GERMANIA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

GERMANIA (XVI, p. 667; App. I, p. 650; II, 1, p. 1031; III, 1, p. 729)

Giuliano Bellezza
Daniela Primicerio
Laura Castellucci
Hartmut Ullrich
Luigi Quattrocchi
Eugenia Schneider Equini
Rolf Wedewer

Popolazione. - Per la Repubblica Federale (BRD) la stima più recente è della metà del 1974, con 62.041.000 ab. e una densità di 250 ab. per km2; i dati includono anche gli ab. del settore occidentale di Berlino, cioè 2.063.000. Nella Repubblica Democratica (DDR) al dicembre 1973 la popolazione è stata stimata pari a 15.862.423 ab., con una densità di 147 ab. per km2; inoltre 1.088.028 altre persone vivono nel settore orientale di Berlino. Si può in sostanza affermare che nel corso del 1973 sul complesso dei territori delle due Germanie si siano superati i 79 milioni di ab., con una densità complessivamente superiore ai 221 ab. per km2. Gli ultimi censimenti ufficiali hanno dato i seguenti risultati: nel maggio 1970 nella Repubblica Federale 58.528.100 ab., cui andavano aggiunti i 2.122.300 ab. di Berlino Ovest; nella Repubblica Democratica nel gennaio 1971 vivevano 15.981.944 persone, più 1.084.866 a Berlino Est. Dalla fine degli anni Cinquanta l'evoluzione demografica ha avuto un andamento ben diverso nelle due parti della Germania. In particolare la Repubblica Federale ha fatto registrare un incremento discreto che la colloca nella parte alta delle graduatorie europee, con un coefficiente di accrescimento medio annuo nel decennio 1963-72 dello 0,8%. Nella DDR nello stesso decennio si è invece verificata una diminuzione, pari a un tasso medio annuo del −0,1%. La differenza non sta nel movimento naturale, che è anzi piuttosto simile. I valori medi sia di natalità che di mortalità variano tra il 12 e il 15‰, con in genere una lieve prevalenza della prima nella BRD, della seconda nella DDR. In questa i valori variano molto poco da un anno all'altro, mentre nella BRD si sta manifestando una diminuzione nel tasso di natalità, e divengono più frequenti gli anni nei quali prevale la mortalità. Sono quindi i movimenti migratori verificatisi nel corso degli ultimi anni quelli che hanno provocato le variazioni di popolazione, e hanno portato a un incremento di circa tre milioni nella BRD e a una diminuzione di 300.000 persone nella DDR. Il deflusso delle popolazioni germanofone dai territori dell'Europa orientale ha interessato solo in misura marginale la DDR, la quale era in grado di offrire posti di lavoro solo nella nascente industria pesante o nelle regioni agricole meno favorite, mentre ha investito in pieno la BRD che, almeno in via di principio, assicurava una più ampia gamma di occupazioni. Inoltre il richiamo della vita urbana occidentale, soprattutto nel periodo di maggiore espansione economica, non era contrastabile dall'innegabile grigiore delle città della DDR, dove l'industria dei beni di consumo produceva quasi esclusivamente per l'esportazione. In tal modo, nonostante la presenza di centinaia di km di confine, la maggior parte delle uscite clandestine avvenivano nella città di Berlino (anche perché nel settore occidentale si era formata una vera organizzazione di ricezione). Il numero medio di espatri superava i 220.000 all'anno, quando nel 1961 il governo arrestò drasticamente il fenomeno erigendo un muro di separazione tra i due settori della città. La costruzione del tristemente celebre muro, fortemente criticata in tutto il mondo occidentale, ebbe ripercussioni insospettabili sulla composizione etnica della BRD. L'afflusso di manodopera era infatti diventato un elemento strutturale del progresso industriale, al punto che la BRD dovette favorire l'immigrazione straniera da altri paesi. Fino ad allora, nel dopoguerra erano immigrati circa 10 milioni di Tedeschi, ma in seguito si sono verificate tensioni sempre maggiori tra i lavoratori locali e gl'immigrati, stranieri in ogni senso e avvertiti come concorrenti. Al censimento del 1961 sono figurati circa 3,5 milioni di stranieri, pari al 6% della popolazione totale, ma più del 13% della popolazione attiva. Si è teso a rendere difficile per gl'immigrati il farsi raggiungere dai familiari; in tal modo, essendo gl'immigrati in grande maggioranza uomini in età lavorativa, si è migliorata la struttura della popolazione, come età e come rapporto tra maschi e femmine. Nella DDR infatti, sempre in conseguenza della guerra, il rapporto donne-uomini era ancora di 127 a 100 nel 1971; inoltre sono elevate le percentuali di giovani e anziani, mentre basso è il numero delle persone in età lavorativa. Nella BRD gl'Italiani, che nel 1955 non raggiungevano i 30.000, sono arrivati nel 1971 a quasi 590.000. Ma da quando i regolamenti della CEE hanno portato i lavoratori comunitari a parità di trattamento, si è favorita l'immigrazione da altri paesi. Alla stessa data si avevano infatti oltre 650.000 Turchi, circa 600.000 Iugoslavi, 400.000 Greci, 270.000 Spagnoli, ecc. Le aree d'immigrazione, dato quanto si è detto sul movimento naturale, sono quelle che hanno registrato i massimi incrementi di popolazione. La Renania Settentrionale-Vestfalia, con quasi 17.200.000 ab., è sempre il Land più popoloso, ma non è più l'area di maggiore attrazione. Nell'ultimo decennio il maggiore sviluppo si è infatti verificato nei Länder più meridionali. Il Baden-Württemberg è salito da 7.760.000 a oltre 9.154.000 ab.; la Baviera da 9,5 a 10,8 milioni; l'Assia da 4,8 a oltre 5,5. Si è invece registrata una diminuzione di popolazione in vaste aree della Bassa Sassonia, da dove si ha un'emigrazione di 15-20.000 persone all'anno verso i Länder centro-meridionali. Nella DDR non si hanno eterogeneità così spiccate, e i distretti nei quali si è verificato un sia pur debole incremento sono distribuiti in tutto il territorio. Si tratta di quelli di Rostock, sul Baltico; Francoforte sull'Oder e Cottbus, al confine con la Polonia; Gera nel meridione e Suhl nella zona occidentale. Il decremento più sensibile si è invece verificato in un'ampia regione contigua comprendente Magdeburgo, Lipsia, Karl Marx Stadt e Dresda. Il grado di urbanizzazione è maggiore nella BRD. Nel 1970 infatti solo il 18% della popolazione viveva in comuni con meno di 2000 ab.; il 49% si trovava in piccole e medie città, con popolazione tra 2000 e 100.000 ab.; il rimanente 33% infine viveva in grandi città, con oltre 100.000 ab. Va però rilevato che negli ultimi anni la maggior parte delle città ha denunciato una diminuzione di popolazione, salvo rare eccezioni. Il maggiore incremento è stato registrato da Bonn la cui popolazione è poco meno che raddoppiata (da 144 a 280.000 ab.); si tratta però di un caso singolo, dovuto alle nuove funzioni amministrative che la neo-capitale federale deve svolgere. Tra i capoluoghi dei Länder i soli a registrare incrementi netti sono Monaco di Baviera (aumento di oltre 200.000 unità, fino a 1.338.000) e, a livello più modesto, Magonza (180.000 ab., incremento di oltre 40.000). Salvo Brema, rimasta stazionaria, tutti gli altri capoluoghi manifestano una riduzione, particolarmente accentuata nel caso di Hannover (516.000 ab., riduzione di 57.000) e Düsseldorf (650.000, riduzione di 55.000). Ma si tratta di un fenomeno generalizzato, che non ha colpito solo i capoluoghi, come dimostra il fatto che sono eccezionali le città la cui popolazione abbia avuto dei sia pur deboli incrementi (Colonia, Mannheim, Norimberga, Karlsruhe). Le diminuzioni maggiori riguardano la città-stato di Amburgo, che ha 1.766.000 ab., 77.000 in meno in 10 anni, e tutto il complesso delle città della Ruhr. La zona rimane sempre uno dei casi limite dell'urbanizzazione mondiale, ma Essen, uno dei suoi centri originari, è diminuita da 730.000 a 692.000 ab.; Duisburg, il grande porto fluviale alla confluenza Ruhr-Reno, è diminuita da 504.000 a 450.000. Anche nelle minori regioni d'industrializzazione più a meridione si registrano diminuzioni, come a Francoforte sul Meno. Caso a parte sotto ogni punto di vista, per questo aspetto Berlino Ovest rientra nella regola generale, diminuendo di oltre 100.000 abitanti.

Nella DDR il fenomeno non è tanto generalizzato, ma qui sorprende anche meno, dato che s'inserisce in un contesto nazionale di decremento. Le flessioni delle città sono anzi più contenute. La maggior diminuzione si è verificata a Halle an der Saale, 251.000 ab., 27.000 in meno. A Lipsia la diminuzione è stata di 10.000 ab., giungendo a 577.000. Gli altri centri maggiori hanno avuto incrementi, e Berlino Est ha pure visto un lieve aumento. Percentualmente l'accrescimento maggiore si è avuto a Rostock, oltre il 23%, fino a giungere a 205.000 abitanti.

Condizioni economiche.

Repubblica Federale di Germania (BRD). - Agricoltura. - Negli ultimi anni l'area coltivata ha avuto un leggero incremento, dai 7.880.000 ha del 1962 agli 8.080.000 del 1973; di questi circa 7,5 costituiscono l'arativo e oltre mezzo milione sono destinati alle colture arboree. L'ampliamento è avvenuto a spese dei prati e pascoli (circa 5,4 milioni di ha) e delle foreste (7,2). Più o meno invariata è rimasta la superficie improduttiva, pari al 16,5% del territorio nazionale. Si è verificata una certa diminuzione anche nel numero degli agricoltori, che superano tuttora i 2,5 milioni, pari a un decimo della popolazione attiva. In effetti, pur se prima si è rilevata una diminuzione di popolazione nelle grandi città, dalle campagne la popolazione tende a dirigersi verso i centri. Il motivo principale risiede nel fatto che, nonostante i vari provvedimenti razionalizzatori, il reddito medio dell'agricoltore tedesco è ben inferiore alla metà di quello degli altri compatrioti, il che giustifica l'abbandono, da parte dei giovani, di questa attività. Entro certi limiti, questo non è scoraggiato dal governo, che tende a diminuire il numero delle piccole aziende. Si calcola che nel dopoguerra il numero di queste sia diminuito di circa 350.000; nel 1973 quelle inferiori ai due ettari erano ancora più di 130.000, ma circa la metà rispetto al 1960; quelle tra 2 e 5 ettari erano diminuite analogamente, da 387 a 210.000; anche quelle fino a 20 ettari erano scese di un terzo, fino a 426.000, mentre erano aumentate quelle maggiori di 20 ettari, da 139 a 198.000. Molto spinta è la meccanizzazione, che conta su circa 1,2 milioni di trattori; con abbondanza si usano i fertilizzanti chimici, nel quadro di una pianificazione che tende a ricavare il massimo dai terreni che prima della guerra non erano considerati i più fertili della Germania. Tuttavia il rapporto tra addetti e territorio non è ancora ottimale, con una media di 3,1 ha per agricoltore rispetto a oltre 10 ettari in Danimarca o Regno Unito (e circa 60 negli SUA). In ogni modo, la produzione di cereali è superiore a quella italiana; grandi aumenti hanno avuto le aree destinate al frumento (1,6 milioni di ha) e all'orzo (1,5), le cui produzioni hanno superato i 70 e i 65 milioni di q rispettivamente. Entrambi hanno superato la segale un tempo predominante, che rimane tuttavia molto usata nelle regioni settentrionali per la panificazione (circa 30 milioni di q). Di pari entità è attualmente la produzione dell'avena, mentre di poco conto è quella di mais. Fondamentale rimane la coltura delle patate, che ha però registrato anch'essa una contrazione e la cui produzione è di circa 140 milioni di q. I maggiori progressi tecnici li ha registrati la coltura della barbabietola da zucchero, nella quale con un piccolo aumento di superficie si è di molto aumentata la produzione (circa 150 milioni di q). Al contrario, si è contratta l'area destinata al tabacco, limitata oggi ai migliori distretti del Baden e del Palatinato (85.000 q). Sempre largamente diffuso il luppolo (oltre 300.000 q), richiesto da un'industria della birra tra le più ingenti del mondo. Le parti più assolate delle valli del Reno, Meno, Neckar e Mosella dànno una produzione vitivinicola in quantità (quasi 10 milioni di q di uva e 7 milioni di hl di vino) paragonabile a quella portoghese, superiore a quelle di Grecia, Iugoslavia o Romania. Anche nel settore ortofrutticolo alcune produzioni sono a livello di primato europeo, come quelle dei cavoli, delle mele, delle ciliege, delle susine. Nel patrimonio zootecnico è rimasto invariato (circa 13,5 milioni) il numero dei bovini, mentre hanno avuto un lieve incremento i suini (oltre 20 milioni); in lieve diminuzione gli ovini, mentre in forte crescita risultano gli animali da cortile (ben oltre 100 milioni). Le rilevanti produzioni di carne e lattiero-casearie sono peraltro insufficienti al fabbisogno nazionale. Piuttosto intenso lo sfruttamento forestale, con una produzione di oltre 30 milioni di m3. Per esaurire il quadro delle produzioni alimentari, la pesca non è stata incrementata, e anzi la produzione nel decennio è diminuita fin sotto le 500.000 t; la flottiglia conta circa 3000 unità.

Produzione mineraria e fonti di energia. - La produzione di carbone ha avuto una flessione costante, scendendo nel 1973 al di sotto dei 100 milioni di t. In pratica solo il giacimento della Ruhr è in grado di competere, qualitativamente e per costi, con le produzioni straniere. Non altrettanto avviene nei giacimenti della Saar e di Aquisgrana, dove anzi si verifica una certa disoccupazione. Si tende a limitare l'attività ai giacimenti di più facile e meccanizzabile estrazione, ma rispetto agli altri la Ruhr è molto avvantaggiata dalle facilità di trasporto offerte dalle vie d'acqua. Si è invece mantenuta costante la produzione di lignite, che quindi è oggi equivalente a quella di carbone. Il più utilizzato giacimento è quello molto ingente presso Colonia, che ha il vantaggio di esser talmente superficiale da venir sfruttato a cielo aperto, con tecniche altamente meccanizzate. Per rendere meno desolato il paesaggio delle zone minerarie non più attive, il governo cura che al termine dell'attività le cavità vengano riempite d'acqua o alberate. Minori flessioni ha registrato l'estrazione dei minerali metallici (ferro, piombo, zinco), che sono però sempre largamente insufficienti. Un certo progresso si è verificato nel settore degl'idrocarburi, dove nuovi giacimenti sono stati scoperti nella Bassa Sassonia (bacino dell'Ems). La produzione di petrolio (oltre 6 milioni di t) è la maggiore dell'Europa occidentale, mentre quella di gas (20 miliardi di m3) è stata di recente superata da quelle olandese e britannica (giacimenti del Mare del Nord, dove anche la BRD compie sondaggi). Il consumo di petrolio ha registrato fortissimi aumenti, tendendo a diventare la maggiore fonte di energia. È stato pure varato un programma per la costruzione di centrali elettronucleari: già da vari anni funziona un laboratorio dell'Euratom a Karlsruhe, mentre le prime centrali produttive sono del 1966. Il maggior impianto in funzione è quello di Biblis (1200 MWe) a N di Mannheim, inaugurato nel 1974. Gli altri maggiori sono a Obrigheim e Gundremmingen; presso quest'ultimo sono in costruzione altre due centrali, per complessivi 2500 MWe. La percentuale di energia atomica sul totale prodotto (circa 275 miliardi di kWh) supera di poco il 3%, e si avvia a raggiungere il quantitativo dovuto agl'impianti idroelettrici, tutti localizzati nel settore alpino. Intanto il carbone fornisce ancora quasi il 35% dell'energia elettrica e un ulteriore 25% viene ricavato dalla lignite. La parte degl'idrocarburi è già di quest'ordine di grandezza; probabilmente, dopo la crisi del 1973-74, non aumenterà più di molto.

