GENOVA

Federiciana (2005)

Genova

GGiovanna Petti Balbi

La prima metà del Duecento è una fase cruciale per la storia di Genova: il comune non ha ancora raggiunto uno stabile assetto istituzionale, non è stato in grado di sottomettere le Riviere e l'Oltregiogo per costituirsi un proprio dominio, non ha adottato strategie limpide e coerenti di politica estera, se non quelle atte a impedire che le altre due potenze marittime della penisola, Pisa e Venezia, possano costituirsi ambiti di potere, la prima nelle isole tirreniche, la seconda in Oriente. Molteplici problemi quindi di natura interna e di carattere internazionale che vengono acuiti, ma anche portati a esiti chiari e definitivi, dalla politica di Federico II. Durante il suo lungo regno infatti, anche per reazione a taluni suoi atteggiamenti, si afferma il regime podestarile, già precariamente sperimentato sullo scorcio del secolo precedente, si rafforza l'autocoscienza cittadina con i provvedimenti adottati dal podestà Iacopo de Balduino, che nel 1229 elabora il primo corpo statutario e fa redigere i Libri Iurium, la raccolta dei privilegi del comune da affiancare ai celebri annali locali, e si forma 'il popolo', un raggruppamento politico alternativo a quello nobiliare, che stenta comunque a coagularsi e a emergere fino al secolo successivo, quando esprime il dogato a vita. A questi nuovi assetti socio-politici si accompagna, ed è talora difficile scindere causa ed effetto, una modificazione delle strategie economiche, delle alleanze e dei rapporti con le potenze mediterranee con le quali Genova deve confrontarsi.

È noto che per la sua realtà geofisica e ambientale la città fonda le sue fortune sul mare e sui commerci, con problematiche assai più ampie e complesse di quelle degli altri comuni della penisola, tesi esclusivamente a conseguire stabilità interna e ad affermare la propria sovranità sul territorio circostante. A Genova gli esponenti delle più antiche famiglie consolari, di nobiltà viscontile o di estrazione mercantile, costituiscono il ceto dirigente nobiliare che, a seguito di una concezione privatistica del potere, è anche il ceto di potere economico. Non più compatti come ai primordi del comune, sono tuttavia solidali nel difendere le posizioni di privilegio acquisite che ritengono minacciate da quanti, anche tra di loro, hanno nel 1190 sponsorizzato l'istituzione del regime podestarile, voluto sia per sedare le loro furibonde rivalità, sia per 'aprire' ad altre famiglie di più recente affermazione e di grandi fortune economiche, che aspirano a essere cooptate nel ceto dirigente. L'affermazione definitiva del regime podestarile non avviene che nel 1217, dopo indugi e resistenze palesate dall'alternanza tra consoli e podestà e dall'assunzione della carica podestarile nel 1205 da parte del genovese Folco de Castro, capo della consorteria che più tenacemente si era opposta al nuovo istituto. Non è certo eccezionale un mutamento di posizione, ma qui è indice della frattura ormai in atto all'interno del ceto nobiliare a causa di divergenti posizioni interne e di iniziative autonome di politica estera assunte dalle diverse famiglie in Corsica, in Sardegna, in Sicilia.

Nel Regno di Sicilia in particolare i genovesi hanno da tempo cospicui interessi economici e si sono costituiti fortune, non compromesse dall'atteggiamento ambiguo dell'imperatore Enrico VI, che si sono consolidate durante la minorità del figlio Federico a seguito anche di accordi e di collusioni con personaggi eminenti in loco, quali l'ammiraglio Guglielmo Grosso, Enrico de Castro, conte di Malta, e Alamanno da Costa, così che la Sicilia assume un ruolo chiave nelle strategie mediterranee diventando "mesure de référence pour toutes les décisions qui se prennent à Gênes" (Balard, 1978). Lo stato di anarchia in cui si trova l'isola favorisce non solo operazioni di natura commerciale incentrate in prevalenza sulla tratta del grano, ma anche spedizioni navali tra ufficiali e private, come quella attuata nel 1201 da parte di un ristretto gruppo dell'aristocrazia consolare per favorire la conquista di territori da parte di elementi filogenovesi, quali Alamanno che occupa Siracusa, scatenando l'inevitabile reazione di Pisa messa in difficoltà da queste simpatie ampiamente diffuse a Corte. È facile quindi capire perché nella guerra di successione al trono imperiale, mentre Pisa è sollecita ad accogliere le profferte del candidato Ottone di Brunswick, sceso in Italia nel 1210 per conquistare il Regno, Genova si mantenga neutrale, almeno sino a quando non entra in gioco il giovane Federico, e non solo per timore della scomunica lanciata da Innocenzo III.

