GELSO

Enciclopedia Italiana (1932)

GELSO (dal lat. celsus "alto"; fr. mûrier; sp. moral; ted. Maulbeerbaum; ingl. maulberry-tree)

Domenico Lanza
Camillo ACQUA

Albero di mediocre grandezza, contenente lattice, del genere Morus, della famiglia Moracee; le foglie sono alterne distiche dentate intere o lobate con piccole stipole laterali caduche. I fiori monoici o dioici sono agglomerati in brevi amenti o capolini diclini ascellari, gli staminiferi con perianzio 4-partito a segmenti patenti, 4 stami con filamenti inflessi nel boccio ed eretti exerti nell'antesi e un pistillo rudimentale; i pistilliferi con perianzio a 4 lacinie erette opposte a due a due, le esterne più grandi, ovario a 2 logge, una delle quali abortisce, contenenti un solo ovulo pendulo campilotropo, stilo centrale diviso fin quasi alla base in due lobi stimmatici ricurvi, embrione curvo accompagnato da albume carnoso, cotiledoni incombenti, radichetta supera. L'infruttescenza ovata, oblunga o cilindrica, dell'aspetto di una mora, è l'aggregato di molti falsi frutti fittamente pigiati, formato ciascuno da un pericarpo carnoso, vestito dal perianzio persistente che diventa pure carnoso, e da un achenio con guscio crustaceo.

Il genere Morus conta una decina di specie indigene della zona temperata dell'emisfero settentrionale e dei monti delle regioni tropicali; le più importanti sono: M. alba L. (gelso bianco), originario dell'Estremo Oriente e introdotto nel Mediterraneo, probabilmente nel sec. XII; ha foglie lisce, sottili, di un verde tenero, pelose soltanto lungo i nervi di sotto, amenti pistilliferi portati da un peduncolo lungo quanto gli stessi, lacinie del perigonio e stimmi glabri, infruttescenze dolciastre, mangerecce, di un bianco sudicio o anche rosse o porporino-nerastre. (Per le varietà di Morus alba usate in gelsicoltura, v. appresso.)

Il M. nigra L. (gelso nero o gelso moro) è originario della Persia e da tempo remoto introdotto nel Mediterraneo, dove era coltivato già nell'antichità classica e dove in qualche punto s'incontra inselvatichito. È albero più rustico e più robusto, ma di minore grandezza, ha corteccia piu grossa e legnosa del precedente, chioma rotondata e di bell'aspetto, mentre quella del gelso bianco è più divaricata e irregolare. Ha foglie scabre subcoriacee, verde scuro, pubescenti-tomentose di sotto, amenti pistilliferi subsessili, lacinie del perianzio e stimmi villosi, infruttescenze più grosse e piu succose del precedente, nere lucide. È coltivato in singoli esemplari per il frutto dolce-acidulo mangereccio, da cui si ricava anche uno sciroppo usato in farmacia come leggero astringente.

Gelsicoltura. - È l'arte di coltivare il gelso allo scopo d'utilizzare la sua foglia. Questa viene principalmente adoperata per l'allevamento del baco da seta; in via secondaria per l'alimentazione dei bovini. Per il primo scopo la foglia viene colta di regola in primavera, in modo che la pianta abbia il tempo con una seconda vegetazione di riaversi del danno sofferto. Eccezionalmente può aver luogo una sfrondatura più tardi, nell'estate, degli alberi lasciati intatti nella primavera. Ma, sottoponendo a una seconda sfrondatura alberi già utilizzati nella stessa stagione, il gelso resta fortemente danneggiato. Quindi gli allevamenti estivi del baco da seta debbono essere fatti o con l'utilizzazione di piante non prima sfrondate, o con la rimozione di quei nuovi getti, dopo la potatura primaverile, che rappresentano rami anomali, i quali nella buona regola colturale debbono essere tolti. Un terzo sfrondamento ha luogo in genere tra la fine di settembre e la prima decade d'ottobre, secondo le regioni. Allora la foglia ha esaurito la sua funzione assimilatrice per la pianta; sta per cadere e può essere rimossa senza danno. Si usa per l'alimentazione dei bovini, ma può anche servire per un allevamento autunnale, come si pratica nel Giappone. In questo caso, se lo sfrondamento è precoce, è buona norma non spogliare completamente tutto il ramo, ma lasciare l'estremità guarnita di foglia.

Le varietà più comunemente usate appartengono al Morus alba L.; mentre il Morus nigra L., è coltivato in alcune regioni solo per i frutti, che sono appetiti. La sua foglia può utilizzarsi in bachicoltura, ma è meno preferibile, anche per la vegetazione tardiva dell'albero e per il fatto che i bachi che se ne nutrono producono seta meno pregevole. Il Morus rubra L., non trova generalmente impiego.

