GAULLI, Giovanni Battista, detto il Baciccia

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GAULLI, Giovanni Battista, detto il Baciccia (Baciccio)

Massimo Bartoletti

Figlio di Lorenzo, nacque a Genova l'8 maggio 1639 e fu battezzato il 10 nella chiesa di S. Siro (Pio, p. 23; Pascoli, p. 276; Soprani - Ratti, p. 75). La testimonianza di Ratti (p. 75) di un suo alunnato presso Luciano Borzone non è attendibile, poiché questo pittore morì quando il G. aveva appena sei anni; più verosimile che egli abbia frequentato lo studio di uno dei suoi figli, forse Francesco Maria, pittore di marine e paesaggi. Una delle prime opere compiute dall'artista prima del trasferimento a Roma potrebbe essere una copia dalla Adorazione dei pastori dipinta nel 1645 da G.B. Castiglione per la chiesa di S. Luca a Genova (Newcome Schleier, 1989, p. 169), il che spiegherebbe una precoce attenzione dell'artista per una pittura ricca di effetti luministici.

Dopo aver perso tutti i familiari nella peste che infierì a Genova nel 1657, il G. si recò a Roma dove, grazie all'appoggio dell'ambasciatore di Genova Agostino Franzoni, si trattenne per breve tempo nella bottega di un "pittore franzese" (Pascoli, p. 276) che secondo Enggass (The painting…, 1964, p. 2) potrebbe essere Guillaume Courtois detto il Borgognone; Newcome e Schleier (1985, p. 94) suppongono si tratti invece dello stesso Francesco Maria Borzone, a lungo attivo in Francia, che si trovava a Roma intorno alla metà del secolo. Il G. si trasferì quindi in casa del mercante d'arte genovese Pellegrino Peri che intorno al 1664, con ogni probabilità, lo presentò a G.L. Bernini, il quale, finché visse, vegliò costantemente sull'ascesa professionale del pittore. Si sa inoltre che il G., fin dal 1666 eseguì un ritratto, non rintracciato, dello scultore (Canestro Chiovenda, 1969, p. 231), mentre il G.L. Bernini conservato nella Galleria nazionale d'arte antica di Roma è quasi certamente più tardo, del 1673 circa.

Nel 1662 il G. sposò Caterina Murani, da cui ebbe quattro figli (ibid., p. 235 n. 50) tra i quali Alessandro, architetto; lo stesso anno, viva voce, venne ammesso tra gli accademici di S. Luca. L'importanza crescente delle cariche ottenute nell'ambito di questa istituzione, sottolinea i progressi del pittore sulla scena artistica romana: nel 1667 ottenne la carica di paciere, nel 1668 di custode, nel 1673 di principe (Graf, 1989).

Tra le opere eseguite dal G. nel suo esordio romano si annovera la pala con la Madonna e i ss. Rocco e Antonio abate dipinta per la chiesa di S. Rocco e ora nella sacrestia: databile intorno al 1660-61, la tela attesta lo studio delle opere genovesi di P.P. Rubens e A. Van Dyck. Al 1666-71 risale invece la prima importante opera eseguita dal G., la decorazione dei pennacchi della cupola di S. Agnese in Agone, con figure di Virtù, affidatagli dalla famiglia Pamphili e mostrata al pubblico il 23 genn. 1672 (Enggass, The painting…, 1964, p. 179). Le fasi progettuali, cui non fu estraneo, a livello di suggerimenti, lo stesso Bernini, sono attestate da una nutrita serie di disegni e di bozzetti (Ferrari, pp. 132-135). Nel corso di questa impresa, il G., tra il marzo e il luglio del 1669, si recò a Modena dove soggiornò presso la corte estense grazie anche alla raccomandazione fornitagli da Bernini; come si legge in una lettera di un corrispondente romano a Modena, uno degli scopi principali del viaggio fu quello di "studiare dal Correggio a Parma per poter poi dipingere li Angoli della Cupolla di Sta Agnese" (Imparato, p. 153).