Pur in presenza di contrasti interni in merito alla conduzione della cosa pubblica, i genovesi quasi unanimi appoggiano Federico, gli offrono nel 1212 galee per trasportarlo a Genova e parte del danaro necessario ad affrontare l'avventura tedesca. Ed è significativo che i consoli del 1212 siano gli stessi della spedizione siciliana del 1201, oppure appartengano all'aristocrazia che l'aveva attuata. Ovviamente non si tratta di aiuti disinteressati, perché hanno un immediato corrispettivo nel diploma del luglio 1212 in cui però Federico, pur impegnandosi a restituire una cospicua somma di danaro e a riconoscere il districtus genovese da Ventimiglia a Portovenere e la giurisdizione su Bonifacio in Corsica e su altre località dell'Oltregiogo, non fa alcun cenno alla conferma o alla concessione di privilegi nel Regno, come del resto nel nuovo diploma dell'ottobre 1220. Ed è invece proprio la questione siciliana che sta particolarmente a cuore ai genovesi, anche perché costretti a concentrare i loro interessi economici sul versante occidentale del Mediterraneo e sull'Africa dopo che Venezia dal 1204 si è posta in posizione privilegiata in Oriente. Già in precedenza erano sorti motivi di contrasto con Pisa per l'affermazione dell'egemonia economica nel Regno di Sicilia e della supremazia politica in Corsica e in Sardegna, limitati però all'ambito tirrenico. Con Venezia era invece intervenuta una tacita divisione delle zone d'influenza in Oriente, che assegnava ai veneziani le isole e la penisola anatolica, ai genovesi le coste libanesi e siriane. Questi equilibri, più che dalla detronizzazione dell'Impero bizantino di cui i genovesi non paiono al momento percepire la portata, vengono alterati dall'impresa di Enrico de Castro che con l'appoggio genovese conquista nel 1204 Creta. È questo un chiaro mutamento delle strategie genovesi in Oriente e l'inizio di un'aggressiva politica che apre le ostilità tra le due potenze marittime per il controllo delle rotte e dei traffici verso l'Oriente, conflitto che pare al momento procrastinato dal più pressante impegno di assecondare i progetti di crociata di Onorio III e di contrastare le molteplici iniziative di Federico.

In particolare l'atteggiamento protezionistico chiaramente espresso nelle Assise di Capua del 1220 priva i genovesi della loro posizione privilegiata nel settore economico, li pone in rotta di collisione con l'imperatore e indebolisce il fronte dei fautori di Federico, della Volta, de Mari, Spinola, Doria, Embriaci, Vento: non si arriva ancora alla conclamata divisione all'interno del fronte nobiliare, ma si costituisce uno stabile regime podestarile e i genovesi rifiutano di seguire a Roma Federico per presenziare all'incoronazione imperiale, mentre nel Regno cadono in disgrazia Guglielmo Porco, Alamanno da Costa, Enrico de Castro o Pescatore, preziosi punti di riferimento nell'isola per l'antica aristocrazia consolare. Tuttavia la crisi dei rapporti si snoda su di un'onda lunga: inizialmente Genova non aderisce alla seconda Lega lombarda, così che nel luglio 1226 l'imperatore ne premia la fedeltà rinnovando i privilegi goduti nelle terre dell'Impero, ma la città deve affrontare una nuova ribellione della Riviera occidentale sostenuta dal vicario imperiale Tommaso conte di Savoia e dall'imperatore, che nel 1227 prende sotto la sua protezione Savona, Albenga, i marchesi del Carretto e i conti di Lavagna, questi ultimi sull'altra Riviera, assestati in zone strategiche di transito. In questa convulsa temperie matura in città una conversione verso Milano, che si offre come mediatrice per la pacificazione del Dominio, e non si riesce più a controllare il malcontento largamente diffuso contro l'imperatore, accusato di ingratitudine e di sentimenti antigenovesi. In particolare, giocando su una delle possibili interpretazioni del toponimo Ianua come derivato dal latino 'porta', gli si ricorda che Genova è stata per lui nel 1212 la porta che gli ha aperto la strada verso la Germania e l'Impero.

