MURTOLA, Gasparo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

MURTOLA, Gasparo

Emilio Russo

– Nacque a Genova intorno al 1570 da una famiglia di umili origini.

Da informazioni contenute in una lettera del 1600, sappiamo che suo zio, Giovan Battista Mainerio (o Manerio), passò diversi anni al servizio della famiglia Farnese e che morì al servizio del cardinale Odoardo, percorso che il nipote tentò invano di imitare.

Trascorse i suoi primi anni a Genova, impegnandosi nello studio del diritto. Dalla metà degli anni Novanta, conseguita la laurea, intraprese la carriera giuridica a Perugia, probabilmente grazie ai rapporti intessuti con figure di rilievo dell’originario ambiente ligure. All’arcivescovo di Genova, Alessandro Centurione, governatore di Perugia, nel 1596 dedicò infatti l’opera di esordio (Ad Illustrissimum et reuerendissimum D. Alexandrum Centurionum, ... Gasparis Murtolae Panegyris, Perugia, Colombara). L’anno successivo, presso lo stesso stampatore, celebrò Lucrezia Tomacelli, moglie di Filippo Colonna, gran conestabile del regno di Napoli, prima con una canzone, poi con un epitalamio per le nozze. Sono i primi segnali dell’attività encomiastica che avrebbe scandito il percorso di Murtola senza interruzioni, producendo un fitto tessuto di omaggi tanto frequenti quanto di breve respiro, sovente nella misura di poche carte. Le prime opere gli guadagnarono comunque una posizione di rilievo nella locale Accademia degli Insensati. Con il nome di Scioperato recitò un’orazione, Gasparis Murtolae academici insensati Ianus... (Perugia, Colombara, 1598), dedicata al cardinale Silvio Savelli, legato in Umbria, e dedicò ad Ascanio della Corgna, marchese di Castiglione e principe degli Insensati, il vero e proprio esordio lirico: Gli occhi d’Argo. Cento madrigali (Perugia, Colombara, 1599) che, composti a celebrare una donna di casa Pavoni, tanto per la scelta metrica quanto per l’ampiezza, indicano nitidamente l’obiettivo di una lirica leggera, intesa a variare un angusto campo metaforico. Ancora all’Accademia degli Insensati pertiene una lezione (sull’iride) conservata autografa e inedita (Perugia, Bibl. Augusta, ms. 1059).

La stampa de Gli occhi d’Argo presentava Murtola come «consigliero trionfante nello studio di Perugia», condizione che tentò di mutare, indirizzando un’esplicita richiesta di protezione e aiuto al duca Ranuccio Farnese in occasione del suo viaggio a Roma per le nozze con Margherita Aldobrandini.

La lettera (autografa in Arch. di Stato di Parma, Carteggio farnesiano estero, Roma, b. 414, c. 96), spedita il 12 febbraio 1600 da Roma, dove Murtola si era intanto trasferito, prelude a una serie di composizioni con le quali tentò di conquistare la sponda parmense: basterà qui ricordare il panegirico La Cetra, composto per Margherita Aldobrandini, e poi ancora l’epitalamio L’iride, componimenti strutturati in forma di canzone e caratterizzati da una ricerca poetica condotta sul piano del ritmo e degli accenti, con esiti non sempre sicuri.

