GOZZI, Gasparo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002)

GOZZI, Gasparo

Domenico Proietti

Nacque a Venezia il 4 dic. 1713, primo degli undici figli del conte Iacopo Antonio e della nobildonna Angela Tiepolo. I Gozzi sono attestati a Bergamo a partire dal XIV secolo; all'inizio del XVI secolo il ramo cui apparteneva la famiglia del G. si trasferì a Venezia, acquistando diversi immobili in città e altri beni nel Trevigiano, oltre a possedimenti in Friuli (in particolare una villa a Visinale, frazione di Pasiano di Pordenone), sui quali ottenne il titolo comitale nel XVII secolo. Dall'inizio del Settecento, tuttavia, il patrimonio familiare si ridusse progressivamente, cosicché solo il G. e il secondogenito Francesco poterono seguire corsi di studi regolari in collegi pubblici.

Dopo i primi studi in casa con precettori entrò nel collegio somasco di Murano, dove acquisì una solida formazione umanistica. A Venezia, poi, seguì corsi di matematica e giurisprudenza, ma i suoi interessi erano già stabilmente rivolti alla letteratura, per consuetudine familiare (membri della famiglia componevano versi e in casa per alcuni anni si tennero adunanze letterarie, come ricorda nelle sue Memorie inutili Carlo, uno dei fratelli più giovani del G.) e per la frequentazione di giovani intellettuali vicini ad A. Zeno.

Tra questi, l'abate Antonio Sforza e i fratelli Niccolò e Anton Federico Seghezzi lo esortarono alla poesia arcadica e bernesca, e allo studio dei classici italiani, mentre la poetessa Luisa Bergalli lo indirizzava alla lirica petrarchesca. Proprio in tale gruppo si collocano, tra 1731 e 1735, gli esordi letterari del G., in una serie di opuscoli poetici d'occasione, molti dei quali curati dalla Bergalli (con la quale i rapporti si fecero via via più stretti), cui partecipò con versi in latino, composizioni in terzine dantesche, sonetti e canzoni di stampo petrarchesco, nei quali è trasfigurato l'amore per la Bergalli.

Con quest'ultima nel 1736 preparò e pubblicò a Venezia l'edizione delle Rime dell'amico A. Sforza (morto quell'anno), con l'aggiunta di componimenti di amici in onore dello scomparso (incluse alcune poesie dello stesso G.) e un profilo iniziale dello Sforza (pp. IX-XIV) che costituisce la sua prima prova come critico. Il volume era anche una sorta di dichiarazione pubblica del rapporto tra i due curatori, ormai consolidato ma fortemente contrastato dai Gozzi sia per l'età di lei (di dieci anni più anziana del G.), sia per le sue condizioni socio-economiche (la Bergalli era di estrazione borghese e aveva potuto studiare con grandi sacrifici da parte della famiglia). Per lei, comunque, l'anno successivo il G. entrò nel terreno della polemica letteraria con una lunga lettera all'amico A.F. Seghezzi (pubblicata nel t. XV della Raccolta di opuscoli scientifici e filologici edita da A. Calogerà, pp. 488-506), difendendo contro un anonimo critico bolognese la traduzione della Tebaide di J. Racine pubblicata nel 1735 dalla Bergalli unitamente a quella di altre tragedie del drammaturgo francese. Inoltre, nel 1738, quando la Bergalli pubblicò a Venezia un'edizione delle Rime di Gaspara Stampa con l'aggiunta di "rime di diversi" in lode della poetessa cinquecentesca, il G. contribuì con tre sonetti.

Ottenuto un poco convinto assenso della famiglia (nelle già ricordate Memorie inutili, p. I, cap. 3, il fratello Carlo avrebbe definito l'unione "una geniale astrazione poetica"), l'8 luglio 1738 il G. poté finalmente sposare la Bergalli: il matrimonio, dal quale sarebbero nati cinque figli, finì per aggravare le non floride condizioni economiche della famiglia, cosicché i novelli sposi, vinte le riluttanze della Bergalli, dovettero trasferirsi nella villa di Visinale, dove tra 1739 e 1740 il G. compose versi berneschi e tenne un'intensa corrispondenza con amici veneziani (soprattutto L. Pomo e A.F. Seghezzi), nucleo originario delle sue lettere familiari.

Dopo una breve parentesi veneziana nella primavera-estate 1740 (quando il G. iniziò una traduzione in prosa dell'Anfitrione di Plauto che costituisce il primo documento dei suoi interessi teatrali e progettò un'edizione, poi non realizzata, delle commedie di I.A. Nelli), egli e la Bergalli dovettero tornare a Visinale, dove avviarono per l'editore veneziano Francesco Storti la traduzione della monumentale Histoire ecclésiastique di C. Fleury (conclusa solo nel 1766 e che risulta nei frontespizi opera del solo G.); per lo Storti, sempre nel 1740, curò la ristampa d'un manuale epistolare all'epoca assai diffuso, Il segretario principiante di I. Nardi. A questo periodo risalgono anche tentativi presto interrotti di traduzione da Molière (probabilmente su commissione dell'editore Francesco Pitteri) e dall'Asinaria di Plauto, che confermano un'attenzione del G. per il teatro che gli derivava probabilmente sia dalla consuetudine familiare, sia dall'esempio della Bergalli (che tra 1721 e 1731 aveva tradotto il teatro di Terenzio), sia, soprattutto, da un'istintiva insoddisfazione per la produzione teatrale contemporanea, accostabile anche cronologicamente a quella di C. Goldoni, che proprio in questi anni stava maturando le sue idee sulla riforma teatrale.