Del Morus alba esistono moltissime varietà distinte principalmente per la forma della foglia. Possono considerarsi tre gruppi. Un primo con foglia intera, lobata o no, di media grandezza, comprende le varietà commerciali più comuni, designate con i nomi di sterile, arancina o limoncina, rosa di Lombardia, ecc. Queste varietà non si moltiplicano generalmente per talea, quindi è necessario l'innesto su pianta da seme (selvatiche). Un secondo gruppo, costituito dalle forme cosiddette multicauli, ha le foglie molto più grandi, sottili, e presenta una vegetazione rigogliosissima, con sviluppo precoce. Ne è il principale rappresentante il gelso delle Filippine, introdotto in Italia al principio del secolo scorso; si moltiplica bene per talee. Un terzo gruppo, quello dei cosiddetti gelsi selvatici, comprende le piante ottenute da seme. È noto che l'impollinazione del gelso è anemofila; quindi v'è la possibilità dei più svariati incroci, il che porta alla produzione di forme molteplici, da quelle a foglia abbondante, intere o quasi e a poche infiorescenze, ad altre a foglie scarse, profondamente divise, con molteplici infiorescenze.

Per la bontà del prodotto riguardo all'alimentazione del filugello ottime sono le razze innestate del M. alba; particolarmente raccomandabili sono le varietà limoncina e sterile, sfornite quasi o totalmente di frutta. Buone sono anche le foglie dei gelsi selvatici, ma esse appassiscono rapidamente. Sembrano meno adatte le foglie delle varietà multicauli, quantunque anche con esse si possono condurre gli allevamenti.

I gelsi si coltivano principalmente in tre forme: 1. gelsi alti a chioma appalcata (alberi); 2. gelsi nani a chioma appalcata (ceppaia); 3. gelsi a cespuglio (prati gelso). Per i primi si scavano buche o fosse molto profonde. È indicata in qualche trattato la profondità di centimetri 80 o di 1 metro; ma è preferibile una maggiore profondità. Per larghezza si dovranno raggiungere metri1-1,20. Nel mezzo delle buche, o fossati, si collocano le piantine di gelsi di due anni (astoni) alla profondità di 20-30 centimetri, e si ricopre con terra sciolta, mescolata con concimi minerali, secondo le comuni norme per le colture arboree. La distanza fra un albero e un altro deve essere sempre di parecchi metri. All'altezza di due o più metri delle piante giovani si fa una prima appalcatura con tre o quattro rami, tenuti divergenti a forma di coppa; poi si tagliano a una determinata distanza, e con la produzione di due nuovi getti per ogni ramo si fa un'appalcatura di secondo ordine e analogamente una di terzo ordine. Così si ha una chioma aerata, ampia, che può dare molta foglia, e che si mantiene regolare con opportune potature annue. Questi gelsi cominciano a dare pieno frutto dall'8° anno in poi. I gelsi nani, o a ceppaia, si collocano alla distanza di due metri circa, in terreno scassato alla profondità di almeno un metro. L'appalcatura in genere si fa in due ordini di rami. Arrivano al massimo prodotto in 4-5 anni. Tanto per la precedente quanto per questa forma di coltura s'impiega il gelso innestato, dando quello selvatico minore foglia. I gelsi a cespuglio sono piantati alla fine dell'inverno in terreno scassato a metri 0,80 di profondità. S'usano le piantine selvatiche d'un anno e si tagliano a ogni primavera, a cominciare da quella successiva al piantamento, a fior di terra, ottenendosi presto nuovi rigogliosi cespugli. Distanza delle piantine da 40 a 50 cm. Coltura rapidissima; al 2° anno è già al pieno prodotto. Con poco più di 1000 metri di terreno coltivato con gelsi a cespuglio s'alleva un'oncia di seme-bachi; la foglia del selvatico si presta egregiamente. Con piante a rami bassi si possono anche fare specie di siepi. I gelsi ad albero si dicono anche a pieno vento, quelli a ceppaia a basso vento; forme intermedie a mezzo vento. Per l'innesto valgono le comuni norme. Il gelso è pianta adattabile e resistente, prospera in terreni molto varî.

S'occupano dello studio del gelso gl'istituti speciali d'agricoltura e le RR. Stazioni bacologiche di Padova e di Ascoli. Quest'ultima è stazione di gelsicoltura e bachicoltura. Fu fondata nel 1920; ha terreno adatto per studî sperimentali sul valore delle molteplici varietà di gelsi; ha laboratorî ben attrezzati. Condivide con la stazione di Padova il controllo sulla produzione e vendita del seme-bachi. Tiene annualmente dei corsi per l'abilitazione alla direzione di stabilimenti bacologici.

Bibl.: D. Tamaro, Gelsicoltura, 3ª ed., Milano 1928; R. Forlani, La coltivazione del gelso, Bologna 1920; Bollettino della R. Stazione di gelsicoltura e bachicoltura di Ascoli Piceno.