In questi stessi anni il G. lavorò intensamente anche come ritrattista per conto dell'aristocrazia romana: papa Alessandro VII Chigi posò ben presto per l'artista. I non pochi ritratti databili a questo periodo rivelano le forti radici vandyckiane nel trattamento della materia pittorica e la costante attenzione nei confronti dell'opera di Bernini.

Si vedano le effigi di Alessandro VII e di Mario Chigi, del 1666-67 circa (già Monaco, collezione Messinger: Enggass, The painting…, 1964, pp. 130-132), di Paluzzo Paluzzi degli Altieri (Karlsruhe, Kunsthalle, 1666 circa), di Louis de Vendôme (Napoli, Museo e Galleria nazionale di Capodimonte, 1667-69 circa), di Leopoldo de' Medici (Firenze, Galleria degli Uffizi, 1667 circa). Collegabile a un documento dell'archivio Chigi del 1667 (Petrucci, 1992, p. 113) è il Ritratto di Clemente IX (Ariccia, palazzo Chigi), replica autografa del ritratto della Galleria nazionale di arte antica di Roma. Si ricordano ancora l'Autoritratto (Firenze, Galleria degli Uffizi) e il Ritratto di ignoto (Genova, Galleria di Palazzo Bianco) databili intorno al 1667-68.

Per conto del cardinal Flavio Chigi, nipote di Alessandro VII, il G. eseguì vari quadri documentati tra i quali, nel 1667, l'Assunzionedella Vergine (San Paolo del Brasile, collezione Crespi: Enggass, The painting…, 1964, fig. 4), memore della pala genovese di Guido Reni di analogo soggetto, e il Cristo morto (Roma, Galleria nazionale d'arte antica), vandyckiano nell'impostazione e vivamente permeato dal classicismo di Annibale Carracci; nel 1668 l'ovale con Diana ed Endimione, per la camera da letto del committente nel palazzo romano di piazza Ss. Apostoli (ora Roma, palazzo Chigi); inoltre la tela con il Riposo durante la fuga in Egitto (Roma, Galleria nazionale di arte antica) pagata nel 1669, può essere identificata con la pala dipinta dal G. per la cappella privata del cardinale. Documentata da un pagamento del 1672 è la tela con il Beato Giovanni Chigi (Ariccia, palazzo Chigi).

A Roma furono fruttuosi anche i rapporti con papa Clemente X Altieri, il quale commissionò al G. la decorazione a fresco delle lunette (la Trinità in gloria) della propria cappella gentilizia in S. Maria sopra Minerva, databile al 1671-72 circa; allo stesso torno di tempo risalgono, sempre in S. Maria sopra Minerva, il S. Luigi Bertrando per l'altare della seconda cappella della navata destra, e, in S. Nicola da Tolentino, il S. Giovanni Battista per l'altare del transetto destro; in quest'opera, in particolare, il paesaggio appare ispirato alla pittura di Annibale Carracci e N. Poussin. Intorno al 1672 il G. fu impegnato nella decorazione della chiesa di S. Marta al Collegio Romano, a capo di una équipe di artisti tra i quali i pittori Girolamo Troppa e Paolo Albertoni; tali artisti intervennero largamente nell'opera utilizzando i disegni del maestro (già a Vienna, collezione Nirenstein: Brugnoli, 1956, pp. 23-25), e alla mano del G. si può ascrivere solo il settore mediano della volta con la Gloria di s. Marta (il bozzetto è conservato a Genova presso la Galleria nazionale di palazzo Spinola).

L'esito del lavoro in S. Marta suscitò un'ottima impressione nel padre generale dei gesuiti, il genovese Giovanni Paolo Oliva, che nel 1672 affidò al G., per la somma di 12.000 scudi l'incarico della decorazione della cupola e delle volte della chiesa del Ss. Nome di Gesù (il Gesù). Bernini consigliò caldamente il pittore a padre Oliva, il quale era indeciso tra il G., Giacinto Brandi, Ciro Ferri e Carlo Maratti (Pascoli, pp. 276 s.), e fornì all'artista più di uno spunto compositivo, come riferisce nel suo diario l'architetto svedese Nicodemus Tessin giunto a Roma per la seconda volta nel 1687-88 (Canestro Chiovenda, 1966, p. 176; Tonkovich, pp. 34-36).

