CHAUCER, Geoffrey

Enciclopedia Italiana (1931)

CHAUCER, Geoffrey

Mario Praz

Poeta inglese nato tra il 1340 e il 1345 morto nella seconda metà del 1400 (la data 25 ottobre sulla tomba in Westminster Abbey fu posta da Nicholas Brigham nel 1556, s'ignora con quale fondamento; in ogni modo, l'ultimo pagamento della pensione venne fatto al Ch. il 5 giugno 1400: la rata di ottobre non fu corrisposta). I più antichi membri del ramo diretto della famiglia (Chaucer è il francese chaucier, fabbricante di chausses "calzoni") di cui si ha notizia furono tavernieri, e la loro residenza di solito Ipswich, benché avessero rapporti con Londra; la posizione finanziaria e sociale della famiglia andò continuamente elevandosi. John Chaucer, il padre del poeta, fu un'importante figura nel mondo degli affari a Londra. La madre, Agnese, era vedova di un tale Northwell quando sposò John Chaucer. Le condizioni della famiglia possono avere permesso di dare a Ch. un'educazione intesa a prepararlo a pubblici uffici, e vi sono probabilità in favore dell'ipotesi che egli studiasse legge nell'Inner Temple di Londra, forse tra l'ottobre del 1360 e il giugno del 1367. Le importanti missioni di cui fu incaricato tra il 1370 e il 1378 sembrano favorire l'ipotesi di una preparazione speciale, piuttosto dell'antica supposizione che egli ricevesse soltanto un'educazione di paggio alla corte del principe Lionel, duca di Clarence. Nel 1359-1360 il Ch. prese parte alla spedizione di Edoardo III in Francia, fu fatto prigioniero presso Reims e riscattato poco dopo. Il 20 giugno 1367 il re concedeva al Ch., dilectus vallectus noster, una pensione di 20 marchi (corrispondenti a 200 sterline attuali) a vita. Un documento di recente scoperto tra i Chancery Warrants mostra che nel 1368 il Chaucer si recò di nuovo all'estero, provveduto di una somma eguale a quella fornita di solito per i viaggi in Italia; non è impossibile, quindi, che egli fosse al seguito del duca di Clarence quando questi si unì in matrimonio con la figlia del duca di Milano. Se il Ch. fosse stato a Milano in tal circostanza, potrebbe aver visto il Petrarca, che fu presente alle feste di quel matrimonio. L'ipotesi di una visita al Petrarca, che il Ch. chiama "il poeta laureato, la cui soave retorica illuminò di poesia tutta l'Italia" (Cant. Tales, E., 31 segg.), a Padova, durante il viaggio del 1373. non riposa su alcun fondamento solido. Nel 1369 il Ch. prestò di nuovo servizio militare in Francia, con le truppe di John of Gaunt, duca di Lancaster, figlio di Edoardo III. È di quell'anno il primo poema di data certa, il Booke of the Duchesse, scritto per la morte di Blanche, moglie di John of Gaunt (morta il 12 settembre 1369). Probabilmente nel settembre del 1366 il Ch. si era sposato con Philippa, che si pensa fosse figlia di sir Payne Roet; Philippa era domicella al servizio della regina. Dal giugno 1370 alla fine del 1378 il Ch. ebbe incarichi diplomatici assai importanti. Nominato membro di una missione incaricata di trattare con Genova per la scelta di un porto in Inghilterra con speciali privilegi per i mercanti genovesi, fu in ltalia nell'inverno e nella primavera del 1373. In tale occasione il Ch. visitò pure Firenze, qui però con incarico personale, per trattare "affari segreti del re", quasi certamente per negoziare un prestito coi banchieri fiorentini. Il 23 aprile 1374 il re fece al Ch. la concessione di una brocca (pitcher) di vino al giorno: dal fatto che in quella data cade la festa di