Gaza

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(arabo Ghazza; ebr. ‛Azzāh) Città della Palestina (590.481 ab., cens. 2017), nella penisola del Sinai, a breve distanza dal mare, compresa nella Striscia di Gaza.

Storia

Tributaria, nei tempi più antichi, dell’Egitto, fu espugnata dai Filistei. Fino alla conquista di Alessandro Magno (332) fu di fatto indipendente. Distrutta da Alessandro Ianneo (94 a.C.) e poi ricostruita da Gabinio (54 a.C.), divenne poi centro di cultura greca. Con la penetrazione cristiana fiorì (5°-6° sec.) la scuola di retorica ed esegesi (Procopio, Enea, Coricio). Nel 634 G. fu conquistata dagli Arabi e divenne importante centro musulmano. Contesa nel 12° sec. tra Saraceni e crociati, nel 1149 fu fortificata da Baldovino III. Restò in potere dei Turchi dalla fine del 15° sec. fino alla Prima guerra mondiale, durante la quale fu perno della difesa tedesco-turca del Medio Oriente. Occupata dalle truppe britanniche nel 1917, G. nel 1922-48 fu sottoposta, come il resto della Palestina, all’amministrazione inglese. Nella regione state riportate alla luce consistenti tracce risalenti all’età del Bronzo e all’età del Ferro. Notevoli sono inoltre le testimonianze di età bizantina (siti di Umm el-‘Amer, Jabaliyah, Mukheitim, Abassan el-Kebir, Abu Barakeh).

Geopolitica

Nel conflitto arabo-israeliano del 1948-49 fu occupata dalle forze egiziane insieme a una sottile fascia costiera, la Striscia di G., lunga circa 40 km, che dal confine egiziano, a SO della città omonima, giunge subito a N, confinando a N ed E con Israele. Malgrado la limitata estensione (378 km2), la Striscia di G. è densamente popolata (oltre 1.650.000 ab. nel 2011 con un’ età media di 17,7 anni), soprattutto in conseguenza del massiccio afflusso di profughi palestinesi dopo la costituzione dello Stato di Israele nel 1948. Rimase sotto il controllo egiziano fino al 1967 (salvo un breve periodo di occupazione israeliana dal novembre 1956 al marzo 1957), quando fu invasa dalle forze israeliane durante la guerra dei Sei giorni e poi sottoposta ad amministrazione militare.

