GEOCHIMICA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

GEOCHIMICA (XVI, p. 586)

Mario Fornaseri

Introduzione. - La g. ha come obiettivo lo studio chimico e chimico-fisico della Terra, in relazione con gli altri corpi del sistema solare e dell'universo conosciuto. In particolare studia la composizione chimica della Terra e delle sue parti, la distribuzione degli elementi e dei nuclidi nello spazio e nel tempo e tutti i mutamenti chimico-energetici connessi con i processi geologici. La g. è parte della cosmochimica, della quale costituisce un capitolo particolare.

Il termine "geochimica" fu usato per la prima volta da C. F. Schönbein nel 1838, e lo spettacolare progresso delle conoscenze sulla chimica terrestre a cui assistiamo ai nostri giorni s'innesta sull'opera pionieristica di A. W. Clarke, H. S. Washington, V. M. Goldschmidt, V. I. Vernadski, A. E. Fersman. La scoperta della spettroscopia di emissione ottica, della radioattività, degl'isotopi e della diffrazione dei raggi X da parte dei cristalli sono, fra gli eventi più salienti della storia della chimica e della fisica, quelli che hanno più fortemente influito sullo sviluppo della geochimica.

Compito fondamentale di questa disciplina è lo studio della distribuzione delle abbondanze degli elementi e dei loro isotopi nelle varie unità di cui è costituita la Terra e la ricerca delle leggi che regolano il frazionamento e la migrazione degli elementi e degl'isotopi nei processi naturali. La g. si avvale dei raffinati metodi della chimica analitica classica e strumentale, alcuni dei quali si possono considerare specifici e consentono di esplorare con alta precisione un ampio campo di concentrazioni, da decine di unità per cento a poche parti per milione. Alcuni moderni metodi analitici, quali l'attivazione con neutroni termici o veloci, permettono la determinazione di elementi al livello di parti per miliardo, mentre le raffinate tecniche di spettrometria di massa, che assicurano la misura dei rapporti isotopici con una precisione di una parte su diecimila e oltre, costituiscono d'altra parte, con l'impiego delle tecniche di diluizione isotopica, un mezzo analitico di alta precisione per la determinazione di molti elementi in un ampio intervallo di concentrazioni.

Il compito della g. non si esaurisce, peraltro, nella raccolta dei dati analitici e grandissimo impulso viene dato oggi alla determinazione delle grandezze termodinamiche caratteristiche delle trasformazioni di fase e delle reazioni chimiche che hanno attinenza con i sistemi naturali nonché allo studio di sistemi pluricomponenti, anche in presenza di fasi gassose, particolarmente in condizioni estreme di temperatura e di pressione.

Tramite la misurazione di grandezze dipendenti dal tempo con legge nota, la g. perviene alla valutazione quantitativa del tempo geologico ("geocronometria"); attraverso lo studio del frazionamento naturale degli elementi e degl'isotopi giunge alla ricostruzione dei valori della temperatura e pressione che hanno presieduto ai fenomeni geologici ("geotermobarometria") e finalmente, mediante lo studio del comportamento di adatti elementi nel ruolo di indicatori geochimici, concorre efficacemente alla ricostruzione delle condizioni ambientali nel passato.

Sfere geochimiche e cicli geochimici. - Nel linguaggio della g. ricorre sovente la locuzione di "sfere geochimiche" che trae la sua origine dalla struttura a gusci della Terra, costituita, com'è noto, da un nucleo, da un mantello e da una crosta, interpretabili come zone di concentrazione di particolari elementi (v. geologia, in questa App.).

Estendendo questi concetti ad altre parti ben individuabili della Terra, si attribuisce il nome di "idrosfera" al complesso discontinuo delle acque, di caratteristiche chimiche ben individuabili, come pure ben individuabili sono le caratteristiche chimiche dell'involucro gassoso che circonda la Terra, l'atmosfera. Il termine di "biosfera", che rappresenta un'estensione del concetto delle sfere geochimiche è infine impiegato da alcuni autori per indicare l'insieme delle parti dell'atmosfera, dell'idrosfera e della crosta nelle quali si verificano le condizioni indispensabili allo sviluppo dei fenomeni vitali, da altri per indicare l'insieme stesso degli esseri viventi.

