GENNARI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GENNARI

Nora Clerici Bagozzi

Famiglia di pittori di osservanza guercinesca operanti a Cento e a Bologna tra la fine del XVI e il XVIII secolo. Forse di origine romana, la famiglia risulta documentata a Cento già nella prima metà del Cinquecento con vari suoi membri, tutti "tintori" di stoffe. Nella seconda metà del secolo, Cesare e Bartolomeo, forse fratelli, ebbero entrambi due figli contemporanei di nome Benedetto: il primo, Benedetto il Vecchio, pittore, morto nel 1610, citato dalle fonti come maestro di Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino, ebbe come figli Bartolomeo ed Ercole, pittori; il secondo, morto fra il 1612 e il 1617, fu padre di Lorenzo, pure pittore. I tre giovani furono seguaci e collaboratori del Guercino.

Mentre Lorenzo negli anni Trenta si spostò a Bologna e poi a Rimini, praticamente abbandonando la pratica pittorica, Bartolomeo ed Ercole con la famiglia, seguendo il Guercino, passarono definitivamente a Bologna fra il 1643 e il 1644. I figli di Ercole - e di Lucia Barbieri, sorella del Guercino - Benedetto il Giovane e Cesare, anch'essi pittori, furono gli eredi della bottega bolognese del maestro.

Un nipote dell'ultimo Cesare, Carlo, concluse in pieno Settecento la vicenda artistica della famiglia (una rigorosa e ricca analisi archivistica e bibliografica delle vicende della famiglia è in Bagni, 1984, pp. 319-324).

Formazione e pratica comuni, clima di intensa collaborazione, fluidità di scambi tra il Guercino e i suoi collaboratori di due generazioni successive hanno portato, nel corso del tempo, a varie confusioni e oscillazioni attributive. Qualche difficoltà permane ancora oggi, soprattutto nei riguardi dei pittori coetanei del maestro, operanti nella prima metà del Seicento.

Figlio di Cesare, Benedetto il Vecchio, nacque a Cento nel 1563 e ivi morì nel 1610. È citato tradizionalmente come il pittore presso cui, nel 1607, venne posto il Guercino a bottega di ritorno dal tirocinio bolognese. Si dice pure che, consapevole del proprio modesto livello di fronte alle eccezionali qualità dell'allievo, Benedetto lo associò, facendolo intervenire nell'esecuzione di alcuni suoi dipinti. La bibliografia centese sette-ottocentesca gli attribuiva un gruppo di dipinti che tuttavia non sono omogenei e, come ha chiarito Mahon (1968, p. 11), provenendo dalla bottega guercinesca, richiedono datazioni varie e comunque posteriori al 1610.

Sembrerebbe fare eccezione, almeno in parte, il Battesimo di Cristo (Cento, Pinacoteca civica, dalle chiese di S. Agostino e del Rosario): la scena col battesimo, nella zona inferiore della tela, richiama infatti la cultura bolognese tardomanieristica e carraccesca e potrebbe giustificare una datazione precoce; ma la scena con gli angeli e il Padreterno nella zona superiore, ormai di impronta pienamente guercinesca, risale almeno alla prima metà degli anni Venti, ricordando anche esempi lasciati da C. Bonone alla Madonna della Ghiara di Reggio Emilia nel 1622.

Tolti il S. Alberto carmelitano che è del Guercino, il Cristo deposto di Bartolomeo (Cento, Pinacoteca civica) e un S. Giorgio che uccide il drago attualmente riferito a Matteo Loves, il collaboratore "fiammingo" del Guercino (Corporeno, chiesa parrocchiale: il dipinto risulta peraltro saldato a Bartolomeo Gennari), il resto del gruppo, compreso il già citato Battesimo di Cristo, è stato di recente riferito - tuttavia senza il sostegno di riscontri accertabili - al nipote Lorenzo.

Giovanni Battista nacque a Cento nel 1576, figlio di Cesare e fratello di Benedetto il Vecchio; fu verseggiatore in rima e piacevole pittore nell'ambito della cultura tardomanieristica bolognese, mostrando in particolare rapporti con la pittura di Denis Calvaert. Di lui si conoscono due pale: la Beata Vergine in gloria col Bambino e santi (firmata e datata 1607: Bologna, Ss. Trinità, dalla chiesa di S. Biagio) e la Beata Vergine col Bambino, santi e Federico Barbarossa che concede i privilegi alla Comunitàdi Medicina (1608-10: Medicina, municipio: Samoggia). Di un altro dipinto raffigurante S. Carlo Borromeo fra gli appestati resta soltanto la testa di s. Carlo (1612: Cento, Pinacoteca civica, dalla chiesa di S. Croce). A lui la tradizione centese riferiva la tela con la Madonna Addolorata, s. Giovanni e angeli, fondale per un Crocifisso ligneo restaurato nel 1580 e ridipinto da Lorenzo Zucchetta (Cento, S. Biagio), ma, secondo documenti dell'epoca, anche la tela va considerata di questo più anziano pittore di origine toscana che, nella seconda metà del Cinquecento, fu attivo fra Bologna e Cento, dove dal 1588 diresse una scuola di pittura. Le opere di Giovanni Battista mostrano non poche tracce dell'insegnamento di questo maestro (Bagni, 1984, pp. 321-323; 1996). Non si conosce la data esatta della sua morte, che dovette avvenire dopo il 1612.