S. Giorgio, patrono dell'Ordine della Giarrettiera, si è voluto inferire che il dono reale fosse provocato da un poema, perduto, avente un argomento appropriato alla celebrazione di quella testa. Quella concessione fu commutata in una pensione di 20 marchi nel 1378. Nel maggio del 1374 il Ch. prese in affitto a vita l'abitazione al disopra della porta di Aldgate, in Londra, dove visse almeno fino al 1385. Dal 1374 al dicembre 1386 disimpegnò l'ufficio di controllore delle Gabelle e del Sussidio (Customs and Subsidy) delle lane e dei pellami in Londra, con l'obbligo di tenere i libri e adempiere agli altri doveri in persona; dal 20 aprile 1382 alla fine del 1386 ebbe anche l'ufficio di controllore delle minute gabelle del porto di Londra. Negli anni 1377 e 1378 fu incaricato di missioni in Fiandra e in Francia. Nella primavera del 1378 con sir Edward de Berkeley ebbe una nuova missione in Italia, per invitare Bernabò Visconti e il condottiero sir John Hawkwood (Giovanni Acuto) ad aiutare gl'Inglesi nella loro guerra contro la Francia: Nell'ottobre del 1385 fu nominato dai giudici di pace (Justices of Peace) per la contea di Kent, o perché egli possedesse terre nel Kent, o per la sua conoscenza delle leggi. Frattanto gli avvenimenti politici prendevano una piega sfavorevole al Ch.: John of Gaunt fu sostituito, il re privato del potere. Una commissione d'inchiesta, di colore esclusivamente politico, fu nominata dal Parlamento nel 1386 per investigare il maneggio dei pubblici affari, e fu probabilmente questa commissione a licenziare nel dicembre del 1386 il Ch. dall'ufficio di controllore. Si seguitarono tuttavia a pagare le pensioni del Ch. e della moglie; quella della moglie il 18 giugno 1387 per l'ultima volta, sicché è probabile che Philippa decedesse in questo torno di tempo. Con l'entrata di re Riccardo nella maggiore età (1389), e col ritorno di John of Gaunt, si aprì un nuovo periodo di favore per il Ch. Il 12 luglio 1389 fu nominato sopraintendente delle costruzioni reali (Clerk of the King's Works) a Westminster Palace, alla Torre di Londra e altrove, il 12 marzo 1390 fu con altri eletto ispettore dei muri, fossi, cloache, ponti, ecc., sulla riva del Tamigi tra Greenwich e Woolwich. Tra il giugno 1390 e il giugno 1391 Roger, conte di March, nipote di quel principe-Lionel che era stato patrono del Ch., nominò il poeta vice-intendente forestale (Sub-forester) del parco di North Petherton nel Somersetshire; è probabile che per qualche tempo il poeta risiedesse in quella lontana provincia. Il 17 giugno 1391 fu sostituito nel suo ufficio di sopraintendente delle costruzioni. Un periodo di ristrettezze economiche vien fatto supporre da frequenti prestiti chiesti dal Ch. all'erario (Exchequer) nel 1395, nel 1398 e nel 1400; ma si tratta di prestiti di piccole somme, forse dovuti al fatto che il patrimonio del Ch. consisteva in fondi, e a quei tempi difettava spesso la moneta circolante. Sta di fatto che Thomas Chaucer, quasi certamente figlio dlel poeta, che gli successe nella carica d'intendente forestale a North Petherton, risulta essere stato facoltosissimo. Il 13 ottobre 1399 Enrico IV, allora salito al trono, concesse al Ch. un assegno di 40 marchi annui. La tradizione (riportata dal sacerdote Thomas Gascoign, morto nel 1458, nel Liber Veritatum) che, in fin di vita, Ch. si pentisse delle proprie opere di contenuto non edificante, è confermata tra l'altro dalla palinodia che conchiude i Canterbury Tales (conosciuta col nome di Retracciouns).