Il carattere ciclico dei fenomeni geologici è un concetto da tempo acquisito e in particolare riveste un evidente carattere ciclico la migrazione della materia attraverso il sistema mantello-crosta-idrosfera atmosfera.

Il grande ciclo geochimico (fig. 1) può essere seguìto attraverso i fenomeni di cristallizzazione magmatica, la messa in posto delle rocce ignee, i successivi fenomeni di trasporto, sedimentazione, diagenesi e metamorfismo. In seguito a processi di migmatizzazione e rifusione parziale o totale (anatessi, palingenesi) il ciclo può chiudersi con la rigenerazione di masse fuse. I componenti del mantello sono ritenuti la materia prima da cui si originano i magmi: i materiali crostali possono poi essere restituiti, più o meno alterati, al mantello nei processi di subduzione. Il grande ciclo geochimico ne comprende numerosi altri minori fra i quali riveste particolare importanza il ciclo esogeno che si svolge sotto il controllo degli agenti atmosferici e nell'ambito del quale si verifica la formazione dei sedimenti e delle rocce sedimentarie. Il carattere di migrazione ciclica è riconoscibile anche nel comportamento dei singoli elementi, per ciascuno dei quali è possibile tracciare, anche in termini quantitativi, il relativo ciclo geochimico.

Abbondanza degli elementi nell'universo. - La determinazione dell'abbondanza degli elementi nell'universo e nelle parti note della Terra è uno dei problemi che ha continuato a richiamare l'attenzione degli studiosi anche negli anni recenti. La conoscenza dell'abbondanza degli elementi e dei nuclidi nell'universo è infatti un punto di fondamentale importanza per la costruzione di teorie sull'origine degli elementi, mentre la conoscenza delle abbondanze attuali nelle parti conosciute della Terra, oltre che costituire un termine di paragone a cui riferire tutte le variazioni dovute a processi differenziativî di qualsiasi natura, è a sua volta un dato fondamentale per la ricostruzione dei processi evolutivi che tale composizione ha subìto nel passato. Le nostre conoscenze sulle abbondanze degli elementi nell'universo derivano fondamentalmente dallo studio delle nebulose, della materia interstellare e delle meteoriti. In considerazione della preminenza dei dati relativi alla composizione dell'atmosfera solare e delle meteoriti è da ritenere che le nostre migliori conoscenze si riferiscono in realtà alle abbondanze degli elementi nel sistema solare. In tab. 1 sono date le abbondanze atomiche cosmiche, in cui l'abbondanza del silicio è posta, per convenzione, pari a 1,00•106 (l'abbondanza di un elemento è il numero di atomi dell'elemento considerato per 106 atomi di silicio).

Considerando i migliori dati sinora ottenuti sulle cosiddette abbondanze cosmiche degli elementi, emergono subito due leggi d'importanza fondamentale. In primo luogo si può facilmente osservare (fig. 2) che gli elementi a numero atomico pari sono più abbondanti di quelli a numero atomico dispari (legge di Oddo-Harkins). In secondo luogo appare evidente che l'abbondanza degli elementi decresce col crescere del numero atomico: la stessa relazione si osserva anche fra abbondanza e numero di massa, ma la curva relativa (fig. 3) mostra numerose e importanti irregolarità. Queste due leggi trovano interpretazione la prima nelle interazioni fra le particelle nucleari, la seconda nei meccanismi di formazione degli elementi nell'interno delle stelle. Questi ultimi, secondo le teorie della formazione continua di E. M. Burbidge, G. R. B. Burbidge, W. A. Fowler e F. Hoyle si formerebbero continuamente nell'interno delle stelle secondo processi di varia natura che s'innescano man mano che la temperatura stellare raggiunge valori adeguati e che si possono riassumere in: a) combustione o fusione d'idrogeno; b) combustione o fusione di elio; c) processi di cattura di particelle α; d) processi all'equilibrio, ossia processi riferibili a equilibri fusione nucleare-fotodisintegrazione secondo lo schema

e) processi di cattura lenta o rapida di neutroni; f) processi di cattura di protoni; g) processi di rottura di nuclei pesanti.

Abbondanze e comportamento degli elementi nella crosta terrestre. - Benché semplice in apparenza, il problema della conoscenza della composizione media della crosta terrestre presenta non poche difficoltà poiché non sono noti con certezza i rapporti in cui i diversi tipi di rocce e in particolare i graniti e i basalti, che sono le rocce più diffuse, sono rappresentati nella crosta stessa e la discussione si è protratta su questo argomento fino agli anni recenti.