Nella primavera 1742 il G. tornò con la famiglia a Venezia per dedicarsi più agevolmente al lavoro editoriale e forse per attendere ai suoi lavori teatrali. L'anno dopo, infatti, esordì con la tragedia Elettra, versione-adattamento in polimetri del testo di un drammaturgo classicista grecizzante epigono di Racine, H.-B. de Requeleyne barone di Longepierre, forse commissionata dalla compagnia del teatro S. Samuele e recitata con scarso esito in quel teatro (fu ripresa con maggiore successo nel 1745). Le fece seguito nel 1746, dopo una laboriosa opera di traduzione e adattamento tra fine 1744 e 1745, un'altra versione da Longepierre, la Medea, rappresentata sempre al S. Samuele e dedicata alla moglie di Michiel Grimani, proprietario dei teatri S. Samuele e S. Giovanni Crisostomo (con il quale il G. sperò, invano, di entrare in società). La proposta di tali testi al pubblico veneziano derivava dalla "consapevolezza della povertà della produzione drammaturgica italiana, specie nel genere tragico" e dal riconoscimento del "magistero indiscusso" (Bosisio, p. 289) esercitato in quello stesso periodo dalla letteratura teatrale francese. A fronte di questi incerti inizi teatrali, in questo periodo il G. portò a termine importanti iniziative editoriali, che lo segnalarono come uno dei letterati emergenti più affidabili nel vivace mercato editoriale veneziano: l'edizione in dieci tomi (Venezia 1744) delle Poesie drammatiche di A. Zeno, che lo mise in diretto contatto con l'anziano e celebrato scrittore, il quale rinfocolò la passione teatrale del G. e gli aprì la sua ricca biblioteca; e una collaborazione, destinata a durare, con Marco Foscarini per la compilazione della storia Della letteratura veneziana (di cui fu pubblicato nel 1752 a Padova solo il primo volume).

Nel 1747, spinto dalla Bergalli e dalla speranza di profitti che risollevassero la critica situazione economica della famiglia, e indotto dall'ambizione di modificare il gusto teatrale corrente, il G. s'imbarcò nella rischiosa iniziativa di rilevare la gestione del teatro S. Angelo, in cui erano di solito messe in scena opere musicali, proponendo già nella stagione autunnale di quell'anno un cartellone assai lontano da quello popolare e dell'arte, imperniato su testi colti e moraleggianti della più recente letteratura drammatica francese, scelti e adattati dal G. e dalla moglie. Già alla fine del 1748, però, l'impresa dovette essere abbandonata, essendo risultata disastrosa dal punto di vista economico (per l'imperizia organizzativa dei coniugi, la modestia dei mezzi di cui disponevano e la loro scarsa sintonia con i gusti del pubblico) e avendo procurato, in luogo degli attesi profitti, ulteriori dissesti al bilancio familiare: la direzione del teatro venne assunta da G. Medebach, che ingaggiò come autore C. Goldoni. Per di più, i testi tradotti e adattati dal G. per il S. Angelo tra il 1747 e il 1748 (le commedie Esopo alla corte ed Esopo in città di E. Boursault; i drammi borghesi e sentimentali La finta semplice e I filosofi innamorati di Destouches; l'operetta Il borbottone di J. Palabrat e D.-A. de Brueys) erano opere di modesto valore teatrale, spesso appesantite dalla versione molto letteraria oltre che dalle numerose aggiunte del G. (in particolare gli apologhi, inseriti nelle due commedie di Boursault). Di notevole rilievo culturale restava, comunque, la proposta (oltretutto, in anticipo sulla riforma goldoniana) di un teatro moderno, borghese, caratterizzato da un gusto per l'apologo e la favola che consentisse di sorridere con bonomia sui vizi e le debolezze umane, attuando in tal modo l'impegno morale da cui l'opera teatrale doveva essere ispirata (e che si sarebbe più compiutamente espresso in quella vena di bonaria censura dei costumi che percorre le opere più mature del G. narratore e giornalista).

Nel maggio 1747 il G. aveva partecipato, col fratello Carlo e altri patrizi letterati, alla fondazione dell'Accademia "serio-faceta" dei Granelleschi (che derivava il nome dallo stemma recante un gufo "con due genitali nel destro artiglio"). Ne divenne una delle personalità di spicco e, non condividendone l'iniziale impostazione burlesca (con la conseguente esaltazione/imitazione della produzione comica toscana del Quattro-Cinquecento: L. Pulci, il Burchiello, F. Berni) o certi eccessi polemici (per es., contro Goldoni), ne indirizzò gli interessi verso un più austero culto classicheggiante della purezza della lingua, rifacendosi a Petrarca e soprattutto a Dante.