L'uccisione di Nicola Embrone nel 1226 appare non un semplice episodio di faide familiari, ma il sintomo di tensioni e fermenti più ampi che si concretizzano nella cosiddetta congiura di Guglielmo de Mari. Costui capeggia il malcontento di quella parte dell'aristocrazia contraria alle soluzioni autoritarie e antimperiali attuate da taluni podestà, non disposta a rompere con Federico, ma si appoggia anche a elementi del contado e a nuove forze cittadine eterogenee, accomunate dalla volontà di essere ammesse alla gestione della cosa pubblica, che si vanno coagulando nel 'popolo'. Quest'apertura ai popolari gli aliena però ogni simpatia nobiliare e lo induce a ritornare nei ranghi, mentre il fronte nobiliare si ricompatta contro questa nuova aggregazione che, da semplice gruppo di pressione utile agli opposti schieramenti aristocratici, si va trasformando in autonomo gruppo di potere anche politico. Non si placano però i dissensi contro Federico anche per la politica che, in qualità di re di Gerusalemme, ha imposto in Oriente con restrizioni di natura commerciale contrarie agli interessi genovesi. Genova invia nel 1231 propri ambasciatori alla dieta di Ravenna, ma sceglie podestà provenienti da città della Lega lombarda, appoggia la ribellione di Messina, avvia trattative con Tunisi e altre potenze mediterranee e dà vita nel 1235 a una spedizione, la cosiddetta maona, contro l'emiro di Ceuta, finanziata da un'associazione di privati. I contrasti esplodono nel 1237 in occasione dell'elezione del podestà milanese Paolo de Sorresina: mentre i popolari si fanno più agguerriti, in città si affrontano Spinola e Malocello anche perché dopo la vittoria di Cortenuova Federico pretende dai genovesi un giuramento di fedeltà e di omaggio in linea con la sua concezione assoluta del potere e chiede che gli vengano inviate a Finale forze navali da mettere a sua di-sposizione contro i nemici dell'Impero. Queste richieste, illustrate in un parlamento generale appositamente convocato dal podestà, pongono in minoranza i suoi fautori e segnano la fine della difficile neutralità finora mantenuta dai genovesi, che nel settembre 1238 vengono dichiarati ribelli e posti al bando dell'Impero.

