Giorgio a Ferrara, datata 1475 e firmata da Ambrogio da Milano, fu in realtà anch' essa in origine assegnata al G., che vi lavorò, come attestano i pagamenti, dal febbraio all'ottobre del 1475, ma poi, per motivi ignoti, abbandonò l'impresa; alla bottega del G. vanno comunque ricondotte diverse sculture che decorano il complesso; mentre il ritratto del defunto sembra essere stato scolpito personalmente dal G. (Fabriczy; Planiscig; Pope Hennessy, 1958).

Sempre nella bottega del G., probabilmente intorno al 1475, venne eseguito l'altare della cappella Mattini in S. Giobbe a Venezia, decorato con una figura di S. Giovanni Battista su cui sembra sia direttamente intervenuto il maestro (Apfelstadt).

Il 6 maggio 1476 l'Opera del duomo di Firenze affidò al G. l'incarico di realizzare una scultura di grandi dimensioni da collocare su uno sperone della tribuna del duomo (Poggi, 1909), già assegnata nel 1464 ad Agostino di Duccio che la lasciò incompiuta; il G. abbandonò a sua volta il progetto, e il blocco di marmo destinato all'impresa fu utilizzato nel 1501 da Michelangelo per il David.

Probabilmente verso la metà degli anni Settanta il G. scolpì per la famiglia Capacci la statua del S. Sebastiano oggi al Museo della Collegiata di S. Andrea a Empoli e in origine nella chiesa, collocata al centro di un tabernacolo in legno sormontato da due angeli marmorei di un suo collaboratore (Paolucci; Apfelstadt); si è anche supposto, tuttavia, che le tre sculture siano in origine appartenute a un complesso plastico perduto o mai completato risalente a un decennio prima, e che in questo periodo siano state riutilizzate per ornare l'attuale tabernacolo (Negri Arnoldi, 1994).

La figura di s. Sebastiano, il cui corpo in torsione deriva probabilmente da un modello ellenistico, denota l'estremo perfezionamento raggiunto dal G. nel rendere i più sofisticati effetti di vibrazione luministica sulle superfici scolpite, nonché una notevole padronanza nella costruzione anatomica.

Attestata dai documenti al 1477 è la piccola statua raffigurante S. Giovannino conservata al Museo nazionale del Bargello, che il G. scolpì in forme assai più chiuse e tornite per collocarla su un portale del palazzo dell'Opera di S. Giovanni (Frey, 1909).

Da una lettera scritta nell'aprile di quell'anno da Filippo Strozzi al fratello Lorenzo, si apprende che il G. si era allora recato a Napoli per soprintendere al corretto montaggio della pala marmorea eseguita tre anni prima per la cappella Piccolomini, la cui installazione aveva dovuto attendere il compimento dei lavori architettonici dell'ambiente; in quell'occasione lo Strozzi si giovò di una consulenza del G. per scegliere il luogo più adatto ove erigere la tomba napoletana del fratello Matteo, di cui il maestro aveva già visionato un progetto a Firenze (Borsook).

L'ultima menzione del G. nei registri dell'arte dei maestri di pietra e del legname risale al 31 dic. 1478. L'artista mori infatti l'anno successivo, probabilmente a Firenze vittima della peste, pochi giorni prima dei figli Iacopo e Bernardo, nati dopo il 1469. L'eredità del G. fu divisa tra i suoi fratelli, evidentemente perché né la moglie né le figlie gli erano sopravvissute (Cari, 1983).

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