Lorenzo nacque a Cento, dove fu battezzato il 30 nov. 1595; chiamato e creduto anche "Ariminese" (Malvasia, 1678, p. 259), era figlio di Benedetto di Bartolomeo e di Lavinia Giusti. Entrato presto nella bottega guercinesca, nel 1617 fu incluso col quadraturista Pier Francesco Battistelli nel saldo di pagamento al Guercino per la decorazione a fresco di casa Pannini a Cento. Accompagnò il Guercino a Roma (1621-22) e, col cugino Bartolomeo, a Reggio Emilia (1624-25), dove gli venne commissionato un dipinto, non rinvenuto, raffigurante Il sogno di Costantino (Artioli - Monducci, 1982).

Lasciata Cento, dal 1632 al 1639 è documentato a Bologna, dove operò come agente del Guercino, ma, sembra, senza svolgere una propria attività pittorica. Nel decennio successivo, sicuramente dal 1647, si stabilì definitivamente a Rimini, dove si ricordano di lui soltanto un Beato Felice per la chiesa dei cappuccini, non ritrovato, e una quadratura eseguita nel 1651, ora distrutta, per l'altare maggiore della chiesa di S. Antonio.

In mancanza di qualsiasi cenno sia documentario sia bibliografico ad altre sue opere, nel 1968 gli sono state riferite alcune delle realizzazioni considerate più scadenti tra gli affreschi di casa Pannini (ora dispersi fra la Pinacoteca civica di Cento e collezioni private), come l'Apollo sul carro, su disegno del Guercino e alcune Scene di caccia; e inoltre due figure di francescani nel fondo del S. Alberto carmelitano del Guercino (1618: Cento, Pinacoteca civica) e quelle dei ss. Bovo e Pancrazio, rispettivamente in due tele con Madonna e santi, pure del Guercino (1615-16: Renazzo, chiesa parrocchiale: Mahon, 1968, pp. 28-32; Roli, 1968, pp. 34, 76-81). Più tardi è stato costruito un suo catalogo con quasi tutto il gruppo di opere già ascritto dalle fonti a Benedetto il Vecchio (Bagni, 1984, pp. 223-238; 1986, pp. 219-239). Tuttavia, rivendicata rettamente la totale autografia guercinesca delle tele di Renazzo (Benati, Dieci…, 1998), punto essenziale per tale ricostruzione, si deve ancora ricordare che quei discordanti dipinti risalgono a tempi e pure a mani diverse - persino all'interno di una stessa tela - come poteva avvenire nella prassi della frequentatissima e affiatata Accademia del nudo aperta dal Guercino fin dal 1616.

Tolta dal gruppo anche la Madonna col Bambino, un angelo e i ss. Girolamo e Nicola da Tolentino, meglio avvicinabile al più originale degli allievi del Guercino, Benedetto Zalone (1620 circa: Cento, Pinacoteca civica, dalle chiese di S. Agostino e del Rosario: Clerici Bagozzi, 1970), si può dunque soltanto registrare in via puramente ipotetica la proposta di attribuzione a Lorenzo del resto del gruppo di dipinti di bottega guercinesca in antico riferito a Benedetto il Vecchio: del già citato Battesimo di Cristo (un indizio, peraltro non risolutivo, potrebbe fornire la provenienza reggiana dei modelli per le figure degli angeli); del S. Francesco (1620 circa: Cento, chiesa dei servi); o delle più tarde Cena in Emmaus, dove si banalizza una bellissima idea del Guercino (Thiem), e Sacra Famiglia con s. Anna: opere peraltro accostate anche a Bartolomeo (1625-30: Cento, Pinacoteca civica: Biagi Maino).

A Lorenzo sono state pure riferite alcune copie dal Guercino: Davide con la testa di Golia (Bologna, Pinacoteca nazionale), cui si appoggia la proposta di attribuzione al pittore di un Busto di armigero (Reggio Emilia, Museo civico: Benati, in La Galleria…, 1998); e tre Storie di David, di cui due di qualità più alta già assegnate anche a Bartolomeo in collaborazione col Guercino, che tuttavia risultavano già deperite e "aggiustate" nel 1725 (collezioni private: Bagni, 1986, p. 222; Salerno, 1988, pp. 208 s.; Boccardo, 1992, p. 23). Non si conosce la data della sua morte che dovette avvenire fra il 1665 e il 1672.

