Gastronomia

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Gastronomia

Carlo Petrini

Il termine gastronomia comprende non solo i modi di manipolare le vivande, l'approvvigionamento delle materie prime, la struttura dei servizi di tavola, ma tutti gli elementi storici e culturali, tecnici e materiali che concorrono nella pratica della preparazione dei cibi, nelle sue tradizioni e innovazioni.

Sembra che il primo a trattare dei piaceri della tavola facendo uso del termine gastronomia (greco gastronymía) sia stato Archestrato di Gela (sec. a.C.) in un suo poema del quale sono rimasti pochi frammenti. Nato come calco dal greco, il termine è entrato in uso nelle lingue moderne, attraverso il francese, agli inizi del 19° sec., per indicare l'arte della cucina, la preparazione dei cibi, il modo di presentarli e di gustarli: è del 1801 il poema didattico di J. De Berchoux, La gastronomie ou l'homme des champs à table, tradotto in italiano nel 1825; il termine gastronomia entrò nel dizionario dell'Académie française nel 1835; in italiano è registrato nel Vocabolario universale italiano di Tramater (1829-1840) come "arte cucinaria o di vivere lautamente e di fare buona cera".

Nel 1826 J.A. Brillat-Savarin (1755-1826), nella Physiologie du goût, diede una celebre definizione che, anche alla luce delle più recenti evoluzioni, ha consentito di aggiornare ed estendere il significato del termine: "La gastronomia è la conoscenza ragionata di tutto ciò che si riferisce all'uomo in quanto egli si nutre", facendo seguire a questo incipit una lunga serie di materie che, a quanto dice l'autore, sarebbero coinvolte nella complessa scienza gastronomica: storia naturale, fisica, cucina, commercio, economia politica. Anche gli attori della scienza gastronomica, per Brillat-Savarin, non sarebbero solo gli "anfitrioni", ma anche "i coltivatori, i vignaioli, i pescatori e la numerosa famiglia dei cuochi, quale che sia il titolo o la qualifica sotto cui essi mascherano il loro occuparsi della preparazione degli alimenti". Se si accoglie la sensata definizione di Brillat-Savarin, diventa evidente come la g. vada ridefinita, alla luce delle veloci trasformazioni della società in un'epoca postmoderna, come la scienza complessa e interdisciplinare che studia il cibo e tutto quanto gli è inerente. Valgono ancora le materie indicate da Brillat-Savarin, ma si possono aggiungere l'antropologia, la genetica, la zootecnia, l'agronomia, la sociologia, la medicina, la storia. Il cibo può essere preso in considerazione come elemento culturale, materia prima e derrata da scambiare, come preparazione dell'artigianato, dell'industria e dei cuochi, oppure come atto stesso del mangiare.

La g. è dunque la scienza multidisciplinare che coinvolge e interseca tutte le conoscenze relative al cibo in quanto elemento materiale - in ogni sua fase - e in quanto elemento culturale, trasformato, secondo tradizione o no, scambiato in maniera equa oppure no, raccontato o analizzato in maniera più o meno scientifica, scelto. Un'accezione così ampia si rende necessaria, vista la complessità e il crescente susseguirsi delle trasformazioni in corso a partire dalla metà del 20° sec., anche alla luce della storia stessa della gastronomia. Le abitudini alimentari degli uomini e i metodi produttivi sono profondamente mutati, mentre la rete dei commerci mondiali e la sua velocizzazione hanno fatto sì che questi cambiamenti coinvolgessero in pratica tutti i popoli del mondo pur caratterizzati dalle loro diversità culturali e gastronomiche.

Fino agli anni Ottanta del 20° sec. la definizione comune della g., relativa alla cucina e preparazione dei cibi, ha accompagnato, da un lato, il progressivo impoverimento della scienza gastronomica di fronte all'ascesa della produzione alimentare industriale e, dall'altro, ha assistito a una sorta di ghettizzazione della g. in ambiti folcloristici o marcatamente elitari.

