GEODESIA

Enciclopedia Italiana (1932)

GEODESIA (gr. γεωδαισία da γῆ "terra" e δαίω "divido")

Ubaldo BARBIERI
Corradino MINEO

Scienza che abbraccia tutte le teorie che concernono la figura del corpo terrestre, così nell'insieme, come nelle sue parti solide e fluide; e utilizza, nei suoi procedimenti, metodi tanto semplici quanto complessi, a seconda della specie dei soggetti trattati: pertanto, molti l'intendono suddivisa in topografia, geodesia propriamente detta, e idrografia. Forma oggetto della topografia la determinazione della forma, delle accidentalità e delle ripartizioni territoriali di zone poco estese; semplici strumenti e metodi piani sono i mezzi d'ausilio di questa disciplina. La geodesia propriamente detta si volge, invece, alla ricerca della forma matematica del corpo terrestre, onde rientrano in essa anche quelle operazioni d'indole assai prossima all'astronomia, che rappresentano il mezzo indispensabile per compiere i diversi generi di determinazioni che hanno quale scopo unico la conoscenza nel nostro globo; sono altresì mezzo di ricerca in geodesia le determinazioni pendolari, quelle sulla rifrazione atmosferica, quelle riflettenti la determinazione della differenza di livello, e altre molte, in cui alla delicatezza e perfezione degli strumenti vanno accoppiati la meticolosità e il rigore dei processi di calcolo. Infine l'idrografia tratta soprattutto dei problemi necessarî al navigante per la conoscenza del luogo ove egli si trova, dei problemi inerenti al rilievo delle coste, alla costruzione dei portolani, ecc. Questa scienza, a differenza della geodesia, è assai più limitata nelle sue risorse, poiché ristretta è la possibilità dell'uso degli strumenti, che di conseguenza sono appropriati alla speciale condizione in cui viene a trovarsi l'operatore.

Storia.

1. Per Omero la Terra era un disco circondato dalle acque del mare: persuasione rimasta lungo tempo, senza che gli antichi Greci si arrendessero innanzi alle visibili apparenze, atte a dimostrarne l'erroneità.

Il concetto della Terra sferica si riscontra in Pitagora (sec. VI a. C.) mentre nell'opera di Aristotele (384-322 a. C.) Περὶ ὀυρανοῦ troviamo discusse le ragioni in favore e contro la forma sferica, con la conclusione che, necessariamente, quest'ultima deve essere propria al corpo terrestre. Nell'ipotesi della Terra sferica, una delle prime ricerche da menzionare, per quanto concerne la determinazione della lunghezza del diametro o della circonferenza terrestre, è quella dell'alessandrino Eratostene (276-195 a. C.; v.). Sarebbe però erroneo il ritenere che prima di Eratostene non fossero state compiute misure per ricercare le dimensioni terrestri. Infatti, come indicano le dimensioni dei suoi monumenti (la piramide di Cheope ad esempio, ha il perimetro uguale alla centoventesima parte del grado del meridiano egiziano) il popolo egizio aveva compiuto, molto prima di Eratostene, la misurazione dell'arco di meridiano e adottato un sistema metrico sessagesimale, basato sulle dimensioni terrestri. Eratostene nella sua determinazione approfittò della circostanza che, all'epoca del solstizio d'estate, mentre i raggi del Sole entravano verticalmente in un pozzo di Assuan essi formavano, nello stesso giorno, con la verticale in Alessandria, un angolo α uguale α circa 1/50 di 360°. Essendo nota in circa 5000 stadî, la distanza s fra i due punti, apprezzata dai giorni di viaggio necessarî a percorrerla, dalla relazione C = 360 s/α. Eratostene dedusse per la circonferenza terrestre il valore C = 250.000 stadì, e quindi, supposto lo stadio uguale a 185 m., C = 46.250.000 m.

A simiglianza di Eratostene, operò Posidonio (135-51 a. C.) servendosi dell'arco Alessandria-Rodi. Egli aveva notato che la stella Canopo al suo tramonto a Rodi, era ancora alta ad Alessandria per 1/48 (7°30′) della circonferenza del meridiano celeste, donde la conclusione che la circonferenza terrestre è 48 volte l'arco di meridiano Rodi-Alessandria, e siccome ancor questo importa 5000 stadî, ne viene, per la misura di Posidonio, C = 44.400.000 m.

2. Dall'epoca di Posidonio, per trovare altra determinazione degna di nota, occorre passare all'anno 827 d. C., epoca in cui gli Arabi, sotto il Califfo Al-Ma'mūn, compiono nella pianura di Singiār, alla latitudine di 36°20′ una misura di grado. Secondo l'olandese Snellius, il risultato definitivo di questa determinazione darebbe, quale arco del quadrante del meridiano terrestre il valore di m. 10.359.000. Più recenti apprezzamenti sull'unità di misura adottata dagli Arabi porterebbero l'arco stesso addirittura molto prossimo ai 10.000.000 m. Una nuova misura di meridiano la si trova in Francia nel 1525, per opera del medico Fernel, che osservò la differenza di latitudine fra Parigi e Amiens a mezzo di un quadrante, e misurò la distanza fra i due luoghi mediante un contagiri applicato alla sua vettura. l] risultato, secondo calcoli riveduti dal Lalande, porta il quadrante del meridiano a 10.011.000 m.

3. Un nuovo periodo si inizia con il citato Willebrord Snellius (1591-1626), il quale, nella misura della distanza fra due paesi, impiegò per la prima volta il metodo ancor oggi in uso, consistente nel distendere fra le due località una triangolazione (v.), ossia una successione di triangoli, aventi due a due almeno un lato comune; triangolazione le cui dimensioni risultano poi note, pur di effettuare la misura degli angoli in numero sufficiente, e la misura di un lato: e, come oggi, alla conoscenza di quest'ultimo Snellius perveniva a mezzo di una piccola base, e relativo sviluppo. Con questo procedimento egli operò fra Alkmaar e Bergen op Zoom, dei quali punti aveva pur determinato le latitudini; come risultato, la lunghezza del quadrante della circonferenza terrestre risultò pari a m. 9.660.000.

Una nuova misura della sua rete, compiuta da Musschenbroek, portò al valore più esatto di 10.000.004 m. Poco dopo Snellius, l'inglese Norwood ne imitava il procedimento, operando fra Londra e York. Successivamente, in Italia nel 1645, Grimaldi e Riccioli applicavano nella loro determinazione un nuovo criterio, osservando, in luogo delle latitudini delle due stazioni estreme, le distanze zenitali reciproche delle stesse e deducendo l'angolo corrispondente, al centro della Terra, dalla relazione γ = z1 + z2 − 180, procedimento certo più semplice e più direttamente applicabile, se le distanze zenitali non fossero influenzate dalla rifrazione atmosferica. Il francese Picard nel 1670, partendo da una base stabilita fra Villejuif e Juvisy, e con una rete composta di 35 triangoli, misurò l'arco di meridiano stendentesi da Sourdon, presso Amiens, fino a Malvoisine.

4. Tutte le misure compiute fino a quest'epoca, e qui considerate, partivano dall'ipotesi che la Terra fosse sferica; ma nel corso del sec. XVII, dopo la scoperta dei teoremi sulla forza centrifuga di Huygens, e la scoperta del principio dell'attrazione universale di Newton, venne invece riconosciuto dovere la Terra presentare la forma di un ellissoide di rotazione schiacciato ai poli. Newton ne determinò, per di più, lo schiacciamento (rapporto fra la differenza dei semiassi, e l'asse maggiore) nell'ipotesi che la Terra, fluida in origine, fosse di densità uniforme: Clairaut, come vedremo più oltre, fece poi invece la valutazione dello schiacciamento indipendentemente da qualunque ipotesi sulla densità della massa terrestre. E del fatto che la Terra dovesse presentare uno schiacciamento ai poli si ebbe anche una conferma sperimentale per opera dell'astronomo Richer, il quale, nel 1672, portandosi da Parigi a Caienna, era stato costretto ad accorciare la lunghezza del suo pendolo a secondi, la qual cosa rivelava una diminuzione della gravità. Altra prova la forniva il calcolo, poiché Newton aveva riconosciuto doversi attribuire il fenomeno della precessione degli equinozî all'effetto dello schiacciamento terrestre.