La tab. 2 contiene una sintesi dei dati più moderni sulle abbondanze degli elementi nella crosta terrestre, oltre che nell'idrosfera e nell'atmosfera.

Le rocce ignee risultano costituite per oltre il 99% da otto elementi (O, Si, Fe, Ca, Na, K, Mg, Ti) che si possono considerare come elementi principali o maggiori. Rimane circa l'i % a disposizione di tutti gli altri elementi. Di questi, quelli la cui concentrazione è compresa fra 1% e 0,1% vengono chiamati elementi minori; quelli che si trovano in percentuali inferiori allo 0,1% elementi in tracce. Questi ultimi elementi sono sovente dispersi nei minerali delle rocce ma si trovano talvolta concentrati in adunamenti particolari, spesso di notevole interesse economico, dovuti a un concorso di fattori favorevoli. Si spiega così come elementi in sé assai poco abbondanti, quali il boro, il berillio, il piombo, lo stagno, il mercurio, siano invece relativamente molto disponibili.

Il comportamento degli elementi in tracce nel corso del ciclo magmatico è regolato essenzialmente dalle leggi della cristallochimica e in tale senso era già stato chiaramente delineato da V. M. Goldschmidt. I fattori determinanti il comportamento degli elementi nella cristallizzazione magmatica sono essenzialmente il valore del raggio ionico e la carica ionica. Ciò deriva dalla considerazione che i minerali magmatici sono caratterizzati da una larga percentuale di legame ionico. Secondo Goldschmidt, se due ioni hanno lo stesso raggio e la stessa carica entreranno con la stessa facilità in un edificio cristallino: se i due ioni hanno, a parità di carica, raggio differente, quello a raggio minore entrerà più facilmente in una data struttura; se infine due ioni hanno raggi simili ma carica differente sarà quello a carica maggiore che verrà incorporato più facilmente. Sulla base di questi concetti può essere interpretata la funzione non soltanto dei costituenti principali ma anche degli elementi minori e in tracce. Questi ultimi possono trovare posto nelle strutture dei minerali in quanto, per diadochia, possono sostituirsi, atomo ad atomo, nelle strutture dei minerali, al posto dei costituenti principali. Si parla di mascheramento quando un costituente minore sostituisce un elemento di uguale carica e di raggio ionico abbastanza simile, per es. quando Ga3+ (raggio ionico 0,62 Å) sostituisce Al3+ (raggio ionico 0,57 Å) o quando Ge4+ (raggio ionico 0,53 Å) sostituisce Si4+ (raggio ionico 0,42 Å). Se un costituente minore, a parità di raggio ionico, sostituisce un elemento principale avente carica inferiore si ha la cosiddetta cattura. Ciò si verifica, per es., quando Sc3+ (raggio ionico 0,81 Å) sostituisce Mg++ (raggio ionico 0,67 Å) o quando Ba++ o Pb++ (raggio ionico rispettivamente 1,34 e 1,20 Å) sostituiscono K+ (raggio ionico 1,33 Å). Finalmente si parla di ammissione se un costituente minore sostituisce un componente principale a carica maggiore, per es. quando Li+ (raggio ionico 0,68 Å) sostituisce Mg++. I termini di mascheramento, cattura, ammissione vogliono esprimere l'effetto di stabilizzazione o di destabilizzazione risultante dalla sostituzione di un costituente minore a un costituente comune in una struttura cristallina. Gli elementi a raggio ionico molto grande o molto piccolo o per i quali la differenza di carica rispetto agli elementi principali superi determinati limiti non possono essere accettati che in piccola proporzione nei minerali comuni. Si spiega in questo modo il progressivo arricchimento di certi elementi nei liquidi residuali e la conseguente concentrazione, nelle pegmatiti, di elementi la cui abbondanza cosmica e crostale è molto bassa, come si verifica per Li, Be, B e per gli elementi delle terre rare. Nelle fasi tardive del processo magmatico (stadio pneumatolitico e idrotermale) si possono verificare concentrazioni di elementi metallici come Sn, W, Mo, Au, Ag, Cu, Zn, Pb, Sb, che possono assumere dimensioni d'interesse economico. Molti problemi sono ancora aperti relativamente alle modalità del trasporto di questi elementi nelle fasi gassose residuali e nelle soluzioni idrotermali. Grande importanza viene attualmente attribuita alla formazione di complessi che consentono la permanenza in soluzione degli elementi in concentrazioni superiori a quelle prevedibili dalle sole considerazioni dei prodotti di solubilità.