Attività industriali. - Lo sviluppo industriale della BRD è divenuto proverbiale, ma negli ultimi anni si sono avuti solo miglioramenti strutturali, con addirittura una contrazione del numero di addetti. Si è infatti discesi da oltre 13 milioni nel 1970 a circa 12,8 nel 1973. Quel che naturalmente è sempre in ascesa è la produttività per addetto; per il complesso dei salariati rispetto all'indice 1962 = 100 si è giunti a 160 nel 1973, mentre solo per gli operai si è giunti a 190. Allontanatisi i timori di una ripresa bellica, la razionalizzazione tramite processi di fusione di aziende ha proceduto a pieno ritmo. Attualmente operano quasi 100.000 aziende, tra cui quelle considerate piccole, con meno di 50 addetti, sono 75.000; impiegano complessivamente l'11% della manodopera e forniscono il 10% del fatturato. Le aziende medie, fino a 500 addetti, sono circa 20.000, impiegano il 37% della manodopera e forniscono il 35% del fatturato. Le imprese maggiori, cioè il 5% restante, impiegano il 51% degli operai e forniscono il 54% del prodotto. Si è quindi ristrutturato il sistema dei Konzerne, formidabili complessi colleganti numerosi stabilimenti produttivi integrati orizzontalmente e verticalmente, con un'ingente organizzazione commerciale e finanziaria. Questi costituiscono in effetti la base dell'economia industriale tedesca, che fornisce più del 52% del prodotto nazionale. La siderurgia produce attualmente oltre 50 milioni di t di acciaio e 40 di ghisa e ferroleghe. Altre forti produzioni metallurgiche sono quelle di alluminio, piombo, zinco, magnesio. Altro settore di grandi Konzerne è quello chimico, dove le maggiori industrie tedesche (a Francoforte, Leverkusen, Ludwigschafen) figurano tra i maggiori complessi industriali di tutto il mondo. Forte impulso hanno avuto in questo settore le raffinerie petrolchimiche; a tale proposito va rilevato come uno dei grandi settori della petrolchimica, quello del medio Reno e della Baviera, sia rifornito di greggio tramite oleodotti e gasdotti in partenza da porti mediterranei (Marsiglia-Karlsruhe, Genova-Ingolstadt, Trieste-Ingolstadt). Sviluppo rilevante ha sempre avuto il settore meccanico (auto, moto, biciclette, macchine agricole e macchinari industriali in genere); la maggiore industria tedesca è infatti la casa automobilistica Volkswagen. Al terzo posto nel mondo come numero di auto prodotte, la BRD è al primo come esportatrice. Non troppo fiorente è stata l'industria cantieristica, che il governo ha dovuto più volte sostenere. Fortissimo invece lo sviluppo del settore elettrico ed elettronico; anche in questo caso il maggior Konzern figura tra i maggiori complessi del mondo. Altissima, e di qualità, la produzione di elettrodomestici di ogni genere, ma rilevante anche la produzione del settore elettronico (dove è però fortissima la penetrazione di capitale statunitense). Rilevante è sempre l'industria tessile, con oltre 500.000 addetti.

Vie di comunicazione e commercio estero. - La divisione politica del territorio tedesco ha negativamente influito sulle vie di comunicazione a lungo raggio in direzione est-ovest (autostrade e ferrovie per Berlino, fiumi e canali navigabili). Si sono invece sempre più sviluppati gli assi nord-sud; per il trasporto pesante la BRD utilizza le vie d'acqua interne più di qualunque altro paese europeo e la rete si sviluppa per oltre 4350 km. A quasi 30.000 km giunge la rete ferroviaria, mentre quella stradale supera i 165.000 (di cui 5260 km di autostrade). La bilancia commerciale è sempre fortemente attiva, grazie a una formidabile esportazione di prodotti industriali di ogni tipo, con la quale solo gli SUA e il Giappone sono in grado di competere. Il movimento avviene in massima parte con i paesi del blocco occidentale e in minor misura coi paesi socialisti e il Terzo Mondo.

Repubblica Democratica Tedesca (DDR). - Agricoltura. - Nonostante lo stato abbia dedicato maggiore importanza allo sviluppo del settore industriale, la parte dell'agricoltura sul totale del reddito nazionale è salita in quindici anni dal 10 al 14% (a detrimento del settore terziario). Il numero di addetti è invece diminuito, nel corso degli ultimi sette anni, di oltre 150.000, e oggi è inferiore al milione. Altre due riforme agrarie hanno seguito quella del 1954, di modo che attualmente poco meno del 90% del reddito agricolo deriva dal settore socialista; quattro quinti di questo sono statali, il rimanente è cooperativo. Fino al 1965 si è teso, nei piani economici, a una distribuzione il più possibile omogenea delle attività industriali su tutto il territorio. A partire dal piano seguente si è invece privilegiato il principio della razionalizzazione economica territoriale, seguendo quindi la naturale vocazione agricola del settentrione e concentrando l'investimento industriale nel meridione, che viene definito il "ferro di lancia" dell'economia nazionale. Non si sono verificati mutamenti rilevanti nella destinazione produttiva del territorio nazionale: arativo e colture arborescenti ne occupano quasi il 45% (4,8 milioni di ha); prati e pascoli il 13,6 (1.462.000 ha); i boschi oltre il 27% (2.941.000 ha) e il rimanente 14,5% è incolto o improduttivo. Nell'arativo una metà è destinata ai cereali, tra i quali si sono verificati dei mutamenti. La segale, un tempo il più coltivato, ha ceduto il passo anche nel nord all'orzo (26 milioni di q) e al frumento (27); la sua produzione è attualmente di circa 19 milioni di q. Anche l'avena è in diminuzione, come pure le patate; queste ultime però hanno avuto una flessione modesta e, con circa 120 milioni di q, sono sempre la base dell'alimentazione nazionale. La barbabietola da zucchero viene prodotta in ragione di oltre 62 milioni di q, e negli ultimi quindici anni si è verificata una maggiore differenziazione dei prodotti, con incrementi nel settore ortofrutticolo. Una notevole cura ha ricevuto l'allevamento, in particolare i bovini. Questi sono attualmente circa 5,4 milioni e i suini hanno superato i 10; oltre un milione e mezzo sono gli ovini e oltre 43 milioni gli animali da cortile. Nel corso dell'ultimo piano si è cercato d'incrementare questi e le vacche da latte,. e infatti nel corso del 1972 la produzione lattiero-casearia è aumentata del 10%, quella di uova del 22%. Ma la maggior cura data all'agricoltura nell'ultimo piano si è riflessa anche sui cereali, la cui resa è salita in complesso da 29 a 36 q/ha. Il mantello forestale è abbastanza intensamente utilizzato, con una produzione annua di quasi 9,5 milioni di m3 di legname.

Produzione mineraria. - Le risorse minerarie non sono varie, e la produzione è quasi limitata a due prodotti, ma in quantità di rilievo. I sali potassici (Bleicherode, Halle, Stassfurt, qui associati a salgemma) con circa 2,5 milioni di t pongono la DDR al quarto posto nel mondo. Per la lignite la produzione, prossima ai 250 milioni di t, è un terzo del totale mondiale; i giacimenti utilizzati sono nelle regioni centrali (Lipsia, Halle, Bitterfeld) e meridionali (Lusazia). Di poca entità le produzioni metalliche (ferro, zinco, rame) e di carbone, come anche la più recente produzione di gas (circa 3 miliardi di m3) a Rudesdorf, ecc. Notevole, ma in quantità non conosciute, è invece la produzione di minerali radioattivi (Aue, Ronneburg).

Attività industriali. - Quella che era la parte agricola della G. è diventata il secondo paese industrializzato socialista, settimo nel mondo. La bilancia commerciale è infatti basata sull'esportazione di prodotti industriali, e il settore dà quattro quinti del prodotto nazionale. Fondamentale è stata la messa a punto del procedimento di cokerizzazione della lignite (Biklenroot-Rammler), grazie al quale la produzione pro-capite di energia ha superato quella della BRD. A Rheinsberg è attiva una centrale nucleare da 70 MWe, ma quasi tutta l'energia deriva dalle ligniti. L'industria metallurgico-meccanica è la prima, con 800.000 addetti; più che raddoppiate dal 1958 le produzioni di acciaio (6 milioni di t) e ghisa (oltre 2); sempre molto qualificate l'ottica e la meccanica di precisione (Jena, Leitz, Lipsia, Dresda). I cantieri navali (Rostock) impiegano 50.000 persone. L'industria tessile, con 260.000 addetti, si concentra nel triangolo Lipsia-Plauen-Zittau, e lavora anche fibre artificiali. Queste sono fornite dall'industria chimica, sviluppatasi di oltre 10 volte rispetto all'anteguerra (325.000 addetti); oltre al settore settentrionale (Sassonia) se ne sviluppa uno petrolchimico al confine orientale sull'Oder, a Schwedt dove giunge il grande oleodotto dell'Amicizia (da Urali-Volga-Ucraina). Fortissimo sviluppo vengono sempre più assumendo le industrie elettriche ed elettroniche (360.000 addetti), quelle cui maggiormente sono rivolti gli attuali indirizzi economici. Da rilevare il forte sviluppo industriale a Berlino Est (elettronica, meccanica, ottica, metallurgia).

Vie di comunicazione e commercio estero. - Il territorio è traversato da una densa rete di canali e vie d'acqua navigabili (oltre 2500 km) che assorbono gran parte del traffico pesante. Ben sviluppate sono anche la rete ferroviaria (14.500 km) e quella stradale (45.600 km), mentre mancano vere e proprie autostrade essendo quasi nullo il traffico privato. La bilancia commerciale è prossima alla parità e il movimento di esportazione concerne sia materie prime (lignite, potassio), che prodotti industriali, anche a tecnologia avanzata. La maggior parte del movimento si compie con i paesi socialisti, mentre nel blocco occidentale prevale di gran lunga la G. occidentale.

Bibl.: Autori vari, Ökonomische Geographie der D.D.R., Lipsia 1969; K. A. Sinnhuber, Germany and its growth, Londra 1970; P. Riquet, La Repubblica Federale di Germania, Milano 1971; Autori vari, Raumordnung und Landesplanung im 20 Jahrhundert, Hannover 1971; G. Castellan, La République Démocratique Allemande, Parigi 1972; R. Cheval, L'Allemagne, ivi 1972; J. Midgley, Germany, Oxford 1972; S. Radcliffe, 25 years on, the two Germanies, Londra 1972; M. Schnitzer, East and West Germany, New York 1972; A. Mayhew, Rural settlement and farming in Germany, Londra 1973; M. Tailleur, B. Di Crescenzo, La République Démocratique Allemande, un pays hautement développé, Parigi 1973; D. Burtenshaw, Economic Geography of Western Germany, Londra 1974.

Finanza.

Repubblica Federale di Germania (BRD). - Alla fine del 1960 le riserve auree e valutarie della BRD ammontavano a 33 miliardi di DM mentre la considerevole disponibilità di liquidità creava i presupposti per una larga concessione di crediti. Per meglio definire il quadro finanziario va aggiunto che, a decorrere dal 6 marzo 1961, il governo federale decise di rivalutare del 5% il marco.

La richiesta estera diminuì, le ampie scorte valutarie si ridussero e gl'imprenditori, per via degli alti salari e della crescente concorrenza straniera, rallentarono gl'investimenti. I prezzi delle merci d'esportazione e d'importazione diminuirono, mentre aumentarono quelli dei beni di consumo, grazie agli alti redditi che ne stimolarono una maggiore domanda. Nel 1965 una nuova fase di sviluppo economico raggiunse il massimo. In quell'anno il prodotto nazionale lordo superò del 5,6% quello dell'anno precedente. Data la scarsità di forza lavoro, vennero occupati in misura crescente lavoratori stranieri. Dal 1966, il tasso d'incremento annuo in termini reali del prodotto nazionale lordo andò sempre più diminuendo e la tendenza continuò negli anni successivi: ridotto al 2,9% nel 1966, subì un nuovo regresso nel 1967. La recessione iniziò soprattutto per la diminuzione degl'investimenti sia privati che pubblici, manifestatasi già nel 1965. Essa avrebbe prodotto effetti ben più gravi se non si fosse verificato un forte aumento nell'esportazione. Le importazioni da 72,67 miliardi di DM nel 1966 scesero a 70,18 nel 1967 (−4%); nello stesso periodo le esportazioni salirono da 80,63 miliardi di DM a 87 (+7,9%). Il saldo della bilancia commerciale, che nel 1966 era di 8 miliardi, nel 1967 raggiunse i 16,9 miliardi. Le ripercussioni congiunturali si fecero sentire anche sulla formazione del risparmio e sul patrimonio.

Il governo federale nel 1966 dispose la somma di 2,5 miliardi di DM per investimenti basandosi, a differenza della tradizionale gestione di bilancio, sul deficit spending. In tal modo vennero finanziati investimenti statali aggiuntivi, specie per le ferrovie, per le poste e per le costruzioni stradali. Queste iniziative, disposte per commessa all'industria e all'edilizia, non furono sufficienti a superare rapidamente la recessione; a tale scopo, alla fine del 1967, venne deliberato un secondo programma congiunturale e strutturale che prevedeva un ammontare della spesa pubblica di 5,3 miliardi di DM. Queste misure di stimolo congiunturale vennero integrate da agevolazioni di ammortamento a breve scadenza, che avrebbero dovuto promuovere investimenti da parte degl'imprenditori. Tali provvedimenti vennero favoriti anche dalle agevolazioni fiscali che derivavano dalla trasformazione dell'imposta sugli scambi in imposta sul valore aggiunto (IVA), attuata il 1° gennaio 1968.

Dai primi del 1968 l'economia della Rep. Fed. di G. si è trovata in fase di rapida ascesa congiunturale. Essa è sfociata nel più rapido e ampio boom verificatosi dalla fine della guerra. Nell'autunno del 1971 cominciarono a manifestarsi sintomi di una progressiva stabilizzazione congiunturale. L'incremento dell'esportazione, in forte e ininterrotta ascesa anche durante la recessione del 1966-67, proseguì negli anni successivi e nel 1968 ammontava a 18,4 miliardi di DM.

Sia il capitale estero a breve investito in G., sia le forti eccedenze della bilancia commerciale determinarono un potenziale inflazionistico. Un rilevante deflusso di valute estere si verificò solo quando, dopo la formazione della coalizione social-liberale, il marco fu rivalutato del 9,3%.

Nel 1970 il prodotto nazionale lordo, in termini reali, aumentò del 5% rispetto al 1969, anno in cui l'aumento era stato dell'8%. La diminuzione del tasso d'incremento dipese in particolar modo dalla flessione della produzione dell'industria, il cui aumento del 6% circa risultò molto inferiore a quello dei due anni precedenti (1969, 13%; 1968, 11,8%).

Con il crescente sfruttamento del potenziale produttivo si verificò una parallela forte richiesta di mano d'opera che alimentò un notevole aumento salariale nel 1970.

Gl'imprenditori tentarono di maggiorare i prezzi in ragione dell'intera maggiorazione dei costi; gli sforzi della Bundesbank miranti a ridurre tale tendenza e a mantenere stabile il valore del denaro furono frustrati dalle banche e dagl'imprenditori che, per investimenti ecc., attinsero al mercato dell'eurodollaro crediti a basso costo. Il governo federale e la Bundesbank adottarono allora una serie di provvedimenti volti a salvaguardare l'aflusso di valuta dall'estero, il cambio del marco venne temporaneamente liberalizzato e il pagamento d'interessi su crediti bancari di stranieri venne subordinato, di massima, all'obbligo dell'autorizzazione.

La recessione però era iniziata, e ha toccato il suo punto minimo nel periodo 1974-75. In quegli anni, infatti, si è attuata una forte restrizione della domanda, a causa soprattutto del regresso delle esportazioni e di una netta contrazione delle scorte e degl'investimenti fissi. Tale inattesa debolezza della domanda privata fino alla metà del 1975 ha avuto le sue ripercussioni sul mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione ha continuato a crescere, nonostante il riflusso dei lavoratori stranieri, e il suo tasso medio, nel 1975, è stato due volte più elevato di quello del 1967.

Alla fine del 1974 la politica economica è stata progressivamente ricondotta a incentivare la domanda. Un forte rallentamento del tasso d'inflazione, al quale ha contribuito una sensibile decelerazione degli aumenti salariali dalle contrattazioni collettive del 1974-75, ha facilitato questa tendenza che l'elevato e crescente livello di disoccupazione rendeva indispensabile. Le misure tendenti all'espansione sono state studiate in modo tale da non compromettere la stabilità dei prezzi.

Politica monetaria. - L'unità monetaria della Rep. Fed. di G. è il marco tedesco (Deutsche Mark-DM), istituito nel 1948.