A partire da quest'epoca, le determinazioni geodetiche acquistano quindi, quale scopo, oltre la conferma sperimentale della forma schiacciata dell'ellissoide terrestre, anche il calcolo delle dimensioni dell'ellisse meridiana. Accennammo già alla triangolazione intrapresa nel 1670 dall'astronomo Picard, per conto dell'Accademia di Parigi (fondata nel 1666): in quel lavoro fu fatto uso per la prima volta di forti cannocchiali a fili micrometrici, i quali permettevano di decuplare le lunghezze dei lati della triangolazione, e di aumentare immensamente la precisione nelle misure angolari. Lo stesso Picard affermò la necessità di prolungare la sua triangolazione per tutta la Francia, fra Dunkerque e Perpignano: l'operazione, non ultimata da lui, fu continuata dopo la sua morte (1680), dal 1693 fino al 1718, per opera di diversi operatori, fra cui Domenico Cassini, e soprattutto da suo figlio Giacomo. E la misura condusse a un risultato imprevisto, che cioè la Terra doveva avere la forma di un ellissoide allungato ai poli, in contrasto con quello che le deduzioni teoriche avevano fatto concludere a Newton, e eioè che la Terra fosse schiacciata ai poli per 1/230. Questa conclusione inattesa diede luogo a una lunga disputa fra !'Accademia di Parigi e quella di Londra, disputa che si risolse (in senso favorevole alle teorie di Newton e Huygens) solo dopo la spedizione del Perù (1735-1741) direita da C.-M. La Condamine, e della Lapponia (1736-1737) diretta da P.-L.-M. Maupertuis. In esse fu confermato il maggiore incurvamento del meridiano all'equatore, e cioè lo schiacciamento dell'ellissoide terrestre ai poli, mentre una contemporanea revisione dell'arco francese, dimostrava essere stata l'insufficienza della precisione nelle osservazioni geodetiche la causa della primitiva discordanza.

Nel 1740 N.-L. Lacaille e M. Cassini de Thury, figlio di Giacomo, procederono a una nuova misura dell'arco di Francia; successivamente Lacaille si recava ancora a determinare la lunghezza del grado al Capo di Buona Speranza; R.J. Boscovich operava fra Roma e Rimini, padre Beccaria misurava nel 1762 in Piemonte l'arco fra Andrate e Mondovì, e Mason e Dixon lavoravano in Pennsylvania, nel 1768.

Finalmente alla fine del sec. XVIII, per opera di J. B. J. Delambre e P. F. A. Méchain, aiutati dai consigli tecnici di J. C. Borda, e da quelli scientifici di Laplace, veniva intrapresa un'altra determinazione del meridiano francese, allo scopo di stabilire il metro, unità di misura lineare, che si volle assumere uguale alla diecimilionesima parte del quadrante del meridiano terrestre. In questa operazione, oltre ai lavori geodetici neeessarî, gli operatori fecero ancora buone determinazioni di latitudine nei cinque vertici di Dunkerque, Parigi, Evaux, Carcassonne e Montjouy (presso Barcellona), punti tutti distribuiti lungo l'arco. Queste misure, condotte dal 1792 al 1799 fra Dunkerque e Barcellona, vennero poi prolungate verso Sud, da J.-B. Biot e D.-F. Arago, fino all'isola Formentera, in guisa da abbracciare un arco dell'ampiezza di 12°30′.

Nell'epoca medesima, e precisamente nel 1783, il generale Roy iniziava in Inghilterra, nelle vicinanze di Londra, una triangolazione, continuata poi da Mudge, Colby e Airy, che la distendevano a Nord, fino alle isole Shetland: la triangolazione stessa fu poi ripetutamente collegata con quella francese, in guisa da costituire un'unica catena, della lunghezza di circa 22° di latitudine. Nel 1879 poi, in seguito al collegamento della Spagna con l'Algeria attraverso il Mediterraneo, si poté ottenere un'unica rete non interrotta di triangoli, dalle isole Shetland al deserto del Sahara, per una lunghezza di 34°. A quest'arco, inglese-francese-spagnolo, venne a far riscontro, nell'Europa orientale, l'arco russoscandinavo, protendentesi per 25°21′, dal Capo Nord fino allo sbocco del Danubio nel Mar Nero; la sua misura, iniziata nel 1817 dal generale von Turner e dall'astronomo W. Struve, risultò ultimata nel 1850.

5. Dal complesso di tutte queste ricerche sorse il bisogno di rinnovare le carte dei varî paesi, sostituendole con altre condotte con criterî veramente scientifici. Ben presto in tutti gli stati d'Europa si fu al lavoro, sì che negli ultimi ottant'anni del sec. XIX si vide l'Europa coprirsi di larghe reti di triangoli, mentre i metodi si modificavano, e gli strumenti si perfezionavano. Meritano particolare menzione la triangolazione eseguita da Gauss nel 1821-23 nel Hannover, e quella tracciata da Bessel e Bayer nel 1831-34 nella Prussia orientale; in questi lavori fu per la prima volta introdotta la teoria della compensazione delle osservazioni nelle reti stabilite.

Né alle misure del grado di latitudine (determinazione geodetica della lunghezza di un arco di meridiano, e osservazione delle latitudini astronomiche degli estremi) si tralasciò di unire anche misure del grado di longitudine (determinazione geodetica della lunghezza di un arco di parallelo, e osservazione della differenza di longitudine astronomica fra gli estremi); soltanto che, per le gravi difficoltà opponentisi a una valutazione corrispondentemente esatta della differenza delle longitudini astronomiche, non si poté trarre utile profitto dal secondo genere di misure, altro che dopo l'introduzione della telegrafia.

Intanto, nel sec. XIII, per lo sviluppo delle teorie meccaniche, si erano introdotti nuovi procedimenti per la determinazione della forma della Terra, basati su diverso principio, e cioè procedenti dalle osservazioni gravimetriche, eseguibili sulla superficie fisica del globo. Nel 1743 Clairaut, mostrava come lo schiacciamento s dell'ellissoide terrestre fosse determinabile con una semplice formula, pur di conoscere la legge di variazione della gravità sulla sua superficie. Nel 1749 d'Alembert indicava come i movimenti di precessione e di nutazione dell'asse terrestre, non fossero che una conseguenza dello schiacciamento, e Laplace calcolava i termini periodici nel movimento della Luna, dovuti a esso, riuscendo ad apprezzarne per tal via il valore a circa 1/300.

6. Proseguendo nella citazione dei metodi seguiti per la determinazione delle dimensioni del corpo terrestre, ricorderemo che il Bessel, assoggettando al calcolo di compensazione tutte le triangolazioni eseguite fino al suo tempo, ricavava per le costanti dell'ellissoide terrestre nel 1841 i valori a = 6.377.397 m., b = 6.356.079 m., s = 1/299,15.

Successivamente, nel 1866 il Clarke trovava a = 6.378.206 m., b = 6.356.584 m., s = 1/294,98, e dopo ancora, nel 1880, con calcolo più preciso a = 6.378.249 m., b = 6.356.515 m., s = 1/293,47; né taceremo che, mentre taluni inclinerebbero a portare lo schiacciamento terrestre al valore 1/289, prossimo cioè al rapporto fra la forza centrifuga e la gravità all'equatore, altri autori, come Bowditch, Pauker, Ritter, posero a base dei loro calcoli una superficie di rotazione con la sezione meridiana non ellittica; Schubert un ellissoide a tre assi, e Fergola un ellissoide di rivoluzione schiacciato, con l'asse minore inclinato, rispetto all'asse di rotazione terrestre: peraltro tutti questi tentativi non condussero a una determinazione più sicura delle dimensioni di simili superficie, e nemmeno stabilirono un migliore accordo fra quello che dava il calcolo e quanto era fornito dall'osservazione.

7. Per uniformare i risultati, collegare fra loro le diverse triangolazioni fin qui accennate, e formare un tutto omogeneo, si formò un'associazione, comprendente dapprima gli stati del centro d'Europa, poi l'Europa intera, quindi tutto il mondo civile: questo consesso prese il nome di Associazione geodetica internazionale e, fondata nel 1861 dal generale Bayer, durò in vita fino allo scoppio della guerra mondiale. Dopo qualche anno di studî e lavori preparatorî, prese forma definitiva nel 1886, assumendo il nome di Internationale Gradmessung, e incorporando tutte le nazioni europee, a eccezione dell'Inghilterra. Mentre il suo primo scopo fu il collegamento delle triangolazioni esistenti nell'Europa centrale, al fine di farle servire a una misura di grado, dalla Norvegia alla Sicilia, lungo un arco di meridiano di circa 22°, successivamente il suo programma venne a comprendere: determinazioni astronomiche di latitudine, longitudine e azimut; comparazione dei prototipi di misura lineari; misure di basi, triangolazioni-livellazioni trigonometriche e geometriche; determinazioni del medio livello dei mari; osservazioni di gravità assoluta e relativa; ricerche sulle deviazioni dalla verticale; ricerche sulla rifrazione terrestre. L'associazione poi curava che nei varî stati le misure astronomiche e geodetiche fossero condotte con metodi uniformi, in guisa che tutte potessero concorrere alla risoluzione del problema fondamentale della geodesia. Le relazioni sui lavori dell'associazione vennero pubblicate nei Comptes rendus des conférences de l'Association géodésique internationale. In Italia poi, collegata per il coordinamento dei proprî lavori con l'Associazione geodetica internazionale, ebbe vita dal 1865, una Commissione geodetica nazionale, sovrintendente ai lavori geodetici nel regno. L'ultima seduta dell'Associazione internazionale fu tenuta ad Amburgo nel 1912, poiché, dopo il 1914, con l'iniziarsi della guerra mondiale, come già si disse, essa cessò di esistere: col termine delle ostilità fu sostituita dall'Unione geodetica e geofisica internazionale, la cui prima assemblea generale ebbe luogo a Roma nel 1922.