Prove ulteriori della ricerca di protezioni entro il mondo romano, difficile e competitivo, vengono da un altro gruppetto di componimenti encomiastici del biennio 1600-1601: la canzone epitalamica per le nozze di Maria de’ Medici con Enrico IV di Francia, testo dedicato a Serafino Olivario decano della Rota (una copia probabilmente autografa del componimento indirizzato allo stesso Olivario nel ms. Firenze, Bibl. nazionale, II. 1. 397, cc. 120r-127r); La culla, canzonetta di quasi 300 versi dedicata al cardinal Aldobrandini in occasione della nascita di Giovan Battista Caffarello; e ancora l’opuscoletto di ambito spagnolo Nutricia in ortu sereniss. infantis Hispaniarum (Roma 1601). Risale a questi anni anche il rapporto di Murtola con Caravaggio, probabilmente all’ombra della comune committenza dei Crescenzi (Murtola dedicò infatti a Melchiorre Crescenzio la raccolta Dei lirici. Parte prima e seconda, Venezia 1601; Carminati, 2008, p. 35). Il legame con Caravaggio è attestato forse dalla Medusa (Marini, 2003), oltre che da tangenze con Marzio Milesi, celebratore di Merisi e in rapporti di sodalità con Murtola ancora fino al 1603 (Fulco, 2001). Sempre del 1601 è una stampa genovese: La fascia. Canzone per lo nascimento della signora Anna Maria Murtola, traccia isolata che emerge da un profilo privato per larga parte in ombra.

Gli anni romani risultano dunque decisivi per più aspetti: per il tentativo di costruirsi una rete di protezioni; per il cammino parallelo con i maggiori letterati del tempo, da Giovan Battista Marino a Tommaso Stigliani fino a Gabriello Chiabrera (Delcorno, 1975, p. 131); per il sedimentarsi infine delle maggiori prove poetiche. Nel 1603 Murtola diede infatti alle stampe, ancora con dedica ad Alessandro Centurione, un corposo libro di versi (Rime, Venezia; ristampato l’anno successivo).

Si trattava di oltre 400 pagine entro le quali, al di là del recupero dei versi già editi, la materia lirica fu distribuita in sezioni simili a quelle approntate da Giovan Battista Marino per le Rime del 1602. Alla lettera di dedica del luglio 1603 era affiancato un avviso dello stampatore A’ lettori nel quale Murtola, per interposta persona, annunciava di avere in cantiere molte altre opere, nutrite di dottrina filosofica, annuncio poi rimasto senza seguito.

Nel corso degli anni romani Murtola fu al servizio del chierico di camera Giacomo Serra, anch’egli di origine genovese, poi cardinale sotto Paolo V; al suo seguito dovette svolgere un lungo viaggio tra Austria e Ungheria, con un passaggio anche presso la corte imperiale, probabilmente nel corso del 1605 (Bonciari, 1607, p. 162). Ancora al mondo letterario rinviano un paio di tessere legate a Porfirio Feliciani: una lettera del novembre 1603 (Roma, Bibl. Angelica, 1239, cc. 12-14), e un testo poetico (Roma, Bibl. Corsiniana, 45. F. 11, parte II, p. 1009). I legami con diverse corti cardinalizie (Feliciani era segretario di Scipione Borghese) non protessero però Murtola dalle attenzioni della Congregazione dell’Indice che mise sotto esame, nella seconda metà del 1607, alcune sue rime, senza che tuttavia la procedura giungesse a conseguenze stringenti come nel caso di Marino (Carminati, 2008, pp. 38-40).

L’inserimento nella corte di Carlo Emanuele di Savoia, maturato nel corso del 1607, al seguito di Pier Francesco Costa, vescovo di Cremona, sembrò rappresentare l’approdo a lungo inseguito: una serie di testi vanno ricondotti a questa nuova posizione, dai versi manoscritti conservati nella Biblioteca reale di Torino, e legati alla celebrazione del duca (per es. Torino, Bibl. reale, misc. 464; cfr. anche Rua, 1899, p. 126), alle poche carte Gasparis Murtulae ... Epigrammata ad sereniss. Car. Em. ducem Sabaudiae (Torino 1608). Ancora dello stesso anno sono La porpora, per la nomina a cardinale di Maurizio di Savoia, e soprattutto la raccolta delle Canzonette […] con altre rime del medesimo non piu stampate (Venezia 1608). Il culmine di questa campagna encomiastica si registrò in occasione delle doppie nozze che unirono, a inizio 1608, le due figlie di Carlo Emanuele con Francesco Gonzaga e Alfonso III d’Este, allorché Murtola si impegnò a comporre due distinti epitalami e ancora La creatione della perla, favola pastorale dedicata a Margherita di Savoia.

