Bush, George Walker

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Bush, George Walker

Tiziano Bonazzi

Uomo politico statunitense nato a New Haven (Connecticut) il 6 luglio 1946. Quarantatreesimo presidente degli Stati Uniti d'America, eletto nel 2000 e rieletto nel 2004, è figlio di G.H.W. Bush, a sua volta presidente degli Stati Uniti (1989-1993). B. appartiene a una delle grandi 'dinastie' politico-economiche statunitensi, formatasi agli inizi del Novecento nel Nord-Est, nel cui establishment si fece strada il nonno, S.P. Bush, produttore di materiale ferroviario e socio gerente di una delle massime investment bank americane prima di essere eletto senatore repubblicano del Connecticut nel 1953. B. crebbe in Texas, dove il padre si era trasferito per partecipare al boom texano del petrolio. A quindici anni venne rimandato al Nord per frequentare le stesse, esclusive scuole del padre. Delle amicizie e delle alleanze familiari nel Nord-Est egli si è servito per le sue attività di businessman e la carriera politica; ma di queste élites ha rifiutato quello che riteneva snobismo intellettuale. Si è sempre sentito molto più vicino allo spirito texano, in cui l'elitismo si sposa al culto del successo immediato, all'antintellettualismo e al populismo. Mentre il padre intraprendeva una carriera politica che lo portò a capo della CIA (Central Intelligence Agency) e poi alla vicepresidenza con R. Reagan nel 1980, B. tentava con scarso successo di farsi strada in Texas, risultando sconfitto alle elezioni per la Camera dei rappresentanti del 1978. Proprio in quegli anni aumentava la sua dipendenza dall'alcol, superata solo nel 1986 grazie all'influenza della moglie L. Welch, sposata nel 1977, e ancor più del reverendo B. Graham, il più famoso predicatore americano. Nel 1989 giunse il successo quando, in gran parte con denaro di amici, acquistò e rilanciò la squadra di baseball dei Texas Rangers. B. coltivò con tenacia la 'texanità' acquisita con lo sport e grazie a essa nel 1994 poté candidarsi a governatore e vincere con largo margine con un programma radicalmente conservatore. Rieletto con facilità nel 1998, nel 1999 era fra i personaggi di punta del conservatorismo nazionale e annunciò di volersi candidare alla Casa Bianca.

Il conservatorismo di B. è lontano da quello 'di Wall Street' del padre, tipico del capitalismo patrizio del Nord-Est, colto, internazionale e laico. Il suo è un conservatorismo culturale più che ideologico che, nella scia di Reagan, nasce dalla visione di una comunità coesa perché retta da valori immutabili tratti dalla tradizione protestante, soprattutto evangelica, a loro volta rintracciati nella storia degli Stati Uniti, letti come una nazione 'eccezionale' con una missione di libertà. Si tratta di un conservatorismo populista, fondato sul dovere di mettere a frutto i 'doni' di intelligenza e carattere concessi da Dio a ognuno e quindi sulla piena responsabilità dei singoli per le proprie azioni, che rende doverosa la ricerca del successo, così come l'obbligo di pagare per le colpe commesse, fino alla condanna a morte. In tale prospettiva ogni azione dello Stato che vada al di là della garanzia dell'ordine e della sicurezza pubblici è vista con sospetto, come un'intrusione nella libertà e un indebolimento della capacità dei cittadini di essere responsabili di sé stessi. Questa cultura politica gli assicurava una larga base nel Paese, alla quale B. affiancava l'appoggio della struttura del Partito repubblicano garantita dal padre e l'alleanza con potenti gruppi economici, soprattutto del settore energetico e del complesso militare-industriale, quali la Enron, gigante texano dell'elettricità, e la Halliburton, principale fornitrice di servizi logistici alle forze armate, diretta dall'ex ministro della Difesa R.B. Cheney. Le elezioni del 2000 mostrarono un Paese spaccato in due. B. risultò eletto contro il suo avversario A. Gore, vicepresidente di B. Clinton, solo dopo una serie di sentenze dei tribunali della Florida e poi della Corte suprema sul risultato dell'incerto voto nella stessa Florida - dove era governatore suo fratello Jeb - necessaria a entrambi i candidati per ottenere la maggioranza nel 'collegio elettorale' nazionale. La Corte suprema assegnò lo Stato a B. spaccandosi 5 a 4 secondo linee politiche e il Paese, che non aveva vissuto una situazione del genere dal 1876, si trovò sull'orlo di una gravissima crisi che Gore evitò accettando la sconfitta.

Il programma del presidente B. poneva in primo piano la politica interna e il 'conservatorismo compassionevole', un concetto elaborato dalla destra cristiana. Queste priorità vennero sconvolte dall'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 che distrusse le Twin Towers di New York e danneggiò gravemente il Pentagono, ma B. non abbandonò le sue idee di riforma. Già prima dell'11 settembre il Congresso, a maggioranza repubblicana, aveva approvato la sua Faith-based and community initiative che assegnava fondi federali alle istituzioni religiose per le loro attività in campo sociale, nonostante i dubbi d'incostituzionalità in rapporto al principio di separazione Stato-chiesa; mentre nel 2002 passò il No child left behind act che tagliava i fondi alle scuole pubbliche incapaci di garantire standard di qualità e finanziava i genitori per spostare i figli in scuole private senza aggravi di spese. Un provvedimento criticato perché non dava alla scuola pubblica, sotto accusa, i mezzi necessari a migliorare il proprio rendimento. Le misure più radicali il presidente le adottò però in campo fiscale, con una serie di forti tagli alle imposte iniziati nel 2001. Lo scopo era di agevolare i consumi e di aumentare l'autonomia dei privati secondo le tesi dell'economia dell'offerta e dell'antistatalismo etico-politico. Il deficit di bilancio provocato dai tagli, che ha raggiunto i 413 miliardi di dollari nel 2004 e che, sommato al grave deficit commerciale, molti ritengono faccia correre gravi rischi agli Stati Uniti, non viene giudicato pericoloso dall'Amministrazione, che ritiene più significativi gli effetti positivi previsti sul mercato del lavoro e sul PIL e quelli derivanti da una maggiore libertà dei cittadini.