I principi enunciati dal Goldschmidt, per quanto attraenti nella loro semplicità, non riescono peraltro a giustificare pienamente il comportamento di molti elementi e un'analisi più accurata ha dimostrato che quest'ultimo non è soltanto regolato dai valori del raggio e della carica ma da altri parametri quali le forze stabilizzatrici del campo cristallino e i valori delle energie libere delle reazioni cui le specie ioniche prendono parte.

Lo studio degli elementi in tracce ha assunto in questi ultimi anni un particolare significato nei problemi di petrogenesi. Per la loro capacità di arricchirsi o d'impoverirsi sistematicamente e talora in modo sensibile col procedere della differenziazione magmatica essi possono fornire, in misura molto più significativa di quanto non possano fare gli elementi maggiori, preziose informazioni sul grado di differenziazione e sul meccanismo di evoluzione dei magmi. Per la loro capacità di mantenere sovente inalterati i rapporti di abbondanza caratteristici dei materiali di origine essi possono inoltre, in casi favorevoli, indicare la natura dei materiali di partenza da cui sì sono formate le rocce metamorfiche.

Una trattazione razionale del meccanismo di frazionamento degli elementi in tracce nel processo magmatico richiede lo studio del frazionamento in termini di modelli di cristallizzazione frazionata o di fusione frazionata o di raffinazione a zone. Considerazioni di questo tipo sono oggi alla base di molte speculazioni sull'origine e sull'evoluzione dei basalti. Dalle più recenti ricerche risulta, per es., che la più grande abbondanza di elementi a grande raggio ionico riscontrabile nei basalti alcalini nei confronti dei basalti tholeiitici può essere spiegata con un processo di fusione parziale delle associazioni mineralogiche presenti nel mantello superiore piuttosto che con meccanismi di cristallizzazione frazionata.

Orientamento caratteristico delle ricerche geochimiche in questi ultimi anni è l'interpretazione dei dati geochimici nel quadro dell'ambiente tettonico e, più in generale, l'inquadramento degli stessi nel quadro della tettonica globale. Il modello della tettonica a placche individua diversi "ambienti tettonici" nell'ambito dei quali si può avere la formazione di serie di rocce ignee, sedimentarie, metamorfiche. Tali sono, per es., le dorsali oceaniche, le placche continentali, i margini continentali, i sistemi arco-fossa. La g. nella sua più moderna concezione è indirizzata alla caratterizzazione di ciascuno di questi ambienti e allo studio dei processi chimici ad essi collegati. Spesso sono ancora gli elementi in tracce che consentono di risolvere il problema: così, per es., per il loro comportamento gli elementi litofili a grande raggio ionico (Rb, Ba, Sr, U, terre rare) sono usati con successo nella caratterizzazione delle rocce vulcaniche in quanto, insieme con altri elementi detti anche "elementi incompatibili", tendono a concentrarsi nelle fasi fuse mentre un altro gruppo di elementi, detti anche "elementi compatibili" (fra cui molti elementi di transizione) tendono a concentrarsi nelle fasi solide residuali del mantello.

Un'importanza non inferiore spetta agli elementi in tracce considerati nell'ambiente sedimentario. Si è potuto infatti dimostrare che l'abbondanza di molti elementi in tracce nei sedimenti è in relazione con le condizioni dell'ambiente in cui si è verificata la deposizione. Gli elementi considerati possono allora presentare interesse quali indicatori ambientali. Un esempio è dato dal boro, dal cromo, dal rame, dal gallio, dal nichel e dal vanadio che risultano significativamente più abbondanti nei sedimenti marini rispetto a quelli di acqua dolce. Alcuni di questi elementi sono stati usati con varia fortuna come indicatori della paleosalinità. L'impiego degli elementi minori quali indicatori di salinità non è che un caso particolare di quelle applicazioni della g. alla ricostruzione ambientale che possono venire raggruppate nel termine di "analisi geochimica di facies".