Dopo le nozze Murtola partecipò alle feste che si tennero a Mantova: fu in queste settimane che la rivalità con Marino, probabilmente già viva negli anni romani, si fece feroce. Marino prese ad attaccare con sonetti burleschi i componimenti di Murtola, con l’obiettivo neppure troppo velato di minarne la posizione a corte; Murtola tentò di rispondere, facendo l’errore di accettare un terreno sul quale il genio di Marino diventava pericoloso e irrefrenabile. Lo scontro (Russo, 2010) conobbe alcune pause, ma riprese nella seconda metà dell’anno dopo che Murtola ebbe mandato a stampa il Della creatione del mondo, poema sacro ... Giorni sette, canti sedici (Venezia 1608, ristampato una decina d’anni dopo, rivisto, a Macerata).

Nei paratesti si avvertiva che l’impegnativo poema era già pronto da un paio d’anni ed era stato rallentato dai diversi viaggi dell’autore, fino a trovare l’occasione propizia appunto negli spostamenti seguiti alle nozze del 1608. Il precedente di riferimento era ovviamente il Mondo creato di Torquato Tasso: Murtola però se ne allontanò sia per la scelta dell’ottava (di contro agli sciolti tassiani), sia e soprattutto per l’opzione stilistica, con una tensione al particolareggiare di marca umile, spingendo la celebrazione del creato fino ai suoi dettagli più minuti e realistici.

Appunto su questi aspetti, che la prefazione al poema cercava di difendere, si diressero le critiche più taglienti: la selva di sonetti di Marino (e probabilmente anche di altri letterati a lui prossimi, che parteciparono volentieri alla demolizione di Murtola) riprese e dovette trovare una qualche eco anche a corte (Boggione - Peirone, 1991, pp. 60 s.). Vedendosi accerchiato, e vedendo la posizione di Marino inequivocabilmente rafforzarsi fino alla conquista nel gennaio 1609 del cavalierato dei Ss. Maurizio e Lazzaro, Murtola decise di chiudere lo scontro con un passo estremo: attentò alla vita del rivale, sparandogli per strada la sera del 1° febbraio 1609. Il colpo andò a vuoto e Murtola fu immediatamente arrestato e recluso. La pena capitale, inflitta in un primo momento, fu commutata in pena carceraria per intercessione del nunzio pontificio e di Marino stesso, che in un lungo memoriale inviato a Carlo Emanuele narrò a suo vantaggio lo sviluppo della contesa (Russo, 2010).

L’episodio ebbe larga eco in tutta Italia (cfr. il racconto di Traiano Boccalini, Ragguagli di Parnaso, III, 40), anche per via di una sapiente campagna orchestrata da Marino: tra l’altro un lungo racconto venne scritto dal cardinale Pietro Aldobrandini (Lettera di Pietro Aldobrandini sull’attentato del Murtola, in Carminati, 2008, pp. 339-342). Circolarono anche i sonetti burleschi che i due rivali si erano scambiati, raccolti sotto il titolo di Murtoleide e Marineide: i testi rimasero a lungo manoscritti, entro una tradizione non semplice da ricostruire (v. per es. Torino, Bibl. reale, Varia 288, cc. 81r-86v per un sonetto inaugurale di Murtola inedito; Russo, 2008, pp. 96-108). Nella selva di testi pertinenti alla polemica con il Marino un posto a sé merita il Lasagnuolo (nel ms. Roma, Bibl. naz. centrale, San Pantaleo 22, cc. 84r-105v, già edito in Menghini, 1888, pp. 236-250), una corona di sonetti contro il rivale che Murtola scrisse probabilmente nell’ultimo anno torinese. I testi non possono essere tutti collocati entro quel febbraio 1608, cui pure rimanda esplicitamente l’indicazione iniziale: Il Lasagnuolo di Monna Betta o vero Bastonatura del Cavallier Marino datali da Tuff. Tiff. Taff. in Turino alli 23 di febraro dell’anno 1608.