La città si orienta ora decisamente verso la Lega e il papato e il 30 novembre 1238, con la mediazione di papa Gregorio IX, sottoscrive un trattato di alleanza difensiva e offensiva con Venezia impegnandosi a non far pace con Federico senza l'assenso pontificio. In cambio il vero artefice dell'alleanza, il legato Gregorio da Montelongo, crea nel settembre 1239 la nuova diocesi di Noli, suffraganea di Genova e unita per mancanza di rendite a quella di Brugnato posta sull'altra Riviera, con il chiaro intento di premiare Noli, città rimasta sempre fedele a Genova, e di punire Savona e altre località della Riviera di Ponente sensibili alle lusinghe imperiali. Nonostante il tentativo di rafforzare il fronte filofedericiano con nuovi matrimoni e nuove aggregazioni familiari, il ceto dirigente nobiliare e l'opinione pubblica genovese sono diventati dichiaratamente ostili a Federico e i popolari, organizzati su base rionale fuori dagli ordinamenti ufficiali, si propongono come forza politica alternativa a cui ricorre talora anche il podestà ottenendo la nomina di due loro capitani. Dopo il 1239 si affermano Malocello, Grimaldi, Gattilusio, Embriaci, Cibo, chiamati a far parte del consiglio degli otto nobili che affiancano il podestà per la gestione finanziaria del comune e vengono estromessi da tutte le cariche Della Volta, Spinola, Doria, Pevere, Grillo: taluni di loro, prima di essere colpiti dall'esilio, abbandonano la città e si pongono al servizio di Federico II, che li colma di cariche e di onori. Si giunge alla completa frattura del fronte nobiliare, alla costituzione di due fazioni o di due partiti convenzionalmente definiti ghibellini e guelfi, negli annali chiamati rispettivamente 'mascherati' o 'rampini'. Molto si è discusso su questi termini usati a partire dal 1241 dopo la battaglia del Giglio, di cui si ignora il significato letterale. È stato proposto di mettere il primo termine in relazione con il provenzale mascarats, che indica una fazione schierata con il potere comitale nel sec. XII, o con un altro di derivazione anch'esso provenzale, masca, un appellativo dispregiativo usato in quest'ambito contro i fautori di Federico II. Pare quindi assodata la derivazione del termine dalla regione provenzale, plausibile per la vicinanza geografica perché la sede dei ghibellini e del loro controgoverno è sempre Savona e la Riviera occidentale. È invece impossibile indicare una qualche plausibile derivazione per l'appellativo di rampini attribuito ai guelfi, in quanto pare troppo semplicistica la spiegazione legata alla loro ascesa e alla loro scalata, come del resto quella di mascherati fondata sul fatto che i ghibellini tramano e agiscono nell'ombra, con una sorta di maschera. L'adesione a una delle due fazioni è comunque motivata da interessi particolari locali che spingono ad esempio i Doria a schierarsi contro il papato per difendere i loro possedimenti in Sardegna su cui vanta il patronato la Santa Sede, mentre gli Spinola, temendo per la loro signoria familiare in valle Scrivia minacciata dalla ghibellina Tortona, e i Malocello e gli Embriaci, che si sono costituiti domini signorili sulla Riviera orientale a danno di Savona, si coalizzano contro la città filoimperiale e appoggiano il papato.

In ogni caso dopo il 1240 Genova, ove soggiorna il legato papale, diventa il fulcro di ogni azione antimperiale in vista anche del concilio che il papa convoca a Roma per la Pasqua successiva con l'intenzione di deporre l'imperatore; il suo potenziale navale, già ambìto per una progettata spedizione contro il Regno, diventa indispensabile per trasportare i prelati dopo che Federico aveva invaso la Romagna e chiuso ogni transito verso Roma. L'imperatore non si limita a praticare contro i genovesi una politica protezionistica del grano tramite l'ammiraglio Nicola Spinola, il genovese passato al suo servizio; fa scendere in campo la propria flotta e quella pisana e avvia un'offensiva terrestre che mira a isolare la città, chiusa alle spalle da Tortona, Alessandria e dal vicario Marino da Eboli, mentre gli altri due vicari Manfredi Lancia e Uberto Pallavicini la accerchiano per terra lungo le due Riviere, sostenuti da feudatari locali e da famiglie genovesi titolari di giurisdizioni in questi ambiti. È però soprattutto l'alleanza tra Pisa e l'imperatore, la minaccia di essere chiusa nel Tirreno dalla flotta imperiale, che persuade Genova ad accelerare l'allestimento delle galee richieste dal papa, anche a seguito della scoperta di una lettera inviata segretamente nel marzo 1241 da Federico ad alcuni suoi fautori rimasti in città, definiti capitanei fidelium Imperii, lettera che innesca sospetti e timori e offre il pretesto per una sorta di epurazione dei ghibellini e per la distruzione delle loro case e di quanti sono ritenuti coinvolti in una possibile congiura.