La sua parità col dollaro, originariamente di 0,30 dollari per un marco, subì delle variazioni per le rivalutazioni attuatesi, una il 6 marzo 1961, al cambio di 1 DM = 0,25 dollari = 0,222.168 gr. di oro fino; l'altra il 27 ottobre 1969 al cambio di 1 DM = 0,27 dollari = 0,242.806 gr. di oro fino. In data 9 maggio 1971, infine, con delibera del governo federale, il cambio fisso del marco venne temporaneamente liberalizzato.

La Banca federale tedesca (Deutsche Bundesbank) svolge la funzione di banca centrale; la sua politica monetaria e creditizia è basata soprattutto su una politica di sconto flessibile, su operazioni di mercato aperto e sulla politica delle riserve.

Le riserve monetarie della Bundesbank (riserva aurea e crediti netti all'estero complessivi), dalla fine del 1960 alla fine del 1970, ammontarono, di regola, a oltre 30 miliardi di DM. Uniche eccezioni: 29,6 miliardi di DM a fine 1962 e 26,4 a fine 1969. In entrambi i casi il motivo fu la rivalutazione del marco. In questi ultimi dieci anni la riserva aurea si è aggirata, a fine di ogni anno, tra i 12,5 e i 18,2 miliardi di DM e quella dei dollari SUA tra i 2,2 e i 28,6 miliardi di DM.

La crisi monetaria internazionale negli ultimi anni non ha risparmiato neanche la Rep. Fed. di G., anche se gli squilibri di bilancia dei pagamenti sono stati in genere nel senso di eccedenze.

Banche e grandi imprese tedesche si sono sottratte alla politica restrittiva della Bundesbank, assumendo crediti in dollari negli SUA e sul mercato dell'eurodollaro a condizioni vantaggiose. Gli afflussi in dollari in G. divennero più consistenti quando le voci di una rivalutazione del marco indussero la speculazione a investire, a breve, capitali in dollari sul mercato monetario tedesco. Conseguentemente le riserve monetarie della Bundesbank aumentarono, dal marzo 1970 al maggio 1971, da 27,8 a 68,6 miliardi di DM. A salvaguardia di un'ulteriore eccedenza di liquido dall'estero e per ripristinare l'efficienza degli strumenti di politica monetaria della Banca centrale, il governo decise, in armonia con i suoi partners della CEE e con il benestare del Fondo monetario internazionale, di liberalizzare temporaneamente il cambio del marco a partire dal 9 maggio 1971. E seguito un prolungato periodo di politica di rigore monetario, modificata dalla Bundesbank solo verso la fine del 1974. Nel 1975 la politica monetaria ha avuto come finalità quella di creare delle condizioni atte a una ripresa dell'attività senza far nascere il rischio di un ritorno all'inflazione. La nuova formula, consistente nel fissare, per il tasso di crescita dello stock di moneta centrale per l'anno 1975, un obbiettivo dell'8%, è stata ispirata dall'idea che, date le varie conseguenze che comportano i meccanismi di trasmissione della politica monetaria, il miglior mezzo per ottenere dei buoni risultati in materia di stabilizzazione fosse dato dall'assumere un'espansione regolare del volume degli aggregati monetari. Agl'inizi del 1975 la domanda globale non si era ancora ripresa, anzi era ulteriormente regredita, e la crescita degli aggregati monetari era rallentata. La Bundesbank ha dovuto quindi intervenire pesantemente per attuare i suoi obbiettivi. Tra gennaio e settembre il tasso di sconto è stato ridotto, in cinque volte, dal 6 al 3½%, i tassi d'interesse a breve termine sono stati fortemente abbassati e i coefficienti delle riserve obbligatorie hanno subìto due riduzioni.

Malgrado queste misure fino a metà anno il tasso di crescita della quantità di moneta è restato inferiore all'atteso 8%, a causa del mancato dinamismo del settore monetario. Si era provocata invece una crescita rapida (11 milioni di DM) di riserve liquide liberamente utilizzabili dalle banche. Verso la metà del 1975, dopo che il deficit stabilito per il settore pubblico era stato più volte ritoccato verso l'alto, la Bundesbank è intervenuta massicciamente sul mercato aperto. Gl'interventi della Banca centrale sul mercato deì capitali hanno coinciso con la ripresa dell'attività economica generale e, a partire dall'agosto, la crescita della quantità di moneta è rapidamente aumentata, mantenendosi a tassi annuali destagionalizzati superiori al 10% per il resto dell'anno. Nel dicembre del 1975 la Bundesbank ha annunciato la realizzazione del suo esperimento di politica monetaria fissando all'8%, per il 1976, l'obbiettivo di crescita della quantità di moneta.

Politica finanziaria. - Nel 1970 il prodotto nazionale lordo della Rep. Fed. ammontava a 679 miliardi di DM, cifra che, raffrontata ai prezzi dell'epoca, risultava superiore del 125% a quella del 1960. Detraendo, nella misura del 3,5% annuo, gli aumenti dei prezzi verificatisi da allora, si ottiene un aumento reale del 60% sul totale, e del 5% annuo.

Il rilevante aumento di rendimento della produzione reale è dovuto in massima parte al forte incremento della produttività. Nel 1970 i lavoratori hanno prodotto, per ogni ora lavorativa, il 66% in più dei beni e servizi prodotti dieci anni prima, mentre il numero dei lavoratori è aumentato solo del 4% e l'orario medio di lavoro è diminuito del 7½%.

Il rapporto tra produzione agricola e produzione industriale, che un secolo fa era ancora di 1 : 1, al 1950 si era modificato in 1 : 5 e nel 1970 in 1 : 14. Questo è il tipico rapporto di un paese altamente industrializzato. Proprio questa industrializzazione ha determinato l'estendersi, in maniera rilevante, dei compiti della finanza pubblica.

I compiti assunti dalla finanza pubblica, in G., sono: mantenere la stabilità nell'espansione dell'economia interna, eliminando conseguentemente eventuali oscillazioni congiunturali; promuovere una costante e adeguata espansione economica mediante la creazione di una struttura funzionale; realizzare una più equa ripartizione dei redditi e delle ricchezze.

Questo nuovo indirizzo della politica di bilancio è stato dato con la legge sulla stabilità e sullo sviluppo dell'economia (Gesetz zur Förderung der Stabilität und des Wachstums der Wirtschaft) del 1967, che consente di affrontare con più efficienza le oscillazioni a breve del processo economico.

La pressione fiscale, rimasta pressoché invariata dal 1960 al 1970, è stata del 22,7% nel 1970, pari a 154,1 miliardi di DM. Al primo posto fra le entrate fiscali c'è l'imposta sui redditi e sulle società, che si aggira intorno al 40% dell'intero gettito; quella sui redditi è progressiva mentre l'altra è proporzionale. L'indebitamento del settore pubblico è relativamente basso: nel 1968 era di circa 1880 DM pro-capite, a fine 1970 l'indebitamento totale dello stato ammontava a 121 miliardi di DM. Tra l'agosto 1970 e il giugno 1971 il governo, al fine di restringere temporaneamente la capacità d'acquisto, ha introdotto un'addizionale sull'imposta dei redditi e sulle società del 10%, esonerandovi i contribuenti a basso reddito. L'intero ammontare, pari a 6 miliardi di DM, fu depositato presso la Bundesbank e quindi rimborsato. Dalla fine del 1973 la politica finanziaria ha preso un orientamento espansionistico. Nel 1974, per contrastare la tendenza all'aumento della disoccupazione, il governo ha varato tre programmi anticongiunturali per lo stesso anno, per una spesa aggiuntiva di 3,6 miliardi di DM (0,4% del prodotto nazionale lordo), destinata soprattutto agl'investimenti pubblici e ad aiutare il mercato del lavoro. Il 1° gennaio 1975 hanno avuto applicazione importanti decisioni, nell'ambito finanziario e di bilancio, comportanti sgravi fiscali, che hanno dato luogo a un risparmio di 18 miliardi di DM. Si è inoltre decisa una sovvenzione temporanea agl'investimenti fissi, per un ammontare del 7,5%, nei settori dell'armamento, delle costruzioni e dell'energia.

Nel 1976 tali misure hanno iniziato a dare i loro effetti, ma nel 1975 il deficit del settore pubblico avendo toccato il limite di −63,2 miliardi di DM, il governo ha presentato, nell'agosto 1975, un progetto a medio termine 1975-79, che fissa la strategia da seguire per ridurre progressivamente il deficit di bilancio. Le misure comportano un aumento della tassa sul valore aggiunto che passa dall'11 al 13% e una maggiorazione delle imposte indirette sui tabacchi e l'alcool a partire dal gennaio 1977.

Repubblica Democratica Tedesca (DDR). - Agl'inizi degli anni Sessanta il processo di socializzazione dell'economia giunse alla quasi totale abolizione della proprietà privata in agricoltura e all'introduzione della forma cooperativa. Negli anni Settanta l'81,1% della produzione agricola deriva dalle cooperative mentre le imprese di stato forniscono il 79,6% della produzione industriale, il 93% di quella dei trasporti e delle comunicazioni e il 54,9% di quella delle costruzioni. Le altre due forme di organizzazione produttiva, imprese semi-statali e private, contribuiscono in minima parte alla formazione del prodotto nazionale (il massimo contributo delle imprese semi-statali è dell'11,4% nel settore industriale e quello delle imprese private dell'8,6% nel settore delle costruzioni). Le unità economiche, indipendentemente dalla loro forma organizzativa, hanno flessibilità di gestione soltanto all'interno degli obiettivi e della distribuzione delle risorse fissati dal piano economico generale. A partire dagli anni Sessanta crescono le difficoltà per la stesura del piano economico perché il raggiunto livello di sviluppo economico provoca le richieste di maggiori e migliori consumi da parte di consumatori più sofisticati di quelli degli anni Cinquanta e di miglioramenti salariali da parte di lavoratori meglio qualificati che negli anni Cinquanta. Sotto queste pressioni si pone maggiore attenzione nel calcolo dei costi e dei rendimenti degl'investimenti e si riforma il sistema di fissazione dei prezzi e di direzione delle unità economiche nel senso di rafforzare gl'incentivi all'impiego efficiente delle risorse e di creare gli stimoli al progresso tecnico e alla specializzazione. L'accordo del 1962 con i paesi del Comecon sui "Principi fondamentali nella divisione internazionale socialista del lavoro" rientra in questa ottica.

Politica economica. - Il 1963 è l'anno in cui si fanno i maggiori sforzi per accrescere l'efficienza economica attraverso l'allentamento dei controlli amministrativi (che però nel 1965 saranno nuovamente rafforzati, indice dell'intenzione di non dare autonomia alle autorità regionali e locali) e il lancio di una vera e propria campagna di espansione delle esportazioni. Nel 1964 l'impulso dato al commercio internazionale conduce alla costituzione della Banca per la cooperazione economica internazionale che permette di uscire dalla bilateralità degli scambi internazionali in quanto rende possibili operazioni di credito e di compensazione tra gli stati. I piani economici degli anni Sessanta puntano dunque ad accrescere il prodotto nazionale tramite il commercio internazionale. Il piano del 1971 si dà come obiettivo "l'ulteriore aumento del livello di vita materiale e culturale del popolo sulla base di un alto ritmo di sviluppo della produzione socialista, dell'aumento dell'efficienza, del progresso tecnico-scientifico e dell'incremento della produttività del lavoro" e si ripropone un'espansione delle esportazioni del 16%. I paesi del Comecon e quelli dell'Europa occidentale, specialmente i paesi CEE, sono i destinatari del commercio estero della DDR. Nell'area Comecon, gl'intensi scambi con l'URSS sono rappresentati dalle importazioni di materie prime e dall'esportazione di macchinari. Per questa sua posizione, la DDR ha risentito della congiuntura sfavorevole venutasi a creare nel 1973 per i paesi trasformatori ovvero importatori di materie prime, in seguito agli aumenti dei prezzi nel mercato mondiale. Questi aumenti si sono trasmessi nell'area Comecon attraverso le decisioni del gennaio 1975, gennaio 1976 e gennaio 1977, di aumentare i prezzi dei prodotti petroliferi in misura, rispettivamente, del 130%, dell'8% e del 20%. L'aumento medio nei prezzi dell'area è stato del 20% nel 1975 e più moderato negli anni successivi. Le ragioni di scambio della DDR si sono di conseguenza deteriorate e la sua bilancia commerciale è divenuta negativa nei confronti di questi paesi, specialmente dell'URSS. Nell'area occidentale, in particolare CEE, gli scambi commerciali della DDR hanno subito, da un lato, l'influenza positiva dell'evolversi delle politiche commerciali di questi paesi verso una maggiore apertura ai paesi dell'est, ma dall'altro, quella negativa degli aumenti dei prezzi delle materie prime e della concorrenza qualitativa dei prodotti occidentali. Dal 1972 la bilancia commerciale è in deficit anche nei confronti dell'occidente (tab. 4). Non potendo ridurre il disavanzo commerciale tramite la riduzione delle importazioni per non compromettere la crescita economica, la DDR si è progressivamente indebitata con l'occidente. Al 1976 il suo debito lordo (cioè al lordo delle riserve di valuta possedute nelle banche occidentali delle quali non si conosce la consistenza) ammontava a 3 miliardi di dollari. La tendenza a non accrescere la posizione debitoria con l'occidente fa sì che le importazioni tornino a essere fortemente subordinate alle esportazioni.

Problemi valutari. - L'Ostmark (marco orientale) è una moneta strettamente domestica, non è convertibile in nessuna moneta estera, non è quotata nei mercati monetari internazionali e ne è vietato il movimento oltre i confini. Per gli scambi internazionali è in uso la Valuta Mark che è esprimibile in termini di una parità ufficiale con l'oro e convertibile in moneta estera secondo i tassi di cambio di 4,2 VM per 1 dollaro e di 4,667 VM per 1 rublo sovietico. Il valore della VM non coincide con il valore dell'Ostmark perché la moneta domestica è soggetta ai mutamenti di valore che comporta l'obiettivo della stabilità dei prezzi fissato dal piano. Nonostante il divieto di scambiare Ostmark e a causa dei contatti tra le popolazioni della DDR e della BRD, esiste un cambio non ufficiale di 4 Ostmark per 1 Deutsche Mark. Negli anni recenti, preso atto dell'esistenza dei contatti con la BRD (il 60% della popolazione ha legami di parentela o di altra natura con la popolazione della BRD) e vedendo con favore l'afflusso di DM, si sono creati gli "Intershops"-Geschäften dove è possibile pagare con DM. Contemporaneamente, per ovviare alla discriminazione tra i possessori e i non possessori di DM, si sono creati gli "Exquisit"-Handels che rendono possibile l'acquisto con Ostmark degli stessi beni venduti negli Intershops ma a un prezzo quadruplo.

Prodotto e reddito nazionale. - La DDR è il paese del blocco orientale a più alto livello di reddito pro-capite. Il prodotto nazionale lordo si è accresciuto nel periodo 1960-1976 a un tasso medio poco al disotto del 5%, andando dal livello minimo del 2% nel 1961, al massimo del 6% nel 1974. Dal 1974 il tasso si sta riducendo in seguito al mancato successo nello sviluppo delle esportazioni, in parte dovuto alla recessione delle economie occidentali. La forza lavoro e la popolazione in generale sono rimaste immutate negli ultimi 15 anni, perciò l'aumento del prodotto nazionale è derivato dall'aumento della produttività del lavoro e si è tramutato in aumento di reddito pro-capite (tab. 5). La produttività del lavoro ha fatto registrare, nel periodo 1965-1975 e a prezzi 1966, un aumento del 4,7% e si è accompagnata a un aumento quasi identico del 4,5% nell'intensità di capitale. La partecipazione al prodotto nazionale da parte dei settori industria, commercio e trasporti, agricoltura, stato e servizi, varia nel periodo 1960-1975 a favore dell'industria che passa dal 56% al 65% e a sfavore degli altri settori che passano, rispettivamente, dal 16% al 15%, dal 14% al 10% e ancora dal 14% al 10%. Nella destinazione del prodotto nazionale tra consumi privati, investimenti e consumi pubblici, vi è stata fino agli anni Settanta una netta diminuzione dei primi a favore degl'investimenti. Dal 1971, in seguito all'obiettivo del piano di aumentare il livello di vita materiale, i consumi tendono a mantenersi su un livello stabile, salvo una nuova moderata flessione in corrispondenza della crisi del 1974. Mentre nel 1960 i consumi privati assorbivano il 62% del prodotto nazionale, gl'investimenti il 20% e i consumi pubblici il 18%, nel 1975 i consumi privati assorbono il 54% del prodotto nazionale con una caduta di 8 punti percentuali, gl'investimenti il 25% e i consumi pubblici il restante 21% (calcoli a prezzi 1967). Con l'accrescersi del prodotto nazionale reale anche i salari reali sono cresciuti lungo l'arco di tempo considerato. Negli anni Settanta il reddito monetario delle famiglie si è accresciuto non soltanto per l'aumento dei salari reali ma anche per l'aumento dei trasferimenti dello stato a titolo di pensioni e di benefici sociali. L'erogazione di questi trasferimenti è stata finalizzata all'obiettivo di ridurre i differenziali tra i redditi delle famiglie appartenenti alle cooperative agricole e alle imprese industriali di stato. Nel 1976 il reddito monetario delle famiglie si è ulteriormente accresciuto in seguito agli aumenti salariali previsti dal nuovo piano che hanno aumentato il salario minimo da 350 a 400 marchi e i salari tra i 450 e i 500 marchi di valori compresi tra i 15 e i 40 marchi. Il piano prevede inoltre una spesa addizionale di 6 miliardi nel quinquennio per aumentare le pensioni ed elevare le minime da 200 a 300 marchi, e l'introduzione di premi di produzione in aggiunta al salario. Il potere d'acquisto della moneta è stato mantenuto nel senso che l'indice dei prezzi al consumo è rimasto praticamente immutato, ma lo stato è dovuto intervenire con sussidi a carico del bilancio nella misura di 27 marchi per ogni 100 spesi in alimenti dai privati. Le spese per scopi sociali e culturali, che comprendono i sussidi per la sicurezza sociale e i sussidi per i prezzi dei beni al consumo, rappresentano la voce di spesa più elevata nel bilancio dello stato. Beni sussidiati sono: alimentari (burro, latte, pane, carne, patate, pesce), vestiario per bambini, riscaldamento e trasporti pubblici. Le entrate dello stato, che condizionano le spese (tab. 6), derivano in massima parte dai profitti delle imprese di stato mentre l'esiguo settore non di stato contribuisce con il gettito delle imposte esistenti sui redditi del settore.