Altro cantiere di non semplice collocazione temporale è quello delle Metamorfosi sacre (ibid., cc. 1r-77r), un lungo poema in endecasillabi sciolti con cui Murtola intese contrapporre alla linea ovidiana una vena di poesia sacra. Il testo pervenutoci è diviso in cinque libri, in parte autografi in parte in copia con correzioni autografe, secondo una sedimentazione probabilmente distesa su diversi anni. Nello stesso manoscritto, infine, furono raccolti componimenti in versi pertinenti a varie stagioni, a costituire a tratti un’antologia in via di ordinamento, a tratti uno zibaldone ancora da approfondire, entro il quale merita la menzione un sonetto d’omaggio a Galileo Galilei, D’haver trovato in ciel novi pianeti (Boggione - Peirone, 1991, pp. 88 s.).

La prigionia durò solo qualche mese: in una lettera del 12 settembre (Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, 735; Carminati, 2008, p. 96 s.) il poeta ringraziava per la liberazione avvenuta, ma da quel momento in avanti dovette tornare a mansioni giuridiche, all’amministrazione di governi di provincia, coltivando solo a margine, e con cadenza encomiastica, la pratica poetica. Allontanatosi da Torino passò a Roma, dove poté contare sull’appoggio di Scipione Borghese (per omaggi a lui diretti vd. Arch. segreto Vaticano, Fondo Borghese, I. 733; II. 506), ma anche di Maffeo Barberini, al quale indirizzò una lettera di negozi nel dicembre 1613 (ms. Vat. Lat. 8947, c. 1r). A quel tempo Murtola era già risalito alla posizione di governatore di Amelia e altre mansioni si succedettero negli anni seguenti (tra l’altro fu governatore di Calvi e di Montefiascone). Dello stesso 1613 è una stampa viterbese nella quale tornò al versante latino della sua scrittura, collegandosi all’illustre precedente di Giovanni Pontano (Duorum illustrium poetarum, Io. Iouiani Pontani ... et Gasparis Murtulae ... Naeniarum, siue nutriciarum libri tres), mentre a Ronciglione l’anno successivo mandò fuori alcuni epigrammi per Paolo V, fregiandosi ora del titolo di teologo e celebrando tra l’altro la basilica di S. Pietro. La dedica di quest’ultima stampa andava a Filippo Masio, referente a Roma dell’arciduca Alberto d’Austria, e soprattutto principe dell’Accademia degli Ordinati, cui Murtola dovette avere accesso, come si ricava anche dalla dedicatoria – sempre rivolta a Masio e firmata da Roma il 20 ottobre del 1614 – dell’altra grande raccolta, quella delle Pescatorie.

Murtola presentò le Pescatorie come un recupero di versi composti indietro nel tempo, in una pausa romana dalle molte occupazioni di governo. L’insieme si costituiva secondo infinita variazione di un unico tema: le diverse sorti di pesci venivano congiunte, attraverso legami concettosi, alla figura della bella pescatrice di nome Elpinia. Nelle stampe successive alle Pescatorie venivano aggiunte la ristampa della Creatione della perla e delle Neniae, e soprattutto Li provenzali, overo alcuni sonetti fatti all’antica del Sig. Gasparo Murtola, insieme con altre rime del medesimo non più stampate (Macerata 1618), con dedica a quel conte Alessandro da Ro che lo aveva aiutato nel corso della reclusione torinese.

Una lettera del 30 agosto 1619 (Roma, Bibl. nazionale centrale, San Pantaleo, c. 258r-v) attesta la sua posizione di governatore a San Ginesio, nelle Marche, acquisita almeno da un paio d’anni; dalla periferia continuò la pratica di omaggi.