Fra le maggiori operazioni eseguite sotto gli auspici della cessata Associazione geodetica internazionale sono da annoverarsi: l'arco anglofranco-spagnolo, che, da Laghonat alle isole Shetland, abbraccia 27° di latitudine; l'arco russo-scandinavo, che ha 25° di amplitudine, dal Danubio all'Oceano Glaciale; gli archi indiani fra le latitudini di 8° e 32° Nord; gli archi americani condotti negli Stati Uniti; gli archi africani che facilmente verranno prolungati fra il Capo di Buona Speranza e il Cairo; l'arco dell'Equatore (meridiano di Quito) misurato dai Francesi dal 1899 al 1906, mentre contemporaneamente i Russo-Svedesi misuravano un arco allo Spitzberg, da sostituire all'antico della Lapponia; l'arco del 52° parallelo, che attraversa l'Europa da Valenza a Omsk; i due archi obliqui degli Stati Uniti, lungo il litorale dell'Oceano Atlantico e dell'Oceano Pacifico; gli archi indiani e arnericani, attraverso l'Indostan e gli Stati Uniti. Combinando fra loro i dati forniti da queste vaste triangolazioni con quelli futuri, e coi dati gravimetrici delle osservazioni pendolari, si avrà il miglior materiale possibile che consenta di dedurre, per l'ellissoide terrestre di riferimento, le dimensioni più adatte, cioè capaci di mostrare le minori discordanze con i risultati delle osservazioni.

Per intanto gli studî e le ricerche di F. R. Helmert, il caposcuola della geodesia moderna, portano a concludere che il semidiametro maggiore dell'ellisse meridiana della Terra ha un valore maggiore di quello stabilito da Bessel, e che lo schiacciamento dato da Clarke è troppo forte. Il geodeta tedesco, nel 1901, tenendo conto dei dati gravimetrici fino allora raccolti, calcolò per la detta costante il valore s = 1/298,4 e più tardi, nel 1907, per il semiasse maggiore, il valore a = 6.378.200 m. Per suo conto, M. Hayford, discutendo le numerosissime e importanti misurazioni americane, dedusse per i due parametri in discorso s = 1/297,0, a = 6.378.388 m., in buon accordo con Helmert.

L'Unione geodetica e geofisica internazionale, nella seconda assemblea generale tenuta a Madrid (ottobre 1924), desiderosa di adottare un ellissoide di riferimento unico, consacrava questi risultati con la decisione di assumere quali costanti di detto ellissoide (ellissoide internazionale) i valori forniti dai calcoli di Hayford, attribuendo a essi gli errori probabili per essi stessi dedotti da Helmert. Ne consegue che le dimensioni di questo ellissoide rimangono stabilite definitivamente nelle seguenti:

Al contempo, l'Unione suggeriva ai servizî geodetici dei varî stati di assumere, come superficie di riferimento a base dei calcoli delle proprie triangolazioni, l'ellissoide suaccennato, e si addossava l'incarico di procedere al calcolo delle tavole numeriche relative all'anzidetta superficie, nel doppio sistema sessagesimale e decimale.

8. Da quanto si è esposto, risulta che, fino quasi all'epoca contemporanea, i geodeti diressero i loro sforzi a contributo del problema che, dai tempi remoti, fu lo scopo della geodesia: figura e dimensioni della Terra. Dalla metà del sec. XVIII, dimostrato per Newton che la Terra doveva avere la forma di un ellissoide di rotazione schiacciato ai poli, essi, e fino alla metà del sec. XIX, non si preoccuparono che della deduzione delle dimensioni dell'ellissoide medesimo, vuoi con le misure di grado, vuoi con le note formole di Clairaut. Ma a misura che più grande perfezione si raggiungeva nella costruzione degli strumenti, a misura che maggior cura si poneva nella scelta dei procedimenti di osservazione e di calcolo, il problema della determinazione delle dimensioni della Terra si complicava vieppiù, poiché, purtroppo, le discordanze fra il calcolo e l'esperienza apparivano tali da non potersi ascrivere a errori d'osservazione.

In cospetto di due nuove constatazioni: le deviazioni dalla verticale e le anomalie nella gravità, essi furono costretti a portare la loro attenzione non più soltanto sulla superficie esterna del corpo terrestre, ma ancor più sulla sua costituzione interna, e particolarmente sulla costituzione della corteccia terrestre. La meccanica insegna che la forma sferica per la superficie del nostro globo, e anche per le superficie di livello terrestri, sarebbe verificata se la Terra fluida e costituita di strati concentrici di densità costante, crescente con la profondità, e priva del suo movimento di rotazione, non si trovasse di conseguenza, in ogni unità della sua massa, che soggetta alla sola gravitazione. Il movimento rotatorio peraltro realmente esiste; ne consegue la forza centrifuga, e l'unità di massa viene a essere così sottoposta alla gravità, risultante delle due altre forze; le superficie di livello, normali alla sua direzione in ogni elemento, non saranno più sfere, ma ellissoidi di rotazione, schiacciati ai poli. Ma ancora un altro fattore concorre a variare ulteriormente la forma delle superficie di livello; la circostanza, cioè, che in effetto, la superficie esterna terrestre non è fluida, bensì solida per buona parte e accidentata; per simile causa le superficie di livello esterne finiscono per risultare di forma complessa, forma che, se pur è poco dissimile da un ellissoide di rotazione schiacciato, finisce per essere in ogni località subordinata alle circostanze peculiari della località medesima. La regolarità nella distribuzione crescente della densità verso l'interno del globo, non avverrà più se non a partire da una certa profondità; sarà da tale profondità che le superficie di livello potranno considerarsi distribuite in strati ellissoidali concentrici. La superficie esterna del mare, sottratta la massa delle acque alle azioni perturbatrici delle maree, delle correnti, dei venti ecc. sarebbe atta a rappresentarci materialmente una superficie di livello; fu a questa superficie, immaginata prolungata sotto ai continenti, in guisa da chiudersi su sé stessa, che Gauss e Bessel diedero il nome di superficie matematica della Terra, e che più tardi Listing denominò geoide (v. sotto).

È evidente come lo studio della ricerca della figura e delle dimensioni del nostro globo possa concludersi nello studio delle superficie di livello, e, meglio ancora, del geoide. Data la sua irregolarità, sarà di prezioso ausilio la determinazione dell'ellissoide che meglio lo rappresenta, e che potrà comprendere sia la ricerca dell'ellissoide generale, che più si avvicina al geoide nella sua interezza, quale fu per lungo tempo il problema della geodesia, sia la ricerca dell'ellissoide particolare che con più approssimazione rappresenta una particolare regione, e sul quale dovrà intendersi sviluppata una qualunque triangolazione geodetica di quella, una qualunque misura di grado. L'ellissoide in questo caso prende il nome di ellissoide di riferimento: esso dovrà risultare perfettamente stabilito in posizione, forma e dimensioni. L'ellissoide di riferimento adottato attualmente è quello internazionale (v. sopra).

Posta così la suddetta superficie a base dei calcoli, il molteplice scopo odierno della geodesia, di determinare la forma e le dimensioni della superficie di livello terrestre, e in particolare del geoide, è assai facilitato trattandosi di determinare punto per punto le deviazioni di questo dalla superficie dell'ellissoide di riferimento.

Fondamenti teorici.

