CUSADRO, Geremia

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 31 (1985)

CUSADRO (Cusatrus, Cusater), Geremia

Roberto Ricciardi

Nacque a Crema (Cremona) il 15 marzo 1453 da Beltramino, giurista e letterato.

La famiglia Cusadro o Cusadri, originaria di Crema, saltuariamente aveva avuto rapporti con Mantova. Beltramino, figlio di Pantaleone, ne era stato podestà dal 1466 al 1468; nominato poi cavaliere dai Gonzaga, ottenne nel 1479 il titolo di "auditor marchionalis", e in qualità di legato mantovano condusse nel 1480 con Eleonora d'Este la trattativa relativa al patto nuziale tra Isabella d'Este e Francesco Gonzaga. Il fratello Amato esercitò la professione di medico e il di lui figlio Giovanni Ercole fu capitano d'arme agli ordini di Baldassar Castiglione.

Da Crema il C. fu portato a Mantova ancora bambino, durante il pontificato di Pio II, e qui egli fece i suoi primi studi, cominciando ad imparare il latino in età di nove anni (1461-62). Successivamente il padre lo mandò a Vicenza alla scuola di Omobono, e qui il C. apprese "artes ingenuas" e si dedicò a "mollia studia" (Ferrara, Bibl. com. Ariostea, cod. II, 537, f. 20r), ossia alle occupazioni umanistiche; da Ludovico Zuffata, amico del padre, gli fu invece insegnata la filosofia ("rerum cognoscere causas", ibid., f. 26v). In seguito si recò a Ferrara anche quale accompagnatore di Ludovico Gonzaga (ibid., f. 27: "Traxisti Antistes huc me Gonzaga sodalem et comitem studiis tu Lodovice tuis"), allo scopo di apprendervi diritto ecclesiastico (f. 26v: "leges sacras"); di qui passò a Roma dove studiò sotto la guida di Bonfrancesco Arlotti ambasciatore estense a Roma e vescovo di Reggio Emilia, e ne ricevette l'ordinamento sacerdotale (ibid., f. 27v: "imposuit capiti serta meo") nel 1478 o subito dopo, stando alla sua testimonianza che alla partenza per Roma aveva trascorso 15 anni in famiglia e 10 fuori casa (f. 27r). A Roma egli risiedette per trentacinque anni. In questo lungo periodo il C. tentò di fare carriera nell'ambiente ecclesiastico e scrisse componirrienti di non spregevole fattura, con i quali si acquistò una certa fama nei circoli umanistici della capitale.

Egli stesso menziona un'opera composta "stata festa" (ibid., f. 27r), che si può identificare con il poemetto in distici elegiaci per la "festa sacri Palatii Apostolici", dedicato al cardinale Sigismondo Gonzaga (cod. Vat. lat. 2833, ff. 106r-110r). Non sappiamo quando il C. abbia scritto tale componimento, in cui si propone di cantare "festa... quibus rite silet Palatini aula fori" (f. 106r) e nel quale senza speciale originalità viene redatto una specie di calendario sacro delle ricorrenze religiose, suddivise per i dodici mesi dell'anno.

In un catalogo contenuto nel cod. Vat. lat. 3960, f. 44, viene inoltre attribuito al C. un De quadragesimalibus stationibus libellus; ancora lo stesso C. afferma di aver scritto "in patria" un poema in dodici libril intitolato Fasti, destinato alla pubblicazione "Idibus Martiis" (Bibl. com. Ariost., II, 537, f. 27r). Il Mercati avanzò l'ipotesi che sia i Festa sia il Libellus fossero sezione dei Fasti, ma la testimonianza del C. che distingue fra queste opere lo esclude.

Che il C. partecipasse all'attività letteraria della Roma umanistica e pontificia è attestato inoltre da un suo componimento in distici compreso nella nota miscellanea poetica Coryciana, pubblicata da Blossio Palladio a Roma nel 1524 in onore di Giovanni Goritz, ma contenente carmi di epoca certo anteriore. In questa (c. Livr.) si trova una poesia piuttosto banale del C. in lode del gruppo scultoreo del Sansovino, raffigurante s. Anna con la Madonna e Gesù.

Dopo anni vissuti oscuramente, il C. ottenne per interessamento di Sigismondo Gonzaga uno "ius latias per urbes" come ricompensa per il suo zelo (Bibl. com. Ariostea, ibid., f. 28v), e visitò, con incarichi di minor conto, la Campania, la Puglia, l'Italia settentrionale, la Francia e la Svizzera. Per questa attività né il Collegio dei cardinali né i vari pontefici, da Sisto IV ad Alessandro VI, lo ricompensarono come si aspettava ed avrebbe meritato (ibid., f. 29r); sicché, dopo essere entrato definitivamente al servizio di Sigismondo (1504), il C., con il quale il cardinale era giunto a tal punto di intimità da confidargli "arcana mentis", si risolse nel 1513 ad abbandonare Roma, anche per sfiducia nell'interessamento del nuovo papa Leone X. Tornato a Mantova, grazie all'aiuto di Sigismondo, fece costruire la sua tomba di famiglia nella chiesa di S. Pietro.