Rivendicata dall’OLP come parte di uno Stato palestinese indipendente, veniva posta dagli accordi di Oslo del 1993 sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese in base al principio della restituzione dei territori occupati in cambio della pace. Proprio la città di G., il 14 dicembre 1998, fu teatro di una storica visita del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton: l’abrogazione dallo Statuto dell’Olp dei riferimenti alla distruzione di Israele, proclamata solennemente in quell’occasione dalla dirigenza palestinese, sembrava spianare la strada alla creazione imminente di uno Stato palestinese e al reciproco riconoscimento fra i due popoli. Ma al contrario, i ritardi israeliani nell’implementazione degli accordi, l’espansione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e a G., il crescente ricorso al terrorismo contro la popolazione israeliana da parte dell’organizzazione fondamentalista palestinese Ḥamas azzerarono di fatto i progressi compiuti nei negoziati tra le parti e inauguravano una lunga stagione di violenze di cui faceva le spese soprattutto la sempre più impoverita popolazione palestinese. Tra il 2000 e il 2005 lo stato di crisi economica incombente a G. appariva sempre più preoccupante, aggravato dalle continue ‘chiusure’ militari israeliane della Striscia che impedivano il regolare funzionamento della vita lavorativa dei numerosi Palestinesi che si recavano in Israele. Aumentava la disoccupazione, crollavano gli scambi commerciali, peggioravano i servizi sociali. Nell’agosto 2005 il primo ministro israeliano Ariel Sharon decise di procedere unilateralmente allo smantellamento delle basi militari e delle numerose colonie ebraiche costituitesi nella Striscia nel corso dei decenni successivi all’occupazione (21 colonie con circa 8200 abitanti), mettendo fine all’amministrazione militare. Tutto il territorio di Gaza passava così in mano palestinese. Dopo il ritiro Israele si riservò comunque il controllo dello spazio aereo e delle acque territoriali, il diritto di vietare l’ingresso nella Striscia a coloro che non vi risultavano residenti, il controllo totale dei movimenti di persone e merci tra G. e la Cisgiordania e di tutte le merci in entrata nella Striscia, con conseguente facoltà di chiudere i relativi varchi. Le elezioni politiche del gennaio 2006 in Cisgiordania e a G. facevano registrare il successo elettorale di Ḥamas, capace di penetrare in profondità nella società palestinese raccogliendo adesioni sia tra le fasce più disagiate della popolazione, sia tra gli studenti universitari e i ceti emergenti. Il rifiuto di al-Fatàh, fino ad allora la più forte organizzazione politica palestinese, di formare un governo di unità nazionale con Ḥamas, non disposta a rinunciare ai suoi proclami sulla distruzione dello Stato ebraico, lasciava presagire uno scontro imminente tra le due organizzazioni, che fu rinviato solo a causa della violenta offensiva lanciata da Ḥamas contro Israele (fine giugno 2006), cui quest’ultimo rispose con un’incursione del suo esercito nella Striscia, incursione che portò allo stremo la popolazione già fortemente colpita. Tra l’autunno del 2006 e il giugno del 2007 nonostante un illusorio accordo di governo tra i due partiti palestinesi, s’intensificavano gli scontri nelle strade tra i militanti delle due opposte fazioni, culminati in una vera e propria battaglia militare provocata da Ḥamas che vedeva sconfitta ed espulsa al-Fatàh dal territorio di tutta la Striscia, mentre la stessa Ḥamas s’impossessava di tutti i centri di potere. Si determinava di fatto una divisione tra Cisgiordania e G.; quest’ultima, infatti, non riconosceva più l’autorità del presidente palestinese Abū Māzen,che rappresentava  l’anima moderata dell’universo palestinese. Tra il 2006 e il 2007 si intensificavano le operazioni militari israeliane a G. con l’obiettivo dichiarato di smantellare le basi di lancio dei missili Qassam, che minacciavano Sderot, il deserto del Negev, Ashkelon e la città costiera di Ashod. L’alleanza tra Ḥamas, gli Hezbollah libanesi e l’Iran del presidente Ahmadinejad potenziava la forza militare di Ḥamas ma non risparmiava alla popolazione della Striscia un’ennesima prova di resistenza. Il 18 gennaio 2008 Israele chiudeva ancora una volta Gaza in una morsa tagliando tutti i rifornimenti: cibo, combustile, aiuti umanitari. Il 23 gennaio alcune centinaia di migliaia di palestinesi forzavano il valico di Rafah al confine con l’Egitto in cerca di cibo e assistenza. Pronta ad approfittare della tragedia della popolazione, Ḥamas alzava i toni della sua propaganda anti-israeliana per guadagnare attenzione e appoggi nella comunità internazionale, ma alla fine dell’anno, il 27 dicembre, Israele scatenava una nuova guerra a Gaza. Obiettivo dichiarato dell’attacco era porre fine al lancio di razzi sul territorio israeliano, che dal 2000 aveva provocato 28 vittime. Con il cessate il fuoco del 18 gennaio 2009 e il ritiro delle truppe israeliane dopo l’operazione Piombo Fuso, G. appariva un campo di rovine: tra 1166 e 1417 morti il bilancio delle vittime tra i palestinesi, e moltissime le perdite registrate tra i civili; 13 gli israeliani morti, 10 militari e tre civili. L’impressione suscitata nel mondo dalla situazione a G. spinse il Consiglio per i diritti umani delle NU a istituire una Commissione d’indagine i cui risultati furono resi noti nel settembre 2009: si leggeva nella dichiarazione, successivamente sconfessata dal presidente, ma non dagli altri membri della Commissione, che Israele aveva reiteratamente violato i diritti umani della popolazione palestinese e forse commesso anche crimini contro l’umanità. Il 2009, intanto, aveva fatto registrare numerosi ma sterili tentativi di giungere a una riconciliazione tra Ḥamas e al-Fatàh con la mediazione dell’Egitto, mentre una trattativa segreta era stata avviata alla fine dell’anno tra Israele e i vertici di Ḥamas per il rilascio del giovane soldato israeliano Gilad Shalit rapito il 25 giugno 2006 da un commando palestinese dell'organizzazione penetrato in territorio israeliano dalla Striscia  attraverso un tunnel sotterraneo. Nel maggio 2010 l’attenzione della comunità internazionale fu richiamata dall’incursione armata della marina israeliana sulla nave turca Mavi Marmara che navigava in acque internazionali alla testa di una flottiglia di navi dirette a G. e intenzionate a forzare il blocco navale israeliano intorno alla Striscia per consegnare aiuti umanitari e beni di prima necessità. Nove attivisti turchi a bordo della Mavi Marmara furono uccisi e molti vennero feriti dopo il tentativo di resistenza violenta da parte dell’equipaggio all’incursione israeliana. L’episodio determinò un brusco deterioramento dei rapporti tra Israele e la Turchia, importante alleato strategico dello Stato ebraico nella regione. Nel corso del 2011, malgrado i tentativi di riannodare i rapporti tra i due paesi, permaneva uno stato di tensione, alimentato anche dal rapporto della commissione istituita dalle NU che pur accusando Israele di aver ecceduto nell’uso spropositato della forza non considerava illegittimo, come auspicato dal governo turco, il blocco israeliano intorno a Gaza. Nel maggio 2011, dopo i numerosi tentativi andati a vuoto e una recrudescenza delle violenze tra i militanti delle due organizzazioni, i leader di Ḥamas e al-Fatàh firmavano al Cairo un accordo di riconciliazione, prontamente criticato dalle autorità israeliane, che fissava al 2012 le nuove consultazioni parlamentari e presidenziali. Ma la posizione di forza di Ḥamas veniva ribadita ancora una volta nell’ottobre del 2011, quando l’11 del mese, dopo cinque anni di delicati negoziati condotti con la mediazione egiziana, i vertici dell’organizzazione e le autorità israeliane annunciavano l’accordo sul rilascio di Gilad Shalit in cambio della liberazione di oltre mille palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane. Il 18 ottobre Shalit tornava a casa e contemporaneamente i primi 477 detenuti palestinesi venivano liberati.