Tessin riferisce che il pittore, nonostante avesse ricevuto come compenso per l'opera la somma di 22.000 scudi, molto più cospicua dunque di quella indicata da Pascoli, si lamentasse di non aver guadagnato quasi nulla a causa del costo ingente dei materiali impiegati tra i quali spiccava una grande quantità d'oro.

A Pasqua del 1675 venne scoperta la calotta della cupola con il Paradiso: la composizione, esemplata sullo schema compositivo dell'affresco del Correggio nel duomo di Parma, se ne distacca nell'artificio delle nubi che, prolungate con appendici in stucco, vanno a coprire illusivamente le cornici dei finestroni del tamburo. L'anno successivo vennero terminati due pennacchi, mostrati il 3 marzo alla regina Cristina di Svezia, e, poco dopo, gli altri due. Il 31 dic. 1679 fu scoperta la volta della navata, raffigurante il Trionfo del Nome di Gesù: il modello finale dell'opera, evidentemente ispirata alla cattedra berniniana di S. Pietro, è quello conservato presso la Galleria di Palazzo Spada di Roma.

L'impianto compositivo, concepito in modo da suggerire l'effetto che il soffitto della chiesa si spalanchi di fronte allo spettatore, ha il suo centro nel Monogramma di Cristo entro un'aureola di angeli dal quale si diparte un intenso raggio di luce che investe i personaggi sottostanti. Le immagini dipinte, risucchiate in un vortice sfavillante, straripano dal limite della cornice in stucco, ombreggiata, nel bordo inferiore, al fine di simularne l'effetto illusionistico dell'ombra, e interagiscono in modo altamente suggestivo con l'apparato figurativo plastico realizzato da Antonio Raggi e Leonardo Reti su disegni dello stesso Gaulli.

La tribuna, che raffigura la Gloria dell'Agnello mistico, fu inaugurata il 30 luglio 1683. Allo stesso periodo circa risale il Concerto d'angeli nell'arco sottostante l'altare della chiesa. Due anni dopo, nel 1685, venne terminata la volta del transetto sinistro, la cappella di S. Ignazio, con La gloria di s. Ignazio, il cui bozzetto è conservato a Roma presso la Galleria nazionale d'arte antica (Ferrari, p. 137).

La pala per l'altare di questa cappella raffigurante la Visione di s. Ignazio a La Storta, non fu mai realizzata dal G. che ne aveva tuttavia preparato i bozzetti (Worchester Art Museum; Washington, collezione privata: Graf, 1992, pp. 188 s.). Sin dal 1674, il G. fu dispensato dall'incarico della decorazione del sottarco del transetto destro (cappella di S. Francesco Saverio), affidata da monsignor Giovan Francesco Negroni, al genovese Giovanni Andrea Carlone. Anche per la volta di questo sacello il G. aveva approntato il bozzetto con la Gloria del santo (Canestro Chiovenda, 1977, pp. 262 s).