1. Sguardo generale. Forma e dimensioni della Terra. - Lo scopo precipuo della geodesia è, come si è detto, la determinazione della forma e della grandezza della Terra. Bisogna però stabilire che cosa si voglia intendere per superficie matematica terrestre. La superficie fisica, come tutti sanno, è molto irregolare; ma, d'altra parte, sollevamenti montuosi e profondità marine sono poca cosa a paragone della grandezza della Terra: si capisce allora come alla superficie fisica si possa sostituire una superficie matematica semplice: in prima approssimazione, una superficie sferica; in seconda approssimazione, un ellissoide di rotazione schiacciato. Si ammette anzi (sebbene non sia rigoroso) che la superficie dei mari tranquilla faccia parte di questa sfera o di questo ellissoide. Quando si dice superficie dei mari tranquilla, s'intende astrarre da tutte le correnti, dalle maree, dall'influsso dei venti, dalle differenze di pressione atmosferica, di salsedine e di temperatura. Volendo in qualche modo dar consistenza a questo stato ideale, si pensa alla cosiddetta superficie media dei mari, che si determina con osservazioni mareografiche. Un mareografo è, nella sua parte essenziale, una scala indicatrice del pelo libero delle acque, per mezzo della quale si può determinare un numero che corrisponda alla media dei livelli marini osservati più volte al giorno e per un lungo periodo (circa un anno almeno). Il luogo dei punti medî, che così si determinano in ogni costa marittima dove esista un mareografo, costituisce appunto la superficie media dei mari; e si può ritenere (in verità con un'approssimazione piuttosto grossolana) che questa superficie sia quella secondo la quale si disporrebbe il pelo libero delle acque, se non esistessero le cause perturbatrici dell'equilibrio alle quali abbiamo accennato (azioni lunisolari, correnti, ecc.). Astraendo da queste azioni, le acque sono sottoposte soltanto al loro peso, cioè alla risultante dell'attrazione, che su ogni particella del mare esercita il nostro pianeta, e della cosiddetta forza centrifuga, dovuta alla rotazione del pianeta stesso intorno al suo asse. Se immaginiamo (fig. 1) un filo a piombo cM sospeso a un punto c invariabilmente legato alla Terra, il punto M è sottoposto all'attrazione terrestre MH, alla forza centrifuga MK che agisce lungo la perpendicolare MN alla linea dei poli PP′, e alla tensione del filo ML. Poiché le tre forze si fanno equilibrio, la tensione ML del filo è opposta alla risultante di MH e MK: l'intensità di ML è quello che chiamiamo peso del punto materiale M; la direzione c M si chiama direzione di libera caduta dei gravi o verticale (volgarmente filo a piombo). È intuitivo che la superficie libera del mare, in quanto si pensi sottoposta soltanto al suo peso, debba avere in ogni suo punto la normale geometrica coincidente col filo a piombo. Se così non fosse, avremmo una componente del peso secondo la normale geometrica (inefficace perché i liquidi sono sensibilmente incomprimibili), ma anche una componente orizzontale, che, per la grande scorrevolezza dei liquidi, darebbe luogo a una corrente, rendendo impossibile l'equilibrio. Senza alcuna ambiguità, si può immaginare che questa superficie libera del mare venga prolungata sotto i continenti con la legge che incontri nel suo camminio sempre ad angolo retto i fili a piombo. Per darne una immagine materiale anche nella sua parte inaccessibile, si suole ricorrere all'ipotesi che i continenti siano percorsi da una fitta rete di canali sotterranei infinitamente sottili nei quali l'acqua possa penetrare (naturalmente con spostamenti trascurabili di massa). Si ha così una superficie chiusa, che J.B. Listing (Gottinga 1873) chiamò geoide. Più in generale, si chiamano superficie di equilibrio terrestri quelle che incontrano ad angolo retto i fili a piombo. Di queste superficie ne esistono infinite: alcune tutte esterne alla superficie fisica della Terra; altre, come il geoide, parte interne e parte esterne a quella. Queste ultime, naturalmente, sono le più complicate. Le superficie d'equilibrio, infatti, dipendendo dal modo come si distribuiscono i fili a piombo, sono legate al modo di variare dell'attrazione terrestre e quindi alla distribuzione delle densità interne, soprattutto degli strati terrestri più vicini alla regione di superficie considerata. Ora nel passaggio dall'esterno all'interno della superficie fisica terrestre si verificano variazioni brusche di densità, che sono risentite come variazioni brusche di curvatura dalle relative superficie d'equilibrio. Per dare un esempio semplice ed elementare di siffatte variazioni, si consideri un arco di cerchio e si pensi di prolungarlo da un estremo per mezzo di un altro arco di cerchio (complanare) tangente al primo in quell'estremo ma avente raggio differente da quello del primo arco: i due archi si raccordano in modo che la tangente varia con continuità lungo l'arco complessivo, ma nel punto di raccordo la curvatura evidentemente ha un salto. Si può dimostrare che le superficie d'equilibrio, internandosi nel suolo, si abbassano (rispetto alla posizione che avrebbero avuto senza la presenza delle masse soprastanti), tanto più quanto più denso e spesso è il terreno sovraincombente: sotto l'altipiano del Pamir (circa 4 km. d'altitudine), l'abbassamento può raggiungere il valore (non trascurabile) di circa 2 metri. È questa la ragione per cui non è lecito, a rigore, supporre che il geoide sia in toto una sfera o un ellissoide, se non trascurando in prima approssimazione gli abbassamenti anzidetti.

Fatta, a ogni modo, l'ipotesi che il geoide sia una sfera, non c'è che da determinarne il raggio. Per questo, basta evidentemente misurare un arco A1A2 (sufficientemente lungo) di meridiano e determinare l'angolo al centro A2OA1 corrispondente (fig. 2). Quest'ultimo è la differenza tra le latitudini ϕ2 e ϕ1 negli estremi A2 e A1 dell'arco: latitudini che si determinano con osservazioni stellari (nella nostra ipotesi, OA1 e OA2 sono le verticali dei luoghi terrestri A1 e A2, EE rappresenta la linea dell'equatore). Conosciuto il raggio terrestre, si possono calcolare gli elementi incogniti dei triangoli sferici (a lati di 60-100 km.) della rete geodetica distesa sulla superficie terrestre (v. triangolazione) e dedurre anche le comuni coordinate geografiche (latitudine ϕ e longitudine Φ) dei varî vertici della rete stessa. Se si compiono osservazioni astronomiche di latitudine e longitudine su questi vertici (supposti accessibili), si può vedere in modo preciso e particolareggiato, col confronto tra elementi calcolati ed elementi osservati, quanto l'ipotesi sferica si allontani dalla realtà. Nell'ipotesi sferica, infatti, la verticale d'un punto terrestre M è la congiungente di questo punto col centro (di massa) della Terra, e gli elementi calcolati ϕ e Φ si riferiscono a questa congiungente; ma in realtà la verticale effettiva è un'altra (fig.1) e forma un piccolo angolo con la prima: le operazioni astronomiche dànno appunto la latitudine astronomica (o geografica) del punto M, cioè il complemento dell'angolo che la verticale (vera) passante per M forma con la parallela per M alla linea dei poli (asse locale), e la longitudine astronomica (o geografica) di M, cioè l'angolo diedro che il piano della verticale e dell'asse locale predetti (meridiano astronomico di M) forma con un piano fondamentale passante per la linea dei poli.

Indichiamo rispettivamente con l e λ queste coordinate astronomiche. Le differenze l − ϕ e λ − Φ misurano le deviazioni del geoide dalla sfera. Queste deviazioni risultano troppo grandi: già i valori del raggio terrestre, dedotti da misure geodetico-astronomiche compiute in differeriti luoghi del globo, erano troppo discordi, e l'ipotesi sferica fu dovuta abbandonare. Con le ricerche teoriche di Newton nella seconda metà del sec. XVII e poi con le famose misure di archi di meridiano eseguite dal 1735 al 1745 (v. sopra), si affermò l'ipotesi che il geoide sia assai meglio rappresentato da un ellissoide schiacciato di rotazione, del quale l'asse minore coincida con quello della rotazione diurna. Basta pensare che nella fig. 2 l'asse OP sia un po' più piccolo dell'asse OE (per le piccole dimensioni della figura la differenza riuscirebbe quasi impercettibile): si ha allora un'ellisse, che, compiendo un intero giro intorno a PP′, genera appunto un ellissoide. I procedimenti di misura non cambiano essenzialmente nel passaggio dall'ipotesi sferica all'ipotesi ellissoidica. Poiché l'ellissoide è geometricamente determinato da due parametri, il semiasse maggiore a e il semiasse minore b (OE e OP della fig. 2), occorrono almeno due misure di archi di meridiano (archi di ellisse) per determinare l'ellissoide terrestre. Invece del parametro b, si suole considerare l'eccentricità e, ovvero lo schiacciamento s, che hanno le espressioni seguenti:

Determinare a e s, p. es., vale quanto determinare a e b. Nell'ipotesi ellissoidica, la verticale p. es. nel punto A1 (fig. 2) non è più OA1, ma la normale all'ellisse nel punto stesso, la quale normale incontra l'asse della rotazione diurna PP′ in un punto un po' al di sotto di O. L'angolo dell'anzidetta normale con OE è la latitudine e ellissoidica del punto, mentre la longitudine ellissoidica è l'angolo del meridiano ellissoidico (piano contenente PP′ e il punto dato) con un meridiano fondamentale (piano passante per PP′). Questi due parametri, che continueremo a indicare con ϕ e Φ, si chiamano anche le coordinate ellissoidiche del punto. Triangoli della rete geodetica non sono più, naturalmente, triangoli sferici, ma triangoli formati da tre archi di geodetica, chiamandosi così, su qualsiasi superficie, ogni linea che rappresenti il più breve cammino per andare da un punto a un altro (abbastanza vicino) della superficie (senza uscire da questa). ll triangolo geodetico, del resto, non è che la generalizzazione su una superficie qualsiasi del triangolo sferico. Si sa, infatti, dalla geometria elementare, che un arco di cerchio massimo (geodetica della sfera) segna) il più breve cammino tra i due estremi (purché l'angolo al centro corrispondente non superi π). Per avere un'immagine della geodetica sopra una superficie qualsiasi, si adagi su di essa (dalla sua parte convessa) un filo flessibile e inestensibile, tendendolo fortemente agli estremi: esso si dispone appunto secondo una geodetica della superficie (prescindendo dal peso del filo e dall'attrito). Conosciuti a ed s, il problema di calcolare sull'ellissoide gli elementi incogniti dei triangoli della rete geodetica (determinata con una misura di base e con misure angolari) è un problema di geometria ellissoidica, che si sa perfettamente risolvere; e si possono anche calcolare le coordinate ellissoidiche ϕ e Φ dei vertici della rete stessa. Se si compiono determinazioni astronomiche di latitudine e di hongitudine in questi stessi vertici, si potranno avere i valori osservati l e λ delle coordinate astronomiche: questi potranno essere paragonati con i valori calcolati ϕ e Φ, e dalle differenze l − ϕ, l − Φ (deviazioni dalla verticale, in latitudine e in longitudine) ci si può fare un'idea adeguata della bontà dell'ipotesi ellissoidica. Questa ipotesi corrisponde abbastanza bene ai fatti: i valori di a e s, dedotti da misure astronomicogeodetiche compiute in regioni differenti della Terra, presentano un accordo soddisfacente per i bisogni della pratica (conoscenza precisa delle varie regioni terrestri e loro esatta rappresentazione cartografica). Tuttavia sussistono deviazioni l − ϕ, λ − Φ (di pochi secondi d'arco, in generale), che non possono essere ascritte a errori accidentali d'osservazione e che perciò dimostrano l'esistenza di differenze sistematiche tra il geoide e l'ellissoide. Si può anzi, per mezzo di queste differenze, procedere a una ulteriore approssimazione e costruire il geoide, almeno in una piccola regione. Sia M (fig. 3) un punto dell'ellissoide e MH sia la verticale (effettiva) passante per M; sia M′ il punto in cui questa verticale incontra il geoide sconosciuto. Se il punto M è un vertice della rete geodetica distesa sull'ellissoide, esso è perfettamente determinato sull'ellissoide; epperò se si può fissare la posizione della verticale MH rispetto all'ellissoide e determinare la lunghezza del segmento h = MM′ (scostamento lineare del geoide dall'ellissoide), si capisce la possibilità di costruire il geoide per punti. Ora la verticale MH è fissata di posizione per mezzo delle coordinate l e λ, determinate con osservazioni astronomiche in M; d'altra parte essa si può ritenere normale al geoide in M′ (perché le verticali di M e M′, quand'anche lo spostamento h sia di un chilometro, formano in generale un angolo minore di 0″,2, mentre poi i fatti dimostrano che gli h non superano i 100 metri); ne viene che, combinando misure geodetiche e astronomiche, si possono assegnare le normali MH al geoide sconosciuto (praticamente in un grande numero di punti), e allora la determinazione del geoide è ricondotta a un problema notissimo di geometria (determinazione di una superficie quando se ne conoscano le normali). Naturalmente vi sono infinite superficie che ammettono le stesse normali, ma una è individuata quando si assegni un punto per il quale debba passare; il che vuol dire che h resta determinato in ogni punto, purché si conosca in un punto solo. Per questo basta, p. es., supporre che l'ellissoide di partenza, pur avendo sempre l'asse minore parallelo all'asse del mondo, abbia tale posizione da passare per un dato punto fisico M0 (per es. per lo zero mareografico d'una data costa) e da avere ivi la normale M0L coincidente con la verticale. In pratica il problema si complica, perché le misure non si compiono né in M né in M′, ma in punti della superficie fisica della Terra. Di qui la necessità di riduzioni delle misure all'ellissoide (o al geoide), nelle quali ha grande importanza, come è naturale, la conoscenza dell'altitudine (altezza sul mare) dei punti terrestri, sui quali si compiono le operazioni astronomico-geodetiche: ecco perché l'altimetria o livellazione (per la quale v. livellazione e i trattati di geometria pratica) è anche il necessario complemento delle predette misure per l'effettiva determinazione del geoide.

Un contributo notevole a questa determinazione del geoide è dato pure dalle misure di gravità, oggidì in tanto onore. L'accelerazione di gravità (o semplicemente gravità) in un punto M non è altro che il peso diviso per la massa del piombino M sospeso al punto c (fig.1); cioè l'accelerazione con la quale il punto materiale M cadrebbe secondo la verticale cM (nel moto incipiente), se fosse abbandonato a sé stesso (senza velocità iniziale rispetto alla Terra). L'accelerazione di gravità si determina per mezzo del pendolo (v. gravimetria).

Il nesso tra queste misure e la forma della Terra risiede nel seguente principio. Se si suppone che una superficie d'equilibrio terrestre esteriore sia, p. es., un determinato ellissoide, si è in grado (essendo note la massa totale e la velocità di rotazione della Terra) di calcolare i valori della gravità in ogni punto dell'ellissoide stesso: misurando la gravità per mezzo del pendolo negli stessi punti, si possono paragonare i valori misurati con quelli calcolati, mettendo così a cimento l'ipotesi fatta. Non solo; ma per mezzo delle anomalie gravimetriche (differenze tra la gravità osservata e quella calcolata) si può determinare la vera forma del geoide, cioè si possono (come per mezzo delle deviazioni della verticale, ma in verità con minore precisione), determinare gli scostamenti h del geoide dall'ellissoide. Questo teorema, sul quale si fondano tutte le investigazioni odierne sulla determinazione della forma della Terra per mezzo delle misure gravimetriche, è dovuto a G. G. Stokes (Cambridge 1849).

Infine va fatto un cenno sulla determinazione dello schiacciamento terrestre con metodi puramente astronomici. I più importanti sono quelli fondati sulle ineguaglianze del moto lunare e sui fenomeni di precessione e nutazione (v. equinozî). La Luna non è così lontana dalla Terra che si possa nello studio del suo moto considerare l'intera massa terrestre concentrata in un punto; il rigonfiamento equatoriale terrestre cagiona nel moto lunare piccole perturbazioni, determinabili con le osservazioni; e poiché queste perturbazioni dipendono in modo semplice dallo schiacciamento s, questo si può dedurre dal moto lunare. Così pure i fenomeni di precessione e nutazione, dovuti alle azioni lunisolari sul rigonfiamento equatoriale terrestre, possono essere usati per il calcolo dello schiacciamento terrestre (facendo però qualche ipotesi sulla densità interna della Terra). Con questi metodi si son trovati valori di s in buon accordo con quelli dedotti da misure geodetico-astronomiche e gravimetriche. Chiudiamo questa parte generale ripetendo i valori a e s ottenuti in classiche determinazioni fondate su misure di giganteschi archi di meridiano (v. triangolazione) e su determinazioni gravimetriche.

Quest'ultimo (v. Storia) è stato scelto come ellissoide internazinale (da servire al calcolo delle nuove triangolazioni) dall'Unione geodetica e geofisica internazionale nell'assemblea di Madrid (1924).

2. Geoide; sue proprietà. - Si riferisca la Terra a una terna di assi Oxyz, solidali con la Terra stessa, uscenti dal suo centro di massa O, e dei quali l'asse z coincida con quello della rotazione diurna, supposto di direzione invariabile (a prescindere dal moto di precessione). Sia V il potenziale newtoniano terrestre, f. la costante dell'attrazione universale (f = 67 × 10-9 unità C. G. S.), ω la velocità di rotazione (in senso scalare) della Terra (ω =2π/86164 sec.-1); il potenziale terrestre totale è dato da

Le derivate prime di W, calcolate in un punto M(x, y, z), non sono altro che le componenti assiali dell'accelerazione di gravità in quel punto (n. 1). Naturalmente, si prescinde dalle accelerazioni impresse al punto dalle attrazioni degli altri corpi celesti. Si calcola facilmente che l'accelerazione relativa, che risente il punto M per l'attrazione lunare, non supera in grandezza 0,0001 cm./sec.2; quella derivante dall'azione solare è approssimativamente la metà. Se si tien conto che l'errore delle migliori determinazioni gravimetriche si aggira intorno a o,003 cm./sec2, si conclude che le azioni lunisolari (a fortiori quelle dovute agli altri corpi celesti) sono trascurabili nello studio della configurazione d'equilibrio della Terra. Quelle azioni vanno invece considerate nella teoria delle maree. Le superficie W = costante sono le superficie d'equilibrio terrestri (n. 1) normali in ogni punto ai fili a piombo. Il geoide è quella superficie d'equilibrio terrestre che passa per il punto medio marino d'un dato luogo.

Se la densità k si suppone integrabile nell'interno della Terra, la funzione potenziale V è continua in ogni punto dello spazio e dotata di derivate parziali prime continue. Se ne deduce che le superficie d'equilibrio sono in tutto lo spazio superficie continue dotate in ogni punto di piano tangente (salvo punti in cui l'accelerazione di gravità si annulli). Sotto ipotesi plausibili, P. Pizzetti ha inoltre dimostrato che fino a una distanza dal centro della Terra sestupla del raggio terrestre le superficie di equilibrio esteriori sono chiuse. Si può anche provare l'esistenza di superficie di equilibrio interiori chiuse fino a 600 km. sotto la superficie terrestre, purché si ammetta che fino a quella profondità la densità degli strati terrestri non superi il sestuplo di quella dell'acqua (v. Pizzetti, Principî della teoria meccanica della forma dei pianeti, Pisa 1913, p. 18).