Dei figli del Ch., solo un Lewis è ricordato dal poeta nel Treatise on the Astrolabe.

Nonostante le molteplici funzioni e incombenze pubbliche, il Ch. che ci è rivelato dalle sue confessioni personali e dalla testimonianza dei contemporanei è una figura di studioso piuttosto che di faccendiere. Egli stesso ci si dipinge nell'atto di tornare a casa, appena sbrigati i doveri di ufficio, e di mettersi su un libro e tanto starci, che la sua vista ne è offuscata (Hous of Fame, 655 segg). Sappiamo da lui che possedeva non meno di sessanta volumi, un numero cospicuo ai suoi tempi; e il suo culto per l'erudizione ci è testimoniato dal suo gusto per le citazioni e dalla sua abitudine d'imitare opere altrui nelle proprie. Il poeta francese Eustache Deschamps gli dedicò una raccolta di suoi scritti rivolgendosi a lui con la frase: grand translateur, noble Geffroy Chaucier. La sua cultura è quella dei grandi studiosi dell'epoca sua; conosce i classici latini che avevano formato il nerbo dell'educazione nelle scuole fin dal cosiddetto Rinascimento del dodicesimo secolo; soprattutto Ovidio e Virgilio tra i più antichi, Boezio tra i più recenti; è addentro nei trattati di retorica medievale (Matthieu de Vendome, Geoffroy de Vinsauf); traduce le opere più popolari del suo tempo, il Romande la Rose, il De consolatione philosophiae di Boezio, il De contemptu Mundi di papa Innocenzo, e a più riprese cita passi dell'Epistola di S. Gerolamo contro Gioviniano. È infine familiare con la scienza o pseudo-scienza dell'età sua, sia nei campi della medicina e dell'astronomia, sia in quello dell'alchimia.

Come poeta il Ch. si riattacca dapprima alla tradizione francese, com'era naturale dovesse accadere in un paese e in un'epoca in cui la cultura francese predominava. La poesia francese era allora rappresentata dagli epigoni del Romair de la Rose, che ripetevano a sazietà i motivi di Guillaume de Lorris e di Jean de Meun, soprattutto per la cornice allegorica. Nelle opere giovanili, il Ch. appare un abile utilizzatore di situazioni e motivi tratti dai poemi di Guillaume de Machaut e di Jean Froissart: il Booke of the Duchesse (1369), destinato a celebrare le virtù della defunta duchessa Blanche of Lancaster e ad esprimere il cordoglio del consorte, è poco più di un centone di passi di poemi del Machaut e del Froissart, con frequenti richiami al Roman de la Rose, da cui quei poeti minori derivano. Certamente a imitazione dei poeti francesi, soprattutto del Machaut, inventore di elaborati schemi metrici, furono scritte dal giovane Ch. quelle brevi poesie liriche, balades, roundels, virelays, ricordate nella Legend of Good Women, che non son giunte a noi. Invero, la cultura del Ch. era si fortemente di stampo francese, che per le sue traduzioni di opere latine egli si valse di versioni francesi, oltre che dei testi originali. Nel Prologo della Legend of Good Women (circa 1386) il Ch. dichiara esplicitamente di mettersi al seguito dei poeti francesi, e infatti buona parte di quel prologo è un mosaico di passi tolti da poemi di Froissart, di Machaut, di Deschamps, in onore della margherita, ove sotto il simbolo del fiore si celebra una dama. Notevoli tracce dell'influsso del Deschamps si trovano pure nella Novella del Mercante, e nel famoso Prologo della Drappiera di Bath; in queste due opere non è però il Deschamps lirico, ma il Deschamps satirico del Miroir de Mariage, che ha fornito al Ch. alcuni vivaci spunti, soprattutto nel tratteggiare il carattere della Donna di Bath. Mentre le poesie del Machaut e del Froissart rappresentano variazioni su temi fissati da Guillaume de Lorris nella prima parte del Roman de la Rose, il Miroir de Mariage deriva dalla seconda parte di quel poema, dovuta alla penna satirica e drammatica di Jean de Meun, sicché in conclusione, direttamente o indirettamente, il Ch. è indebitato soprattutto verso il Roman de la Rose, attraverso cui gli giunsero pure, raffinati da Jean de Meun, certi elementi (specialmente la vivezza del dialogo) della letteratura dei fabliaux. Per quanto il prologo della Legend contenga anche passi inspirati da Dante, il tono generale svela chiaramente le origini francesi.