Pur impegnato nel cantiere del Gesù, il G. continuò a dipingere numerosi quadri: da collocarsi a ridosso dell'avvio dei lavori sulla volta della navata, è L'adorazione dei pastori di S. Maria del Carmine a Fermo, memore di Rubens e di Correggio; un'altra versione dello stesso tema, probabilmente posteriore, è presente a Genova, nella Galleria nazionale di Palazzo Spinola. Il Cristo e la samaritana (Roma, Galleria Spada), commissionato da monsignor Fabrizio Spada (nella sua quadreria almeno dal 1717: Cannatà - Vicini), è databile a dopo il 1675, anno in cui il prelato ricevette la porpora cardinalizia, e trae spunto nella figura di Cristo da una incisione di F. Spierre, su ideazione di Bernini, con La moltiplicazione dei pani e dei pesci, inserita nel terzo volume delle Prediche di padre Oliva (Lione 1677). Tra il 1675 e il 1677 si scalano i pagamenti per la pala con il Crocifisso nella collegiata di Lanuvio. Uno dei momenti più significativi della perfetta consonanza tra la pittura del G. e le soluzioni del linguaggio figurativo berniniano è la pala con la Madonna, il Bambino e s. Anna, per l'altare della cappella Albertoni in S. Francesco a Ripa: realizzata nel 1675, la tela si integra perfettamente con la scenografia allestita da Bernini per l'altare su cui è collocato il gruppo marmoreo della Beata Ludovica Albertoni, concepita come "una camera a sé, completa di letto e di quadro sopra il letto" (Fagiolo dell'Arco - Fagiolo dell'Arco, 1967, p. 69). Palesemente ispirata alla figura della Albertoni, nel rendere il momento del trapasso dalla vita alla morte, è la pala d'altare con la Morte di s. Francesco Saverio realizzata nel 1676 per la chiesa di S. Andrea al Quirinale (prima cappella a destra) che traspone fedelmente la vicenda riferita da Daniello Bartoli nell'Istoria della Compagnia di Gesù. Databile intorno al 1677 è la tela con il Quo vadis, Domine? in collezione privata genovese nella quale ancora una volta si palesa uno "stretto avvicinamento - per non dire compenetrazione -" tra il G. e Bernini (Frabetti, pp. 187 s.).

Da un disegno di Bernini, disperso ma noto attraverso l'incisione di F. Spierre, l'artista ricavò una tela con la raffigurazione del Sangue di Cristo, rimasta esposta nella stanza dello scultore nell'ultimo tempo della sua vita; di quest'opera esiste una versione al Museo di Roma di Palazzo Braschi, sebbene l'attribuzione al G. da parte della critica non sia concorde (ibid., p. 187). L'influsso di Bernini permane anche nella Morte di Adone (Ponce, Puerto Rico, Museo de arte), del 1685 circa.

Databile al 1680 circa è l'Angelo custode della collezione Costa di Genova, memore dell'arte di Pietro da Cortona (Brugnoli, 1956, tav. 16). Di poco posteriori sono i pendants con Le tre Marie alla tomba di Cristo (Cambridge, Fitzwilliam Museum) e il Cristo nella casa di Simone (Stanford, Burghley House: Graf, 1992, p. 186), acquistati tra il 1684-85 da John, quinto conte di Exeter, significativa testimonianza dell'attività del G. per i committenti stranieri che sostavano a Roma durante il grand tour.

Circa dalla metà degli anni Ottanta l'impetuosa eloquenza barocca, che era stata fino allora peculiare dello stile del G., si stempera in una retorica più composta; i ritmi compositivi si allentano, la tavolozza cromatica modula su timbri più freddi, gli incarnati assumono un tono opaco. Diversamente da Pascoli (p. 275), che spiegava tale svolta stilistica come conseguenza del dolore provocato dalla morte in circostanze tragiche del primogenito Lorenzo, e segno di inequivocabile decadenza, occorre dire che le nuove scelte formali dell'artista sembrano invece essere ispirate dalla volontà di tenere il passo col gusto della committenza romana che andava prediligendo il classicismo di C. Maratti. La critica ha altresì rilevato come questo tipo di pittura anticipi gli sviluppi dell'arte rococò.

I primi segni di questa evoluzione si leggono nella pala d'altare con l'Immacolata tra i ss. Francesco e Chiara (1680-86) della chiesa di S. Margherita in Trastevere, commissionata al G. dal cardinale Girolamo Gastaldi, e si fanno via via più palesi nel Sacrificio di Noè e nell'Adorazione del vitello d'oro del 1685 circa (già Roma, collezione Gasparrini: Enggass, Addenda…, 1964, figg. 35 s.), da accostare ai pendants del Museo di Atlanta (Sacrificio di Isacco e Ringraziamento di Noè), nella Continenza di Scipione (Genova, palazzo Doria di via Garibaldi) vista da Tessin nello studio dell'artista a S. Salvatore in Lauro nel 1687-88 (bozzetto ad Ajaccio, Musée Fesch), nella decorazione del piccolo vano attiguo alla cappella Monthioni a S. Maria di Montesanto (1691-92).