Nel complesso i successi conseguiti nell'espansione del reddito procurano anche i principali problemi economici della DDR negli anni Settanta perché si accompagnano alla crescente domanda di beni di consumo che, essendo in grande maggioranza beni d'importazione dall'area occidentale, implicano, per l'insufficienza delle esportazioni, crescente indebitamento verso questi paesi.

Bibl.: Statistisches Jahrbuch der Deutschen Demokratischen Republik, Berlino 1970; CMEA, Comprehensive programme for the further extension and improvement of cooperation and the development of socialist economic integration, Mosca 1971; Nazioni Unite, The European economy from 1950s to the 1970s, New York 1972; M. Schnitzer, East and West Germany: a comparative economic analysis, ivi 1972; Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung, Wochenbericht, nn. 23-24, Berlino 1977; Nazioni Unite, Economic survey of Europe in 1976, New York 1977; Statistisches Taschenbuch der Deutschen Demokratischen Republik, Berlino 1977.

Storia.

Al culmine della seconda crisi di Berlino (v. berlino, questione di), l'erezione del muro nell'ex capitale (13 agosto 1961) segnò nella storia delle due G., sotto più aspetti, una cesura: fece esplodere la crisi della politica ufficiale di riunificazione, inserita nell'opzione occidentalista della politica estera della Rep. Fed. di G., aprendo una tormentata ricerca di nuove vie, approdata finalmente all'Ostpolitik del governo Brandt-Scheel; agì da catalizzatore sulla crisi della leadership adenaueriana, ormai indebolita nella sua base essenziale, cioè la politica estera; costituì la premessa e l'avvio del consolidamento definitivo della Rep. Dem. Tedesca.

Repubblica Federale di Germania. - Gr assiomi della politica ufficiale dei governi Adenauer erano stati: il carattere provvisorio della divisione della G.; il nesso inscindibile fra il conflitto generale che opponeva gli stati occidentali (BRD inclusa) all'URSS e quello particolare tedesco-sovietico, riguardante la riunificazione; e, conseguentemente, la compatibilità fra integrazione nel sistema occidentale e politica di riunificazione, che anzi da quella avrebbe tratto forza. L'erezione del muro completò, nella forma più traumatica, la spaccatura della G. in atto da tre lustri, confermò l'inserimento stabile della DDR nella sfera sovietica e chiarì, ancora una volta, come la solidarietà degli alleati occidentali riguardasse esclusivamente la difesa dello status quo de facto e non già il disegno della riunificazione. Non contrastato dalle potenze occidentali, questo avvenimento finì - dopo il prevalere iniziale di un elementare sdegno - con l'erodere la credibilità della politica tedesca adenaueriana, rendendo palesi le finzioni su cui poggiava la dottrina ufficiale ed evidenziandone le aporie. La politica di "riunificazione nella libertà" si rivelava ridotta a una mera politica di non-riconoscimento della situazione, incapace però non solo di superare la divisione, ma persino d'impedire l'approfondirsi della separazione. Al tempo stesso, Adenauer aveva incontrato, fin dal 1958-59, crescenti difficoltà nel tenere SUA e Gran Bretagna impegnati sulla sua linea tradizionale.

Intaccata nella sua principale base di legittimità - la politica estera - sul duplice terreno della politica di riunificazione e dei rapporti con gli SUA, la leadership adenaueriana, già logorata dalla condotta contraddittoria e poco rispettosa del prestigio delle istituzioni in occasione dell'elezione del presidente federale nel 1959, fu scossa profondamente dalla crisi di Berlino, che rivelò invece le qualità di statista di W. Brandt (v.), candidato socialdemocratico alla cancelleria. Nelle elezioni del 17 settembre 1961, l'Unione Cristiano-Democratica (CDU) e l'Unione Cristiano-Sociale (CSU) persero infatti la maggioranza assoluta, mentre i liberali (FDP), che avevano incentrato la campagna sullo slogan: coalizione con la CDU, ma senza Adenauer, ottennero un'ottima affermazione. Adenauer riuscì comunque a conservare la cancelleria, ma dovette subire, formando un governo di coalizione con la FDP, due condizioni: la sua sostituzione durante la legislatura e il passaggio degli Esteri dal suo allievo H. Brentano a G. Schröder, fautore di una linea più dinamica, più elastica e decisamente anglofilo e atlantista. L'autorità del vecchio cancelliere venne ulteriormente indebolita dalla Spiegelaffäre, in seguito ai procedimenti del ministro Strauss (v.) a danno del settimanale e conclusasi con le dimissioni dello Strauss e un rimpasto.

Sotto la presidenza Kennedy - della cui politica Adenauer diffidava - i rapporti tedesco-americani peggiorarono rapidamente, fino allo scontro sulle proposte SUA (12 aprile 1962) relative a Berlino, concluso con la sostituzione dell'ambasciatore Grewe a Washington. Fulcro della politica estera dell'ultima fase di Adenauer divenne così l'alleanza particolare con la Francia di de Gaulle, l'alleata più ferma nella crisi di Berlino. L'intima intesa, raggiunta fin dal 1958 col presidente de Gaulle, divenne ora base di una strategia diplomatica alternativa, coronata dal patto franco-tedesco del 22 gennaio 1963, che istituì pure uno speciale meccanismo di consultazione intergovernativa. Gli ratlantisti" riuscirono però a disinnescare il potenziale antiamericano del trattato con un preambolo votato dal Bundestag all'unanimità. Questo contrasto fra "atlantisti" (guidati dal ministro degli Esteri Schröder e comprendenti FDP, il Partito Social-Democratico, SPD, e parte della CDU) e "gaullisti" (CSU, parte della CDU) perdurò in tutta la sua gravità anche dopo l'avvento alla cancelleria (ottobre 1963) dell'"atlantista" L. Erhard. L'atlantismo di Erhard e Schröder si concretava nel sostegno a ogni progetto inteso a rinsaldare la NATO e a promuovere la partnership atlantica del Grand Design kennediano, a cominciare dalla forza atomica multilaterale e dalla candidatura britannica alla CEE. Lo stesso schieramento, col ministro degli Esteri sostenuto dall'opposizione, oltreché dai liberali, contro una parte della maggioranza, si riscontrava nella politica tedesca e orientale. Con la nuova "politica di movimento", avviata con l'istituzione di missioni commerciali in Polonia, Romania, Ungheria e Bulgaria (1963-4), Schröder mirava alla normalizzazione dei rapporti con gli stati dell'Europa centro-orientale, favorendone le spinte autonomistiche e cercando d'isolare la DDR, nella prospettiva di un superamento graduale dello status quo. Nello stesso contesto di ammodernamento della politica di riunificazione (la cui prima componente, il formale rilancio diplomatico nell'ottobre 1963, era rimasta senza seguito) il ministro per le questioni tedesche e vicecancelliere Mende (FDP) avviò una politica di allargamento e d'intensificazione dei rapporti intertedeschi; mentre E. Bahr, stretto collaboratore di Brandt, prospettò il "cambiamento mediante rapprochement", cioè il disegno di una nuova politica di riunificazione dai tempi lunghi attraverso la trasformazione graduale della RDT, consenziente l'URSS. Sostanzialmente confermato - nonostante il regresso della FDP - dalle elezioni del 1965, ma profondamente logorato dai contrasti interni della maggioranza, specialmente sulla politica estera, militare e tedesca, e privo di sicura guida, il governo Erhard Mende fu travolto dalla recessione del 1966, che il cancelliere - già padre del "miracolo economico" - non seppe dominare. L'ultimo scontro fra CDU/CSU e FDP, sulla politica finanziaria, sboccò nell'uscita dei liberali dal governo (ottobre 1966).

Durante l'interregno del governo minoritario Erhard, mentre da una parte risultava impossibile il ritorno alla vecchia formula di coalizione "borghese" e dall'altra persistevano, riguardo a un'eventuale coalizione social-liberale, molte perplessità e diffidenze reciproche, guadagnò terreno la proposta, lanciata per la prima volta nel 1962, di una Grande Coalizione fra CDU/CSU e SPD. Soprattutto la grave recessione che minacciava persino d'intaccare la base di consenso della giovane democrazia, cresciuta fino a quel momento sotto l'ombrello della ricostruzione economica e di un eccezionale benessere, e che palesava i suoi effetti destabilizzanti nella spettacolare affermazione del nuovo partito d'estrema destra NPD nelle elezioni regionali dell'Assia e della Baviera (novembre 1966) - consigliava a molti la concentrazione delle due maggiori forze politiche in un gabinetto a vastissima base, capace di coinvolgere appieno sia l'imprenditoriato sia il sindacato e di ottenere la maggioranza necessaria per le revisioni costituzionali, richieste per alcune riforme imminenti. Al tempo stesso, un riorientamento della politica estera avrebbe impegnato i due principali partiti. La riforma del sistema elettorale in senso maggioritario a un turno (che avrebbe eliminato gli scomodi liberali) veniva inoltre caldeggiata da buona parte della CDU-CSU e della SPD, nonché da molti studiosi, per instaurare il bipartitismo ritenuto più funzionale; l'esigenza di sbarrare la via a partiti estremisti vi forniva un'ulteriore giustificazione. Infine, la cooptazione della SPD, mentre alla CDU-CSU avrebbe dovuto permettere di conservare il potere, era considerata da buona parte della dirigenza socialdemocratica con in testa il vicepresidente Wehner - alla luce delle elezioni successive al congresso di Bad Godesberg, che nel 1961 e nel 1965 avevano dato aumenti di suffragi, ma negato la vittoria ai socialisti - come il passaggio obbligato verso una successiva sostituzione alla CDU-CSU come alternativa di governo.

La Grande Coalizione e il successivo avvento della coalizione social-liberale sono stati resi possibili dalla trasformazione profonda della SPD, sancita dal programma di Bad Godesberg (1959). La nuova SPD si era aperta ideologicamente, abbandonando ogni riferimento al marxismo come fondamento unico o preferenziale; si era dato un moderno programma d'azione riformatrice all'interno della Soziale Marktwirtschaft instaurata nel 1948; era diventata un partito interclassista (Volkspartei), che, senza diminuire la sua presa sulla classe operaia e i suoi legami col sindacato, riusciva a raccogliere crescenti consensi specialmente in quei nuovi ceti medi, in espansione per la terziarizzazione e la modernizzazione dell'economia della BRD. Ma soprattutto essa aveva assolto alla conditio sine qua non per diventare partito di governo: dopo la sua adesione alla politica d'integrazione europea (voto per la CEE e l'EURATOM nel 1957), aveva accettato nel 1960 i punti fermi della politica estera tedesca e militare della BRD, in particolare la NATO (rimanendo controverso soltanto un eventuale armamento nucleare).

Fu così costituito il gabinetto della Grande Coalizione, sotto il cancelliere democristiano Kiesinger, già presidente del consiglio del BadenWürttemberg, con W. Brandt vicecancelliere e ministro degli Esteri e G. Schröder alla Difesa (i dicembre 1966). La Grande Coalizione affrontò con pieno successo la crisi economica, che più di ogni altro fattore ne aveva determinato e giustificato la nascita. Introducendo una programmazione della spesa pubblica a medio termine in funzione anticiclica (mifrifi) e una specie di politica dei redditi concordata fra governo, padronato e sindacato (konzertierte Aktion), il binomio Schiller-Strauss (ministri dell'Economia e delle Finanze) avviò una rapida ripresa, senza compromettere la stabilità: il prodotto nazionale lordo, in leggerissimo calo nel 1967 (−0,2%), aumentò già nel 1968 del 7,1% e la quota della disoccupazione, balzata nel 1967 al 2,1%, ritornò entro il 1969 sotto quella barriera dell'i %, cui era abituata l'opinione pubblica tedesca fin dal 1961. Anche ricorrendo a revisioni costituzionali e creando nuove istituzioni, nel quadro di un nuovo "federalismo cooperativo", la Grande Coalizione forgiò gli strumenti per una moderna politica economica dello stato, riordinò la finanza pubblica, collegò Bund e Länder, nelle Gemeinschaftsaufgaben, in un comune sforzo, in alcuni campi ove il solo Land non reggeva più: università, politica regionale e agraria. Invece, per difetto di una forte opposizione (affidata alla sola FDP, troppo debole), la Grande Coalizione aggravò la crisi di credibilità della democrazia di Bonn: sulle due ali si rafforzava la NPD, ottenendo cospicui successi nelle elezioni regionali 1967-69, e si formava un'opposizione extraparlamentare (in parte antiparlamentare), cui la contestazione universitaria e giovanile, diffusa nella BRD partendo dall'università di Berlino, conferì forza, ideologia e dirigenti. L'opposizione contro la legislazione sullo stato d'emergenza coagulava il dissenso parlamentare e quello extraparlamentare (1968).

Il proseguimento della politica di normalizzazione dei rapporti con gli stati dell'Europa centro-orientale portò all'istituzione di rapporti diplomatici con la Romania (gennaio 1967) e la ripresa dei rapporti con la Iugoslavia (1968), ma venne bloccata dalla controffensiva diplomatica iniziata dalla DDR fin dalla primavera 1967, che impegnò gli stati del Patto di Varsavia su una specie di dottrina Hallstein a rovescio. Né incontrarono migliore accoglienza le iniziative veramente innovatrici della Grande Coalizione nel campo dei rapporti con l'Est, cioè la prima Ostpolitik, intesa a inserire la politica estera della BRD nel grande movimento della politica di distensione, sfuggendo al rischio crescente dell'isolamento: rinnovo dell'offerta già fatta dal cancelliere Erhard di dichiarazione di rinuncia all'uso della forza per l'URSS e gli altri stati socialisti; inserimento della DDR nella politica di normalizzazione; frontiere orientali; mutamento parziale dell'atteggiamento nei confronti della DDR. Nel 1967-68 l'URSS rispose con un estremo irrigidimento, facendo della rinuncia all'uso della forza uno strumento per le sue richieste massime e rilanciando la clausola degli stati nemici della Carta dell'ONU. Analogo il peggioramento dei rapporti con la DDR. La stasi dell'Ostpolitik faceva emergere sempre di più il dissenso di fondo fra democristiani e socialdemocratici; i primi, credendo le loro posizioni suffragate dall'intervento sovietico in Cecoslovacchia, erano decisi a insistere sulla loro politica tradizionale, mentre i secondi erano sempre più convinti dell'insufficienza della linea governativa, nella quale si mescolavano vecchio e nuovo, ed erano disposti ad accettare la situazione post-1945 come punto di partenza per una nuova politica estera, specialmente nelle questioni delle frontiere e del carattere statuale della DDR. Per l'avvio di tale politica, la SPD si servì a partire dal 1967 anche di contatti col Partito comunista italiano. SPD e CDU-CSU erano pure divise nella valutazione del trattato per la non-proliferazione atomica.