Lineamenti della geochimica dell'idrosfera. - La g. dell'idrosfera tratta delle acque continentali e delle acque oceaniche, della loro composizione e del ciclo in esse dei diversi elementi. Le acque oceaniche costituiscono il 98% del totale delle acque, con una salinità media del 35‰. Caratteristica fondamentale delle acque oceaniche è la costanza di composizione del loro complesso salino (legge di Marcet). Notoriamente i principali componenti delle sostanze disciolte nelle acque oceaniche sono, nell'ordine, Cl-, SO4- -, CO3- -, Br-, BO3-3 fra gli anioni e Na+, Mg++, Ca++, K+, Sr++ fra i cationi. Si ritiene che tutti gli altri elementi siano presenti, al livello di tracce, e una settantina di essi sono stati a tutt'oggi riconosciuti. A differenza dei costituenti principali, molti degli elementi in tracce presentano una variabilità di concentrazione in dipendenza della loro utilizzazione da parte di organismi e da condizioni di saturazione. Fra le sostanze gassose disciolte nelle acque oceaniche l'ossigeno, l'anidride carbonica e l'azoto partecipano a complesse reazioni chimiche e chimico-biologiche e rilevanti sono le azioni di scambio all'interfaccia con l'atmosfera. Le sostanze disciolte nelle acque oceaniche provengono in parte dall'alterazione superficiale delle rocce continentali, in parte dalle azioni di scambio con l'atmosfera, in parte dal vulcanismo sottomarino attivo nel tempo geologico.

Le acque oceaniche si possono considerare come un serbatoio dinamico nel quale i diversi elementi vengono continuamente apportati ma ne vengono altresì continuamente rimossi da processi di precipitazione, di adsorbimento o da attività biologica. In condizioni di regime stazionario per ogni elemento può essere definito il tempo di residenza mediante la relazione t = A/(dA/dt), dove A rappresenta la quantità in g dell'elemento presente negli oceani e dA/dt la quantità apportata dai fiumi in g/anno che, in condizioni stazionarie, sarà uguale a quella rimossa. I diversi elementi risultano così caratterizzati da valori anche molto diversi dei tempi di residenza. Il bromo, il cloro, i metalli alcalini e alcalino-terrosi, relativamente poco reattivi, presentano valori elevati (106 ÷ 108 anni) dei tempi di residenza. Valori intermedi dei tempi di residenza (104 :-10f anni) sono caratteristici di elementi di transizione come Zn, Mo, Co, Ni, Cu, U; i tempi di residenza minori, dell'ordine di 102 anni spettano a elementi reattivi o rapidamente rimossi per precipitazione come Al, Fe, Si, Ti.

Nelle acque fluviali e lacustri, qualora si consideri la grossa media, i cationi e gli anioni si susseguono in ordine decrescente di abbondanza: Ca++, Mg++, Na+; CO3- -, SO4- -, Cl-. A differenza delle acque oceaniche la composizione del complesso salino delle acque continentali può però essere anche molto variabile in corrispondenza a situazioni locali: variabilità estrema si osserva in corrispondenza di acque di laghi e bacini chiusi e di sorgenti minerali e termali.

I moderni progressi nella g. dell'idrosfera consistono nello sviluppo di modelli matematici riguardanti i sistemi acquatici naturali e le applicazioni dei metodi della chimica-fisica a vari e complessi equilibri che interessano le acque naturali.

Molte questioni riguardanti l'origine e l'evoluzione degli oceani rimangono ancora aperte. La storia geologica degli oceani è direttamente connessa con l'evoluzione dell'atmosfera terrestre nel tempo geologico. Vi sono indizi che la primitiva atmosfera, più riducente di quella attuale, si sia originata per lento degassamento dell'interno della Terra: al limite fra il Precambriano-Paleozoico, la pressione parziale dell'ossigeno avrebbe raggiunto un centesimo del valore attuale: con lo sviluppo degli organismi terrestri nel tardo Siluriano essa avrebbe raggiunto un decimo del valore attuale per crescere successivamente negli ultimi 400 milioni di anni fino al valore attuale.

Se l'ipotesi dell'origine dell'atmosfera per lento degassamento è valida, ciò comporta che anche gli oceani si siano andati sviluppando con continuità durante il tempo geologico. Molti aspetti relativi alla loro composizione chimica appaiono oggi chiariti, ma molti aspetti quantitativi della loro evoluzione attendono ancora una risposta soddisfacente.