Nel frattempo continuava a occuparsi di teatro, anche in veste di autore: nel 1749 pubblicò a Venezia l'Edipo, tragedia d'argomento e fattura classicistica in cui echi senechiani e sofoclei si mescolano con reminiscenze di Corneille, Voltaire e La Motte e che, pur risultando fredda e statica (al punto che non venne mai portata sulle scene), avrebbe avuto le lodi di Goldoni. Nel gennaio 1752 andò in scena al teatro S. Moisè il melodramma metastasiano l'Isola d'amore, con musica di G. Latilla su libretto anonimo, ma da attribuire al G., che tentò ancora il melodramma nel 1756 con I tre matrimoni (messo in scena al S. Samuele con musica di A. Calandria). Intanto continuava l'attività di traduttore/adattatore: dopo la traduzione della tragedia Zaira di Voltaire (Venezia 1749, ma probabilmente realizzata per il S. Angelo), pubblicò nel 1751 la versione di un'altra tragedia volterriana, la Marianna, che, pur non essendo certo un'opera eccellente, era, come la precedente, molto apprezzata e rappresentata (anch'essa ebbe, nella versione del G., diverse ristampe). Nello stesso periodo non tralasciò la traduzione di commedie e nel 1754, l'anno della polemica tra i sostenitori di P. Chiari e quelli di Goldoni (nel corso della quale il G., pur non schierandosi, criticò le commedie di Chiari, cosicché quello stesso anno Goldoni gli dedicò la commedia L'impostore, lodando per l'efficacia drammatica il suo Edipo), pubblicò il volume Teatro comico francese (ibid.), in cui erano anche le sue versioni di due commedie di Destouches (L'ostacolo imprevisto e La forza de' natali, tradotte rispettivamente in prosa e in versi martelliani, allora molto graditi al pubblico veneziano), della Cenia, fortunatissima comédie larmoyante di Françoise d'Issembourg d'Happoncourt, dame de Graffigny (che, forse per influenza della versione del G., fu adattata per le scene italiane da Goldoni nel Padre per amore, del 1757) e, ultima tra le sue traduzioni teatrali dal francese, Democrito creduto pazzo di J. Autreau. Una serie di testi, dunque, che ribadiva il suo orientamento verso un teatro moderno e borghese, rivelando una certa sintonia con l'evoluzione del gusto teatrale contemporaneo. E tale gusto tentò di interpretare e indirizzare con altre sue composizioni originali anche verso un rinnovamento del genere tragico, consapevole della ritrosia con cui erano ormai accolte le tragedie classicistiche e altresì convinto della necessità di introdurre sulle scene una certa varietà di generi. Si tratta di tre composizioni tragiche scritte tra il 1755 e il 1758 per il teatro S. Giovanni Crisostomo, che egli designò "rappresentazioni sceniche", quasi "a prendere le distanze dal genere tragico" (Bosisio, p. 305), e che potrebbero essere definite tragicommedie d'argomento storico: Marco Polo (1755) e Costantinopoli (1755, stampata nel 1758 con il titolo Isaccio, ma nota anche come Enrico Dandolo), entrambe su figure della storia veneziana; Antiochia (tratta dalle omelie di s. Giovanni Crisostomo, 1758). L'ultima fatica del G. per il teatro, anche attribuendogli la versione delle venticinque commedie di Molière uscita in quattro volumi tra il 1756 e il 1757 per i tipi dell'editore veneziano G. Novelli, fu ancora una traduzione: quella (condotta su una versione francese) del poema drammatico d'argomento biblico La morte di Adamo di F.G. Klopstock, inserita, con la versione di alcuni dei dialoghi di Luciano, nel romanzo allegorico-didascalico Il mondo morale, che il G. pubblicò a puntate nel 1760. L'utilizzazione in funzione apertamente didascalica di un testo teatrale segnò il suo abbandono definitivo della pratica teatrale: l'ormai netta affermazione della riforma goldoniana, l'emergere della produzione teatrale del fratello Carlo e il divampare di una nuova polemica tra quest'ultimo e Goldoni (nella quale il G. si mantenne di nuovo sostanzialmente neutrale, continuando a non risparmiare giudizi limitativi su Chiari e seguaci, che pure sostenevano Carlo Gozzi) lo orientarono verso il ruolo certo più congeniale di osservatore dei costumi e di critico. In tale veste, pur non cessando di valorizzare il teatro goldoniano per l'opzione realistica che ne costituiva il carattere di novità e di progresso, riuscì ad aprire "un fecondo dialogo a distanza" con il fratello (Beniscelli, p. 269).

Le radici e le ragioni di tale svolta si ritrovano nel lavoro d'intellettuale e nell'opera in versi e in prosa del G. sin dal 1751, quando pubblicò (anonime e con il falso luogo di stampa di Lucca) le Rime piacevoli d'un moderno autore, nelle quali raccoglieva i frutti del suo tirocinio arcadico, percorso da un'impronta bernesca non estranea alle sue attitudini moraleggianti ma abbandonato, già dall'anno precedente, per dedicarsi ai Sermoni (i primi dodici raccolti dal G. nel 1763 e ripubblicati nel 1781; due dispersi in pubblicazioni occasionali, quattro pubblicati postumi). Un genere, questo, certo a lui assai congeniale, in cui l'adozione dell'endecasillabo sciolto (già utilizzato nei Sermoni di G. Chiabrera) gli consentiva di trattare, sulla filigrana del modello oraziano ma con attenzione realistica tutta moderna, i temi (presenti in molte commedie goldoniane) della decadenza dei costumi e mollezza di vita dell'aristocrazia contemporanea, esposti nitidamente, con un registro colloquiale e scorrevole ma mai sciatto, attraverso apologhi e ritratti di persone e situazioni.