La Grande Coalizione affrontò le elezioni del 1969 spaccata sui maggiori problemi di politica estera, nonché sulla questione della rivalutazione del marco, realizzata dal successivo governo (24 ottobre 1969). L'elezione del socialdemocratico Heinemann, col sostegno della FDP, a presidente federale, contro il candidato democristiano Schröder, fin dal marzo 1969 aveva preconizzato la disintegrazione della coalizione e, soprattutto, i futuri allineamenti. All'opposizione, la FDP aveva compiuto un processo di rinnovamento in senso liberal-riformatore, sostituito il suo leader, cercato nuovi consensi al di fuori del tradizionale elettorato dei vecchi ceti medi, sviluppato al massimo il proprio ruolo di punta nella revisione della politica tedesca e orientale.

I risultati elettorali del 28 settembre 1969 (che assegnarono alla SPD, col 42,7%, se non la vittoria, certo la migliore affermazione della sua storia secolare, conservando però alla CDU-CSU, in leggero regresso, la maggioranza relativa) consentirono, anche per l'esclusione dalla NPD dal Bundestag, grazie al meccanismo della clausola del 5%, la formazione di un governo di coalizione fra SPD e FDP. A questo punto la nuova dirigenza liberale non esitò - nonostante la grave disfatta elettorale subìta con la perdita dell'ala destra del suo elettorato, specie nelle campagne - a promuovere il Machtwechsel: l'avvento cioè del primo governo, dopo il 1930, sotto guida socialdemocratica. Brandt assunse la cancelleria, ai liberali andarono i ministeri degli Esteri (titolare il leader W. Scheel, vicecancelliere), dell'Interno e dell'Agricoltura; ma la maggioranza era risicata, di appena sei voti. Base principale della coalizione social-liberale fu l'accordo sull'Ostpolitik. Il programma concordato fissava, per la politica estera, i seguenti punti: firma del trattato di non-proliferazione; conclusione di un trattato per la rinuncia all'uso della forza con l'URSS; graduale abbandono della dottrina Hallstein; trattato con la DDR; regolamento della questione delle frontiere con la Polonia; allargamento della CEE. Iniziati i sondaggi l'8 dicembre 1969, il segretario di stato Bahr condusse dal gennaio al maggio 1970 trattative preparatorie a Mosca, approdate a una bozza d'accordo; i colloqui preparatori con la Polonia vennero iniziati il 5 febbraio 1970; dopo uno scambio di lettere, il dialogo fra le due G. prese il suo difficile avvio - rivelatore delle preoccupazioni della dirigenza SED per le ripercussioni interne dell'Ostpolitik - negl'incontri fra Brandt e Stoph a Erfurt e Kassel (19 marzo e 21 maggio 1970), per essere sospeso fino alla firma dell'accordo di Mosca; le trattative fra le Quattro Potenze su Berlino furono aperte, a livello d'ambasciatori, il 26 marzo 1970.

Parafato il 7, firmato il 12 agosto 1970, il trattato di Mosca fra la BRD e l'URSS stabilì la rinuncia alla minaccia e all'uso della forza e il riconoscimento delle frontiere esistenti in Europa, specialmente della linea dell'Oder-Neisse e di quella fra BRD e DDR. Con ciò e con le dichiarazioni d'intenti (sulla nullità del trattato di Monaco, sull'accesso della DDR all'ONU, sull'avvio della CSCE), il trattato definì il quadro per gli altri Ostverträge e certi collegamenti dell'Ostpolitik con altri aspetti del processo di distensione; l'"opzione tedesca" (la non-contraddizione fra il trattato e l'obiettivo della riunificazione) fu enunciata unilateralmente in una lettera annessa. Il trattato con la Polonia (riconoscimento delle frontiere, rinuncia all'uso della forza, normali rapporti diplomatici) fu parafato il 18 novembre e firmato il 7 dicembre 1970; il 3 settembre 1971 furono poste le firme all'accordo quadripartito su Berlino e nel dicembre furono firmati gli accordi complementari. Il primo trattato fra BRD e DDR, regolante le questioni delle comunicazioni, fu firmato il 26 maggio 1972; ma sul Grundvertrag, cioè sulla normalizzazione dei rapporti, si scontravano la pretesa della DDR di un riconoscimento secondo il diritto internazionale e il concetto del governo federale di "rapporti di natura particolare" basati sulla comune appartenenza alla nazione tedesca: né l'una né l'altra posizione poté essere imposta; tuttavia, i rappresentanti non sono ambasciatori "esteri", né per la DDR né per la BRD. Parafato il 9 novembre, il trattato fu firmato soltanto dopo la vittoria elettorale della coalizione social-liberale, il 21 dicembre 1972. Nel 1973 BRD e DDR sono entrate nell'ONU. Nel giugno 1973 il trattato con la Cecoslovacchia di Husák ha concluso la serie degli Ostverträge.

L'Ostpolitik ha definitivamente chiuso, nei rapporti con l'Est, l'epoca del dopoguerra, riconoscendo la durissima realtà dei risultati della seconda guerra mondiale, scatenata dal regime nazista, con l'obiettivo di creare le premesse per normali rapporti anche coi popoli dell'Est; ha abbandonato posizioni che, da tempo ridotte a finzioni e sempre più difficili a sostenersi anche nel quadro dell'alleanza atlantica, comportavano un crescente rischio d'isolamento diplomatico, per inserire la BRD invece come uno dei protagonisti nella politica di distensione, guadagnando libertà di manovra sia a Est che a Ovest e per favorire spinte di trasformazione a lungo termine dello status quo. Liquidando il conflitto particolare sulla questione tedesca e riconoscendo il fallimento di vent'anni di politica di riunificazione, essa implica una revisione dell'autointerpretazione della BRD, non più provisorium, ma stato come gli altri, pur coi suoi problemi speciali. Ma l'Ostpolitik è anche, e più di ogni altra cosa, politica di sicurezza; in considerazione della situazione mondiale in trasformazione, e anche dopo l'esperienza di Praga, l'obiettivo non è più tanto "cambiamento mediante rapprochement", bensì "sicurezza mediante normalizzazione" (Löwenthal); donde la posizione centrale in tutta l'Ostpolitik del negoziato su Berlino, il cui risultato soddisfacente ai fini della stabilizzazione della presenza occidentale e dei legami con la BRD costituiva la conditio sine qua non esplicita della messa in vigore del corpus degli Ostverträge (specie dal trattato di Mosca). Il nesso che legava Ostverträge, accordo su Berlino, firma del trattato di non-proliferazione, via libera alla CSCE non risulta soltanto dalla stessa tabella di marcia dell'Ostpolitik, ma era pure rafforzato da precisi junctim, posti per evitare che gli accordi interessanti prevalentemente la controparte fossero realizzati prima di quello su Berlino. L' Ostpolitik non è comprensibile, infine, se non valutando appieno il suo ancoraggio alla politica occidentalistica della coalizione social-liberale, non solo ferma nella fedeltà all'alleanza ma volta al potenziamento della NATO e della CEE: ne fanno fede la posizione attiva assunta al vertice dell'Aia (1969), appena il modificato atteggiamento francese aprì nuove prospettive; la riforma della Bundeswehr (1971) nel quadro della dottrina della flexible response; la disponibilità ad assumere maggiori responsabilità anche al di fuori dell'Europa centrale, specie nel Mediterraneo (per es. crisi di Malta).

Nella politica interna la coalizione social-liberale intendeva promuovere una vasta opera di modernizzazione e di riforme liberali e sociali, dall'istruzione ai diritti civili alla sicurezza sociale. Mirava, con successo, a superare la spaccatura verificatasi alla fine degli anni Sessanta fra la G. ufficiale e la giovane generazione, assimilando gli elementi validi della contestazione e rispondendo alla nuova domanda di partecipazione (concessione del voto ai diciottenni). L'opposizione democristiana scelse però per il suo attacco, ispirato dal miraggio di un rapido ritorno al potere, il terreno dell'Ostpolitik, denunciata sia come tecnicamente mal condotta sia come errata nella strategia e illusoria nelle premesse. Tuttavia, oscillava, sotto le spinte contrastanti degli intransigenti come Strauss e di possibilisti come Leisler-Kiep, fra la strategia del conflitto globale a oltranza e il realismo della preoccupazione di non sbarrarsi le vie diplomatiche per il futuro, nella prospettiva del ritorno alle responsabilità di governo. Così, astenendosi, la maggioranza della CDU rinunciò a impedire la ratifica dei trattati di Mosca e Varsavia (17 maggio 1972). Riuscita a privare il governo della sua maggioranza parlamentare, staccandone alcuni deputati, e incoraggiata da successi ottenuti in elezioni regionali, la CDU-CSU tentò, con un voto di sfiducia costruttiva, di riconquistare la cancelleria. La situazione di stallo, che invece ne risultò per la parità dei voti, venne superata con l'autoscioglimento del Bundestag e le elezioni anticipate (19 novembre 1972) condotte in un clima di forte polarizzazione. Dando per la prima volta ai socialdemocratici la maggioranza relativa e facendo compiere ai liberali un inatteso balzo in avanti, le elezioni costituirono una ratifica popolare dell'Ostpolitik e un trionfo personale di Brandt. Rivelarono al tempo stesso un complesso riassestamento dell'elettorato tedesco nelle sue dimensioni geografiche e sociali e la capacità della SPD (e in certa misura della FDP) di coglierne le nuove chances.

Tuttavia la parabola del governo Brandt discese rapidamente: gli si rimproveravano la mancata realizzazione delle riforme, la spinta inflazionistica, ma soprattutto la debolezza della guida, in particolare nel proprio partito, lacerato da contrasti di persone e tendenze, sotto l'incalzare della sinistra, rafforzata dall'apporto della generazione del 1968, fortemente ideologizzante. La scoperta di una spia tedesco-orientale nel più stretto entourage dette il colpo di grazia alla logorata leadership Brandt. Nel maggio 1974 lo sostituì alla cancelleria H. Schmidt (v.), che rinnovò la coalizione coi liberali. Eletto presidente federale, il leader liberale Scheel, gli successe come vicecancelliere e ministro degli Esteri il Genscher, già ministro dell'Interno. In una G. scossa dalla guerra dello Yom Kippur e dalla crisi energetica, intimorita dal terrorismo interno e internazionale, preoccupata per le tendenze in alcuni paesi vicini, percorsa da un backlash conservatore, sarebbe stato arduo anche per l'alfiere del pragmatismo e dell'efficienza governativa in seno alla SPD, qual è lo Schmidt, ristabilire le quotazioni del suo partito. Per di più egli doveva fare i conti con una maggioranza contraria al Bundesrat rafforzatasi per alcune elezioni regionali favorevoli all'opposizione, mentre la Corte costituzionale gl'inflisse un altro rovescio con la bocciatura della liberalizzazione dell'aborto. Il problema decisivo fu però quello di dominare il travolgente meccanismo inflazione-recessione messo in moto dalla crisi del petrolio nel 1973: una politica di duri sacrifici (tasse, riduzione dell'impiego pubblico, ecc.), congiuntamente all'uso anticiclico della spesa pubblica, ha permesso, al costo di oltre un milione di disoccupati, di vincere la minaccia inflazionistica, abbassandone il tasso sotto il 6%, e di preparare le condizioni per la ripresa, delineatasi nel 1976. Nel crollo del sistema monetario internazionale, nell'ambito europeo, la BRD costituisce il nucleo centrale del "serpente", sostanzialmente una zona del marco. Il cospicuo successo della politica di redressement del governo Schmidt ha fatto raggiungere alla BRD un peso internazionale più alto che mai. La sua politica estera è caratterizzata da una gestione senza illusioni dell'Ostpolitik, decisa a contrastare i ricorrenti tentativi di erosione della posizione di Berlino; da un forte impegno in favore di un risanamento del sistema monetario ed economico internazionale; da un crescente ruolo nella NATO, anche nel settore mediterraneo, e nella Comunità europea, svolto di stretta intesa con Parigi e Londra, sia sul terreno dello sviluppo istituzionale e politico che della politica economica. Nelle elezioni dell'ottobre 1976, la coalizione socialliberale riuscì, di strettissima misura, a conservare la maggioranza al Bundestag. Logorato da tendenze centrifughe, specie nella SPD, e premuto dall'avanzata dell'opposizione democristiana, il governo Schmidt-Genscher (la cui composizione fu di poco modificata) ha dovuto fin dall'inizio affrontare problemi sempre più gravi all'interno (sistema previdenziale da risanare, disoccupazione, bilancio e politica fiscale, politica energetica); incerta della sua strategia in seguito alla vittoria mancata, l'opposizione dal canto suo attraversa una palese crisi, il cui sintomo più appariscente è la persistente discussione sull'eventuale rottura dei cristiano-sociali di Strauss con la CDU e sulla costituzione di un quarto partito a scala nazionale.

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Repubblica Democratica Tedesca. - L'erezione del muro a Berlino costituisce premessa e inizio del consolidamento definitivo della DDR. In primo luogo esso bloccò materialmente il flusso dei profughi, che, dopo aver toccato cifre record negli anni 1953 (331.000) e 1956-57 (280.000, 262.000), era tornato a crescere alla fine del decennio (1959: 144.000; 1960: 200.000), diventando travolgente nell'estate 1961 (luglio: 30.000; prima metà d'agosto: 47.000). Il dissenso politico, in senso stretto, non era il solo né il prevalente motivo: molto contava il desiderio di sottrarsi alla distruzione sistematica di tradizionali forme di esistenza sociale ed economica d'interi ceti nel corso della trasformazione in senso socialista della società della DDR (in particolare nel 1960 la collettivizzazione forzata dell'agricoltura), mentre contemporaneamente si faceva sentire l'attrazione del benessere economico e delle forme di vita più libere della BRD. Il movimento dei prolughi (più di 2,5 milioni dal 1949 al 1961) precipitava il problema demografico della DDR, la cui popolazione era calata a 17 milioni dai 19 del 1949, e per la forte presenza di giovani, di quadri tecnici e operai specializzati, di professioni universitarie, minava qualsiasi prospettiva di sviluppo economico. Ma il muro fu d'importanza basilare per la stabilizzazione della DDR non solo in quanto eliminò questi fattori di debolezza: liberò, infatti, il regime, davanti all'opinione pubblica internazionale, dal discredito di quello che veniva chiamato il "plebiscito coi piedi" e soprattutto indusse la popolazione, cui era stata dimostrata nella maniera più traumatica l'appartenenza incontestata della DDR alla sfera sovietica senza prospettiva alcuna di aiuto da parte occidentale, prima a una rassegnata accettazione dello stato di fatto, poi alla ricerca di un modus vivendi col sistema politico creato dalla SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands) e infine a una parziale identificazione con lo stato. Più avanti, la stabilizzazione permise anche limitati processi di liberalizzazione, più modesti però che in altri paesi socialisti. Importanza decisiva, per l'accennato processo interno come per il peso internazionale della DDR, ebbe la forte crescita dell'economia tedesco-orientale, sicura ormai della sua base di mano d'opera e riorganizzata, nel 1963, secondo le idee del riformatore sovietico Liebermann, col "Nuovo Sistema Economico" (NÖS), che introdusse, con le cosiddette "leve economiche", criteri economici nella pianificazione, accanto e in parziale sostituzione a quelli amministrativi, e concesse alle aziende maggiore autonomia. Dal 1963 al 1967, il prodotto netto aumentò di un quinto, la quota annua di crescita fu del 5%; furono realizzati miglioramenti sociali (settimana corta, vacanze aumentate, ecc.), e fu potenziata l'istruzione. La parziale revisione del NÖS produsse però verso il 1969-70 una nuova crisi della crescita.