Il poeta, dopo una giornata di maggio trascorsa ad ammirare il fiore prediletto, la margherita, sogna d'incontrare in un prato il dio d'amore insieme con una regina, la cui corona ricorda la corolla d'una margherita, seguita da un corteo di diciannove donne fedeli in amore, e da altre in lunga processione. Amore rimprovera il poeta per aver tradotto il Roman de la Rose e per aver scritto di Criseida, l'amante infedele. La regina, che non è altri che Alcesti, intercede per il poeta e gli ordina come penitenza di dedicarsi a scriver le lodi delle donne fedeli in amore. Seguono nove leggende, di Cleopatra, Tisbe, Didone, Issipile e Medea, Lucrezia, Arianna, Filomela, Filli, Ipermnestra, derivate da varie fonti: l'idea delle leggende probabilmente fu suggerita dal De claris mulieribus e dal De casibus del Boccaccio, nonché dalle Heroides d'Ovidio (il titolo originario è Legend of Cupid's Saints). Il poema è incompiuto. La parte più riuscita è il prologo, che per freschezza di descrizione supera i poemi francesi da cui in parte deriva. È inoltre un documento di capitale importanza per la lista delle opere del Ch. contenutavi. Il prologo esiste in due redazioni, A e B, con notevoli differenze (solo in B si trova ricordato che la leggenda, completa, dovrà essere offerta alla regina Anna, a Eltham o a Shene: Anna, sposata a Riccardo nel gennaio 1382, morì nel giugno 1394 e il palazzo di Shene fu subito dopo distrutto dal re in segno di cordoglio. Prevale oggi l'opinione che la redazione A sia posteriore).

Le prime tracce d'influsso italiano nel Ch. si trovano nel Compleint of (o unto) Pitee e nel Compleint to his Lady. Questa seconda poesia è l'unico esperimento in terzine che il Ch. abbia tentato e sembra essere stato scritto dietro una prima impressione della lettura della Divina Commedia. In The Hous of Fame (incompleto), ove il metro (ottosillabi rimati a coppie) e il tono generale sono francesi, il contenuto è per lo più d'ispirazione dantesca.

Si tratta, anche qui, di un sogno, in cui il poeta immagina di esser portato da un'aquila d'oro, sorella a quella del Purgatorio di Dante, alla casa della Fama situata tra il cielo, il mare e la terra. Durante il viaggio l'aquila ammaestra il poeta come Virgilio ammaestra Dante; la descrizione della casa della Fama è in gran parte tolta dall'Eneide; notevole è pure l'influsso del commento di Macrobio al Somnium Scipionis. Gli spunti danteschi appaiono talora così deformati da aver fatto pensare a qualcuno che il poeta intendesse scrivere una parodia della Divina Commedia; ma in un sol luogo è possibile scoprire un'intenzione chiaramente umoristica, nell'irresistibile contrasto tra la suasiva loquacità dell'aquila durante il volo, e le risposte monosillabiche del poeta, che si trova a disagio in quell'insolito modo di viaggiare.

Forti ragionì fanno supporre che The Hous of Fame sia stato scritto prima del 1380, quando l'influsso italiano non era ancora bene assimilato. Completamente assimilato ci appare invece nel Parlement of Foules (probabilmente del 1382; si pensa che in esso il poeta, sotto il velo dell'allegoria abbia voluto celebrare il fidanzamento di Riccardo II con Anna di Boemia).

Il poeta s'addormenta dopo la lettura del Somnium Scipionis, e Scipione gli appare in sogno (ombra del Virgilio dantesco), e lo guida in un giardino ov'è il tempio di Venere (descritto sul modello del Teseida), e dove regna Natura, vicaria di Dio (qui la fonte è il Planctus Naturae di Alanus de Insulis). È il 14 febbraio, giorno di S. Valentino, e Natura ordina agli uccelli di scegliersi una compagna. Natura tiene in pugno un'aquila di gran bellezza, che toccherà al più degno.

La prima parte del Parlement rivela l'influsso del Teseida del Boccaccio, dell'Amorosa Visione e di molti passi della Divina Commedia che venivano richiamati al poeta dai versi del Boccaccio; il metro è la stanza di sette decasillabi imitata dall'ottava boccaccesca. ll verso ha qui assunto una dignità e un'armonia che lo distinguono nettamente da quello delle opere scritte sotto l'influsso francese. Circa questo tempo il Ch. scriveva, traducendo e in parte liberamente imitando il Teseida, il Palamon and Arcite, che doveva poi venir incluso nei Canterbury Tales, a formare la Novella del Cavaliere. Un primo tentativo d'imitazione del Teseida era stato il Compleint of faire Anelida and fals Arcite. Ma al Boccaccio il Ch. deve l'ispirazione della sua opera maggiore dopo i Canterbury Tales, il Troilus and Criseyde, scritto poco prima della Legend of Good Women, probabilmente tra il 1383 e il 1385.