Bartolomeo ed Ercole, figli di Benedetto il Vecchio e di Giulia Bovi, nacquero a Cento (il primo fu battezzato il 2 luglio 1594; il secondo, il 9 marzo 1597), entrarono nella bottega centese del Guercino in momenti diversi: prima Bartolomeo, più consistente pittore "di carriera", successivamente Ercole che, avendo per caso dimostrato attitudine al disegno, fu dirottato dagli iniziali studi di chirurgia verso la pittura probabilmente dopo il suo matrimonio (1628) con Lucia Barbieri, sorella del Guercino. Fra il 1643 e il 1644 Bartolomeo ed Ercole con la sua famiglia raggiunsero il Guercino a Bologna, dove questi si era, l'anno addietro, definitivamente trasferito.

Sempre attenti ai modelli del maestro - di cui furono anche copisti - e spesso utilizzandone i disegni, diedero corpo a una produzione decorosa, ma di alterna qualità, nell'ambito della quale Bartolomeo si distinse per maggiori capacità ed esperienza. È certamente per questo che, mentre Ercole viene ricordato dalle fonti soprattutto per la sua attività di bottega, come apprezzato copista e, dopo la morte del fratello del Guercino, Paolo Antonio Barbieri (1649), come curatore del libro dei conti, Bartolomeo risulta attivo al fianco del Guercino sia all'interno della bottega, sia in alcuni dei suoi spostamenti da Cento. Insieme con il cugino Lorenzo negli anni 1624 e 1625 accompagnò a Reggio Emilia il maestro; con Matteo Loves negli anni 1632 e 1633 lo seguì a Modena per l'esecuzione dei perduti ritratti del Duca Francesco I d'Este e della DuchessaMaria Farnese e delle relative quattro copie: due, rinvenute da D. Mahon al Musée d'art et d'histoire di Ginevra, sono state poi riferite al Loves e anche a G.B. Pesari (Clerici Bagozzi, 1970, p. 48 e n. 14; A. Colombi Ferretti, in L'arte degli Estensi [catal.], Modena 1986, p. 113). A Modena Bartolomeo dovette godere di buona reputazione se nel 1647 gli fu offerto l'incarico, da lui però rifiutato, di direttore della locale Accademia di pittura (Baracchi Giovanardi). Alla corte modenese fu nuovamente nel 1649, ospitato con altri pittori e il suo maestro allo scopo di lenirne il dolore per la morte del fratello.

Nell'ampio ventaglio delle opere documentate, o a lui per tradizione attendibilmente riferite, si citano: la Crocefissione (1637: Pieve di Cento, Ss. Rocco e Sebastiano); la Madonna del Carmine con le anime del purgatorio (Buonacompra, chiesa parrocchiale); il S. Marco (1640: Modena, chiesa del Voto); il S. Giovanni Evangelista che predica ai discepoli (1640 circa: Forlì, S. Filippo); l'Incredulità di s. Tommaso (1644-45: Cento, Pinacoteca civica, dalla chiesa del Rosario); il Martirio di s. Barnaba, su disegni e con ritocchi del Guercino (1645, Marino di Roma: S. Barnaba: Stone, p. XXX); la Madonna col beato Felice da Cantalice, il Bambino e un angelo, forse con intervento di Ercole nella figura dell'angelo (1650: Bologna, convento dei cappuccini, da Lugo, convento dello stesso Ordine). Un particolare problema riguarda il Cristo deposto, che fu commissionato a Bartolomeo (ma per un numero inferiore di figure), la cui qualità, molto alta nel gruppo centrale, può far supporre un intervento del Guercino (1648-49: Cento, Pinacoteca civica, dalle chiese della Pietà e del Rosario). Una situazione analoga potrebbe convenire anche a una Pietà, riferita per tradizione e anche di recente a Cesare e Benedetto con ritocchi del Guercino più o meno estesi, oppure al Loves (Quartirolo di Carpi, chiesa parrocchiale: Censi, 1991, pp. 29 s.; 1998, p. 137; Bagni, 1986, p. 270): risalente a modelli del Guercino fra il 1638 e il 1640, la tela richiede una datazione forse ancora nei primi anni Quaranta - non compatibile con l'attività dei nipoti del Guercino - e sembra meglio riferibile a Bartolomeo che non al Loves. Nell'ambito dello stesso decennio, del resto, Bartolomeo mostrava di interessarsi alle semplificazioni formali, alle atmosfere chiare e come traslucide del suo condiscepolo d'Oltralpe: come appare nello Sposalizio della Vergine (1645 circa: Modena, Galleria Estense) e ancor più nella Santa Casa di Loreto in volo e nel S. Marino (San Marino, rispettivamente, pieve e palazzo del governo: Pasini, 1987, pp. 100, 104). Confermabili appaiono anche le attribuzioni della Madonna con il Bambino che coglie un fiore e del S. Domenico (Cento, Cassa di risparmio: Bagni, 1986, pp. 196 s.). Suo sembra essere inoltre un Nettuno col tridente (ubicazione ignota, pubblicato come di bottega da Salerno, 1988, p. 425).