La geochimica degl'isotopi e la misura del tempo geologico. - Benché diversi isotopi d'un elemento, a causa della disposizione dei loro elettroni, mostrino una stretta analogia di comportamento chimico e mostrino di conseguenza un estremo grado di coerenza dal punto di vista geochimico, pure si verificano in natura talune condizioni che possono provocare, talora in misura notevole, delle variazioni di composizione isotopica dei diversi elementi rispetto alle "abbondanze isotopiche convenzionali". La "g. degl'isotopi" si occupa dello studio delle cause delle variazioni di composizione isotopica negli ambienti naturali, dei relativi processi e delle conseguenze che ne possono scaturire e che trovano pratica utilizzazione nell'interpretazione di processi geologici.

Le variazioni di composizione isotopica che si possono osservare negli ambienti naturali possono essere determinate in parte da reazioni nucleari, in parte da processi di frazionamento di natura chimicofisica.

Le reazioni nucleari spontanee determinano la formazione di nuovi nuclidi, sia stabili che radioattivi, e conseguentemente sono causa di variazioni nella composizione isotopica di certi elementi. Si verifica in definitiva una diminuzione, nel tempo, degl'isotopi radioattivi e un aumento di quegli isotopi stabili che ne sono il prodotto finale del decadimento. Queste variazioni interessano in modo particolare lo stronzio, il piombo e l'argo.

Queste variazioni di composizione isotopica stanno alla base dei diversi metodi di determinazione del tempo geologico basati sul decadimento radioattivo, espresso, com'è noto dalla legge x = x0 exp(−λt) ovvero y = x [exp(λt)− 1], dove x è il numero di atomi di elemento radioattivo ancora presenti al tempo t, x0 il numero di atomi dell'elemento radioattivo presenti all'origine, y il numero di atomi dell'elemento radiogenico formati al tempo t, λ è la costante di decadimento. Da tali relazioni si ottengono le due espressioni seguenti, in cui t rappresenta l'età del minerale, della roccia o comunque del reperto in questione: t = (1/λ)ln(x0/x) oppure t = (1/λ)ln(1 + y/x) dalle quali risulta che l'età può essere calcolata in base alla diminuzione di atomi dell'elemento radioattivo o al rapporto fra il numero di atomi dell'elemento radiogenico e il numero di atomi dell'elemento radioattivo presenti al tempo della misura.

Su questi principi sono stati sviluppati diversi metodi di cronologia che si basano sull'impiego di isotopi radioattivi che sono naturalmente presenti nei materiali che li contengono. I metodi più comunemente in uso sono quelli del trizio, del carbonio 14, del potassio-argo, del rubidio-stronzio, dell'uranio-piombo e del torio-piombo. I differenti metodi possono essere usati in relazione ai materiali da datare e alla loro età.

Migliaia di datazioni (v. in questa App.) hanno consentito di costruire, con un ristretto margine d'incertezza e con notevole dettaglio, la scala dei tempi geologici e di datare i principali eventi geologici della Terra, che s'identificano nei processi di messa in posto di rocce ignee, di grandi episodi d'erosione e di sedimentazione e di ricristallizzazione metamorfica.

Si possono, inoltre, verificare delle variazioni di composizione isotopica per effetti di frazionamento. Questi effetti interessano particolarmente gli elementi leggeri perché la differenza di massa è, percentualmente, più rilevante ma sono ancora rilevabili fino a un numero di massa 80. I principali processi chimico-fisici che possono determinare effetti di frazionamento isotopico sono le reazioni di scambio isotopico all'equilibrio, le differenze fra le tensioni di vapore dei liquidi e dei solidi isotopici e gli effetti di natura cinetica.

Vi sono diversi modi di esprimere i dati relativi alle composizioni isotopiche: il più usato è quello di fare la differenza fra il rapporto isotopico Rc dei due isotopi considerati nel campione e il rapporto RS in uno standard di riferimento, considerando poi il quoziente δ = (RCRS)/RS, che esprime la variabilità del rapporto isotopico e che è usualmente espressa in % o ‰. Per convenzione, R indica il rapporto fra l'isotopo più pesante e quello più leggero.