È noto l'esito della spedizione che si conclude con la battaglia del Giglio del 3 maggio 1241, in cui il genovese Ansaldo dei Mari, succeduto a Nicola Spinola nella carica di ammiraglio del Regno, a capo di una cinquantina di navi tra imperiali, pisane e savonesi, sconfigge la flotta genovese comandata dal guelfo Iacopo Malocello, cattura navi, uomini, prelati e lo stesso Gregorio da Montelongo. Ai toni trionfalistici con i quali Federico II comunica al mondo l'esito dello scontro, da parte genovese fanno riscontro le accuse di tradimento rivolte ad Ansaldo dei Mari e di incapacità a Malocello. La città, accerchiata per terra e per mare da Ansaldo che punta su Savona per conquistarla, attraversa una difficile congiuntura, una grave crisi politica ed economica, stante lo stretto nesso tra predominio navale e supremazia dei traffici: e infatti i convogli mercantili genovesi provenienti dall'Oriente o dall'Africa carichi di merci vengono minacciati da Ansaldo, che fa puntate anche contro le cittadine della Riviera occidentale e attacca le posizioni genovesi in Sardegna. L'alleanza con il papato, dopo la morte di Gregorio IX e il periodo di sede vacante, si rivela inefficace e nel 1242 Genova da sola deve affrontare per terra e per mare parecchi nemici che, per sua fortuna, non sono concordi nelle strategie. In particolare le divergenze sorte tra i pisani, che vogliono puntare direttamente su Genova per distruggerla, e l'ammiraglio imperiale, che mira invece ad accerchiarla e che con l'aiuto delle forze ghibelline interne spera in un ribaltamento delle posizioni e nel ritorno della città nell'orbita imperiale, permettono alla città di allestire una flotta e di liberare Portovenere e Levanto dai pisani, mentre Uberto Pallavicini è costretto a recedere dall'assedio per terra. Una volta liberata la Riviera orientale con un'azione combinata per terra e per mare, celebrata nel carme di Ursone da Sestri, Genova tenta la riconquista di quella occidentale e dell'Oltregiogo: con gli aiuti militari forniti dalla Lega lombarda e con la persuasiva forza del suo danaro riesce a ridurre all'obbedienza i marchesi del Carretto, di Ceva, di Monferrato, con i quali dà vita a una coalizione contro Savona, in appoggio della quale Federico invia il figlio Enzo. Più difficile è la situazione sul mare perché Ansaldo scorrazza tra la Provenza, la Corsica, la Sardegna, la Sicilia, la Tunisia, per intercettare le navi da carico genovesi e istituire una sorta di blocco marittimo intorno alla città, convinto che il mancato approvvigionamento di merci e di vettovaglie sarebbe risultato più efficace e decisivo del blocco terrestre per la caduta della città.

L'evento determinante del momento, salutato con entusiasmo da tutti i genovesi magni, mediocres et minores, è l'elezione al soglio pontificio, il 25 giugno 1243, di Sinibaldo Fieschi dei conti di Lavagna, esponente di una famiglia nobile inurbata che si è mantenuta estranea alle lotte intestine, preoccupata di rinsaldare i propri domini sulla Riviera orientale e di accrescere le proprie fortune con il commercio e con la scalata alle cariche ecclesiastiche. L'elezione di Sinibaldo li fa uscire dall'ombra, conferisce lustro e autorevolezza alla famiglia, che diventa leader della fazione guelfa, soprattutto dopo che i nipoti del papa, chiamati a liberarlo dall'impasse in cui si dibatte a Sutri per le minacce imperiali, allestiscono una flotta, in apparenza destinata a contrastare Ansaldo dei Mari lungo il versante occidentale del Mediterraneo, ma che scende invece fino a Civitavecchia ove il 27 giugno 1244 preleva Innocenzo IV e altri cardinali. La tempestività e il successo dell'azione navale, la resistenza opposta ai ripetuti attacchi delle forze imperiali, la fermezza dimostrata contro i ribelli nel Dominio, la continuità delle attività commerciali, la capacità di sedare e controllare contrasti e faide intestine pongono Genova al centro della lotta antifedericiana, ne fanno l'anima della resistenza, al punto che l'imperatore addebita ai genovesi le maggiori responsabilità per lo smacco subito, medita vendetta e si trasferisce personalmente a Pisa per allestire le forze contro questi infideles Imperii. Nonostante tutte le difficoltà, per proteggere i convogli mercantili provenienti dall'Oriente nel 1245 il comune e taluni privati cittadini riescono ad allestire una nuova flotta che saccheggia anche le coste siciliane e colpisce i pirati che scorrazzano per il Mediterraneo facendo perno su Bonifacio, il possedimento genovese in Corsica che diventa la base per la guerra nel Tirreno e contro le navi imperiali. Più precaria rimane la situazione nel Dominio, ove persistono sacche di resistenza nell'Oltregiogo e si manifestano episodi di ribellione lungo la Riviera di Ponente, non sostenuti però efficacemente dall'imperatore che pare abbandonare il proposito di allestire una spedizione contro Genova, distolto da più gravi faccende. Sulla Riviera orientale, ove i Malaspina tentano di recuperare i loro margini di autonomia, si appuntano pure gli ambiziosi progetti dinastico-familiari di Innocenzo IV che, anche sottraendo terre e castelli al vescovato di Luni e di Brugnato, mira a costituire un vasto dominio territoriale per il nipote Nicolò Fieschi alternativo a quello del comune, in una zona strategica di frontiera dove passano le vie di comunicazione verso Roma e il Meridione d'Italia.