La relazione del Troilus alla sua fonte, il Filostrato, è sovente quella di un dramma a un racconto. Boccaccio s'interessa soprattutto alla storia al suo svolgimento, alla sua conclusione; il Ch., invece, si concentra sui caratteri dei personaggi. Se mancano nel rifacimento del Ch. certi tratti di calda passione dell'originale, vi si trovano però una finezza d'osservazione psicologica, una vena d'umorismo (soprattutto nel carattere di Pandarus, che dal poema del Ch. esce interamente ricreato), una vivacità di dialogo, in breve, un'originale modernità di concezione, quale invano cercheresti nel poema boccaccesco. Inoltre il centro morale del poema è spostato: mentre il motivo centrale del Filostrato è la pena di Troilo (cioè di Boccaccio abbandonato da Fiammetta), il Ch. sembra soprattutto preoccupato dal problema della condotta di Criseyde, che egli cerca di scagionare dall'accusa di slealtà.

Un fatto strano circa il rapporto del Ch. col Boccaccio è il silenzio del Ch. nei riguardi del Certaldese. Egli pretende di derivare la storia di Troilo da un misterioso autore Lollius che è probabilmente scaturito dall'erronea interpretazione di un verso dell'Ars poetica di Orazio (Troiani belli scriptorem, maxime Lolli). Un altro curioso fatto è che, riferendo la storia di Zenobia (nella Novella del Monaco), tolta dal De claris mulieribus, il Ch. rimanda a Petrarca, anziché a Boccaccio. È possibile che il Ch. ignorasse che il Boccaccio era l'autore delle opere da lui utilizzate? Questo problema è complicato da un altro sconcertante enigma, se, cioè. il Ch. conoscesse il Decameron. L'unica novella del Decameron che il Ch. imita è la storia di Griselda, che egli però deriva dalla versione latina del Petrarca, come egli stesso dichiara (per quanto esistano segni che egli si servisse pure della versione francese del Ménagier de Paris, e forse, ma solo in parte, del testo boccaccesco). La Novella del Franklin, anziché dal Decameron (X, 5), par derivata, se mai, dalla prima redazione che di essa si trova nel Filocolo. mfine non v'è traccia alcuna d'imitazioni particolari, come si trovano in tutti i casi di fonti chauceriane. E d'altra parte, l'idea della cornice (una compagnia di persone che si raccontano storie a turno, per puro passatempo) appare nella letteratura europea solo dopo il Decameron, e sempre sotto l'influsso diretto di quest'opera. Che il Ch. avesse sentore del Decameron parve indubbio al Rajna, il quale pensava che il Ch. avesse dovuto leggere la prima parte della lettera del Petrarca al Boccaccio che contiene nella seconda parte la versione latina della storia di Griselda; ma in alcuni manoscritti quella parte manca, e, del resto, il tono di essa non è tale da invogliare a leggere un'opera di cui il Petrarca (e il Boccaccio, a quell'epoca) mostrava di far poco conto.

Come si vede, la questione è complessa, e ha dato luogo a varie congetture, tra le quali forse nessuna è soddisfacente. Però la data della concezione originale dei Canterbury Tales si fa risalire, al più presto, al 1386 o al 1387. Se il Ch. avesse conosciuto il Decameron. si può affermare con una certa sicurezza che l'avrebbe conosciuta durante i suoi viaggi in Italia, al più tardi nel 1378. Sarebbe quindi strano che egli non avesse risentito alcun influsso immediato, anzi, che avesse continuato a comporre come opere staccate, senza rapporto l'una con l'altra, quelle che poi dovevano far parte dei Canterbury Tales. Invero, il Second Nun's Tale, il Monk's Tale, il Clerk'sTale. forse il Doctor's Tale e il Manciple's Tale sembrano essere stati composti come opere isolate, prima del 1380, e come opere isolate sembrano pure aver preceduto la concezione dei Canterbury Tales il monologo della Wife of Bath, la storia di Costanza (derivata da Nicholas Trivet; poi Tale of the Man of Law) e il Tale of Melibeus, derivato dal Liber consolationis et consilii di Albertano da Brescia, attraverso una versione francese.