Fu prima la volta dei congiunti di Paolo V per le nozze Borghese-Orsini del 1619 (stampa a Ronciglione), poi salutò con 22 ottave l’elezione di Gregorio XV Ludovisi (stampa a Macerata, con incipit: A Pastor buono successor migliore, con l’evidente intento di conservare la protezione dei Borghese); infine con altre 16 ottave l’arrivo a Roma di Maurizio di Savoia. Nel 1623, infine, celebrò da Sant’Elpidio l’elezione di Urbano VIII (Pro Urbano 8. Pont. Max... siue […] Carmen gratulatorium), con epistola latina di dedica indirizzata a Virginio Cesarini, datata 15 agosto 1623.

I ripetuti omaggi gli dovettero guadagnare un avvicinamento a Roma. Appunto a papa Barberini vennero dedicati i suoi ultimi versi noti: dapprima un sonetto manoscritto che accompagnò una lettera di ringraziamento (13 gennaio 1625)  per il trasferimento presso Corneto (l’odierna Tarquinia); e soprattutto un Tripudium secundum in occasione dell’anniversario dell’elezione di Urbano (agosto 1624): il testo rimase manoscritto e la copia di dedica, esemplare rilegato con le api barberine (Bibl. apost. Vaticana, Barb. Lat., 1913; altra copia, Barb. Lat., 2079, cc. 337r-342v), fu confezionata dai nipoti Marco Antonio e Sebastiano de Aurispis.

Morì a Corneto nel 1625.

Nel 1626, ormai al sicuro per la morte dei due contendenti, ma ancora con falsi dati di stampa, apparve la princeps della Murtoleide, e il nome di Murtola riprese a circolare indissolubilmente legato a quello di Marino.

Opere: oltre alle edizioni citate, e a molti altri manoscritti sparsi in diverse biblioteche, testi a stampa di M. sono censiti in S. Franchi, Drammaturgia romana. Repertorio bibliografico cronologico dei testi drammatici pubblicati a Roma e nel Lazio. Secolo XVII, Roma 1988, pp. 35, 85, 182.

Fonti e Bibl.: M.A. Bonciari, Idyllia et selectarum epistolarum Centuria nova, Perugia 1607, p. 162; M. Giustiniani, Gli scrittori liguri, Roma 1667, pp. 264-267; R. Soprani, Li Scrittori della Liguria, e particolarmente della Marittima, Genova 1667, p. 112; M. Menghini, La vita e le opere di Giambattista Marino, Roma, 1888, pp. 236-250; G. Rua, Poeti alla corte di Carlo Emanuele I, Torino 1899, p. 126; G. Russo, G. M. e il suo poema sulla creazione, Acireale 1899; F. Ravagli, L’attentato del M. contro il Marino, in Miscellanea di erudizione e belle arti moderne, I (1911), pp. 105 s.; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1952, p. 43; C. Delcorno, Un avversario del Marino: Ferrante Carli, in Studi secenteschi, XVI (1975), pp. 67-150; V. Boggione - C. Peirone, I modi della metrica: M. e Gozzano, Torino 1991, pp. 55-97; M. Rossi, Poemi e gallerie enciclopediche: La ‘Creazione del Mondo’ di G. M. e il collezionismo di Carlo Emanuele I di Savoia, in Natura-Cultura. L’interpretazione del mondo fisico nei testi e nelle immagini, a cura di G. Olmi - L. Tongiorgi Tomasi - A. Zanca, Firenze 2000, pp. 91-120; G. Fulco, La «meravigliosa» passione. Studi sul barocco tra letteratura ed arte, Roma 2001, ad ind.; M. Marini, Michelangelo da Caravaggio, G. M. e ‘la chioma avvelenata di Medusa’, Venezia 2003; C. Carminati, Giovan Battista Marino tra Inquisizione e censura, Roma-Padova 2008, ad ind.; E. Russo, Marino, Roma 2008, ad ind.; Id., Una nuova redazione del ‘Ragguaglio’ a Carlo Emanuele del Marino, in Filologia italiana, VII (2010), pp. 107-137.

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