Idrogeno, carbonio, ossigeno e zolfo sono fra gli elementi quelli per cui si verificano notevoli frazionamenti isotopici per essere, questi, elementi leggeri e per il fatto che partecipano, nel loro ciclo, a equilibri in cui sono coinvolte specie solide, liquide e gassose. Fortissimi sono gli effetti di frazionamento isotopico nelle acque meteoriche in concomitanza con processi di evaporazione e di condensazione (fino al 400‰ e oltre). La variabilità del rapporto 18O/16O nei sistemi naturali è dell'ordine del 10% ed esiste una definita relazione fra i rapporti D/H e 18O/16O nelle acque meteoriche espressa da δD = 8δ18O + 10.

Una delle più interessanti applicazioni dello studio del frazionamento isotopico dell'ossigeno nei processi naturali si ha nella "termometria geologica isotopica" basata sul fatto che il valore delle costanti di equilibrio delle reazioni di scambio isotopico è funzione della temperatura. Questo tipo di geotermometria è stato impiegato con successo nello studio delle rocce ignee, metamorfiche, sedimentarie e dei depositi idrotermali.

Il carbonio presenta notevoli variazioni della sua composizione isotopica nei materiali naturali: la variabilità del rapporto 13C/12C è di circa il 10%. I più elevati valori di δ13C osservati sono quelli relativi alla frazione carbonatica di condriti carbonacee. Il carbonio isotopicamente più leggero è quello del metano naturale. Particolarmente interessanti sono gli effetti di frazionamento isotopico nel carbonio biogenico.

Anche per lo zolfo il campo di variabilità di δ34S è di circa il 10% e si può rilevare che in generale i solfuri e lo zolfo derivanti da riduzione batterica tendono ad arricchirsi nell'isotopo leggero 32S in conseguenza di effetti di natura cinetica.

Le applicazioni della geochimica. - Moltissime sono le applicazioni pratiche dei metodi e dei concetti geochimici, dalla ricerca di materie prime ai problemi dell'idrogeologia, della ricerca archeologica e degli studi inerenti alla difesa dell'ambiente.

Nella ricerca di minerali utili e di giacimenti di idrocarburi i metodi di "prospezione geochimica" si affiancano validamente alla tradizionale ricerca geologica e ai metodi geofisici (elettrici, magnetici, gravimetrici, sismici) opportunamente integrandoli e talora sostituendoli vantaggiosamente. La prospezione geochimica è un metodo di esplorazione basato sulla misura sistematica di proprietà chimiche o chimico-fisiche dei materiali naturali in relazione alla presenza dei materiali che sono l'oggetto dell'indagine. Nella maggior parte dei casi consiste nella misura della concentrazione di uno o più elementi o composti considerati come "indicatori" in rocce, detriti, sedimenti fluviali, acque o vegetazione. Con queste indagini si cerca di rilevare un'anomalia geochimica ossia la presenza, in una data area, di valori di concentrazione che risultino significativamente deviati rispetto ai valori "normali" per l'area considerata e che possano venire posti in relazione con la presenza di corpi mineralizzati situati nelle prossimità.

Nel caso dei giacimenti metalliferi le anomalie geochimiche sono legate a fenomeni di dispersione degli elementi che si possono verificare per cause diverse e in diverse localizzazioni. Si usa distinguere la dispersione primaria, legata allo stesso processo che ha dato luogo alla mineralizzazione, dalla dispersione secondaria che si attua sui materiali superficiali di disfacimento, legata a processi di alterazione, trasporto e sedimentazione sotto il controllo degli agenti esogeni e in relazione al diverso grado di mobilità degli elementi a sua volta controllato dalle proprietà chimico-fisiche del mezzo (pH, Eh), dalla solubilità, dai fenomeni di adsorbimento, dalla formazione di complessi, ecc. Con riferimento alla sua localizzazione la dispersione secondaria può verificarsi nei suoli, nelle acque, nei sedimenti, nelle piante.

Nel campo della ricerca di idrocarburi la prospezione geochimica è parimenti diretta alla rilevazione analitica di anomalie geochimiche attraverso la ricerca dei prodotti del petrolio (gas, bitume) o di sostanze ad esso collegate (indicatori del petrolio) in gas, rocce, suoli, acque. Gli "indicatori" del petrolio sono delle sostanze che si formano o che si sono formate a causa del petrolio (effetti del petrolio) o di condizioni chimico-fisiche (per es., valore del potenziale di ossido-riduzione) o da sostanze in qualche modo connesse con la presenza del petrolio. Tali sono per es., gli ioni HS-, S2O3- -, SO3- -, alcune sostanze, come NaHCO3, CaCl2, o elementi come bromo, iodio. Nella ricerca petrolifera, ai metodi strettamente geochimici si affiancano anche metodi microbiologici basati sullo studio dei microorganismi che si sviluppano nel sottosuolo e nelle formazioni profonde a causa dell'assimilazione biologica dei gas ivi diffusi.