La morte del presidente Pieck (1960) offrì l'occasione per un'importante trasformazione istituzionale: soppressa la presidenza della Repubblica, fu creato lo Staatsrat (consiglio di stato), formalmente organo del parlamento, in realtà centro direzionale di questo e di tutto il sistema politico della DDR. Ne assunse la presidenza Ulbricht (v.), esaltandone, nell'unione con la carica di primo segretario del Comitato centrale della SED, il carattere di centro di potere personale. Lo Staatsrat è pure il fulcro della nuova costituzione del 1968. Questa è in parte la tardiva codificazione delle numerose e sostanziali trasformazioni verificatesi in vent'anni: infatti, la costituzione del 1949 - di tipo liberaldemocratico e che ricalcava in buona parte quella di Weimar - non aveva da tempo più alcun riscontro nella realtà del sistema politico, e perfino in gran parte dell'assetto istituzionale, della DDR. Ma la nuova costituzione riveste importanza specialmente per l'autointerpretazione ideologica della DDR: la SED considera il 1962 come la data della "vittoria definitiva dei rapporti di produzione socialisti" e il 1963 come l'inizio della "costruzione compiuta e globale del socialismo". La "democrazia socialista" in fase di avanzata costruzione avrebbe trovato così la sua codificazione: la DDR si definisce infatti nell'art. 1 come "Stato socialista di nazione tedesca" e stabilisce la funzione di guida della classe operaia e del partito marxista-leninista; pure il principio del "centralismo democratico" è entrato nella costituzione secondo il concetto della "democrazia socialista". Non vennero eliminati gli altri partiti, ridotti già da quasi due decenni a organizzazioni ausiliarie della SED, svuotate di ogni autonomia. La caratterizzazione come stato socialista e la tendenza a rescindere man mano gli ultimi legami di un'appartenenza a una comune nazione tedesca erano state riconfermate già nella legge del 1967, istitutiva di una cittadinanza DDR.

La politica estera della DDR è caratterizzata, anche nel quadro degli stati socialisti, da un allineamento particolarmente fedele all'URSS. Nei primi anni Sessanta la DDR si fece alfiere di un rafforzamento della solidarietà di blocco, sia nei riguardi dell'Occidente, sia nella contesa cinosovietica. Fondamentale per la politica estera della DDR fu il trattato di amicizia e alleanza con l'URSS del 1964 (per altri aspetti un modesto surrogato dell'auspicato trattato di pace separato), che assunse l'"internazionalismo socialista" a criterio fondamentale e previde, "in conformità coi principi della divisione internazionale socialista del lavoro", il coordinamento delle due economie. La stretta integrazione dell'economia DDR con quella sovietica (il cui carattere di subordinazione alle esigenze della potenza-guida venne illuminato drammaticamente dal suicidio del responsabile della pianificazione Apel, nel 1965) ebbe come tappe ulteriori l'accordo commerciale del 1965 e l'istituzione di commissioni paritetiche per la cooperazione. L'integrazione in seno al Comecon (v.) fu ulteriormente approfondita a partire dal 1971.

Nel 1966 la Repubblica democratica tedesca giunse alla testa dei partners commerciali dell'URSS; gli scambi coi paesi del Comecon costituivano negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta circa i 2/3 del commercio estero (di cui la metà con l'URSS). L' "internazionalismo socialista" come principio fondamentale della politica estera DDR e il legame con l'URSS come criterio-base sono stabiliti peraltro nella stessa costituzione del 1968; tale impegno è stato ulteriormente rafforzato - più che da ogni altro stato socialista - dalla revisione costituzionale del 1974, che statuisce essere la Repubblica democratica tedesca "per sempre e irrevocabilmente alleata" all'URSS e "inseparabile componente della comunità degli stati socialisti". Nel 1974 la SED ha enunciato come "principi" della "politica estera coordinata": "l'unità della comunità socialista, la sicurezza degli stati socialisti, gl'interessi del movimento comunista mondiale".

Dopo l'acquisizione formale della sovranità nel 1955, due furono gli obiettivi principali della politica estera della DDR fino al 1969: l'aumento del proprio peso nel blocco orientale e il riconoscimento internazionale al di fuori del proprio blocco. Quest'ultimo obiettivo non venne neanche lontanamente raggiunto: dopo il riconoscimento da parte della Iugoslavia (1957), un solo paese, la Cuba castrista, allacciò rapporti diplomatici con la DDR, fino a quando nel 1969 il riconoscimento da parte della Cambogia diede avvio a una serie di riconoscimenti, specie da parte di stati arabi. Per quanto la dottrina Hallstein avesse "tenuto", tuttavia si era verificata negli anni Sessanta, al di sotto del livello dei rapporti diplomatici, una cospicua penetrazione diplomatico-commerciale della DDR, specie nel Terzo Mondo. Se ancora nella crisi di Berlino la DDR non aveva ottenuto l'adesione completa dell'URSS al suo programma massimo, dovendosi accontentare, invece della trasformazione di Berlino-Ovest e del trattato di pace separato, del trattato concluso con l'Unione Sovietica nel 1964, tuttavia nel corso degli anni Sessanta, il consolidamento interno e la crescente potenza economica, insieme con l'assoluta fedeltà in politica estera, fecero assurgere la DDR al ruolo di alleato preferenziale dell'URSS. D'altronde, la DDR riuscì a impegnare il Patto di Varsavia sulla propria linea intransigente nella questione tedesca, bloccando l'iniziativa del ministro Schröder e poi l'Ostpolitik della "Grande Coalizione". A Karlovy Vary (1967) fu stabilita una "dottrina Hallstein a rovescio", per la quale, cioè, gli stati socialisti non avrebbero potuto normalizzare i loro rapporti con Bonn se non previa l'istituzione di rapporti interstatali fra DDR e BRD, la rinuncia alla rappresentanza di tutto il popolo tedesco (Alleinvertretungsanspruch), il riconoscimento delle frontiere in Europa e l'annullamento del trattato di Monaco da parte della BRD. Contemporaneamente, la DDR promosse la formazione di un "triangolo di ferro", concludendo patti d'amicizia e alleanza con la Polonia e la Cecoslovacchia, in funzione anti-BRD, per estendere successivamente la rete dei patti agli altri stati del Patto di Varsavia; soltanto la Romania si sottrasse fino al 1972. Tali patti impegnarono i partners sulla politica tedesca della DDR. Nella crisi cecoslovacca, la DDR si schierò fra i più intransigenti avversari del nuovo corso di Dubček, tanto che si suol riconoscere alla sua influenza un certo peso in favore della decisione dell'invasione di Praga (cui partecipò attivamente); in seguito, non solo accettò, in omaggio al principio dell'"internazionalismo socialista", messo al centro della sua politica estera, la dottrina Brežnev, ma cercò di darle un supporto di diritto internazionale.

L'Ostpolitik del governo Brandt costituì una grave sfida per la dirigenza Ulbricht e per la stessa DDR, dove si erano da tempo delineate correnti sia liberaleggianti, sia tecnocratiche: le ovazioni tributate a W. Brandt a Erfurt lo confermarono. La DDR cercò inizialmente di contrastare l'orientamento della dirigenza sovietica, indirizzata verso un accordo con la coalizione social-liberale. In ogni caso, tale accordo avrebbe implicato la rinuncia, per la DDR, a obiettivi caldeggiati per anni. Il tentativo di opporsi a Mosca, pare anche d'intesa con opposizioni interne al PCUS (interruzione del dialogo fra le due G. nel 1970), fu breve: recalcitrante, la DDR dovette seguire l'orientamento dell'URSS. W. Ulbricht fu sacrificato come ostacolo principale all'Ostpolitik, dovendo dimettersi da primo segretario. Gli successe E. Honecker, che operò il sostanziale allineamento alla politica sovietica. Nel quadro dell'Ostpolitik la DDR concluse gli accordi integrativi su Berlino e, con la BRD, il Grundvertrag e l'accordo sulle comunicazioni. Nel 1974 vennero istituite "rappresentanze permanenti" della BRD a Berlino-Est e della DDR a Bonn; nel quadro della Ostpolitik la DDR ottenne finalmente quel generale riconoscimento diplomatico che aveva costituito un suo obiettivo fondamentale (1973, Gran Bretagna e Francia; 1974, SUA) e l'entrata nell'ONU (1973). Per la prima volta, la DDR partecipa da pari a una conferenza internazionale (colloqui preparatori della CSCE, 1972-73; poi la CSCE stessa). Nei confronti della BRD, la DDR conduce però, nell'intento di ridurre al minimo ogni incidenza della distensione sulla sua vita interna e ogni influenza liberalizzante, una politica di rigida chiusura e di scontro ideologico (Abgrenzung), individuando il nemico principale nel "socialdemocratismo".

Le dimissioni di Ulbricht nel 1971 avevano dato luogo a una riorganizzazione, istituzionale e personale, del vertice: lo Staatsrat perse gran parte del suo potere, per la separazione delle cariche, in favore del consiglio dei ministri. Dopo la morte di Ulbricht (1973), la presidenza dello Staatsrat passò a W. Stoph, presidente del consiglio dei ministri fin dalla morte di Grotewohl (1964); presidente del consiglio dei ministri divenne H. Sindermann, mentre la guida del partito restava nelle mani di Honecker.

Bibl.: E. Richert, Das zweite Deutschland. Ein Staat, der nicht sein darf, Gütersloh 1964; S. Doernberg, Kurze Geschichte der DDR, Berlino-Est 19694; P. Chr. Ludz, Parteielite im Wandel, Colonia, Opladen 19693; id., The German Democratic Republic from the Sixties to the Seventies, Cambridge (Mass.) 1970; DDR 1945-1970. Geschichte und Bestandsaufnahme (a cura di E. Deuerlein), Monaco 19714; H. Weber, Die SED 1946-1971, Hannover 1971; K. Sontheimer, W. Bleek, Die DDR. Politik, Gesellschaft, Wirtschaft, Amburgo 19733; DDR-Wirtschaft. Eine Bestandsaufnahme (a cura del Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung), Francoforte s. M. 1974; P. J. Winters, Die Auβenpolitik der DDR, in Schwarz, Handbuch der deutschen Auβenpolitik, Monaco 1975.

Letteratura.

Il taglio che delimita, a quo, il presente quadro della letteratura tedesca è evidentemente estrinseco e occasionale; e tuttavia, per una singolare e quasi puntuale coincidenza, al passaggio dal vecchio al nuovo decennio, quasi all'improvviso, la situazione risultò radicalmente mutata rispetto all'immediato passato; e ciò non tanto perché nel frattempo erano scomparsi, fatta eccezione per H. Hesse, i "maestri" (su tutti Th. Mann, Benn e piuttosto prematuramente Brecht), quanto perché, nel volgere ristretto di pochi anni, si affermarono con prepotenza ancora non registratasi per altri autori (almeno per quelli "tedeschi") nomi nuovi con proposte nuove, che hanno costituito punti fermi di approdo e di riferimento. Nel campo sempre assai coltivato della narrativa è questo il caso di G. Grass e di U. Johnson, i quali si presentarono nello stesso anno, il 1959, e poi anche di M. Walser, che si consacrò definitivamente nel 1960. Anzitutto G. Grass (nato nel 1927), il quale, pur non pretendendo di troncare col passato, ebbe però l'ardire di tentare vie espressive autosufficienti rispetto alle poetiche codificate dai grandi nomi, tedeschi o meno; e così col romanzo Die Blechtrommel, fornendo la parodia, feroce e imprevedibile, degli ultimi decenni di storia tedesca, mise a rumore ben più che il solo mondo delle lettere, come non era ancora accaduto neppure al primo Böll. U. Johnson (nato nel 1934) con Mutmassungen über Jakob proponeva per la prima volta in termini partecipi ma non per questo patetici il problema più radicale e meno ovviamente risolvibile della realtà tedesca, quello della spartizione della G. e dei rapporti fra le due Repubbliche, la federale e la democratica; e la sua impostazione fu ritenuta subito valida in quanto dava chiaro il senso di un assurdo che però non ha alternative, e insieme dava il sapore di una lotta tentata ancorché improponibile, la ricerca cioè d'imparzialità di fronte a ciò che totalmente lo coinvolgeva. E M. Walser (nato nel 1927), il quale già da qualche anno, fra l'altro col romanzo Ehen in Philippsburg (1957), aveva rivelato insolita aggressività in sede di critica sociale, col lungo (o troppo lungo) romanzo Halbzeit riuscì a fissare l'immagine di una G. troppo presto dimentica del passato e perciò appunto, sulla via prescelta del benessere più straripante, privata di un avvenire.

Erano temi evidentemente sentiti, se anche altri autori, dalla personalità già definita, ancora in quegli anni tornarono ad assumerli, e sempre in chiave di condanna più o meno accentuata, fra gli altri A. Andersch (nato nel 1914) col romanzo realistico-passionale Die Rote (1960), W. Schnurre (nato nel 1920) col romanzo cronachistico-caricaturale Das Los unserer Stadt (1959), H. Böll (nato nel 1917) con l'ironico moraleggiare del romanzo Billard um halb zehn (1959). Ma di diverso nei tre autori nuovi, troppo giovani fra l'altro per avere avuto una parte nella tragedia nazista, era una possibilità di rottura con quel passato e di qui un'apertura su nuove prospettive. E poco preme, allora, rilevare che essi, pur continuando a operare battendo lo stesso sentiero del loro iniziale successo, poi abbiano stentato a ripetersi; da ricordare comunque: di G. Grass, il quale già da prima aveva pubblicato liriche notevoli, Die Vorzüge der Windhühner, 1956, e aveva già esordito nel teatro che anche in seguito non ha abbandonato - d'interesse fra l'altro Die Plebejer proben den Aufstand, 1966, sulla tensione fra teorica e pratica rivoluzionaria nell'intellettuale impegnato - i romanzi Katz und Maus, 1961, Hundejahre, 1963, Örtlich betäubt, 1969; di U. Johnson, il quale tanto più ha insistito nel romanzo, opere talora d'inusitata mole, Das dritte Buch über Achim, 1961, Zwei Ansichten, 1965, Jahrestage, 3 voll., 1970-73; di M. Walser, che ha continuato la sua assidua attività, di critica spesso spigolosa, sia nel romanzo: Einhorn, 1966, Die Gallistl'sche Krankheit, 1972, Der Sturm, 1973; sia nel dramma: Eiche und Angora, 1962, Überlebensgross Herr Krott, 1963, Der schwarze Schwan, 1964, Der Abstecher, 1967, Der schwarze Flügel, 1968, Ein Kinderspiel, 1970. Quello che conta è che essi, in felice contemporaneità, collaborarono a creare un'atmosfera che non si disperse subito, con potenzialità in precedenza meno avvertite e meno favorite. Se pure il ventaglio espressivo è divenuto assai largo, dal recupero e dall'ossequio per la sempre resistente tradizione fino alla sperimentazione più ardita e talora più gratuita, può ben dirsi che dominasse più che mai, anche a seguito delle nuove sollecitazioni, la volontà di essere presenti al proprio tempo. Così, fatto del tutto nuovo nella G. di Bonn, si è creato anche un nucleo di scrittori operai, sostanzialmente autodidatti, che hanno portato in primo piano, con intenti fortemente polemici, vicende quotidiane e quindi problemi tipici del mondo del lavoro: fra gli altri M. von der Grün (nato nel 1926: Irrlicht und Feuer, 1963, Zwei Briefe an Pospischiel, 1968). Si avverte cioè l'esigenza di una caratterizzazione quasi documentaria, perché più fondata sia la proposta critica e, se del caso, l'accusa. Esemplari, al riguardo, i Lebensläufe (1962) di A. Kluge (nato nel 1932), storie emblematiche in seno alla "triste storia" tedesca, e il romanzo di H. Bender (nato nel 1919) Wunschkost (1959), stringato documento sulla solitudine dei prigionieri di guerra. Non discosta è l'intenzione critica di chi, avvertito nel dilagante benessere il dato più vistoso della G. degli anni Sessanta, vi coglie il rischio di un consapevole o almeno banalizzante stordimento, e quindi con insistenza torna al passato troppo presto rimosso o guarda al presente con sguardo disincantato. Lavora in tal senso un autore assai attento, del resto legato fortemente alle memorie della natia Masuria appena conosciuta e subito abbandonata, S. Lenz (nato nel 1926, fra i romanzi Deutschstunde, 1968, e Das Vorbild, 1973); o anche un autore più aggressivo, lo H. Fichte (nato nel 1935) dei romanzi provocatori Die Palette (1968) e Versuch über die Pubertät (1974). D'altronde, altri già da prima avevano iniziato e poi insistito a stigmatizzare come falsa la cultura promossa sull'onda di un falso miracolo: così H. E. Nossack (nato nel 1901; dopo il Sessanta i romanzi Der Fall d'Arthez, 1968, Dem unbekannten Sieger, 1969, Ein glücklicher Mensch, 1975) e su tutti H. Böll, moralista spregiudicato e "cronista" sempre aggiornato della G. del dopoguerra, dopo il Sessanta capace di modificarsi ricorrendo più che in precedenza a sussidi e integrazioni satiriche e grottesche, con romanzi e racconti non sempre persuasivi ma sempre di sicura presa (Ansichten eines Clowns, 1963, Entfernung von der Truppe, 1964, Ende einer Dienstfahrt, 1966, Gruppenbild mit Dame, 1971, occasione per l'assegnazione del premio Nobel nel 1972, Die verlorene Ehre der Katharina Blum, 1974). Böll, che non è forse il più grande romanziere tedesco del suo tempo ma, anzitutto per la continuità della sua azione, è senz'altro il più rappresentativo, è tale anche per il dissenso, non violento ma fermo, sempre manifestato rispetto agli orientamenti della politica ufficiale.