A Genova predominano ora i guelfi e i Fieschi qui in re publica vires habere ceperunt, come scrive l'annalista, ne diventano i capi. Assecondano i progetti di crociata di Luigi IX re di Francia e ne sostengono la richiesta affinché i genovesi gli forniscano le navi necessarie al 'passaggio', operazione questa che con le molte commesse e la ricaduta sull'industria cantieristica, sull'arruolamento di uomini e sulla concessione di nuovi privilegi per i mercanti genovesi nelle terre regie, dà un contributo determinante al decollo di Genova e ne fa la maggiore potenza marittima nel Mediterraneo. I Fieschi, a seguito di unioni matrimoniali e di accordi commerciali stretti con taluni esponenti del fronte avverso, danno prova di grande moderazione a fronte dell'intransigenza e della severità di Innocenzo IV contro i fautori genovesi dell'imperatore, favoriscono la ricomposizione sociale e assecondano iniziative atte a ricondurre in città gli esuli ghibellini, i quali finiscono per rimettere i loro contrasti con il comune all'arbitrato del papa, che nel 1251 ottiene per loro il perdono e un risarcimento in danaro. Più lenta e articolata è la riconquista del Dominio, la sottomissione di città, comunità, signori, feudatari, con i quali vengono stipulate nuove convenzioni che sul piano istituzionale coniugano momenti di centralizzazione con larghi spazi di autonomia; ma il problema dei rapporti con il territorio e soprattutto delle rendite fiscali percepite sui possessi fondiari rimane insoluto. Le forze terrestri e navali di Federico tolgono comunque il blocco che aveva tentato di 'strangolare' la città impedendole di ricevere rinforzi, uomini, merci. E di conseguenza, dopo la caduta di Parma e la cattura di re Enzo, gli annali cittadini non si occupano più di Federico e delle sue vicende, che non rappresentano ormai un pericolo, per concentrarsi invece sui preparativi per una nuova impresa. Nonostante la flotta siciliana sia riuscita a catturare talune imbarcazioni, il potenziale marittimo genovese non è stato minimamente indebolito e Genova può fornire navi e partecipare all'impresa di Damietta che, pur fallimentare sul piano politico-militare, apre nuove prospettive e fortune per la città, segna l'inizio del boom economico che sarà raggiunto nella seconda metà del secolo sotto la diarchia dei capitani del popolo, dà l'avvio al "volo del grifo", come è convenzionalmente definito questo periodo. E proprio il grifone che abbatte un'aquila e una volpe, animali simboleggianti rispettivamente l'Impero e Pisa, introdotto nel nuovo sigillo del comune e la leggenda che lo illustra griphus ut has angit, sic Ianua hostes frangit, sono stati interpretati come trasposizione visiva della coscienza civica, dell'orgoglio dei genovesi, della consapevolezza della propria forza militare e marittima, acquisiti nel corso del cinquantennio federiciano che coincide con la fase podestarile del comune, un periodo cruciale in cui molti nodi vengono sciolti e si propongono nuove sfide, a partire da quella con Pisa per il predominio nel Mediterraneo occidentale e da quella con Venezia per il controllo della "Romania".

fonti e bibliografia

L.T. Belgrano, Documenti inediti riguardanti le due crociate di San Ludovico IX Re di Francia raccolti ordinati ed illustrati, Genova 1859.

Historia diplomatica Friderici secundi, V-VI; Les registres d'Innocent IV (1243-1254), a cura di E. Berger, Paris 1884-1921.

Annali di Caffaro e de' suoi continuatori, a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo, III, Roma 1923.

I libri iurium della Repubblica di Genova, I, 1-8, Genova 1996-2002.