Una volta tracciato il piano generale dei Tales, i varî racconti preesistenti dovettero venir adattati ai varî caratteri dei narratori, ma è anche possibile che il piano generale stesso sia stato suggerito al Ch. dall'esistenza delle varie novelle isolate, ciascuna dotata di un caratiere tutto suo, contrastante drammaticamente col carattere delle altre. Dalle novelle sarebbero insomma scaturiti i caratteri dei narratori. In che occasione potevano persone disparate per carattere e vocazione trovarsi insieme, se non in un pellegrinaggio? Una qualche base reale, però, almeno nella caratterizzazione dei personaggi, pare debba ammettersi dopo le ricerche del Manly, che ha ritrovato alcune caratteristiche di certi pellegrini in persone note nell'ambiente della città di Londra e della corte.

La cornice dei Canterbury Tales è formata da un pellegrinaggio al santuario di Thomas à Becket a Canterbury. Il poeta immagina di essere accolto, al Tabard Inn di Southwark (sulla riva destra del Tamigi, di faccia alla City di Londra), in una compagnia d'una trentina di pellegrini, i cui ritratti, nel prologo, sono disegnati con sicura, magistrale semplicità. Tutti accettano la proposta dell'oste, Harry Bailly (il cui nome effettivamente si trova nei registri di Southwark), che cioè, per passare il tempo durante il percorso, ciascuno dei partecipanti racconti due storie nell'andata e due nel ritorno; che l'oste sia moderatore e giudice, e che al ritorno si riuniscano a cena al Tabard Inn, e il narratore delle miglioli storie sia convitato a spese degli altri. L'opera, tuttavia, non fu compiuta che in parte: ci è conservata in nove frammenti contraddistinti dalle lettere dall'A alla I. Si hanno ventun racconti completi e tre (Sir Thopas e i racconti del cuoco e dello scudiero) incompleti. Sicché dei trenta pellegrini solo ventuno raccontano. L'ordine secondo il quale i varî frammenti si susseguirebbero è oggetto di discussione tra gli studiosi. L'unico gruppo di racconti che formi un insieme organico è il cosiddetto Marriage Group, comprendente i frammenti D, E, F. Apre questo gruppo il Prologo della Drappiera di Bath, magnifica satira contro le donne e il matrimonio messa in bocca di una tipica moglie coi calzoni: costei sostiene che la donna deve dominare il marito. Agli argomenti pieni di brio della drappiera, risponde il chierico di Oxford narrando la storia della paziente Griselda, e invitando in un ironico commiato le donne a dominare i mariti e a renderli infelici, come la drappiera di Bath ha reso i suoi. Le ultime parole del chierico pungono il mercante, di recente sposato, e costui intraprende un ironico elogio dello stato matrimoniale, e racconta la storia del matrimonio di January e May (un adanamento della storia "dell'albero del pero", nota in molte altre versioni). Dopo un interludio occupato dalla novella dello scudiero, di colore orientale, il valvassore narra la sua storia di gentilesse nel matrimonio, in cui ripudia tanto il punto di vista della drappiera quanto l'opposto, e conclude per la comune sopportazione e devozione dei coniugi.

Nei Canterbury Tales tutte le note sono toccate, dal patetico della storia del fanciulletto cristiano assassinato dagli ebrei (la storia di Ugo di Lincoln narrata dalla priora), al grottesco della parodia che il Ch. stesso dà dei romances di soggetto cavalleresco in Sir Thopas; dal grassoccio delle storie ispirate ai fabliaux (come quelle del mugnaio e dell'intendente), al devoto e all'edificante della vita di S. Cecilia narrata dalla seconda monaca, e del trattato dei sette peccati capitali (derivato dalla Summa casuum poenitentiae di Raimondo di Pennaforte e dalla Summa de viciis di Guglielmo Peraldo) col quale il parroco conchiude il viaggio d'andata. E non solo le storie sono raccontate con una vivezza drammatica che sorpassa quella dei migliori fabliaux e si avvicina piuttosto a la Commedia dantesca, ma i caratteri dei pellegrini sono tratteggiati con penetrazione psicologica, umorismo, e pienezza di vita, tali da collocare il Ch. in un posto altissimo della letteratura medievale, un posto inferiore forse soltanto a quello del "grande poeta d'Italia", come il Ch. chiama Dante (Cant. Tales, B. 3650).