In punti esterni a tutte le masse terrestri, V ammette derivate parziali continue di qualsivoglia ordine; in particolare le derivate seconde annullano il laplaciano (ΔV = 0). La V è anzi analitica nel dominio dei punti esterni alla Terra, e analitiche sono quindi le superficie d'equilibrio esteriori. Nell'ipotesi che la densità k ammetta derivate prime limitate e integrabili (e in ipotesi più generali), la V ammette anche in ogni punto M (x, y, z) interno alle masse terrestri derivate seconde continue verificanti l'equazione di S. D. Poisson ΔV = − 4 πk (x, y, z). Ne segue che qualcheduna delle derivate seconde di V deve necessariamente subire una discontinuità nel passaggio dall'esterno all'interno delle masse terrestri. Tutt'altro che facile determinare queste discontinuità, le quali dipendono e dalla natura della superficie attraversata e dalla funzione k. Nel caso semplice che si passi dalla densità costante k1 alla densità costante k2 attraverso a una suoerficie sferica, si ha

dove con u, v, s'indica una qualsivoglia coppia delle variabili x, y, z, mentre n indica la normale alla superficie sferica di discontinuità, positiva nel senso che va dal mezzo di densità h1 a quello di densità k2. Queste formule, tuttavia, sono state applicate da H. Bruns (Die Fiour der Erde, Berlino 1878) al caso della Terra, per dedurne le discontinuità di curvatura che subiscono le superfcie d'equilibrio nell'internarsi nel suolo (n. 1). Se in un punto M della superficie d'equilibrio W = costante si assume come asse z la normale alla superficie stessa (cioè la verticale per M), si ha, chiamando R1 e R2 i raggi principali di curvatura della superficie in M:

essendo g l'accelerazione di gravità in M. Per mezzo di (3) e (4), si può calcolare il salto di 1/R1 + 1/R2, nel passaggio dall'esterno all'interno delle masse terrestri, cioè quando la densità salta bruscamente dal valore zero a quello k degli strati terrestri attraversati. Se si sceglie l'asse x nel piano della verticale e della normale alla superficie di discontinuità, questo salto ha la seguente espressione:

essendo γ l'angolo della normale alla superficie di discontinuità con la verticale. Dato che un ellissoide passante per lo zero mareografico d'una costa sia superficie di equilibrio nella sua parte visibile, esso non può conservarsi tale nella sua parte invisihile sotto i continenti (dove non può costituire se non il prolungamento analitico della parte visibile): la continuazione (non analitica) nell'interno del suolo si abbassa invece rispetto all'ellissoide (n. 1); e per mezzo delle (4), (5) si può trovare che questo abbassamento δ, per γ piccolo, è dato dalla formula

essendo R0 e km, il raggio medio e la densità media terrestri, H l'altitudine della costa.

In conclusione, lungo ogni linea d'intersezione con la superficie topografica terrestre, il geoide subisce discontinuità nelle sue curvature, ma le due parti di esso (visibile e invisibile) si raccordano in maniera che in ogni punto della linea hanno lo stesso piano tangente.

3. Ipotesi ellissoidica; ellissoide di riferimento e determinazione dei suoi parametri. - A prescindere dalle masse terrestri emergenti sul mare e in prima approssimazione, si suppone che il geoide sia rappresentato da un ellissoide di rotazione, del quale abbiamo già definito eccentricità e schiacciamento, dati dalle (1). Chiamando ρ e N rispettivamente il raggio di curvatura del meridiano e il segmento di normale compreso tra il punto e l'asse di rotazione (raggi principali di curvatura), si ha

essendo ϕ la latitudine ellissoidica (n. 1). Le equazioni parametriche della superficie sono

essendo Φ la longitudine ellissoidica (n. 1). Il quadrato dell'elemento lineare è dato da

essendo r = N cos ϕ il raggio del parallelo.

Per mezzo delle formule precedenti, è facíle trovare la lunghezza d'un arco o di meridiano in funzione di a ed e: di qui deriva la possibilità di determinare con le misure questi parametri, come già abbiamo accennato.

4. Triangolo geodetico. Calcolo della triangolazione geodetica sull'ellissoide. - Su di una qualsiasi superficie le geodetiche si possono caratterizzare come quelle linee, lungo le quali la normale principale coincide con la normale alla superficie; e, con certe restrizioni, esse sono anche (secondo la definizione del n. 1) le linee di minimo cammino sulla superficie. Per le superficie che occorre considerare in geodesia, accade che due punti individuano in generale una geodetica. Tre punti, in una siffatta superficie, individuano un triangolo geodetico, i cui lati sono gli archi di geodetica, che congiungono i tre punti a due a due. Quando si è misurato un arco geodetico di base (per mezzo di una catena di triangoli che possono essere considerati piani o sferici) e si è convenientemente riportato sull'ellissoide di riferimento, si tratta di appoggiarvi la triangolazione e di calcolare gli elementi incogniti dei varî triangoli geodetici. Ora una prima questione che si presenta è che gli angoli misurati col teodolite sono angoli di sezioni normali e non di geodetiche: bisogna perciò vedere in che relazione stanno gli angoli misurati con quelli richiesti.

Coordinate geodetiche polari. - Un sistema di coordinate curvilinee utilissimo in geodesia è quello che generalizza su una superficie le coordinate polari nel piano (v. coordinate; n. 26). Preso un punto P della superficie come polo e supposto che vi sia una geodetica, ed una sola che congiunga P con un altro punto M della superficie, le coordinate geodetiche polari di M sono la lunghezza, dell'arco PM di geodetica (distanza geodetica dei due punti) e l'angolo α che la geodetica PM forma con una geodetica fondamentale uscente dal polo P. Il quadrato dell'elemento lineare della superficie prende allora la forma

Sviluppi di Minding. - Si assuma un sistema di assi cartesiani con l'origine nel polo P, l'asse z coincidente con la normale alla superficie in P, gli assi x e y secondo le tangenti alle linee di curvatura della superficie per P. Se la superficie è analitica nell'intorno di P, si hanno, in un conveniente intorno di P, gli sviluppi:

che legano le coordinate cartesiane x, y, z del punto M con le sue coordinate geodetiche polari σ, α; R1 e R2 sono i raggi principali di curvatura della superficie in P, Rα è il raggio di curvatura in P della geodetica PM. Questi sviluppi furono dati da F. Minding (Crelle, XLIV, 1849, pp. 66-72), poi da V. A. Puiseux (1851) e infine da J. Weingarten (1862), sotto il cui nome vanno. Detto ϑ l'angolo che la sezione normale in P passante per M forma con l'asse x, si ha y = x tang ϑ; si chiami poi s l'arco di sezione normale compreso tra P e M: tenendo conto delle (11), si trova:

dove Tα è il raggio di torsione in P della geodetica PM. Per σ tendente a zero, ϑ − α è infinitesimo del 2° ordine; s − σ, del 5° ordine. Nel caso dell'ellissoide terrestre, per σ = 100 km., ϑ − α è un angolo che, espresso in secondi, non supera 0,014. Di qui l'importante conseguenza: al posto degli angoli tra geodetiche possono essere sostituiti, nella rete, gli angoli effettivamente misurati tra le corrispondenti sezioni normali. Posto R = √R1R2 (nel caso d'una superficie a curvatura totale positiva), si trova dalle (11), a meno di termini di 4° grado in σ:

epperò l'intorno della superficie in quest'ordine d'approssimazione è applicabile su una sfera di raggio R [per la quale appunto λ = Rsen(σ/Ρ)]. Di qui s'intuisce che varrà nell'intorno di P una trigonometria sferica per i triangoli geodetici della superficie. Un'analisi più accurata mostra in quale ordine d'approssimazione valgano le varie relazioni trigonometriche (v. F. Severi, Sulla curvatura delle superficie e varietà, in Rend. del Circ. mat., Palermo 1917; e C. Mineo, Paragone d'un intorno superficiale con un intorno sferico o pseudosferico, ibid., 1923). Nella geodesia si trae grande partito da questi teoremi d'approssimazione: sull'ellissoide terrestre i triangoli geodetici, i cui lati non superano i 200 km. si possono trattare e risolvere come triangoli appartenenti a sfere di raggi opportunamente scelti. Fondamentali in proposito sono i lavori di Gauss (1828), E. B. Christoffel (1868), J. Weingarten (1869-70), G. Darboux (1890), P. Pizzetti (1906). Con le funzioni ellittiche si possono risolvere con tutta l'esattezza desiderabile triangoli di qualunque grandezza (v. G. H. Halphen, Traité des fonctions elliptiques, parte 2ª, Parigi 1888, pp. 286-302).