La stessa tendenza all'osservazione e alla descrizione etico-morale della realtà contemporanea attraverso narrazioni e ritratti nitidi e realistici è, nella prosa, all'origine delle Lettere diverse, una delle opere più fortunate del G., il primo volume delle quali uscì a Venezia nel 1750 (salutato quello stesso anno da un significativo riconoscimento di Goldoni nel Cavaliere di buon gusto) e a cui, due anni dopo, seguì un secondo. I due volumi contengono non solo lettere, ma dialoghi, novelle, favole, sogni, traduzioni e componimenti in versi (capitoli e sette Sermoni, uno nel primo volume, sei nel secondo). La ripresa del genere epistolare da parte del G. fu sicuramente più un implicito ossequio all'epistolografia rinascimentale italiana che un richiamo al modello illuministico delle Lettres persanes di Montesquieu o delle Lettres anglaises di Voltaire; ma certo il referente più vicino (non solo cronologicamente) sembra il genere delle lettere di "vario argomento" che godeva di una certa fortuna nella Venezia del tempo, con esempi quali le Lettere critiche, giocose, morali di G.A. Costantini (1743) e le Lettere scelte di varie materie di P. Chiari (1749). Il G., però, pur rispettando le caratteristiche formali della tradizione, si discostò da questi precedenti per il registro caratterizzato da un umorismo bonario ma penetrante, per l'attenzione verso la realtà contemporanea (anche negli aspetti più pratici e quotidiani) e soprattutto per l'interesse a scoprire sotto la molteplicità del reale la tipicità, la paradigmaticità etica di personaggi e situazioni, peraltro chiaramente esplicitata nel titolo che nell'edizione originale dell'opera compare in un frontespizio interno (p. 9): Lettere serie, facete, capricciose, strane, e quasi bestiali, nelle quali si trattano diversi punti di morale ora istoricamente, e ora col velo dell'allegoria. Proprio la mistione di realismo e moralismo, se costituisce il limite dell'incerto e talora confuso progressismo del G., del suo "scetticismo riformatore", gli consentì di uscire dall'isolamento di erudito e letterato, di esternare le sue amarezze e ridimensionare le sue malinconie, intravedendo a contatto con la realtà un nuovo ruolo e nuove modalità espressive per l'intellettuale in una prosa conversevole e colloquiale ormai assai prossima a quella giornalistica.

In modo solo apparentemente contraddittorio rispetto a questa maturazione intellettuale sembrano collocarsi il culto tradizionalista tributato dal G. a Dante e la composizione della Difesa di Dante. Sono già state ricordate le ragioni per cui si fece promotore dello studio di Dante nell'Accademia dei Granelleschi; si può aggiungere che tale richiamo, pur derivato dal principio dell'imitazione del classicismo arcadico, venne da lui interpretato nel senso di un contatto diretto con il testo dantesco, attuato nella lettura integrale della Commedia che propose e condusse durante le riunioni accademiche a partire dalla fine del 1752. Sono da connettere a tale rilettura gli argomenti in terzine che il G. compose in stile dantesco e premise a ogni canto della Commedia nell'edizione che curò per l'editore veneziano Antonio Zatta, nel 1757.

Così, quando nel dicembre di quell'anno (ma con data 1758) furono pubblicate le Lettere virgiliane di S. Bettinelli, che contenevano una censura alla poesia dantesca, il G., che aveva potuto leggere il pamphlet già prima della pubblicazione, sentì di dover rispondere anche a nome dei Granelleschi. Compose così il Giudizio degli antichi poeti sopra la moderna censura di Dante attribuita ingiustamente a Virgilio (noto come Difesa di Dante), pubblicato a Venezia per i tipi dell'editore Zatta nel marzo 1758 unitamente a una traduzione dello stesso G., mediata da una precedente versione francese, dell'Essay on criticism di A. Pope. L'opuscolo, riprendendo polemicamente lo schema delle Virgiliane, si articola in tre lettere che il G. finge inviate da A.F. Doni allo Zatta; alle lettere sono intercalati un dialogo tra Virgilio e Doni, una conversazione tra Virgilio, Aristofane e altri poeti, un parere sull'arte della Commedia del grammatico e dantista cinquecentesco Trifone Gabriel; la trattazione è conclusa dal mito di Orfeo esposto da Aristofane. Certo, il testo, pur nella garbata incisività di molti passaggi, non regge il confronto con la provocatoria, ma serrata e brillante critica di Bettinelli, che aveva buon gioco nel demolire attraverso l'attacco a Dante l'imitazione pedissequa dei classici. Tuttavia le argomentazioni del G., pur dettate da buon senso e moderazione piuttosto che da precise direttive di metodo, non sono assimilabili alle difese superficiali e manierate di altri apologeti settecenteschi di Dante. Infatti, proponendo una lettura storicizzante della Commedia che ne comprendesse i contenuti e la lingua in relazione agli ideali del Trecento (e non la svalutasse in base a pregiudizi moderni, come faceva Bettinelli), il G. indicava originalmente la vitalità e l'attualità del poema nella passione morale che animava Dante, determinando l'unità strutturale e poetica dell'opera.

Il decennio 1748-58, pur così ricco di attività e opere, fu per il G. tra i più difficili economicamente e nel rapporto con familiari. Nel 1748, dopo il fallimento dell'impresa teatrale del S. Angelo, intensificò i rapporti di collaborazione con M. Foscarini, divenendone segretario (a lui dedicò il primo volume delle Lettere diverse); fu il Foscarini che nel 1754, per alleviarne le sempre disagiate condizioni economiche, gli procurò l'incarico di trascrivere, per 200 ducati l'anno, il catalogo della Biblioteca di S. Marco. Tale entrata, però, non bastava ai bisogni del G. e della famiglia; per cui, oltre al lavoro per Foscarini e alle sue numerose collaborazioni editoriali, egli dovette per sei anni dedicarsi a impartire lezioni private a giovani nobili. A questi anni risale anche un breve rapporto con Marianna Mastraca: per starle vicino, nel 1756 il G., stanco anche della logorante situazione familiare, si ritirò a vivere da solo per un breve periodo e in tale occasione conobbe la giovane sarta francese Giovanna Sara Cenet, accolta in casa Mastraca come governante. Alla fine del 1760, dapprima raffreddò poi interruppe del tutto i rapporti con Foscarini, dopo aver sperato invano nel suo appoggio per ottenere la cattedra di lettere latine e greche vacante nello Studio di Padova (che fu invece assegnata a C. Sibiliato).