E invero, piuttosto che Boccaccio inglese, come si suole chiamarlo, il Ch. andrebbe chiamato il Dante inglese. Certo, da Dante lo separano differenze profonde, che risaltano nei passi ove il Ch. imita il grande Fiorentino, come nel rifacimento della storia del Conte Ugolino (nella Novella del Monaco), che il Ch. spoglia della terribilità e riveste d'accenti umani, sì, e patetici, ma non sublimi. Per il Ch. il mondo dei sensi non è un simbolo dell'invisibile, ma un universo bello e amabile in sé, non menomato dal fatto d'essere terrestre e caduco. Egli sa contemplare e godere il mondo terreno con tale serenità, non incrinata da preoccupazioni oltremondane, quale non si ritrova negli scrittori medievali. Ma "Dante inglese" può essere chiamato il Ch., sia per la vastità della sua commedia umana, e le qualità drammatiche che la distinguono, sia per aver egli, primo in Inghilterra, dato splendore letterario alla lingua vernacola, trascurata dai letterati contemporanei per il latino o per il francese, e creato quasi dal nulla la tecnica del verso inglese; egli modellò sui poeti stranieri, soprattutto italiani, il decasillabo, destinato a divenire, in coppie a rima baciata (heroic couplet), l'organo per eccellenza della grande poesia inglese. Col Ch. la letteratura inglese assume un'importanza di prim'ordine tra le letterature d'Europa, e sebbene l'influsso di lui si sia risentito, in modo fecondo, solo tardi, evidente è tuttavia la linea che congiunge l'opera di questo grande conoscitore di uomini, con il romanzo psicologico fiorito in Inghilterra dal Settecento in poi. Ma il Ch. stesso non si riconnette a tradizioni letterarie indigene, bensì apprende i primi rudimenti dell'arte dai poeti francesi, e, dopo avere per alcun tempo tentato d'infondere vita nei logori clichés allegorici da essi forniti, sviluppa la propria originalità appena viene a contatto dei grandi italiani, Boccaccio, e soprattutto Dante, il cui influsso permea tutta l'opera più matura del poeta, accanto a persistenti echi del Roman de la Rose.

Edizioni e manoscritti. - I primi tentativi di raccogliere le opere del Ch. furon fatti da Richard Pynson nel 1526 e da William Thynne nel 1532. A partire da questo tempo si attribuirono indiscriminatamente al Ch. opere genuine e spurie (edizioni di John Stowe, 1561, di Thomas Speght, 1597), finché nell'edizione dell'Urry del 1721 la lista di quelle opere comprendeva 71 titoli, di cui solo un terzo realmente consisteva di attribuzioni genuine. Il primo tentativo di pubblicazione con criterî moderni fu quello di Thomas Tyrwhitt che nel 1775 pubblicò i Canterbury Tales accompagnandoli nel 1778 con un glossario e uno studio sulle opere del Ch., stabilendo l'autenticità di alcune delle attribuzioni tradizionali. Nella seconda metà del secolo scorso gli studî di H. Bradshaw e del Ten Brink contribuirono grandemente alla sistemazione del canone chauceriano. Il bisogno d'un'edizione definitiva condusse alla formazione della Chaucer Society nel 1868 (a iniziativa di Frederick Furnivall e d'altri) e alla pubblicazione a cura di quella società dei migliori manoscritti delle opere chauceriane. Otto manoscritti dei Canterbury Tales furon così pubblicati, e fu per la prima volta richiamata l'attenzione sul codice Ellesmere, in cui ci è conservato il miglior testo dei Tales. Queste pubblicazioni della società agevolarono la preparazione delle due edizioni critiche oggi correnti, l'edizione di Oxford, The Works of Geoffrey Chaucer, a cura di W. W. Skeat (Oxford 1894), in sette volumi, e l'edizione, Globe", a cura di A. W. Pollard, Heath, Liddel e McCormick, Londra 1899. Le due edizioni differiscono specialmente per la grafia adottata, e vanno entrambe consultate, ma il testo definitivo è ancora desiderato. Questo si ha solo per il Troilus (The Book of Troilus and Criseyde, a cura di R. K. Root, Princeton University Press, 1926). Tra le ricerche più recenti, quelle del danese A. Brusendorff (The Chaucer Tradition, Londra-Copenaghen 1925) vanno particolarmente segnalate. Dei Canterbury Tales si hanno circa settanta manoscritti, distribuiti in due gruppi principali, uno maggiore (tradizione comune inglese), rappresentato dai manoscritti Hengwrt, Ellesmere, Cambridge Univ. Dd. 4,24, e British Mus. Harleian 7335; l'altro minore (Oxford), rappresentato da due manoscritti di Oxford, Oxf. Corpus Christi Coll. 196, e Petworth.