L'attenzione per il cibo (e dunque per la g.) si è via via affievolita ed è divenuta marginale da quando le pratiche di preparazione e la scelta stessa degli alimenti sono state demandate a soggetti terzi, interrompendo un rapporto secolare tra produttore e consumatore; in ogni caso sono progressivamente uscite dalla quotidianità casalinga di molte persone anche in rapporto ai mutati ritmi di vita, soprattutto nelle società avanzate. Peraltro i metodi agricoli intensivi, che hanno avuto il merito iniziale di sfamare buona parte delle popolazioni dei Paesi usciti con problemi dalla Seconda guerra mondiale, nel più lungo periodo, hanno avuto la conseguenza di favorire lo spopolamento delle campagne, di produrre la tendenza a una omologazione dei prodotti alimentari e dei gusti che è indirizzata verso standard più facilmente riproducibili su scala industriale. Tutto questo, unito alla crescente e dimostrata insostenibilità ecologica di molte moderne pratiche umane, ha portato a una forte riduzione della biodiversità. Con la varietà naturale, anche tutte le conoscenze, le capacità, i sapori connessi alle materie prime generate da un'agricoltura locale e tradizionale - e ora in via di estinzione - si sono immancabilmente ridotti e impoveriti per far spazio alla standardizzazione delle colture, delle razze animali, dei metodi di trasformazione industriali, a una distribuzione degli alimenti sempre più centralizzata e su ampia scala.

Di fronte a tutti questi processi, il mondo della g. è stato per lo più indifferente, proprio a causa del suo essere - ed essersi - relegato in ambiti folcloristici associati esclusivamente a luculliani e popolani momenti di festa, oppure in ambienti estremamente elitari, in cui l'unica regola è la ricerca dell'eccellenza alimentare, di un piacere esclusivo in un contesto che possa rappresentare uno status symbol. Frequentemente i cosiddetti gastronomi, nel corso della seconda metà del Novecento, sono soltanto riusciti a mantenere un'aderenza alla vecchia definizione di g., rinchiudendosi in un ambito incentrato sulla haute cuisine, sulle abilità migliori di pochi cuochi e per pochi clienti.

Il cibo, oltre che la risultante di una rete di uomini e competenze, culture e biodiversità, è anche un elemento che, fisiologicamente, può dare piacere. La storia dell'alimentazione ci racconta di una continua ricerca di questo piacere. Anche nelle condizioni contraddistinte da povertà e da mancanza di risorse, l'ingegno umano ha sempre cercato, tramite l'attività agricola, artigianale e culinaria, di rendere quanto più godibile si potesse l'atto del nutrirsi. La g. 'ufficiale', invece, pur essendo sempre stata strettamente collegata al piacere alimentare (anche se ciò che si intende con il termine muta nel tempo e nello spazio), ha tendenzialmente negato che esso potesse essere associato alle cucine povere, completando così la sua ghettizzazione e generando una divisione netta. Da un lato abbiamo dunque il folclore popolano dove il piacere alimentare viene più ricondotto alla quantità che alla qualità dei cibi; dall'altra l'élite, dove il piacere tanto è maggiore quanto più un cibo è raro o costoso. Questa divisione storica si riflette ancora nel momento in cui si configura una sorta di contrapposizione tra haute cuisine e cucina tradizionale. Una separazione fittizia, visto che da sempre la cucina dei grandi ristoratori o degli chef di corte ha copiosamente attinto alle tradizioni gastronomiche del popolo e del contado. In particolare, nei primi anni del 21° sec., la divisione si può leggere in un dibattito nato all'interno del mondo della g. che mette in competizione le cucine cosiddette creative (come quelle di alcuni maestri, in grado di stravolgere e reinventare i canoni e le tecniche di cucina) e quelle che continuano a proporre in maniera più filologica la tradizione. Si tratta comunque di un dibattito poco fertile, più a uso mediatico che di sostanza. La g. è il terreno del sincretismo culturale per eccellenza e queste separazioni servono più per effettuare semplici classificazioni che altro, con il risultato di distrarre dal nocciolo vero della questione: che cos'è la qualità alimentare per un gastronomo. Un concetto, questo, che è diventato sempre più vago, frainteso nonché utilizzato per facili speculazioni.