Peraltro, era stato proprio grazie a un amico di Foscarini, Daniele Farsetti, che all'inizio di quello stesso 1760 il G. aveva ottenuto da una società di commercianti veneziani il finanziamento necessario per affrontare la sua prima impresa giornalistica, la Gazzetta veneta, con la quale voleva introdurre a Venezia un nuovo tipo di giornale modellato sullo Spectator di J. Addison, la cui traduzione in francese era stata accolta con molto favore dai Veneziani.

La Gazzetta, della quale con cadenza bisettimanale uscirono 104 numeri dal 6 febbr. 1760 al 31 genn. 1762, si proponeva come periodico di cronaca locale, notizie utili, annunci economici, recensioni di spettacoli (memorabile quella dei Rusteghi di Goldoni sul numero del 20 febbr. 1760), rivolto a un pubblico vasto ed eterogeneo, per il quale il G. descriveva e commentava con finezza e ironia tipi e costumi della realtà contemporanea e in particolare scene ed episodi di vita quotidiana: ne risultava un ritratto della vita veneziana del tempo tratteggiato con uno stile cronistico ancora più nitido e garbato di quello già sperimentato nelle Lettere diverse e accostabile allo sfondo realistico del teatro goldoniano. Certo, tale rappresentazione non era approfondita come conoscenza critica e non si concretizzava in un progetto riformatore, restando al livello del bozzettistico e, talora, del pittoresco: lo scetticismo e le esitazioni del G. gli impedivano di trasformare la riflessione morale e la scrittura pedagogica in impegno civile (del resto, in mancanza di "un'azione riformatrice che fermi la decadenza della Serenissima, il suo tramonto può venire solo dipinto": Santato, p. 407). E proprio la convinzione che il compito del letterato si risolvesse essenzialmente nell'impegno della riflessione morale animò il G. nell'intraprendere, parallelamente alla Gazzetta, la pubblicazione di un secondo giornale, Il Mondo morale, uscito per nove mesi dal 5 maggio 1760. Più che un periodico, però, esso fu una sorta di romanzo a puntate, occupato quasi per intero dall'omonimo, farraginoso romanzo allegorico-didattico sul tema dell'originaria bontà del genere umano e della sua graduale corruzione, che comprendeva (come s'è già accennato) traduzioni della tragedia La morte di Adamo di Klopstock e di dialoghi di Luciano, e che rimase incompiuto. L'idea del G. era di integrare e utilizzare congiuntamente nella prospettiva di un unico programma educativo e morale i due generi più efficaci e innovativi della comunicazione moderna, il giornale e il romanzo. Il risultato fu una composizione senza unità narrativa, inceppata dalla pesante sovrastruttura allegorico-didascalica e priva del garbo e della freschezza del G. cronista e narratore di brevi casi esemplari. Fu così inevitabile che anche questa iniziativa (come già la Gazzetta, affidata dall'editore a P. Chiari) dovesse essere interrotta per lo scarso riscontro presso il pubblico.

Una fusione tra la spigliatezza giornalistica della Gazzetta e le finalità didascaliche del Mondo morale fu tentata dal G. nella sua terza impresa giornalistica, il periodico L'Osservatore veneto (di cui pubblicò 104 numeri bisettimanali dal 4 febbr. 1761 al 30 genn. 1762 e altri 41 settimanali, con il titolo Gli Osservatori veneti, dal 3 febbraio al 18 ag. 1762). Liberatosi del rapporto con la cronaca, dominante nella Gazzetta, il G., richiamandosi sin dal titolo allo Spectator di Addison, da cronista si fece "osservatore", tendendo però a cogliere dietro il discorso sulla realtà contingente il tratto universale e permanente di personaggi e avvenimenti e traducendolo, sul modello dei Caractères di La Bruyère, in ritratto morale attraverso una varietà di forme e soluzioni espressive inserite nella prosa del periodico (dialoghi, apologhi, lettere, capricci, cicalate). Questo risultò, pertanto, più opera letteraria (peraltro di impeccabile eleganza e, da questo punto di vista, certamente il capolavoro della prosa gozziana) che giornalistica, mancandovi quasi del tutto i riferimenti all'urgenza del reale. Proprio tale distacco, la "disillusa saggezza" che percorre la prosa accattivante e sciolta, ma sapientemente letteraria dell'Osservatore, l'estraneità del G. a ogni prospettiva riformatrice e, d'altro canto, l'impossibilità di avviare a Venezia un dialogo con le istituzioni determinarono il fallimento del tentativo di rivolgersi a un pubblico più ampio. Così, dopo un anno di conduzione solitaria del giornale, nel febbraio 1762, anche per cercare di rinnovarlo attraverso una pluralità di collaboratori, provò a inserire nella redazione alcuni degli accademici Granelleschi, ma con così scarso successo che già nell'agosto il giornale dovette chiudere. Lo stesso G. nel 1767 ne curò la ristampa (a Venezia) riordinando la materia per argomenti in cinque parti.

Quasi a risarcimento della delusione per il sostanziale fallimento dell'attività giornalistica, sempre nel 1762 egli ricevette il primo incarico pubblico d'un certo rilievo, la nomina da parte dei Riformatori dello Studio di Padova a sovrintendente alle stampe e alle materie letterarie; nel 1764 divenne soprintendente alle stampe per la Serenissima. In questa veste, nel triennio 1765-67 su incarico del Senato redasse, tra l'altro, tre relazioni sullo stato dell'arte della stampa a Venezia (per le indicazioni bibliografiche e d'archivio, v. G. Gozzi, Lettere, ed. Soldini, pp. LII-LIV): nella prima delineava una storia dell'editoria veneziana dalle origini al secolo XVIII, ricercando le cause della decadenza presente e proponendo rimedi; nella seconda prospettava provvedimenti per riorganizzare la produzione libraria, specie quella di qualità, proponendo di istituire una stamperia dell'Università; la terza presentava un'analisi della situazione dell'editoria veneziana e individuava un progetto per il suo sviluppo.