Sulla stessa linea classicheggiante si collocano le tele con la Madonna del serpe (collezione Denis Mahon: Alla scoperta del barocco…, p. 71), la Natività del Battista nella cappella del cardinal Paluzzo degli Altieri a S. Maria in Campitelli (1698 circa), il Cristo la Vergine e s. Nicola di Bari, nella cappella Torre a S. Maria Maddalena (1697-98), la Madonna che porge il Bambino a s. Antonio da Padova, dipinta nel 1697 per la famiglia Guarnieri nella chiesa, distrutta, della Ss. Annunziata a Imperia Porto Maurizio (ora nell'oratorio della Ss. Trinità al Monte Calvario), nell'Angelo custode della collezione Modestini di Roma (Enggass, The painting, 1964, p. 156).

Negli anni Novanta il prestigio del G. come decoratore sembra venir meno, a giudicare dal nulla di fatto nelle trattative per la decorazione della cupola di S. Agnese in Agone, lasciata incompiuta da Ciro Ferri, morto nel 1689, che l'artista si offrì di rifare e di cui restano vari bozzetti (Graf, 1992, pp. 190-192; Ferrari, p. 141). Né andò in porto nel 1693, probabilmente per questioni di prezzo, la trattativa con il Senato della Repubblica di Genova per la decorazione, propiziata dal cardinal Giovan Battista Spinola il vecchio, della sala del Maggior Consiglio nel palazzo ducale. Il G. aveva anche eseguito il bozzetto con il Trionfo della Liguria, ora irreperibile, ma noto a Ratti che lo vide nel 1760 nella casa romana del figlio del G., Giulio, mentre alcuni disegni preparatori sono a Düsseldorf (Kunstmuseum, Graphische Sammlung: Schaar, pp. 53-66). Numerosi in questo periodo furono i disegni per incisioni forniti dal G. prevalentemente a Robert de Audenaerde: da segnalare quelli per le antiporte dei libretti d'opera del cardinal Pietro Ottoboni iuniore (Il Colombo, overo L'India scoperta, 1690; la S. Genueda, 1694: Baciccio illustratore, 1994, pp. 10-18), il quale gli commissionò pure un quadro con Diana cacciatrice.

Nell'ultimo decennio di attività del G. si collocano la Conversione di s. Paolo nella chiesa parrocchiale di Fiastra, nelle Marche, del 1700 circa (bozzetto già Londra, collezione Heim: Ferrari, p. 141), le tele con S. Francesco Saverio che battezza la regina del Bungo e la Predica di s. Francesco Saverio, databili tra il 1704 e il 1709, collocate nella stessa cappella in S. Andrea al Quirinale, per la quale una trentina d'anni prima il G. aveva dipinto la pala d'altare. Commissionato dal cardinal Spinola e databile al 1705-06, è il S. Giuliano, già nella chiesa romana di S. Teodoro, ora a Genova in palazzo Doria di Fassolo.

Al 1707 risale l'ultima impresa significativa dell'artista, la decorazione della volta della chiesa dei Ss. Apostoli a Roma, eseguita in appena cinquanta giorni (Ratti, p. 85). La composizione, commissionata dal cardinal Giorgio Corner, raffigura, entro una sobria cornice di stucco, Cristo in gloria che accoglie i santi francescani. Dell'opera si conserva un bozzetto in collezione privata (Frabetti, p. 191). Negli ultimi mesi di vita, su richiesta di papa Clemente XI Albani, l'artista riprese i progetti per la decorazione a mosaico della piccola cupola del vestibolo antistante il battistero di S. Pietro in Vaticano, per la quale era stato incaricato anni prima da Clemente X, ma l'impresa, di cui esistono i disegni e i bozzetti con la raffigurazione del Sangue di Cristo (Graf, 1974 e 1976; Ferrari, p. 141; Fagiolo dell'Arco, 1998), fu portata a termine da Francesco Trevisani.

Il G. morì a Roma il 2 apr. 1709 e venne sepolto nella chiesa di S. Tommaso in Parione.

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