Anche nella Repubblica democratica, se pure lo spazio per un dissenso aperto appare ancora ridotto, tuttavia in specie le leve più nuove hanno saputo crearsi una loro area di manovra dichiaratamente non conformistica; e gli esiti sono quelli di una più articolata e franca disposizione verso la tematica che nei fatti si è venuta imponendo, la collocazione dell'uomo in seno a una società socialista e insieme tecnicamente avanzata, con i rischi pesanti e convergenti di alienazione, e anche qui i rapporti, che sono ben più che solamente politici, fra le due Germanie.

Così, accanto ai nomi consacrati quali quelli su tutti d'un quasi esausto A. Zweig (1887-1968) e di una ancor attiva A. Segners (nata nel 1900; dopo il Sessanta Das Vertrauen, 1968, Sonderbare Begegnungen, 1973), altri se ne sono segnalati; da ricordare H. Kant (nato nel 1926), autore del romanzo Die Aula (1967; buono anche il successivo Das Impressum, 1969), che è chiaramente sulla via della distensione; il poliedrico e prolifico G. Kunert (nato nel 1929), ironizzante nel romanzo Im Namen der Hüte (1967); M. Bieler (nato nel 1934), col romanzo satirico Bonifaz oder Der Matrose in der Flasche, sintomaticamente pubblicato nello stesso anno (1963) nelle due G. (di lui ancora i romanzi Maria Morzeck oder Das Kaninchen bin ich, 1969, e Der Mädchenkrieg, 1975); C. Wolf (nata nel 1929), coi romanzi Der geteilte Himmel (1963) e Nachdenken über Christa T., (1969), che sono fra i più felici documenti di un disagio e insieme di una prospettiva; E. Strittmatter (nato nel 1912), già ben noto e già discusso, il più avanzato nella satireggiante critica e autocritica specie nel romanzo Ole Bienkopp (1963).

Anche nel teatro gli anni Sessanta hanno portato notevoli e persino profondi cambiamenti. Morto, ma più che mai presente nella sua eredità, B. Brecht, irrigidito nelle sue già adusate formule C. Zuckmayer (1896-1977), d'altronde già dapprima scoperta anche in G. una felice vena teatrale dell'assurdo (sugli altri da parte di W. Hildesheimer, nato nel 1916, cui si devono dopo il Sessanta le commedie Die Verspätung, 1961, Nachtstück, 1963, oltre a una singolare Mary Stuart, 1971), l'elemento nuovo più vistoso e anche più consistente è stato una decisa volontà di documentazione e, di qui, di monito e di condanna. Der Stellvertreter (1962) di R. Hochhuth (nato nel 1931), In der Sache J. Robert Oppenheimer (1964) di M. Kipphardt (nato nel 1922), Die Ermittlung (1965) di P. Weiss (nato nel 1916), susseguendosi in un ristretto giro di anni trovano una comune, non occasionale cifra nella volontà di recuperare i fatti per tramite della mediazione poetica la più scarna possibile, perché appunto dai fatti promani l'azione, che è anzitutto politica, di revisione e, se del caso, di repulsa.

Fra i tre autori citati, P. Weiss col suo Marat-Sade (1964), primo successo mondiale nel dopoguerra di un autore "tedesco", si era già affermato come maestro del teatro documentario e ideologico, se pure trasferito nella storia; ed è quello che ha mostrato più autentica personalità, su una linea continua che comprende il Gesang vom lusitanischen Popanz (1967), la protesta sceneggiata sul Vietnam (1968), Trotzki im Exil, (1970), Hölderlin (1971), dove però l'ideologia, sia pur abilmente controllata, sopraffà il vero storico. Per il resto, quanto di più interessante è dato registrare viene dalla sperimentazione, orientata, sul duplice binario del recupero critico del dialetto e della strutturata improvvisazione, a recepire e ad enucleare il problema del linguaggio e quindi dei condizionamenti sociali. Di contro, dopo anni assai fortunati (e si può qui ricordare ancora, come esempio eminente fra altri, S. Lenz, autore fra il 1961 e il 1964 di due drammi di serio impianto etico quali Zeit der Schuldlosen e Das Gesicht) il teatro nel suo insieme è passato a stagioni meno produttive, per il declinare di alcune sicurezze non solamente poetiche. E il rilievo vale anche per il teatro dell'Est, dove continua a emergere, ma più che altro in quanto legato al proprio intenso passato, P. Hacks (nato nel 1928), che cerca d'ironizzare sulle difficoltà del processo di collettivizzazione in atto. Accanto a lui il solo H. Müller (nato nel 1929), il quale trova una sua efficace formula nella demistificazione di temi classici ad ammonimento del presente (fra l'altro Philoktet, 1964, e Oedipus Tyrann, 1969).

La lirica tedesca, al pari della narrativa, ha avuto l'onore del riconoscimento su scala mondiale nel premio Nobel assegnato a N. Sachs (1891-1970) nel 1966. Ma l'esperienza poetica della Sachs apparteneva per lo più a precedenti stagioni; e anche altri autori (come fra i più vecchi H. Arp, W. Lehmann, G. Britting, e poi ancora M. L. Kaschnitz e G. Eich e fra quelli dell'età di mezzo K. Krolow e H. Domin) sono rimasti, fin dove hanno ritenuto d'insistervi, più o meno felicemente conformi ai loro già noti profili. Uomo nuovo, per originalità di toni e per vigore polemico, cioè nell'insieme per modernità di scrittura, è stato invece H. M. Enzensberger (nato nel 1929), esordiente nel 1957 con la verteidigung der wölfe e confermatosi appieno nel 1960 con la landersprache, lirica autentica e insieme autentica polemica etico-sociale, in una fortunata combinazione che era riuscita, prima di lui, al solo Brecht; e lo stesso Enzensberger ha stentato poi a ripetersi, tentando, dopo le nuove liriche di blindenschrift (1964), la via della saggistica poetica e politica e quella del romanzo impegnato (per es. Der kurze Sommer der Anarchie, 1972; interessante, però, l'imprevisto ritorno alla lirica di Mausoleum, 1975, 37 ballate dedicate ciascuna a un personaggio storico, ultimo emblematicamente Che Guevara).

Voci originali sono anche quelle del poliedrico H. Piontek (nato nel 1925; dopo il Sessanta, per la lirica, Mit einer Kranichfeder, 1962, Klartext, 1966, Tot oder lebendig, 1971) e degli sperimentatori, fra i più cauti P. Härtling (nato nel 1933; come poeta dopo il Sessanta Spielgeist-Spiegelgeist, 1962, e Bruchstücke, 1965) e P. Rühmkorf (nato nel 1929; come poeta Irdisches Vergnügen in g, 1959, Kunststücke, 1962, Gemischtes Doppel, 1967). Quello della sperimentazione, del resto, è uno dei campi più battuti e più dibattuti, non tanto per il sempre ricorrente stimolo alla formale originalità, quanto per l'urgere sempre meno negligibile di problematizzare anche le strutture portanti della civiltà e della cultura. In tal senso, accanto ad altri quasi sempre più agguerriti e più unilateralmente esposti (come F. Mon nato nel 1926, di cui fra l'altro Artikulationen, 1959, e Sehgänge, 1964), ha trovato una sua preminente collocazione H. Heissenbüttel (nato nel 1921), che rintraccia, in una geometrizzazione raggelante, il suo ancor lirico modo di esprimere il disagio ormai disperato dell'uomo gettato in seno a una realtà tutta meccanicizzata (dopo il Sessanta significativa specie la serie dei 6 Textbücher, 1960-68). Tutto ciò mentre all'Est, morti Becher e Brecht, proseguivano nella loro opera, non sempre agevolata dall'autorità, poeti già di prestigio, come il lirico della natura P. Huchel (nato nel 1903; Chausseen, Chausseen, 1963) o il suo più genuino erede J. Bobrowski (1917-1965; Sarmatische Zeit, 1961, Schattenland Ströme, 1962, Im Wintergesträuch, postumo 1970), e altri più giovani si legavano e si legano essi stessi alla vecchia tradizione tedesca della lirica della natura, anche se vi s'insinua, fino a gravare estrinsecamente, il fattore dell'impegno ideologico, su una traccia brechtiana più o meno apertamente seguita, anche nelle astuzie dialettiche, portate cioè a rintracciare per l'io una collocazione anche in una società ove d'altronde rischierebbe di meno giustificarsi (fra i vari nomi W. Biermann, nato nel 1936, K. Mickel, nato nel 1935, e il già ricordato G. Kunert).

Bibl.: H. Mayer, Zur deutschen Literatur der Zeit, Reinbek 1967; Deutsches Theater der Gegenwart, a cura di K. Braun, 2 voll., Francoforte sul Meno 1967; H. Kunisch, Die deutsche Gegenwartsdichtung, Monaco 1968; W. Welzig, Der deutsche Roman im 20. Jahrhundert, Stoccarda 19702; Deutsche Literatur seit 1945 in Einzeldarstellungen, a cura di D. Weber, ivi 19702; P. Demetz, Die süsse Anarchie, Deutsche Literatur seit 1945, Francoforte sul Meno-Vienna 1970; R. Matthaei, Grenzverschiebung. Neue Tendenzen in der deutschen Literatur der 60er Jahre, Colonia-Berlino 1970; Tendenzen der deutschen Literatur seit 1945, a cura di Th. Koebner, Stoccarda 1971; O. Knörrich, Die deutsche Lyrik der Gegenwart, 1945-1970, ivi 1971; G. Laschen, Lyrik in der DDR, Francoforte sul Meno 1971; Deutsche Gedichte seit 1960, a cura di H. Piontek, Stoccarda 1972; L. Büttner, Von Benn zu Enzensberger. Eine Eirführung in die zeitgenössische deutsche Lyrik, 1945-1970, Norimberga 19722; Fr. J. Raddatz, Traditionen und Tendenzen. Materialien zur Literatur der DDR, Francoforte sul Meno 1972; W. Brettschneider, Zwischen literarischer Autonomie und Staatsdienst. Die Literatur in der DDR, Berlino 1972; Geschichte der deutschen Literatur aus Methoden. Westdeutsche Literatur von 1945-71, a cura di H. L. Arnold, 3 voll., Francoforte sul Meno 1972; G. Hensel, Theater der Zeitgenossen. Stüche und Autoren, Francoforte sul Meno-Berlino-Vienna 1972; Die Literatur der Bundesrepublik Deutschland, a cura di D. Lattmann, Monaco-Zurigo 1973; W. Hinck, Das moderne Drama in Deutschland, Gottinga 1973; K. Franke, Die Literatur der DDR, Monaco-Zurigo 19742; M. Reich-Ranicki, Zur Literatur der DDR, Monaco 1974; R. H. Thomas, K. Bullivant, Westdeutsche Literatur der sechziger Jahre, Colonia 1975; Die deutsche Literatur der Gegenwart. Aspekte und Tendenzen, a cura di M. Durzak, Stoccarda 19762.

Archeologia.

In G. la ricerca sistematica dei vari resti archeologici del territorio nazionale è stata organizzata da lungo tempo. Attualmente nuovi importanti risultati sono stati ottenuti dal Centro di prospezioni archeologiche creato nel 1959 presso il Landesmuseum di Bonn; questo centro ha eseguito rilievi aerofotografici estensivi in Renania, scoprendo un gran numero di resti archeologici di varia epoca: villaggi trincerati del Neolitico, tumuli della civiltà di Hallstatt, campi di urne, recinti dell'epoca di La Tène, localmente detti Gräber-Gärten (Wederath, Kreis, BernKastel, ecc.), ville e fattorie romane e in particolare castra del limes della Germania Superior et Inferior.

Non sono stati ancora identificati gli edifici di età augustea di Xanten (Castra Vetera) anche a causa del fenomeno di erosione e del cambiamento di corso del Reno. Il primo campo (Vetera I) con costruzioni interne in pietra venne probabilmente edificato sotto Claudio, ma ne sono conservate poche tracce. Sono invece ben conosciuti gli edifici di età neroniana e ne è stata fatta una pianta dettagliata. Scarsi e mal conosciuti sono i resti archeologici di Vetera II, fatto costruire da Vespasiano dopo gli avvenimenti del 69 d.C. (rivolta di Civile) sull'altra riva del braccio ovest del Reno. La fondazione di Asciburgium (Moers-Asberg) da parte di Druso è stata confermata recentemente dalle scoperte archeologiche (soprattutto sigillata aretina) che attestano, in età augustea-tiberiana, l'esistenza di un'installazione militare. Distrutto a seguito delle rivolte del 69 d.C., fu ricostruito e conobbe diverse fasi non documentate con precisione. Abbandonato probabilmente all'inizio del 2° secolo, il nome non compare nell'Itinerario di Antonino. In seguito a recenti scavi sembra che anche a Gelduba (Krefeld-Gellep) vi fosse un piccolo insediamento degli Ubii, di cui si è trovata qualche traccia sul terreno. Nel 69 vi fu costruito un campo di marcia per le truppe provenienti dalla Germania Superior nella lotta contro Civile. Di questo campo non rimane che qualche traccia (fossati paralleli, armi, ceramica); intorno al 71-75 d.C. fu costruito nei pressi un castellum che conobbe almeno dieci fasi successive di costruzione fino al 4° secolo. Gli scavi hanno permesso di studiare i principia, la porta principalis sinistra e numerosi fossati. Il campo di Novaesium (Neuss) è archeologicamente noto. Attualmente si è potuta stabilire una successione di dodici periodi costruttivi sotto Augusto e Tiberio. La fase meglio conosciuta dell'accampamento, l'unica di cui esista una pianta dettagliata delle installazioni interne, è quella di età claudia, cui risale l'architettura in pietra degli edifici. L'esistenza delle canabae sembra attestata dall'età tiberiana e un agglomerato civile vi si sviluppò per tutto il periodo imperiale.

A Colonia nuovi indizi hanno permesso di fissare i limiti del campo legionario di età tiberiana, delimitato in particolare da una serie di forni per vasai, che attualmente si considerano dipendenti dal campo legionario. Delle installazioni militari si è trovata una parte del sistema difensivo e la porta decumana. Anche dell'abitato civile di Colonia Claudia-Ara Agrippinensis si conosce la topografia: l'antico praetorium del campo fu trasformato in un palazzo con portici destinato al governatore della provincia. Recentemente è stato ritrovato un mitreo e sono stati messi in luce i resti di un teatro e il sito dell'anfiteatro posto fuori dalle mura; inoltre la scoperta di una serie di torri e di alcuni tratti delle mura hanno permesso di meglio comprendere la funzione della cinta esterna che protesse la città per tutto l'impero. Per quanto riguarda le città e i vici di recente scoperta, molto poco conosciuto è l'agglomerato antico di Neumagen (Noviomagus); solo qualche moneta e ceramica (oltre ai celebri rilievi) attestano la sua attività dal 1° al 3° secolo. Un importante centro artigianale e di commercio è stato localizzato a Pachten (Contiomagus ?). Rare sono le tracce relative al 1° secolo d. C., mentre molto più numerose sono quelle pertinenti al 2° e soprattutto al 3° e 4° secolo. Un quartiere di vasai è stato rintracciato al limite ovest del vicus; inoltre un santuario circondato da una cinta inquadrava un tempio a cella quadrata e portico e un tempio monoptero dedicato a Pritona; il complesso doveva essere fiancheggiato da un teatro. Da qualche anno è stato scavato a Schwarzennacker, sulla strada Treviri-Strasburgo, un importante agglomerato costruito con pianta ortogonale; il vicus doveva avere carattere esclusivamente agricolo. Gli scavi sistematici del sito hanno messo in luce un quartiere di abitazione. È stato ripreso recentemente lo scavo del santuario di Pesch; più volte rimaneggiati, i templi presentano tracce spesso sovrapposte e di difficile interpretazione: si sono tuttavia potuti determinare due periodi principali di occupazione (nel 1° secolo e dal 2° al 4° secolo d. C.). Le costruzioni del secondo stadio sono di forma molto particolare: la grande cinta centrale doveva costituire un luogo coperto; non è chiara né la destinazione né la data del singolare tempio B o basilica, edificio a pianta quadrata con abside rettangolare, diviso in tre navate da due file di colonne: l'originalità della costruzione suggerisce un culto misterico. Il culto più importante del santuario doveva essere quello delle Matronae Vacallinehae di cui sono state scoperte circa trecento iscrizioni. Un nuovo tempio consacrato alle Matronae è stato rinvenuto nella stessa regione a Zingsheim. Un nuovo complesso cultuale è stato messo in luce recentemente nel Hunsrück, a Heckenmünster-Wallenborn, composto di tre templi, di cui due di tipo celtico e il terzo a pianta ortogonale: vi sono annessi degli edifici termali. Costruito alla fine del 1° secolo d. C., il santuario fu abbandonato alla fine del 3° secolo.

