GENSERICO re dei Vandali e degli Alani

Enciclopedia Italiana (1932)

GENSERICO, o, più esattamente, Geiserico o Gaiserico (Geiserix) re dei Vandali e degli Alani

Giovanni Battista Picotti

Bastardo di re Godigiselo, successe nel 428 al fratellastro Gunderico, al quale già Bonifazio aveva rivolto l'invito di passare dalla Spagna nell'Africa, e trascinò all'impresa i suoi riluttanti. Già iniziato il passaggio, dovette combattere i Suebi e li vinse a Merida; poi traversò lo stretto su navi romane con 80 "millene" di combattenti, se pure il numero non fu da lui esagerato ad arte (429). Avanzò nell'Africa, saccheggiando, bruciando le chiese, uccidendo gli ecclesiastici; vinse e assediò in Ippona Bonifazio, che troppo tardi si era, per esortazione di S. Agostino, accinto alla difesa (430). G. levò poi l'assedio perché stretto dalla fame; ma poté impadronirsi della città abbandonata. Per assicurare le sue prime conquiste, conchiuse con l'imperatore dell'Occidente un accordo (435), ottenendo ai Vandali come federati il riconoscimento della Numidia che già possedevano; ma occupò per inganno Cartagine (439) e la sua flotta saccheggiò la Sicilia (440), mentre una flotta dell'Oriente non osava nemmeno tentare di attaccarlo (442). Forse ritenendosi poco sicuro nel regno, nel quale aveva dovuto reprimere con ferocia una congiura di nobili, conchiuse con l'Occidente una nuova pace, per la quale riconosceva la sovranità dell'imperatore e assicurava un invio annuo di grano (442); ottenne anzi, come fidanzata per il figlio Unerico, Eudossia, la figliola settenne di Valentiniano III, e aspirava per lui al comando supremo dell'esercito romano. Ma pressoché tutta l'Africa, la più ricca provincia dell'Impero, era ormai in effettivo potere del barbaro; le terre tolte agli antichi possessori erano in parte dominio regio, in parte sortes dei guerrieri; i Romani erano o costretti ad uscirne o obbligati ad altissimi tributi, sebbene conservassero le curie, il reggimento civile delle provincie, le leggi; l'ariano intollerante, che dicevano apostata dalla fede ortodossa, perseguitava atrocemente i cattolici: fuori la sua flotta correva il mare predando. Il nome di G., dell'Anticristo, era poco meno pauroso del nome dell'alleato suo Attila. L'uccisione di Valentiniano III l'elevazione di Petronio Massimo, le nozze tra il figlio di questo e la fidanzata di Unerico spinsero G. alla vendetta, anche se non gli giunse l'invito di Eudossia, la vedova dell'ucciso. Egli apparve fulmineo alle porte di Roma e il 2 giugno 455 entrò nella città indifesa. Papa Leone Magno osò farglisi incontro e ottenne che fossero risparmiate le stragi e gl'incendî: ma la città fu saccheggiata per quattordici giorni e ne furono tratti immensi tesori e migliaia di prigionieri, tra cui Eudossia e le figlie. G. si considerò allora come indipendente, conquistò il resto dell'Africa e le isole del Mediterraneo, saccheggiò a più riprese le coste d'Italia e di Grecia, affamò l'Italia. Furono infruttuose le vittorie di Ricimero ad Agrigento e in Corsica (456), come più tardi (463 o 464) quella di Marcellino in Sicilia; una grande spedizione disegnata da Maioriano fallì, essendo G. riuscito per tradimento a distruggere gran parte della flotta romana a Cartagena (460); un triplice poderoso assalto delle forze dell'Oriente e dell'Occidente verso le isole, verso Tripoli e la stessa Cartagine condusse solo alla conquista di Tripoli, perché Marcellino, rioccupata per poco la Sardegna, fu ucciso in Sicilia e la flotta bizantina fu in gran parte arsa e distrutta innanzi a Cartagine per tradimento o imperizia del suo comandante Basilisco (468). G. conchiuse trattati con l'Oriente (468) e con l'Occidente (476); lasciò a Odoacre la Sicilia, ma volle un tributo. Morì nel 477. Mediocre di statura, zoppo, scarso nelle parole, seppe eccitare fino al fanatismo un popolo non coraggioso; fu intollerante, crudele, sleale, ma severo per i costumi proprî e per gli altrui, prontissimo all'opera, abile creatore e ordinatore di regni.

Bibl.: Vedi O. Seeck, in Pauly-Wyssowa, Real-Encycl., II, i, col. 935 segg., e fonti e opere ivi citate. Cfr. L. Schmidt, Gesch. der Wandalen, Lipsia 1901, V. pure F. Martroye, Genséric, la conquête vandale en Afrique et la destr. de l'Empire d'Occident, Parigi 1907; F. Dahn, Die Könige der Germanen, 2ª ed., I, Lipsia 1910, p. 144 segg.; O. Seeck, Gesch. des Untergangs d. antiken Welt, VI, Stoccarda 1920, passim; Arch. d. R. Soc. rom. di st. pat., XL (1917), p. 161 segg.

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