Trasporto delle coordinate e dell'azimut lungo una geodetica. - Questo problema è di fondamentale importanza, nella geodesia, per il calcolo delle coordinate ellissoidiche nei varî vertici della rete (n. 1). Sopra una superficie si considerino in generale le coordinate u e v d'un punto di una geodetica come funzioni del suo arco s contato a partire dal punto iniziale (u0, v0). S'introducano le due variabilí normali (R. Lipschitz)

dove l'indice zero denota che le derivate sono calcolate nel punto iniziale. Se la superficie è analitica nell'intorno di (u0, v0), segue che le coordinate u, v d'un punto della geodetica sono sviluppabili, in un conveniente intorno del punto iniziale, in serie di potenze, rispetto non solo all'arco s, ma anche alle variabili normali (14). Queste serie sono della forma

Nel caso dell'ellissoide terrestre, le (15) dànno i notissimi sviluppi di A. M. Legendre (1787):

dove a0 è l'azimut della geodetica nel punto iniziale (cioè l'angolo di essa col meridiano ellissoidico); P0,N0 sono dati dalle formule (7). Le (16), spinte fino ai termini di 3° grado in s, servono a calcolare con sufficiente precisione le coordinate ellissoidiche ϕ e Φ nell'estremo dell'arco s, quando questo non supera i 100 km. Per mezzo del notissimo teorema di A. C. Clairaut (r sen a = r0 sen α0), si può anche calcolare l'azimut α nell'estremo dell'arco. Il problema del trasporto (dati ϕ0, Φ0, s e α0 trovare ϕ, Φ, α) è così interamente risolto. Ma le (15) sono invertibili, perché il jacobiano ∂(u, v)/∂ (p, q) non è nullo nel punto iniziale; ne consegue che da esse si possono ottenere, per p e q, degli sviluppi in serie secondo le potenze di uu0, vv0, convergenti in un conveniente dominio intorno al punto (u0, v0). L'inversione delle (15) nel caso dell'ellissoide terrestre porta alla risoluzione del problema inverso (v. C. Mineo, Nuova soluzione del problema inverso del trasporto delle coordinate lungo una geodetica, in Atti della Acc. dei Lincei, Roma 1920, XXIV, pp. 444-448; e anche Helg, in Giornale di Mat., Napoli 1927, XLV); cioè: dati ϕ0, Φ0, ϕ, Φ, trovare s, α, α0. Nuovi sviluppi, simili a quelli di Legendre, sono stati inoltre istituiti dal Mineo, prendendo come variabile indipendente (anziché l'arco) la latitudine, la longitudine o l'azimut; sviluppi utili nella geometria dell'ellissoide terrestre e specie nella risoluzione del problema inverso (cfr. Atti dell'Acc. Gioenia, Catania 1914, VII). Per archi di lunghezza qualunque i problemi diretto e inverso del trasporto si risolvono per mezzo delle funzioni ellittiche (v. Halphen, op. cit.) e con altri metodi, tra cui elegante e pratico quello di Legendre-Bessel.

5. Costruzione del geoide oer mezzo delle deviazioni della verticale. - La verticale MH (fig. 3) normale in M′ al geoide (n. 1), si può fissare di posizione rispetto all'ellissoide per mezzo dell'angolo ε ch'essa forma con la normale ellissoidica MK (deviazione totale della verticale) e dell'angolo diedro γ che il piano delle due normali forma col meridiano ellissoidico per M (azimut del piano di deviazione). Posto

si trova facilmente

ξ, η si chiamano componenti della deviazione della verticale (secondo il meridiano e secondo il parallelo). Esse si possono determinare punto per punto per mezzo delle coordinate ellissoidiche ξ, η calcolate e delle coordinate astronomiche (o geoidiche) l, λ osservate. Note ξ, η, le (17) dànno ε e γ. Denotando con x, y, z le coordinate del punto ellissoidico M, con x′, y′, z′ quelle del punto M′ del geoide, con X, Y, Z i coseni direttori della normale geoidica, si ha

dove x, y, z sono date dalle (8). Supposte note ξ, η come funzioni di ϕ, Φ, λε (18) δεζινισγονο l e λ come funzioni di ϕ, Φ e assegnano la congruenza delle normali al geoide sconosciuto, il quale deve verificare la condizione Xdx′ + Zdy′ + Zdz′ = 0. Dalle (19), trascurando i termini di 2° grado rispetto a ξ η, e anche quelli contenenti i prodotti ξe2, ηe2, si trova

donde la condizione, data la prima volta da A.-J. Villarceau (1873):

Se h1 e h2 sono i valori di h corrispondenti ai punti A11, Φ1) e A22, Φ2) dell'ellissoide e s'integra secondo una qualunque linea ellissoidica, si ha

e l'integrale curvilineo, per la (21), non dipende dal cammino. In pratica ξ e η sono date numericamente in un grande numero di punti della regione, e gl'integrali si calcolano per quadrature meccaniche. Noto h in un punto, dove si può p. es. supporre nullo (n. 1), esso resta determinato in ogni altro punto. Se in particolare si scelgono cammini meridiani (d Φ = 0), gl'integrali si calcolano per mezzo delle sole deviazioni in latitudine. Tra i punti dell'ellissoide e del geoide si è stabilita una corrispondenza biunivoca per normali geoidiche; ma nella nostra approssimazione la (22) resta valida se al segmento h = MM′ si sostituisce il segmento k = MM* (fig. 3) contato sulla normale ellissoidica (corrispondenza per normali ellissoidiche). Se si determinano allora i segmenti h lungo meridiani ellissoidici, si ottengono profili del geoide, cioè sezioni con piani meridiani dell'ellissoide di partenza. La rappresentazione del geoide vien fatta anche con metodo topografico, costruendo cioè le curve h = costante. Si cerca di mettere in relazione l'andamento di queste curve con la struttura topografica e geologica della regione, assumendo che la forma ellissoidica corrisponda a una certa distribuzione delle masse terrestri in una fase più o meno remota del nostro pianeta. Non sempre, però, ed è troppo naturale, queste relazioni esistono, come provano le investigazioni compiute recentemente in grande negli Stati Uniti d'America.

6. Deviazione della verticale in azimut. Equazione di Laplace. - Sia C′ la geodetica del geoide passante per i punti Mi e Mi+1, C la curva corrispondente sull'ellissoide passante per i punti Mi e Mi+1, l'azimut (ellissoidico) di C nel punto Mi, Ai l'azimut geoidico di C′ in Mi′ dalle (17), (18), (19), (20) e (24) segue

Ma poiché la triangolazione misurata si attribuisce all'ellissoide, alla geodetica C′ si fa corrispondere in realtà la geodetica ellissoidica Γ passante per Mi′ e Mi+1; chiamando dunque αi l'azimut di Γ in Mi, quello che importa studiare, nel confronto tra ellissoide e geoide, è la differenza Ai − αi. Con ipotesi plausibili (la questione non è semplice) si trova (v. H. Poincaré, Bulletin astronomique, 1901; C. Mineo, Giornale di Battaglini, 1911 e Bulletin astronomique, 1913):

dove Φ′ va ricavato dall'equazione Φ = f(ϕ) di Γ. Poiché nel vertice iniziale M0 (fig. 3) è A0 − α0 = 0, la (24) fa conoscere la deviazione in azimut in ogni punto. Tenendo conto della seconda (18), segue

chiamando Ψ il precedente integrale. In generale, questo è trascurabile, e allora si neduce (sempre nell'ipotesi A0 − α0 = 0):

famosa equazione di Laplace, che lega la deviazione in azimut con la deviazione in longitudine. Nei punti di Laplace (vertici in cui si sono determinati astronomicamente la longitudine e un azimut) essa offre un prezioso mezzo di verifica soprattutto per le operazioni geodetiche.

7. Ellissoide locale. - Abbiamo visto come, partendo da un ellissoide tangente al geoide in un punto iniziale, si possono avere le deviazioni della verticale nei varî vertici della rete ellissoidica. Si presenta allora la questione di modificare convenientemente i parametri a e s dell'ellissoide di partenza e d'introdurre le deviazioni ξ0, η0 nel punto iniziale, con la condizione che l'ellissoide così modificato si adatti meglio ai dati geodetici della regione, secondo il criterio seguente. Le coordinate ellissoidiche ϕi, Φi del vertice Mi (e così ogni azimut relativo a un lato passante per Mi) sono funzioni, in definitiva, dei parametri dell'ellissoide e di ξ0, η0; sicché, chiamando Δa, Δs gl'incogniti incrementi dei parametri ellissoidici, avremo per le relative componenti di deviazione:

dove Ai, Bi,..., Ki′ sono coefficienti noti dipendenti dai dati geodetico-astronomici. Naturalmente, la prima relazione suppone che nel vertice Mi si sia determinata la latitudine astronomica; la seconda, che vi sia stata compiuta una determinazione di longitudine o di azimut. L'ellissoide più conveniente per quella data regione è allora quello, per il quale le incognite ξ0, η0, Δa, Δs rendono minima la somma Σ(ξi2 + ηi2). Criterio affatto convenzionale che nessun concetto di probabilità giustifica (v. errori d'osservazione). L'ellissoide così determinato si chiama ellissoide locale. È da notare che, in ogni vertice laplaciano, ηi si può avere in due modi e quindi si ha un'equazione di condizione. Questo metodo che trae partito da tutti i vertici della rete si chiama metodo delle aree. Si può anche applicarlo a un esteso arco di meridiano (metodo degli archi), e allora si semplifica assai. Un procedimento più elaborato e più laborioso è stato dato da F. R. Helmert (Lothabweichungen, Berlino 1886). Quando le varie triangolazioni del globo terrestre saranno tutte collegate tra loro a due a due, si potrà sperare di determinare un ellissoide normale, avente il centro nel centro di massa della Terra, l'asse minore coincidente con la linea dei poli e un punto dove sia h = o. Le deviazioni rispetto a un siffatto ellissoide sarebbero deviazioni assolute.