Nel frattempo proseguiva le sue numerose collaborazioni editoriali. Innanzitutto, portò a termine la versione da Fleury (stampata a Venezia con il falso luogo di stampa di Firenze, Istoria ecclesiastica di Fleury, I-XXVI, 1766-77); inoltre, pubblicò traduzioni di opere francesi in prosa e in versi (tra cui: le Novelle morali di J.-F. Marmontel, Venezia 1762; L'amico delle fanciulle di B.-C. Graillard de Graville, ibid. 1763) e la versione degli Amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista, ricavata da una traduzione francese (ibid. 1766). Curò (ibid. 1764) un'edizione, con una sua prefazione, delle Poesie piacevoli di G. Baretti, che nella Frusta letteraria aveva recensito con favore i suoi scritti, e, soprattutto, provvedendo, su desiderio dell'autore, alla revisione dell'edizione delle commedie di Goldoni presso lo stampatore veneziano Giambattista Pasquali (1761-67). In questo periodo il G. conobbe ed entrò in rapporti sempre più stretti e cordiali con la nobildonna Caterina Dolfin, moglie di Andrea Tron, che divenne un punto di riferimento fondamentale nei suoi ultimi, tormentati anni.

All'amicizia con la Dolfin, che gli consentì di entrare in diretto contatto con i settori del patriziato veneziano che gestivano il potere politico, va probabilmente collegata l'ultima esperienza giornalistica del G.: i 18 numeri (usciti anonimi dal 21 maggio al 17 sett. 1768 ma ormai concordemente attribuiti a lui) del periodico Il Sognatore italiano, apertamente schierato su posizioni di dura polemica antirazionalista e antilluminista e impegnato, contro il progressismo cosmopolita dei riformatori, in un'opera di rivendicazione della specificità della storia e delle istituzioni veneziane in sintonia con il disilluso e pessimistico scetticismo che ormai dominava lo stato d'animo e le idee del Gozzi.

Tale scetticismo, comunque, non gli impedì di portare a termine con buon senso e pragmatismo i diversi compiti e incarichi che gli vennero assegnati dal 1770 al 1775 nell'ambito della riforma generale del sistema scolastico veneziano (dati e indicazioni archivistiche e bibliografiche in G. Gozzi, Lettere, ed. Soldini, pp. LV-LIX). Alla denuncia delle arretratezze del sistema fece seguire, nel 1770, lo schema di un modello educativo rinnovato, proponendo tra l'altro l'istituzione del collegio universitario S. Marco; nell'estate del 1771 terminò una relazione con una proposta di riforma dell'Università di Padova, divenuta operativa dall'autunno di quello stesso anno; nel 1773-74 delineava il progetto (poi effettivamente adottato) di scuole pubbliche laiche in sostituzione di quelle dei gesuiti, da poco sciolti; nel 1775, infine, propose una riforma pure in senso laico dell'Accademia veneziana della Giudecca (in cui venivano istruiti i nobili poveri) e partecipò ai lavori della commissione per la redazione dei relativi libri di testo, che gli affidò la compilazione di due antologie (delle quali risulta realizzata solo la Scelta di lettere tratte da diversi autori, Venezia 1779) e la versione dal francese del Compendio di notizie scientifiche di J.-H.-S. Formey (pubblicata presumibilmente poco dopo e di cui è nota la seconda ed., ibid. 1785).

Da questi incarichi, che gli riuscirono sempre più gravosi anche per il progressivo deteriorarsi delle condizioni di salute, non ricavò né la soddisfazione di cooperare con un ruolo importante a un progetto di riforma delle istituzioni (nel quale aveva ormai perso completamente ogni fiducia), né la tranquillità economica: dal 1768 le condizioni della famiglia si fecero via via più precarie (per la malattia del figlio Francesco, le spese connesse ai matrimoni di tre altri figli, la malattia e la morte nel 1779 della moglie, i continui ritardi nei pagamenti dei suoi stipendi). Ad aggravare la situazione contribuirono lo stato di forte depressione in cui il G. cadde dalla fine del 1776 e crisi di ipocondria che si manifestavano sempre più spesso. A scuoterlo non valsero né le cure amorevoli della Cenet, che dal 1757 si era trasferita come governante in casa Gozzi e che, dopo la morte della moglie, il G. sposò nel 1780, né le premure della fedele amica Caterina Dolfin Tron, che lo ospitò a Padova, insieme con due figlie e la Cenet, dal giugno 1777. Anzi, proprio a Padova, depresso anche per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, nel novembre di quello stesso anno tentò il suicidio. Non completamente ristabilito, decise di trasferirsi a Padova, assistito dalla Cenet e dopo aver ceduto la cura dello scarso patrimonio residuo al figlio Francesco. Trascorse gli ultimi anni, in cui diradò quasi del tutto l'attività letteraria, assillato dalle incombenze connesse al suo incarico di sovrintendente alle stampe (dal quale aveva chiesto invano il pensionamento) che dovette svolgere da Padova con la collaborazione del nipote Antonio Prata.

A Padova morì il 27 dic. 1786. Fu sepolto nell'oratorio della Confraternita di S. Antonio.