Oltre che con la corte principesca dei Gonzaga, il C. fu in rapporti di amicizia e di famigliarità con Baldassar Castiglione, da lui conosciuto a Mantova o a Roma, come dimostra una lettera del 26 marzo 1515, da Mantova, nella quale il C. prega il Castiglione di facilitare l'invio allo zio Amato di 40 scudi "per il bisogno suo del andare alli bagni" e inoltre, a nome proprio e della cognata Ludovica vedova del fratello Federico, chiede una lettera di raccomandazione per i Castiglioni di Milano, che vogliano "fare la diligentia oportuna" perché il nipote orfano del C, Alfonso, possa "haver uno loco nel collegio Castillioneo a Pavia... per l'anno proximozo" (cod. Vat. lat. 8211, f. 276r). La fiducia del Castiglione nel C. è testimoniata anche dal fatto che, insieme con il fratello Matteo e il cugino Ercole, egli fu tra i testimoni della stesura dell'atto notorio del testamento di Baldassar Castiglione il 16 sett. 1523.

Nel 1519 il C. scrisse un breve epicedio per la morte di Francesco II (Arch. di Stato di Mantova, B. XXVIII, 10, f. 146), dedicandolo al successore Federico II. Nel 1525, alla morte di Sigismondo, supplicò Federico perché continuasse ad aiutarlo (Bibl. com. Ariostea, ibid., f. 31r) nella difficile opera di educare i sette figli e aiutare la vedova del defunto fratello Federico. Alla nipotina Camilla il C. si riservò di lasciare i suoi beni, fra cui un poderetto non lontano dal Po (ibid., f. 32r).

Oltre ai componimenti occasionali, già menzionati, e a quelli perduti, conserviamo del C. la silloge contenuta nel citato codice ferrarese, che comprende poesie edificanti (tre odi alla Vergine: ff. 19r-21v e un "Canticum Virginis": f. 21rbis, del 1513), la lunga elegia autobiografica "Ad Federicum Gonzagam Marchionem Abbatem" (ff. 22r-33v, scritta a diverse riprese, tra il 1520 e il 1535)., concepita come un proemio all'inedito "libellus Fastorum", abbozzi di elegie con spunti di storiografia encomiastica dei Gonzaga ed elenchi di letterati e poeti mantovani, tra cui il Castiglione (ff. 33v-39v, scritti tra il 1528 e il 1534) e una "Commendatio animae" (f. 41r, del 1519-20). Una "subscriptio" nel f. 42v avverte che il C. era ottantatreenne quando raccoglieva questi componimenti nell'inverno del 1535. In complesso, si tratta di poesie per lo più in forma diaristica di mo'desta fattura e di scarse pretese, per cui appare. sproporzionata la lode di M. Antonio Antimaco riguardo ai perduti Fasti, che il C. avrebbe scritto "ovidiana facilitate" (L. Giraldi, De poetis, p. 91). Nascoste dai discendenti del C., queste poesie, che narravano "antiquas gentium cerimonias et nostras", si sono definitivamente perdute.

li C. morì a Mantova nel 1536 (d'Arco, p. 172) e fu sepolto nella chiesa di S. Pietro (Bibl. com. Ariostea, cod. cit., 30v).

Tra i suoi parenti si può ricordare il fratello minore Matteo, che nel novembre 1526 e nel giugno 1528 fu inviato di fiducia di Federico Gonzaga presso Georg von Frundsbergh, comandante dei lanzichenecchi, e il cugino e umanista Girolamo. Un discendente del C., Ottavio, abitava ancor nel 1581 la casa di famiglia, in Mantova, "presso i volti della liona", ossia tra l'attuale teatro Sociale e la via dell'Agnello.

Fonti e Bibl.: Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, cod. II, 537, misc., fasc. II, ff. 19r-42v; Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, serie B. XXXIII.10, misc. cart. aa. 1341-1520, f. 146r Dv; Ibid., Documenti Patrii d'Arco: C. d'Arco, Notizie di circa mille scrittori mantovani, mss. n. 225, III, pp. 171 ss.; Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 8211, f. 276r, Ibid., Vat. lat. 2833, ff. 106r-110r; Coryciana, Roma 1524, c. Li Vr; L. Giraldi, De poetis nostrorum temporum, Leipzig 1904, p. 91; G. Tiraboschi, Storia d. lett. ital., VII, Modena 1792, p. 1415; S. Davari, Notizie stor. topografiche della città di Mantova nei secc. XIII e XIV, in Arch. stor. lomb., s. 3, VII (1897), p. 250 n. 3, A. Luzio R. Renier, La coltura e le relaz. letter. d'Isabella d'Este, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXXIV (1899), pp. 22 s.; A. Luzio, Isabella e Francesco Gonzaga, promessi sposi, in Archivio storico lombardo, s., 4, IX (1908), pp. 42 ss.; Id., Isabella d'Este e il sacco di Roma, ibid., X (1908), p. 40; G. Mercati, Opere minori, III, Città del Vaticano 1937, pp. 76 ss.; V. Cian, Nel mondo di Baldassar Castiglioni, in Arch. stor. lomb., n. s., VII (1942), pp. 7, 65, 84; Id., Un illustre nunzio pontificio nel Rinascimento, Baldassar Castiglioni, Città del Vaticano 1951, pp. 76 ss. - Mantova. Le Lettere, II, Mantova 1962, pp. 384: 408 s.; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 60; II, pp. 114, 344, 353, 526.

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