Bibl.: La cronologia delle opere del Ch. è variamente data dal Ten Brink (Chaucer Studien, Münster 1870), dal Furnivall (Trial Forewords, Chaucer Society, 1871), dal Koch (Chronology of Chaucer's Writings, Ch. Soc. 1890), dallo Skeat (Oxford Chaucer, cit.), dal Pollard (Chaucer Primer, Londra 1903, Globe Chaucer, cit.), dal Lowes (nei suoi numerosi ed eccellenti articoli, pubblicati soprattutto in Publications of the Modern Language Association of America), dal Tatlock (Development and Chronology of Chaucer's Works, Ch. Soc., 1907). Complete bibliografie chauceriane sono: fino al 1908, E.P. Hammond, Chaucer: A bibliographical manual, New York 1908; dal 1908 in poi, J.E. Wells, A Manual of the Writings in Middle English, New Haven-Londra-Oxford 1916 e supplementi; D.D. Griffith, A bibliography of Chaucer, Seattle 1926. Per le traduzioni italiane, vedi soprattutto C. Chiarini, I racconti di Canterbury, tradotti e illustrati, Firenze 1912-14. Biografia e critica: per la biografia, v. oltre allo Skeat, cit., soprattutto J.M. Manly, Some New Light on Chaucer, New York 1926, e l'introduzione dello stesso all'ottima scelta (con note) dei Canterbury Tales, Londra 1929; per il viaggio del 1368 v. Rickert, Chaucer abroad in 1368, in Modern Philology, XXV (1928). Per la cultura del Ch.: T.R. Lounsbury, Studies in Chauer, II, Londra 1892, pp. 169-426, invecchiato, ma tuttora utile; W.C. Curry, Chaucer and the Medieval sciences, New York 1926. Per l'influsso latino: E. F. Shannon, Chaucer and the Roman Poets, Cambridge Mass. 1929 (Harvard Studies in comparative literature, VII). Per l'influsso francese: D.S. Fansler, Chaucer and the Roman de la Rose, New York 1914, e gli articoli del Kittredge, in Englische Studien, XXVI (1899), in Modern Philology, VII (1909-10), in Publ. Mod. Lang. Ass. Am., XXX (1915), del Lowes in quest'ultimo periodico, XIX (1904) e in Modern Philology, VIII (1910-11); per l'influsso italiano, A. Kissner, Chaucer in seinen Beziehungen zur italienischen Litteratur, Diss. Marburgo 1867; K. Young, The Origina and Development of the Story of Torilus and Criseyde, Ch. Soc., 1908; gl'importanti studî del Rajna, in Romania, XXXI (1902) e XXXII (1903), del Lowes, in Modern Philology, XIII (1915-16), XIV (1916-17) e XV (1918-19), e infine Chaucer and the great Italian Writers of the Trecento di M. Praz, in Monthly Criterion, VI (1927), con bibliografia dell'argomento. Studî critici di carattere generale sono quelli di: Legouis, Chaucer, Parigi 1910; G.L. Kittredge, Chaucer and his Poetry, Cambride Mass. 1915; Root, The Poetry of Chaucer, Boston-New York ecc. 1922 (ediz. riveduta). Sull'influsso di Ch., vedi C. Spurgeon, Five Hundred Years of Chaucer Criticism and Allusion, Ch. Soc., 1918-22.

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De consolatione philosophiae

Ordine della giarrettiera

Sette peccati capitali

Guillaume de machaut

Albertano da brescia