L'atto terroristico dell'11 settembre non alterò soltanto le priorità del presidente, ma modificò il suo approccio alla politica estera. Nei primi mesi alla Casa Bianca l'azione di B. si era caratterizzata per una serie di no a importanti trattati internazionali, da quello di Kyoto per il controllo del clima a quelli per l'istituzione della Corte penale internazionale e sul divieto dell'uso di mine antiuomo; una politica opposta a quella di Clinton e giudicata neoisolazionista. L'11 settembre diede modo ai neoconservatori nell'Amministrazione di far valere le loro teorie sull'unipolarismo seguito alla fine del bipolarismo della guerra fredda. Il già manifestato rifiuto di limitare l'azione americana con norme internazionali divenne così un globalismo unilateralista per il quale la sicurezza americana dipende da quella mondiale, che solo gli Stati Uniti possono garantire attaccando ovunque i terroristi e chi li appoggia e abbattendo gli 'Stati canaglia' che la minacciano. Tale teoria venne esplicitata nel documento del 2002 sulla National security strategy, centrato sulle idee di unilateralismo e di preemption, cioè di azione e anche di guerra preventiva. Il presidente fece subito proprie le tesi neoconservatrici e annunciò una 'guerra al terrorismo' che dichiarò sarebbe stata globale e di lungo periodo.

A ciò fece seguire l'attacco all'Afghānistān ove si trovava U. ibn Lādin, lo sceicco saudita fondatore e leader di al-Qā̔ida, che aveva rivendicato gli attentati dell'11 settembre. In poche settimane, nell'autunno 2001, il regime islamico dei Ṭalibān, che si era rifiutato di consegnare Ibn Lādin, venne abbattuto dalle truppe americane e inglesi e dalla afghana Alleanza del Nord. Ibn Lādin sfuggì, però, alla cattura e l'Amministrazione ampliò l'obiettivo della guerra al terrorismo fino a ricomprendervi la democratizzazione, anche con la forza nel caso di regimi ostili, dell'intero Medio Oriente. La guerra globale al terrorismo è divenuta la 'missione' a cui B. si è dedicato con assoluta determinazione, non in nome di una guerra di civiltà - egli ha sempre tenuto ben distinti terroristi islamici e Islam -, ma dei principi universali di libertà e democrazia, anche se ha proposto questi ultimi in una versione sostanzialmente americana. Se la guerra in Afghānistān raccolse un amplissimo consenso interno e internazionale, non così può dirsi della successiva guerra contro l'Irāq, iniziata il 20 marzo 2003 e che in un mese portò alla fine del regime dittatoriale di ṣ. Ḥusayn, catturato poi in dicembre. Iniziata senza alcun avallo giuridico internazionale, essa provocò una grave crisi nei rapporti con l'Europa, che si spaccò dal momento che alcuni Paesi, come Francia e Germania, vi si opposero strenuamente, mentre altri, quali Italia e Polonia, entrarono nella 'coalizione dei volenterosi' creata da Stati Uniti e Gran Bretagna. Negli USA l'opinione pubblica appoggiò massicciamente la guerra, convinta dalla tesi che Ḥusayn possedesse armi di distruzione di massa e avesse rapporti con i terroristi; ma molti cambiarono idea quando le tesi dell'Amministrazione si dimostrarono false e in ̔Irāq scoppiò una guerriglia contro le truppe della coalizione e il governo provvisorio istituito dagli Stati Uniti, pur legittimato da elezioni. Nel 2004 i non brillanti risultati economici e gli aspri scontri sul conservatorismo compassionevole e la politica internazionale misero in forse la rielezione di B. opposto al senatore del Massachussetts J. Kerry.

La scarsa capacità di presa di quest'ultimo sugli elettori incerti, accompagnata dal tradizionale appoggio al presidente in carica nei momenti di crisi e dalla mobilitazione della destra religiosa, portarono invece a una chiara affermazione di B. che vinse in 31 Stati su 50 e venne eletto con 286 voti elettorali su 537. Nel secondo governo B. Cheney e Rumsfeld sono rimasti, rispettivamente, vicepresidente e ministro della Difesa, mentre il segretario di Stato C. Powell, la 'colomba' dell'Amministrazione, veniva sostituito da C. Rice, già consigliere per la Sicurezza nazionale. Con questi mutamenti B. si apprestava a cercare una strategia di uscita dall'Irāq e, in politica interna, a portare avanti, nonostante le molte opposizioni, un'ulteriore radicale riforma, quella relativa alla parziale privatizzazione del sistema pensionistico.

bibliografia

M. Olasky, Compassionate conservatism, New York 2000 (trad. it. Soveria Mannelli 2005).

G. Bush, We will prevail, New York-Londra 2003.

I.H. Daalder, J.M. Lindsay, America unbound. The Bush revolution in foreign policy, Washington 2003.

M. Lind, Made in Texas, New York 2003;B. Woodward, Plan of attack, New York 2004 (trad. it. Milano 2004).

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