Forse Bartolomeo riceveva incarichi per conto della bottega, dacché, oltre al citato Cristo deposto, risultano a lui riferiti da documenti coevi altri due dipinti, nei quali potrebbe essere intervenuto solo parzialmente: il citato S. Giorgio che uccide il drago, in antico compreso fra le opere accreditate a Benedetto senior e attualmente riferito al Loves, che deriva da un originale perduto del Guercino (Bagni, 1986, p. 267; Censi, 1991, pp. 28 s.; altra derivazione in Salerno, 1988, p. 266), e la Trinità con i ss. Francesco, Orsola e Antonio, che è assegnata al fratello Ercole da tutta la storiografia centese (Cento, Archivio storico comunale, Archivio del Patrimonio, 6 genn. 1649). Un caso simile si può immaginare inoltre per la Cena in Emmaus, già menzionata, riferita a Benedetto senior dalla storiografia centese e recentemente a Lorenzo, ma data a Bartolomeo da una fonte cappuccina del 1772 (Biagi Maino).

Per quanto dunque noto - dacché il catalogo delle opere autonome appare ricostruibile con certezza solo dagli ultimi anni Trenta, mentre la sua attività di copista è documentata già intorno al 1624 -, Bartolomeo emerge come il più fedele fra i seguaci coetanei del Guercino, alle cui mature intenzioni classiciste si ispira, addolcendo via via il fare rigoroso e contrastato delle opere più antiche.

Bartolomeo morì a Bologna il 29 genn. 1661.

Ercole, pur riflettendo la stessa temperie culturale, quando lavora in autonomia appare più debole del fratello, di mano pesante, spesso anche goffa. Per concorde opinione della storiografia settecentesca gli vengono accreditate: la Madonna con il beato Felice da Cantalice, il Bambino e s. Filippo Neri (1633 circa: Bologna, convento dei cappuccini, dalla chiesa della Trinità dei Cappuccini di Cento); la Trinità con i ss. Francesco, Orsola e Antonio, forse eseguita in collaborazione con Bartolomeo (Bologna, Pinacoteca nazionale, dalla chiesa della Trinità dei Cappuccini di Cento); la Madonna con i ss. Ludovico, Agata e Pancrazio (Penzale di Cento, chiesa parrocchiale), cui è stata recentemente affiancata la S. Cecilia con due angeli (Cento, Pinacoteca civica: Gozzi, in La Pinacoteca…, 1987, pp. 104 s.); la Madonna col Bambino, l'angelo custode e s. Antonio Abate, quest'ultimo santo mutato più tardi in s. Martino (1648: Mazzolano di Riolo Terme, chiesa di S. Martino, dalla chiesa di S. Croce di Castel Bolognese).

Attribuiti in epoca recente sono la Salomè che riceve la testa del Battista, in parte ricavata da disegni del Guercino (Cento, Pinacoteca civica: Bagni-Gozzi, 1991, p. 448), il S. Francesco d'Assisi con la Vergine (Finale Emilia, Ss. Filippo e Giacomo, dalla chiesa di S. Francesco da Paola: Bagni, 1986, p. 254). Considerando il clima di stretta collaborazione vigente nella bottega guercinesca, è plausibile anche il riferimento a Ercole per la Madonna con s. Francesco e il beato Felice da Cantalice e del S. Antonio orante (Medicina, S. Mamante, dalla chiesa del Suffragio: ibid., p. 254): l'immagine di s. Francesco nel primo dipinto è in pratica copia dal Guercino; mentre quelle della Madonna, pure nel primo, e dell'altare - reso con raffinata minuzia - nel secondo richiamano direttamente i tratti giovanili del figlio Benedetto. Consonante in parte con questi dipinti, che dunque cadranno nella tarda attività di Ercole, è infatti la Madonna con i ss. Rosa, Francesco da Paola e Gaetano da Thiene in passato riferita sia a Ercole, sia a Benedetto, al quale ultimo oggi è ragionevolmente ascritta (1659-60, Cento, S. Biagio: Bagni-Gozzi, 1991, p. 460).

Ercole morì a Bologna il 27 giugno 1658.

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