Dopo il 1960 si sono moltiplicate le ricerche di laboratorio relative alla ceramica che hanno permesso di chiarire meglio le tecniche della fabbricazione e di distinguerne le provenienze. L'importazione della "terra sigillata italica" e l'importanza che questa riveste per la datazione dei luoghi di ritrovamento è stata dimostrata una volta di più dalla recente scoperta, a Haltern, di un'officina di vasaio con frammenti di stampi per la lavorazione di calici imitanti i vasi aretini. Oggetto di studio sono state anche le relazioni intercorrenti fra le officine di Treviri, Sinzig e Rheinzabern e i maestrivasai operanti a Mittelbronn e nell'area della Mosella ecc., ed è stata sottolineata l'influenza di questi nella produzione delle succursali situate più a Est. In questo ambito va citata la recente scoperta a Novaesium di sigillata della Gallia centrale del 2° e del 3° secolo. Vedi tav. f. t.

Bibl.: Sotto gli auspici del Römisch-Germanisches Zentral-Museum von Mainz, appare quattro volte l'anno, dal 1971, un sommario dei principali ritrovamenti (Archäologisches Korrespondenzblatt, Urgeschichte, Römerzeit, Frühmittelalter): W. Bocking, Die Römer am Niederrhein und in Nord-Deutschland, Francoforte sul Meno 1974; M. T. Raepsaet-Charlier, Gallia Belgica et Germania Inferior, Vingtcinq années de fouilles archélogiques, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II, 4, Berlino 1975, con bibl. precedente.

Arte e architettura.

Come altri paesi, anche in G. non si assiste a manifestazioni unitarie o comunque al chiaro dominio di una data tendenza stilistica. Anzi tendenze e indirizzi diversissimi coesistono, da un lato rispecchiando la grande diversificazione internazionale, dall'altro mettendo in luce la caratteristica propria delle tradizioni europee, la cui esperienza ha una propria fisionomia anche rispetto a movimenti che sembrerebbero paragonabili (si veda per es. il realismo rispetto al fotorealismo americano). Sarebbe nondimeno un errore, se da ciò si volesse dedurre, per l'arte tedesca, un impegno valido solo a livello nazionale. Al contrario, si tratta solo di materiale da costruzione rivolto alla scena internazionale.

Una congiunzione diretta con le tradizioni tematiche e figurative degl'inizi del ventesimo secolo è presente in artisti così diversi fra loro come B. Schultze (n. nel 1915) e P. Wunderlich (n. nel 1927) nella cui opera, al di sotto dei caratteri individuali, traspare un comune sfondo surrealista: nell'uno, nell'astratto universo dai colori putrescenti dei Migof (v. oltre), nell'altro nelle figure elegantemente drappeggiate su sfondo scuro, in un'aura fin de siècle. In altro modo si attua il collegamento al surrealismo da parte di K. Klapheck (n. nel 1935), il cui tema costante, assai variato, è un mondo di macchine reso magicamente estraneo, proiettato verso un feticismo dell'oggetto, stilizzato spesso fino a divenire inquietante.

Vicino a questo indirizzo, il gruppo Zero di Düsseldorf (1957-67) con H. Mack (n. nel 1931), O. Piene (n. nel 1928) e G. Uecker (n. nel 1930), diede un notevole apporto alla tematica internazionale dell'op-art. Se ne sono occupate largamente riviste con ampia base internazionale. I rotoriluce di Mack, i quadri-fuoco di Piene, così come gli oggetti-chiodi di Uecker, sono diretti, come anche altre manifestazioni nel decennio 1955-65, essenzialmente verso l'esperienza della luce e la sua sensibilizzazione artistica. Sono opere che, da un lato, si collegano a progetti come quelli di Y. Klein e L. Fontana, ma che, d'altro lato, hanno creato la base sia artistica sia teorica per una generale tematica della luce e della visione, così com'è stata realizzata da numerosi artisti della stessa corrente. Ne vengono a far parte, nel corso degli anni, G. von Graevenitz (n. nel 1934) H. Goepfert (n. nel 1926), A. Luther, così come O. Holweck (n. nel 1924) per la definizione qualitativa, e cioè non quantitativa, del colore.

In rapporto a tutto ciò, occupa una posizione particolare uno dei più stimolanti e personali artisti di questi anni, R. Geiger (n. nel 1908); i suoi quadri, dalla superficie chiaramente articolata, campi di colore quadrangolari, o più tardi, circolari, su di una base cromatica contrastante, non si pongono, da una parte, lontano dalle intenzioni della op-art, per la loro ben calcolata "irritazione della percezione", ma permangono inequivocabilmente nella sfera della pittura per la determinazione del calore che è qualitativa e non quantitativa. Una concezione che sarà in seguito portata avanti da artisti più giovani, anche se considerevolmente variata, pur restando riconoscibile nella struttura. Così avviene, tra gli altri, con K. Gonschior e A. Mavignier (n. nel 1925), che intraprendono esperimenti con colori luminosi.

Quale sensibilità potrebbe raggiungere la pittura contemporanea nelle ricerche tematiche del colore, spinta spesso fin quasi alla monocromia - si vedano le mostre internazionali antologiche Geplante Malerei, nel Kunstverein di Münster in Vestfalia (1974) e Fundamentale Schilder Kunst nello Stedelijk Museum di Amsterdam (1975) - rivela già innanzi tutto, l'opera di artisti importanti quali G. Graubner (n. nel 1930) e R. Girke (n. nel 1930); il primo con la vaporosa e delicata scala cromatica dei suoi quadri tridimensionali, ottenuti costruendo composizioni di tela riempita di poliestere (Kissenbilder, quadri cuscino), il secondo con la delicata gradazione della legatura bianca dei suoi quadri o con le sfaccettate sfumature, talora affascinanti, di colore nei suoi acquarelli.

Un impulso centrale durante gli anni Sessanta fin verso i primi anni Settanta è diretto contro la suggestione della pittura da cavalletto. Il tentativo, nella continuazione della tradizione-oggetto così come nella sua decomposizione in happening, azione e rituale, in G., dopo W. Vostell (n. nel 1932) è stato ancor più esaltato da J. Beuys (n. nel 1921). Le sue opere - sculture di grasso, composizioni di diversi oggetti (un vetro cilindrico e un telefono assieme a un monte di grasso su di una tavola), piastre di feltro una sull'altra, coperte da una lamina di rame - sono più che l'espressione del rifiuto un'indicazione di una radicale estensione del concetto di arte. Dapprima ancora oggetti stabili di per sé, diventano, dopo gl'inizi degli anni Sessanta, sempre più oggetti d'azione di rituali strutturati magicamente: non è solo un'estensione del concetto di arte, ma allo stesso tempo un gesto polemico contro il predominio di una logica definita unilateralmente e la cieca credenza nella scienza. Un concetto che sfocia sempre più nella politica e che H. Haacke ha radicalizzato entro questionari socio-economici: sforzi che anche in altri paesi tentano di definire l'arte come strumento politico. Altri artisti di questa sfera, nel frattempo orientati verso il campo politico quanto verso l'analisi di modelli di comportamento primari e di strutture attraverso dimostrazioni, sono K. Rinke e H. E. Walther.

Di gran lunga più difficile da definire è la posizione del creatore di arteoggetto R. Ruthenbeck o del pittore Palermo. Ruthenbeck concepisce i suoi oggetti, espressamente senza un programma formale, da panni tesi o sospesi, da materiali quali mucchi di cenere, nei quali è conficcato un pezzo di filo spinato. Oggetti del silenzio ed espressione di un atteggiamento fondamentalmente meditativo, che potrebbe anche contraddistinguere nel modo più appropriato l'intenzione figurativa di Palermo: un triangolo colorato su di una superficie chiara, forme runiche dai significati indefiniti; piani di colore appena modulati.

Alternativamente attribuita alla cerchia dell'arte concettuale o confinata nella sfera del movimento inglese Art and Language è H. Darboven, le cui sistematiche serie numeriche, calcolate rigorosamente, tuttavia lasciando libertà allo spettatore, sono unite da metodo e fantasia: dimostrazione dell'astratta struttura della realtà.

Direttamente al rapporto di contemplazione, della realtà e della sua mediazione si richiama - all'interno della discussione intorno al realismo oggi largamente diffusa - G. Richter (n. nel 1932) con le sue pitture intenzionalmente "sfocate", che intervengono su modelli fotografici di banale ovvietà, con paesaggi che richiamano in modo volutamente irritante schemi figurativi tradizionali: lo stereotipo al posto dell'avvenimento direttamente vissuto. Non l'oggetto in sé, ma la sua rappresentazione diventa soggetto. Questa concezione si oppone nettamente all'interpretazione del realismo del gruppo Zebra, fondato nel 1965 ad Amburgo da D. Asmus, P. Nagel, D. Ullrich e N. Störtenbecker. Anche se, almeno agl'inizi, le loro opere sono derivate da fotografie, non è posta in discussione l'inopportuna banalità di un'immagine stereotipata. Affascina invece assai più la precisione mediatrice dell'obiettivo, che viene stilizzata pittoricamente in un modo che corrisponde, a livello storico, alla freddezza della "nuova obiettività" (Neue Sachlichkeit), e nell'attualità alla mancanza di partecipazione e all'indifferenza del reportage.

In una concezione nuovamente diversa della realtà palpabile, legati a una specifica tradizione tedesca, sono impegnati artisti quali H. Antes e G. Baselitz, senza uscire però dalla problematica attuale. Al contrario l'esperienza dell'espressionismo è proiettata nel contesto attuale in modo assolutamente individuale e talvolta provocante. È l'affermazione della figura tramandata dalla pittura, simbolica e allo stesso tempo unilaterale (uomo e paesaggio in una specifica soggettività), che minaccia di andare mano a mano perduta. Con tali principi, questa posizione si distacca nettamente da quella, che si suole definire, in senso assai lato, del Berliner Realismus: la critica sociale aggressiva, spesso formulata in modo angoloso, talvolta caricaturale dei Patick, Sorge e Grützke.

Articolata in modo ugualmente pluralistico è la scena della creazione plastica, anche se nell'importanza quantitativa la scultura pura retrocede oggi anche in G. alla posizione dell'arte-oggetto, degli esperimenti dimostrativi come anche della disputa intorno al realismo della pittura. Come lì, anche qui si riesce, con la necessaria esemplificazione, a enucleare due dominanti, in quanto si ritrova nuovamente vicino all'astratta formulazione il diretto confronto con temi contemporanei. Il legame attuale con il passato non esclude in modo alternativo il progetto progressivo. Sulla linea di confine tra scultura e oggetto sono fissate quelle sculture colorate di B. Schultze, chiamate da lui Migof, così come i Caissons di H. E. Kalinowski (n. nel 1924). I primi sono composti da diversi oggetti trovati, uniti fra loro in forme fantastiche per mezzo di filo spinato e di resina artificiale e brillano velenosamente in colori che richiamano il marcio e la putrefazione; i Caissons, invece, ricoperti di cuoio graffito, hanno ampie superfici, e si presentano come grandi casse di legno tranquillamente disposte in composizioni che emanano coscientemente un' "aura" magicamente rituale.

Chiaramente alla sfera della scultura appartiene W. Loth. Malgrado le forme sotto le quali appaiono le sue singole opere, queste si basano su fondamenta di concezioni classiche, nell'opposizione fra lo zoccolo, in cui si alternano campi di tensioni e pause, e le forme che si levano al di sopra di essi, che sono riccamente movimentate in direzioni contrastanti. Accanto a queste si potrebbero mettere le sculture di J. Hiltmann, in quanto anch'esse, con tutta la differenza che comporta una simile problematica, sono informate alla polarità del costruttivo e dell'organico; sfere, per es., in cui si aprono profondi squarci e plastiche groppiformi.

Con minore chiarezza sono classificabili le sculture di F. Bernhard, W. Reichhold, D. Brigfeld o anche di G. Haese (n. nel 1924), il più celebre a livello internazionale. Qui si tratta in parte di segni spaziali orientati formalmente, una sorta di continuazione variata della scultura di A. Caro; di invenzioni figurative fantastiche, di formazioni simili a fortezze costruite con lastre o, in Haese, del movimento vibratorio dei delicati meccanismi di elementi a molla.

Il lavoro di E. Hauser e N. E. Hermanns caratterizza un altro settore della scultura tedesca di irradiazione internazionale. Partendo da esperienze costruttiviste, la loro opera presenta un insieme ridotto di forme geometriche, che appunto, soprattutto da Hermanns, non è più concepito in modo composito, ma uniforme ed equivalente. Un'altra corrente si occupa esclusivamente di studi sulla forma e il significato di modelli industriali, che conducono in parte a lavori esteticamente astratti, in parte a opere critiche lontanamente oggettive: H. Salentin, J. Bandau, R. Glesmeier, F. Gräsel; talenti che corrispondono in tutti i sensi al concetto internazionale. In un rapporto piuttosto realistico vi appartengono ancora J. Schmettau e U. Rückreim per una variante assai individuale, lavorata in pietra, della minimal art. Una specifica formazione del principio additivo della concezione minimal è rappresentata dalla serie di lastre di K. Th. Lenk e dalle costruzioni di E. Herich.

Nella disputa sull'architettura in G. si acuisce sempre più il problema di allontanarsi da un funzionalismo mal compreso, il quale dovrebbe necessariamente essere sostituito da modelli individuali. La questione viene sentita sempre più urgente in rapporto soprattutto alla problematica sia del risanamento della città - in particolare riguardo al materiale storico-archittetonico -, che della pianificazione dei nuovi quartieri urbani. Questa discussione si è accentuata in forma concreta negli anni Cinquanta-Sessanta, intorno ai lavori di progettazione e agli edifici ancora dominati da palese funzionalismo.

Si ricorda qui R. Hillebrecht, H. Deilmann (Centro scolastico J. F. Kennedy, Duisburg, 1966-69), E. Eiermann (Sede della società Neckermann, Francoforte, 1958-60; padiglione tedesco all'Expo di Bruxelles, 1958, in coll. con S. Ruf; Gedächtniskirche, Berlino, 1959-63, in coll. con R. Wiest) e i fratelli Luckardt (Wassili e Hans, morto nel 1954), rimasti fedeli al linguaggio razionalista degli anni Venti (padiglione della città di Berlino all'esposizione edilizia di Hannover, 1951; case in linea all'Interbau di Berlino, 1958, in coll. con H. Hoffmann). Ben presto si opposero a ciò i lavori di H. Scharoun (Neue Philarmonie a Berlino, 1963), di P. Schneider-Esleben (Uffici della casa editrice Stimme der Zert, Monaco 1966; Aereoporto Colonia-Bonn, 1966-70) e dello studio di architettura H. Hentrich e H. Petschnigg (Università della Ruhr, Bochum, 1966-70), così come le realizzazioni di G. Böhm (Santuario cattolico, Neviges, 1966-68; municipio di Bensberg, 1967; villaggio per bambini "Betania", Bensberg, 1966-68), opere tutte al centro di vivaci discussioni. Nell'ambito delle costruzioni tecnico-ingegneristiche si è messo in luce già da tempo, a livello internazionale, F. Otto con le sue numerose e complesse superfici e strutture sperimentali di "involucri" come la copertura del padiglione tedesco all'Expo '67 di Montreal e quella dello stadio olimpico di Monaco (1972). Vedi tav. f. t.

Bibl.: G. K. Koenig, Architettura tedesca del secondo dopoguerra, Bologna 1965; G. Feuerstein, Orientamenti nuovi nell'architettura tedesca, Milano 1969; Depuis 45. L'art de notre temps, 3 voll., Bruxelles 1969-72; R.-G. Dienst, Deutsche Kunst: eine neue Generation, Colonia 1970; Cronique de l'Art Vivant, n. 15, 1970 (numero dedicato alla Germania); M. Ragon, M. Seuphor, L'art abstrait, 3, Parigi 1973.

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