8. Determinazione intrinseca del geoide. - È da fare un cenno sui metodi di determinazione diretta o intrinseca del geoide, senza servirsi d'una superficie di partenza. Il geoide si suppone riferito a coordinate geografiche (la nozione delle quali è stata estesa dal Minding a una superfieie qualunque), osservabili astronomicamente, e si cerca di determinarlo con appropriate misure eseguite su di esso. Sono da segnalare i lavori di Christoffel (Crelle, 1865), V. Reina (Lincei, 1893-1917), A. Viterbi (Circolo Matematico di Palermo, 1908), C. Mineo (Giornale di Battaglini, 1911, e Memorie della Società Astronomica Italiana, 1921). Quest'ultimo mostra che la determinazione della superficie, essendo data la congruenza delle sue normali, dipende immediatamente da quella dei coefficienti della 2ª forma fondamentale, e propone metodi per misurarli.

Il Brillouin (Revue gén. des sciences, XI (1900), pp. 823-826 e 875-882) opina che non si debba adoperare una superficie di riferimento, ma che si debba determinare un poliedro terrestre, i cui vertici siano punti notevoli del globo. Ma la determinazione dei varî angoli poliedri sarebbe poco precisa per via della refrazione. Il Brillouin crede che così si raggiunga meglio lo scopo di potere svelare le variazioni delle costanti terrestri alla ripresa delle operazioni qualche secolo dopo. Si può notare che anche i metodi in uso permettono di raggiungere questo scopo, purché capisaldi geodetici e gravimetrici siano acconciamente costruiti e gelosamente conservati.

9. Determinazione del geoide per mezzo delle misure di gravità. - Ne abbiamo già accennato il principio. Se S è una superficie d'equilibrio esteriore, la funzione V, all'esterno di S resta determinata dalla condizione di essere armonica e di ridursi in superficie (n. 2) a

Dal punto di vista teorico, questo problema, per un ellissoide a due o a tre assi, si deve ritenere risoluto, in modo elegante e immediato, da G. Lamé (1839), nel caso assai più generale che la funzione alla quale si riduce V in superficie sia sviluppabile in serie di prodotti di Lamé. Nel caso della Terra, il calcolo fu fatto dall'Hamy (1890); poi dal Pizzett (1894), che si servì elegantemente di particolari funzioni ellissoidali; infine, nello stesso anno, da G. Morera, che trattò un caso più generale. Ma il partito che si poteva trarre dal principio di Dirichlet nel problema della forma della Terra era stato, la prima volta, messo in chiara luce dallo Stokes, in due fondamentali Memorie (Cambridge and Dublin Math. journal, 1849, e Transactions of the Cambridge Philosophical Society, 1849). Lo Stokes determinò V con approssimazione sufficiente per la pratica (sia nel caso d'un ellissoide a due assi, sia nel caso d'uno sferoide): del resto questa approssimazione può essere proseguita indefinitamente, come ha mostrato il Mineo (Atti della R. Accademia di Palermo, 1926, Bollettino dell'Unione Matematica Italiana, 1926, The Quarterly Journal of Mathematics, 1930) nel caso d'uno sferoide di rotazione, e poi il Gulotta (Lincei, 1930) che ha esteso il metodo del Mineo a uno sferoide non di rotazione. Determinato il potenziale esterno V (la costante si ha per mezzo della massa totale M della Terra), resta determinata W all'esterno e quindi la g su S (n. 2). Per l'ellissoide (a, s), si ha

essendo r e ϑ il raggio vettore e la latitudine (coordinate polari) del punto. E per la gravità superficiale g si deduce

essendo ge la gravità all'equatore e m = aw2/ge. Questa formula (approssimata) è data dal Clairaut nella sua classica opera La théorie de la figure de la terre tirée des principes de l'hydrostatiqne (Parigi 1743). Stokes, nei suoi lavori citati, dimostrò per primo che essa è indipendente da ogni ipotesi sulla densità terrestre.

Avute le anomalie di gravità (n. 1) in una data regione, la teoria di Stokes permette di trovare lo scostamento h del geoide dall'ellissoide in quella regione. Stokes dà anche l'espressione di h per mezzo di un integrale doppio dipendente dalle anomalie in tutto il globo. Poincaré (Bulletin astronomique, 1901, pp. 5-39) estende i risultati di Stokes' partendo da un ellissoide di riferimento a tre assi e servendosi delle funzioni di Lamé. O. Callandreau (ibid., pp. 211-213) cercò di dare una formula globale analoga a quella di Stokes, nella quale entrino le deviazioni della verticale al posto delle anomalie gravimetriche. Lo scopo è interamente raggiunto con una formula del Mineo (Lincei, 1927, pp. 498-502). Ma la formula (22), che dà la h per quadrature, è quella che risolve il problema nel modo più naturale e soddisfacente, sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista pratico. Alla teoria di Stokes s'ispirano gl'importanti lavori di Helmert sulla determinazione di regioni del geoide per mezzo delle misure di gravità.

10. Riduzione delle misure di gravità. - La superficie S, che si sceglie come superficie di gravità normale, non è una superficie d'equilibrio esteriore, ma parte interna e parte esterna alle masse terrestri. Sia V1 il potenziale newtoniano delle masse racchiuse in S, V2 quello delle masse soprastanti a S (determinabile per mezzo della topografia e della geologia del rilievo): V1 resta determinato all'esterno di S dalla proprietà di essere armonico, regolare e nullo all'infinito e riducentesi su 1 S a

Determinato V1, resterebbe all'esterno di S determinata W e quindi la gravità n0rmale su S e sul rilievo soprastante. I valori osservati della gravità potrebbero essere senz'altro paragonati a quelli teorici. Oppure (il che equivale) si potrebbe calcolare su S la gravità normale γ prescindendo dalle masse emergenti su S: i valori osservati devono allora essere ridotti a quelli che si osserverebbero se le masse emergenti su S fossero distribuite all'interno di S in modo che il loro potenziale newtoniano non cambi su S (il che si può fare in infiniti modi). Sia V3 la funzione armonica fuori di S regolare e nulla all'infinito e che su S si riduce a (V2)S. Chiamando g la gravità osservata e g* la gravità ridotta, e indicando con n la normale interna a S, si ha manifestamente

La correzione da apportare a g resta così univocamente determinata: l'anomalia di gravità è g* − γ. In pratica, però, la questione si complica: 1. perché non si può fare a priori un'ipotesi rigorosamente logica su S (n. 1); 2. perché V2 non è esprimibile rigorosamente, per difficoltà analitiche e anche obiettive (d'indole geologica). Si deve ricorrere quindi a espedienti e ripieghi, per i quali dobbiamo accontentarci di rimandare ai trattati speciali (v. Helmert, Geodäsie, II, pp. 162-172).

Bibl.: La letteratura è estesissima. Dobbiamo accontentarci di citare i trattati più importanti, dei quali quello del Helmert è ricchissimo di notizie bibliografiche. Questi trattati, oltre quello di Clairaut citato nel testo (n. 9), sono: P. S. Laplace, Mécanique céleste, II (libro iii) e V (libro xi), Parigi 1799; L. Puissant, Traité de géodésie, 3ª ed., Parigi 1840; J. H. Pratt, A treatise on attractions, Laplaces' functions and the figure of the earth, Londra-New York 1871; A. R. Clarke, Geodesy, Oxford 1880; F. Schiavoni, Principi di Geodesia, voll. 2, Napoli 1880; F. R. Helmert, Die math. und phys. Theorien der höheren Geodäsie, voll. 2, Lipsia 1880-84; E. Pucci, Fond. di geodesia, voll. 2, Milano 1883-87; L. B. Francoeur, Géodésie, 8ª ed., Parigi 1895; P. Pizzetti, Tratt. di geodesia teoretica, Bologna 1895, 2ª ed., 1928; id., Principî della teoria mecc. della figura dei pianeti, Pisa 1913; M. Näbauer, Grundzüge der Geodäsie, Lipsia-Berlino 1914, 2ª ed., 1925; H. Bouasse, Géographie math., Parigi 1919; H. Faye, Cours d'astron. et de géodésie, revu et mis au jour par le général R. Bourgeois, parte 1ª, Parigi 1926-28, fascicoli 1° e 2°.