Nella ricerca idrologica e idrogeologica le tecniche della g. isotopica e le tecniche nucleari hanno acquistato in questi ultimi anni un'importanza basilare con nuove e importanti applicazioni.

Esse trovano impiego nello studio dell'origine del vapor d'acqua atmosferico e delle precipitazioni, nelle misure di accumulo delle nevi e dei ghiacci, nelle misure delle perdite da laghi e serbatoi, nello studio dell'origine, dell'età e del flusso delle acque profonde e delle relazioni che intercorrono fra acque superficiali e acque profonde. Le tecniche isotopiche che trovano applicazione in idrologia possono fare uso degl'isotopi artificiali o di isotopi naturali detti anche environmental isotopes. Questi ultimi sono quegli isotopi le cui variazioni naturali di abbondanza sono regolate dai princìpi generali, già esposti, della g. isotopica e si possono considerare come dei tracciatori naturali, cioè non deliberatamente introdotti. Essi comprendono tuttavia, perché "incidentalmente" introdotti, anche il carbonio 14 e il trizio, i quali sono prodotti non solo per azione della radiazione cosmica nell'alta atmosfera ma anche nell'esplosione degli ordigni nucleari, in quanto il carbonio 14 e il trizio prodotti in questo modo dall'attività umana si disperdono e si mescolano nell'atmosfera e da quel momento la loro partecipazione al ciclo idrologico è regolata dai processi naturali. Gl'isotopi naturali che vengono correntemente usati in idrologia sono quelli dell'idrogeno, dell'ossigeno, del carbonio. Le relazioni che intercorrono fra le variazioni di composizione isotopica dell'idrogeno e dell'ossigeno nelle acque sono già state illustrate in precedenza. Le acque profonde nella zona di saturazione hanno una composizione isotopica corrispondente a quella delle acque d'infiltrazione che le alimentano e, in assenza di scambi isotopici, vale il principio che la composizione isotopica delle acque profonde è in relazione a quella delle precipitazioni nella regione di ricarica e al tempo di ricarica. Se le acque in questione sono molto antiche e se le condizioni climatiche a quell'epoca erano sensibilmente diverse da quelle attuali la loro composizione isotopica può riflettere quella di precipitazioni isotopicamente differenti da quelle attuali. Se le acque profonde sono alimentate da acque superficiali (fiumi, laghi, infiltrazioni) la loro composizione isotopica risente del contributo di queste acque che possono essere isotopicamente differenti dalle precipitazioni locali.

Il contenuto di trizio nelle acque fornisce informazioni sul tempo di ricarica del sistema. L'impiego del carbonio 14 come tracciante naturale è basato sul fatto che l'anidride carbonica disciolta nelle acque del suolo è di origine biogena e quindi contiene il carbonio 14 che le piante fissano dall'atmosfera. Il contenuto di carbonio 14 delle acque profonde decade con la nota legge esponenziale e perciò la quantità di carbonio 14 rimasta nelle acque, con le opportune correzioni per tener conto di eventuali azioni di scambio, dà una misura del tempo trascorso dall'epoca dell'infiltrazione.

Anche la ricerca archeologica ha largamente beneficiato dell'impiego dei metodi e dei criteri geochimici. Basterà ricordare la possibilità di datare i reperti archeologici con il metodo del carbonio 14, con i metodi basati su danni da radiazione, quali le tracce di fissione nucleare e la termoluminescenza, nonché con metodi chimici quali i metodi dell'azoto e del fluoro e infine mediante la misurazione dello strato d'idratazione dei manufatti di ossidiane. Altre applicazioni importanti della g. alla ricerca archeologica sono i metodi geochimici di prospezione archeologica, basati sulla misura sistematica del contenuto di anidride fosforica in terreni ove vi siano indizi di antichi insediamenti e infine l'impiego degli elementi in tracce e dei rapporti isotopici negli studi di provenienza di ossidiane, selci, marmi, metalli e ambre.

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