Documento centrale non solo per lo studio della prosa del G. e la ricostruzione dei suoi rapporti e dei suoi interessi culturali e civili, ma anche per la determinazione di diverse circostanze biografiche, l'epistolario del G., noto per gran tempo in forma incompleta e imprecisa, è stato ora raccolto e pubblicato integralmente (G. Gozzi, Lettere, a cura di F. Soldini, Milano 1999). L'edizione è integrata, oltre che da un ricco commento alle lettere, da un'ampia Cronologia (pp. XIX-LXVIII), in cui le vicende biografiche dello scrittore sono ripercorse con costante rinvio a documentazione d'archivio e/o a passi dell'epistolario, e da un esaustivo catalogo delle Opere a stampa: 1731-1786 (pp. LXIX-CXXXVII). Non esistono, invece, edizioni complessive recenti delle opere del G.; si deve pertanto ricorrere alle raccolte sette-ottocentesche: Opere in versi e in prosa, I-VI, Venezia 1758 (autorizzata e in parte curata dall'autore); Opere in versi e in prosa, a cura di A. Dalmistro, I-XII, ibid. 1794 (la più completa, di cui esistono due ristampe: Opere, I-XXII, ibid. 1812, e Padova 1818-20); Opere, a cura di B. Gamba, I-XXVIII, Bologna 1832-36. Tra le edizioni parziali ottocentesche vanno ricordate quella della Società dei classici italiani (Opere scelte, a cura di G. Gherardini, I-V, Milano 1821-22) e gli Scritti di G. Gozzi con giunta d'inediti e rari, scelti e ordinati da N. Tommaseo, I-III, Firenze 1849. Tra le sillogi novecentesche: Prose scelte e sermoni, a cura di P. Pompeati, Milano 1914; Opere scelte, a cura di E. Falqui, ibid. 1939; Pagine scelte, a cura di B.T. Sozzi, Torino 1943; Scritti scelti, a cura di N. Mangini, ibid. 1960 (la più attendibile sotto il profilo testuale).

La Gazzetta veneta fu ristampata integralmente a cura di A. Zardo, Firenze 1915 (rist. anast., con una presentazione di F. Forti, ibid. 1967); su tale edizione è esemplata quella di B. Romani, I-II, Milano 1943. L'Osservatore veneto fu ripubblicato integralmente secondo l'edizione originale del 1761 da E. Spagni, Firenze 1897 (l'edizione più recente è quella di N. Raffaelli, I-III, Milano 1965). De Il Sognatore italiano esiste un'edizione critica a cura di M. Cataudella, Bologna 1975. L'edizione più recente e accurata della Difesa di Dante è curata da M.G. Pensa con un'Introduzione di G. Petrocchi, Venezia 1990. Si ricordano anche: G. Gozzi, Novelle, racconti e dicerie, a cura di M. Cataudella, Sarno 1988; Polemiche letterarie nel secolo dei lumi: Baretti, Bettinelli, G., a cura di P. Blasone, Firenze 1992.

Fonti e Bibl.: Per una presentazione complessiva della vita e dell'opera del G. e, in particolar modo, per la storia della fortuna e della critica si può ricorrere alla voce G., G. di C. De Michelis nel Dizionario critico della letteratura italiana, a cura di V. Branca, II, Torino 1986, pp. 433-440. Ulteriori indicazioni si possono ricavare dall'ampia Bibliografia nella citata ed. della Difesa di Dante a cura di M.G. Pensa, pp. 43-48, e dalla lista di Abbreviazioni bibliografiche nella già ricordata edizione delle Lettere curata da F. Soldini, pp. CXXXIX-CLXIII.

In occasione del secondo centenario della morte del G. si tenne tra Venezia e Pordenone (4-6 dic. 1986) un convegno di studi, i cui atti sono raccolti nel volume G. G.: il lavoro di un intellettuale nel Settecento veneziano, a cura di I. Crotti - R. Ricorda, Padova 1989, punto fermo nella riflessione critica sulla figura e l'opera del G. (l'attenzione non è limitata all'esame della sua multiforme attività letteraria e giornalistica, ma spazia sui suoi diversi interessi e interventi nella cultura e nella società veneta). Una prima serie di relazioni è dedicata a chiarire preliminarmente la collocazione sociale del G. e il suo contributo di intellettuale alla politica veneziana del tempo (A. Tagliaferri, Il Friuli occidentale e Venezia nel Settecento, pp. 3-17; P.C. Begotti, Aspetti socio-economici della presenza dei Gozzi a Visinale, pp. 19-33; P. Del Negro, G. G. e la politica veneziana, pp. 45-63; A. Caracciolo Aricò, G. G. sopraintendente e revisore alle stampe, pp. 65-77). All'interno del contesto storico-sociale, poi, sono puntualmente inquadrati il G. prosatore (G. Luciani, G. G. cronista e animatore ufficioso della vita intellettuale veneziana alla fine del Settecento, pp. 111-132; N. Mineo, G. G. e il lavoro di scrittore, pp. 133-146; R. Ricorda, G. G. e il giornalismo: la "Gazzetta veneta", pp. 147-165; E. Sala Di Felice, Le "Lettere familiari" di G. G., pp. 207-233; B. Anglani, Le "Lettere diverse", ovvero il pubblico come ipotesi, pp. 245-261) e la sua attività di autore, critico e imprenditore teatrale (A. Beniscelli, I due Gozzi tra critica e pratica teatrale, pp. 263-279; P. Bosisio, G. G. poeta e traduttore drammatico, pp. 281-313; N. Mangini, G. G. cronista teatrale, pp. 315-329; C. Alberti, Il calamaio e la lucerna. I componimenti teatrali di G. G. dal modello all'invenzione, pp. 331-356; M.G. Pensa, "Sotto il vel delle favole giocose il ver coperto": G. G. e il teatro, pp. 357-371; A.L. Bellina, G. G.: velleità imprenditoriali ed esperienze melodrammatiche, pp. 373-382). Aspetti più specifici, infine, sono affrontati in altri contributi (B. Rosada, G. G. tra morale e pedagogia, pp. 79-93; P. Spezzani, G. G. e la questione della lingua nel Settecento, pp. 95-108; G. Petrocchi, Dante in G. G., pp. 415-423; F. Fido, G. G. e la ricerca della felicità, pp. 425-434; M. Cerruti, L'ultimo G., pp. 435-444; M. Cataudella, Antilluminismo e progresso nell'ultimo G., pp. 445-453).