C. Imperiale di Sant'Angelo, Genova e Federico II di Hohenstaufen, Firenze 1915.

G. Marchetti Longhi, La legazione in Lombardia di Gregorio di Montelongo negli anni 1238-1251, "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 38, 1915, pp. 283-362, 591-675.

V. Poggi, Federico II e i genovesi, "Rivista Ligure di Scienze, Lettere, Arti", 43, 1916, pp. 101-105.

V. Vitale, Guelfi e ghibellini a Genova nel Duecento, "Rivista Storica Italiana", 60, 1948, pp. 525-541.

Id., Il comune del podestà a Genova, Milano-Napoli 1951.

F. Guerello, L'erezione del vescovato di Noli, in Miscellanea di storia ligure in onore di G. Falco, Milano 1962, pp. 153-176.

J.M. Powell, Genoese Policy and the Kingdom of Sicily 1220-1240, "Mediaeval Studies", 28, 1966, pp. 346-359.

D. Abulafia, Henry Count of Malta and his Mediterranean Activities: 1203-1230, in Medieval Malta, a cura di A.T. Luttrell, London 1975, pp. 104-125 (ora in Id., Italy, Sicily and the Mediterranean: 1100-1400, ivi 1987).

M. Balard, La Romanie génoise (XIIe-début du XVe siècle), I, Rome 1978, pp. 40-42.

G. Petti Balbi, I Fieschi e il loro territorio nella Liguria orientale, in La storia dei genovesi, III, Genova 1983, pp. 105-130.

Ead., Genesi e composizione di un ceto dirigente: i 'populares' a Genova nei secoli XIII e XIV, in Spazio, società, potere nell'Italia dei comuni, a cura di G. Rossetti, Napoli 1986, pp. 81-101 (ora in Ead., Una città e il suo mare. Genova nel Medioevo, Bologna 1991, pp. 116-136).

E. Voltmer, Personaggi attorno all'imperatore: consiglieri e militari, collaboratori e nemici di Federico II, in Politica e cultura nell'età di Federico II, a cura di S. Gensini, Pisa 1986, pp. 70-93.

F. Cellerino, Dalla compagna ai rampini e mascherati, "Studi Genuensi", n. ser., 9, 1991, pp. 15-24.

D. Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Torino 1993.

G. Jehel, Les Génois en Méditerranée occidentale: fin XIe-début XIVe siècle: ébauche d'une stratégie pour un empire, Amiens 1993.

E. Crouzet-Pavan, Gênes et Venise: discours historiques et imaginaires de la ville, in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, a cura di P. Cammarosano, Roma 1994, pp. 427-453.

R. Pavoni, L'ascesa dei Fieschi tra Genova e Federico II, in I Fieschi tra papato e impero, a cura di D. Calcagno, Lavagna 1997, pp. 3-44.

G. Petti Balbi, Federico II e Genova tra istanze regionali ed interessi mediterranei, in Federico II e la civiltà comunale nell'Italia del Nord. Atti del Convegno internazionale promosso in occasione dell'VIII centenario della nascita di Federico II di Svevia, a cura di C.D. Fonseca-R. Crotti, Roma 1999, pp. 99-130 (già pubblicato in Studi e documenti di storia ligure in onore di don Luigi Alfonso, Genova 1996, pp. 59-95).

Ead., I protagonisti: la famiglia Fieschi, in San Salvatore dei Fieschi. Un documento di architettura medievale in Liguria, Cinisello Balsamo 1999.

R. Pavoni, Un protagonista della politica genovese della prima metà del XIII secolo: il gerosolimitano Guglielmo di Voltaggio, in Riviera di Levante tra Emilia e Toscana, un crocevia per l'ordine di San Giovanni, a cura di J. Costa Restagno, Genova 2001, pp. 27-78.

G. Petti Balbi, L'identità negata: veneziani e genovesi nella cronachistica delle due città (secc. XI-XIV), in Genova, Venezia, il Levante nei secoli XII-XIV, a cura di G. Ortalli-D. Puncuh, Genova-Venezia 2001, pp. 413-440.

M. Macconi, Il grifo e l'aquila. Genova e il regno di Sicilia 1150-1250, Genova 2002.

CATEGORIE
TAG

Sinibaldo fieschi dei conti di lavagna

Gregorio da montelongo

Ordine di san giovanni

Federico ii di svevia

Repubblica di genova