Nel novembre 2012 si è verificata una nuova ripresa delle ostilità israelo-palestinesi: una nuova offensiva di Israele, nel corso dell’operazione denominata “Colonna di nuvola”, ha provocato la morte di A. al Jabari, leader delle brigate Ezzedin Al Qassam, il braccio militare di Ḥamas, seguita da numerose incursioni aeree nella Striscia di G. che hanno colpito un totale di circa 1300 obiettivi e prodotto 160 morti, mentre concomitanti lanci di razzi a opera delle forze di resistenza palestinesi interessavano Tel Aviv e altre città israeliane. Dopo otto giorni di violenti scontri, un accordo bilaterale per il cessate il fuoco è stato raggiunto grazie alla mediazione del nuovo governo islamista dell'Egitto e sostenuto dagli Usa, sebbene la tregua appaia agli osservatori internazionali ancora molto fragile e l'OLP abbia presentato una protesta al Consiglio di sicurezza dell'ONU per la sua violazione da parte di Israele, dove si sarebbero inoltre registrati ancora sporadici lanci di razzi sparati dalla Striscia di Gaza.

Nel maggio 2014, dopo il raggiungimento di un’intesa tra al-Fatàh e Ḥamas, le due fazioni si sono accordate sulla nomina di R. Hamdullah a primo ministro del governo transitorio di unità nazionale, ufficialmente insediatosi il mese successivo; le dimissioni di Hamdullah, rassegnate nel giugno 2015 per l’impossibilità di rendere operativo l’esecutivo all’interno della Striscia di G., e i continui dissidi interni hanno portato al rinvio delle elezioni, mentre la Cisgiordania e Gerusalemme hanno visto un drammatico aumento della tensione, sfociato nel settembre 2015 in una nuova ondata di violenza, poi rientrata anche grazie al mancato appoggio delle principali organizzazioni politiche palestinesi. Un passo decisivo verso la riconciliazione è stato compiuto nel settembre 2017 con lo scioglimento dell’esecutivo di Ḥamas a G. e con l’accettazione da parte del movimento islamista delle condizioni poste dall'ANP, tra cui l’indizione di elezioni generali che comprendano anche G. e Palestina.

Nel maggio 2021 violenti scontri scoppiati a seguito dell’allontanamento di alcune famiglie palestinesi da un quartiere di Gerusalemme hanno provocato una recrudescenza del conflitto israelo-palestinese, nel corso della quale le due parti si sono affrontate con scontri di artiglieria e attacchi aerei che hanno provocato la morte di circa 200 individui. La tregua tra Hamas e Israele è stata raggiunta alla fine di maggio, quando esse hanno concordato il cessate il fuoco, reclamando entrambe la vittoria, ma negli anni successivi si sono registrate varie fasi di ripresa delle ostilità alternate a labili tregue, come nell'agosto 2022 e nel maggio 2023. Il 7 ottobre 2023 Hamas ha lanciato da Gaza una nuova offensiva contro diverse città israeliane attraverso incursioni via terra e raid aerei, cui Israele ha risposto assediando l'area della Striscia e bloccando le forniture di cibo, elettricità, carburante e acqua, l’escalation militare aprendo uno scenario di guerra che ha generato nella comunità internazionale grande apprensione per il rischio di una estensione del conflitto ben oltre il contesto regionale. Una nuova, violentissima fase del conflitto si è aperta il 27  ottobre, quando nella Striscia di Gaza le attività militari si sono intensificate, marcando l'inizio della più volte annunciata offensiva di terra delle forze speciali, cui hanno fatto seguito vaste incursioni nel settore meridionale attraverso la Salah ad-Din, principale via di collegamento nord-sud, fino all'attacco contro la città di Gaza. Secondo stime del Ministero della salute, al gennaio 2024 l'assedio totale e i bombardamenti hanno provocato oltre ventimila morti, causando una crisi umanitaria senza precedenti; né sono stati risolutivi i tentativi di mediazione internazionale e gli sforzi diplomatici - volti anche a ottenere la liberazione dei circa 240 ostaggi civili e prigionieri militari trattenuti da Hamas - , mentre l’Assemblea generale dell’Onu, constatando le gravissime violazioni del diritto umano perpetrate dall'esercito israeliano, ha approvato una risoluzione non vincolante presentata dai Paesi arabi con la richiesta di una tregua; parallelamente sono state espresse possibili opzioni per il riconoscimento internazionale, una volta cessato il conflitto, di uno Stato palestinese. Nel marzo 2024 il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha infine votato, a sei mesi dall'inizio del conflitto e con 14 voti favorevoli e l'astensione degli Stati Uniti, un cessate il fuoco immediato per il Ramadan e il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi.

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