Sul G. e la politica, la cultura e l'editoria venete del suo tempo, si possono vedere inoltre: F. Venturi, Settecento riformatore, I, Torino 1969, pp. 289-295; II, ibid. 1969, pp. 150-153; Storia della cultura veneta, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, V, 1, Il Settecento, Vicenza 1985, ad ind.; M. Infelise, L'editoria veneziana nel Settecento, Milano 1989, ad ind.; Id., I Remondini di Bassano. Stampa e industria nel Veneto del Settecento, Bassano 1990, ad ind.; D. Raines, Al servizio dell'"amatissima patria". Le Memorie di L. Manin e la gestione del potere nel Settecento veneziano, Venezia 1997, ad ind.; Id., La famiglia Manin e la cultura libraria tra Friuli e Venezia nel Settecento, Udine 1997, ad indicem.

Sui rapporti tra il G. e la Bergalli, oltre a C. Mutini, Bergalli, Luisa, in Diz. biogr. degli Italiani, IX, Roma 1967, pp. 63-68, e P.D. Stewart, Eroine della dissimulazione. Il teatro di L. Bergalli, in Quaderni veneti, 1994, n. 19, pp. 73-92, si vedano le annotazioni nelle edizioni degli scritti di Luisa Bergalli, L'almanacco delle donne, a cura di T. Plebani, Venezia 1991, e Le avventure del poeta, a cura di L. Ricaldone con una nota biografica e bibliografica di P. Serra, Roma 1997. Per la collaborazione del G. con M. Foscarini, v. P. Del Negro, Foscarini, Marco, in Diz. biogr. degli Italiani, XLIX, Roma 1997, pp. 390-395.

Sull'attività giornalistica del G., oltre al citato intervento di R. Ricorda negli atti del convegno del 1986, v.: le pagine a lui relative nell'Introduzione di M. Berengo a Giornali veneziani del Settecento, Milano 1962, pp. XXVII-XXXIX; G. Ricuperati, Giornali e società nell'Italia dell'"ancien régime" (1668-1789), in V. Castronovo - G. Ricuperati - C. Capra, La stampa italiana dal Cinquecento all'Ottocento, Bari 1976, pp. 191-215; U. Bellocchi, Storia del giornalismo italiano, V, Bologna 1976, ad ind.; M. Amato, "Un libro cominciato e non finito": l'attività giornalistica di G. G., in Studi settecenteschi, XV (1995), pp. 163-234.

Tra i contributi più recenti: D. Camilli, "Ritratti della vita umana" nella Venezia del Settecento: G. G. tra C. Goldoni e P. Longhi, in Critica letteraria, XIV (1986), pp. 665-676; M. Allegri, Venezia e il Veneto dopo Lepanto, in Letteratura italiana (Einaudi), Storia e geografia, II, L'età moderna, 2, Torino 1988, pp. 993-996; A. Di Ricco, Tra idillio arcadico e idillio filosofico. Studi sulla letteratura campestre del Settecento, Lucca 1995, ad ind.; Tra libro e scena. C. Goldoni, a cura di C. Alberti - G. Herry, Venezia 1996, ad ind.; B. Capaci, Lo stomaco di carta. Bagni termali e patologie mondane nelle lettere di Caterina Dolfin e G. G., in Intersezioni, XVI (1996), 2, pp. 291-307; D. Nardo, Minerva veneta. Studi classici nelle Venezie tra Seicento e Ottocento, a cura di P. Mastrandrea - L. Mondin, Venezia 1997, ad ind.; M.G. Pensa - C. Bondi, G. G., G. Roberti, in Leopardi e la cultura veneta (catal.), a cura di G. Ronconi, Padova 1998, pp. 119-124; A. Stussi, C. Goldoni e l'ambiente veneziano, in Storia della letteratura italiana (Salerno), VI, Il Settecento, Roma 1998, pp. 908-910; F. Martignago, La poesia delle stagioni. Tempo e sensibilità nel Settecento, Venezia 1999, ad ind.; G. Santato, Cultura e letteratura dell'illuminismo, in Storia generale della letteratura italiana (Motta), VII, Il secolo riformatore. Poesia e ragione nel Settecento, Milano 1999, pp. 406-409; L. Riccò, "Parrebbe un romanzo". Polemiche editoriali e linguaggi teatrali ai tempi di Goldoni, Chiari, Gozzi, Roma 2000, ad ind.; F. Malara, Una professione inedita: il critico teatrale, in Storia del teatro moderno e contemporaneo, a cura di R. Alonge - G. Davico Bonino, II, Il grande teatro borghese. Settecento-Ottocento, Torino 2000, pp. 921-923; M. Pieri, Problemi e metodi di editoria teatrale, ibid., pp. 1087, 1089; R. Ricorda, G. e Carlo Gozzi, in I. Crotti - P. Vescovo - R. Ricorda, Il "mondo vivo". Aspetti del romanzo, del teatro e del giornalismo nel Settecento italiano, Padova 2001, pp. 153-224.

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