In realtà, essendo il piacere alimentare fisiologico, la qualità dei cibi deve avere caratteristiche intrinseche che non abbiano nulla a che vedere con la quantità, il costo o la facilità di reperimento. Da questo punto di vista vanno prese in considerazione le caratteristiche organolettiche di un alimento che, pur avendo una forte componente soggettiva, sono comparabili e comunicabili, quindi utili alla scelta per preferire il cibo più piacevole. La qualità alimentare al principio del terzo millennio necessita di una nuova definizione, anche alla luce dell'abuso del termine che si è fatto nella comunicazione pubblicitaria e per la sua identificazione sempre più aderente ai minimi standard di sicurezza produttiva industriale.

La riscoperta di un tipo 'colto' e consapevole di piacere da parte dei gastronomi, avvenuta come reazione alla progressiva omologazione, ha generato una rinascita della scienza gastronomica e una sua ridefinizione secondo nuove regole di qualità, rispettose del gusto, dell'ambiente e delle popolazioni rurali. La difficoltà a reperire cibi buoni, la loro scomparsa, la mancanza di conoscenza e di educazione in questo senso, unite alla propulsione degli scandali alimentari che sono saliti alla ribalta delle cronache (uno su tutti quello della 'mucca pazza'), hanno diffuso una nuova sensibilità verso l'alimentazione che si è tramutata in una ricerca più approfondita e nell'evidenza che la scienza gastronomica è molto più complessa della semplice arte della 'buona tavola'.

Ultimo forte segnale in ordine di tempo di questa tendenza reattiva alla ghettizzazione folcloristica o elitaria della g. è la nascita, nel 2004, a Pollenzo in Piemonte e a Colorno in Emilia Romagna, delle due sedi della prima Università degli studi di scienze gastronomiche. Legalmente riconosciuta dallo Stato italiano, questa Università è sorta sotto la spinta propulsiva del movimento internazionale Slow Food, uno dei principali attori di questa rinascita 'colta' nonché complessa della materia gastronomica. Corsi di vario livello e con diverse specializzazioni comprendenti la g. sono nati anche presso altre università.

Le tematiche ambientali come per es. la tutela della biodiversità, le problematiche del mondo rurale e dei contadini, il sistema del commercio mondiale, l'urgenza della salvaguardia dei saperi e dei sapori tradizionali, sono entrati di diritto a far parte della nuova scienza gastronomica che è nata in epoca di globalizzazione. Questa scienza è mossa dallo studio e dalla ricerca del piacere alimentare, ma non come esercizio fine a sé stesso, piuttosto come condotta per migliorare la qualità della vita e come abilità di scelta di fronte alle sfide della postmodernità. Per questo motivo è il caso di ribadire la definizione di g. di Brillat-Savarin, conferendole dignità di scienza e applicandola alla complessità del mondo. Appare possibile, così, anche alla luce delle considerazioni sin qui svolte, definire la g. come la scienza interdisciplinare che consente di orientare le scelte alimentari di produttori e di consumatori verso un miglioramento della propria condizione esistenziale (personale e collettiva), utilizzando un bagaglio di conoscenze il più ampio che sia possibile e i propri sensi allenati al riconoscimento delle migliori caratteristiche organolettiche.

bibliografia

J.A. Brillat-Savarin, Physiologie du goût, Paris 1826 (trad. it. Milano 19962).

A. Capatti, M. Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura, Roma 1999.

E. Schlosser, Fast food nation, Boston-New York 2001 (trad. it. Milano 2002).

Il mondo in cucina: storia, identità, scambi, a cura di M. Montanari, Roma 2002.

Ch. Boudan, Geopolitique du goût: la guerre culinarie, Paris 2004 (trad. it. Le cucine del mondo. Geopolitica dei gusti e delle grandi culture culinarie, Roma 2005).

C. Petrini, Buono, pulito e giusto: principi di nuova gastronomia, Torino 2005.

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