GHERARDINI, Melchiorre, detto il Ceranino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GHERARDINI, Melchiorre, detto il Ceranino

Andrea Spiriti

Nacque presumibilmente a Milano nel 1607.

Zani (1822) registra almeno quindici varianti del cognome del pittore, che si firmava Girardini o Girardino; non pare attestato il cognome Rusca che gli è stato più volte attribuito; è antico il soprannome di Ceranino.

Entrò assai presto nell'ambito di Giovanni Battista Crespi, detto il Cerano, anche se non è sicuro se la conoscenza sia anteriore o meno all'ingresso del G. nella prima Accademia Ambrosiana, avvenuto nel 1621; già il 7 genn. 1622 il G. era posto nella II classe dei "mezzani" con compagni del calibro di Ercole Procaccini il Giovane e Carlo Biffi. Lo stesso anno venne premiato con un esemplare dell'Idea della pittura di Federico Zuccari per aver copiato un modello di nudo; nel 1623 fu elogiato per "l'inventione di Adam ed Eva". Dalla fine degli anni Venti, cessata probabilmente la frequentazione accademica (l'addio potrebbe essere costituito dalla dedica, nel 1630, a Federico Borromeo della serie di incisioni Capricci vari di figura), il G. assunse un ruolo sempre più marcato nella bottega del Cerano, sposandone inoltre la figlia pittrice Camilla; le sue vicende biografiche coincidono in sostanza con quelle delle opere, tranne pochi punti fermi. Nel 1632, alla morte del maestro, ne ereditò bottega e abitazione, dove risulta residente con la moglie nel 1633. È del 1637 una supplica al Consiglio generale di Milano per i pagamenti relativi a un'incisione con l'Ingresso del cardinale-infante Ferdinando, avvenuto il 24 maggio 1633. Nel 1654 inviò una supplica al capitolo della Fabbrica del duomo di Milano per poter presentare un progetto per il completamento della facciata.

Perdute, o confuse nei materiali anonimi, le opere giovanili eseguite per esercizio nell'ambito dell'Accademia Ambrosiana, rimangono del G. una cinquantina di pitture a fresco o su tela, una sessantina di incisioni e una decina di disegni riconosciuti. I problemi di autografia sono numerosi, sia per l'esplicita fedeltà al Cerano per tutta la l'opera giovanile, sia per il confluire sotto il nome del G. di buona parte delle produzione figurativa lombarda di pieno Seicento dal tono più o meno dichiaratamente ceranesco; d'altro canto l'ambiguità è già antica se fin dagli inventari coevi, come quello della collezione Monti, risultano come del Crespi opere sicuramente autografe dell'artista. La dinamica interna della bottega ceraniana e la dialettica fra tale struttura professionale e quella istituzionale dell'Accademia Ambrosiana non sono state oggetto di studi approfonditi: appare però chiaro che il G. acquistò ben presto un ruolo di preminenza anche rispetto a Ortensio Crespi (fratello del Cerano) e a Girolamo Chignoli, come dimostra la copresenza col maestro anche in sede contrattuale. Fra le opere dell'ultimo Cerano (tra il 1615 circa e il 1632), è assai probabile la partecipazione del G. alla Madonna col Bambino e i ss. Pietro e Bruno della certosa di Pavia, oggi nella Pinacoteca civica della città; alla Madonna col Bambino e santi nella Galleria degli Uffizi; al S. Carlo per il ciclo del tribunale di Provvisione oggi alle Civiche Raccolte d'arte di Milano, dove del G. sono almeno i due sontuosi Angeli; alla Madonna col Bambino e santi della Galleria Sabauda di Torino, proveniente dalla chiesa dei cappuccini al Monte. È curiosa la vicenda della Madonna del Rosario già nella chiesa milanese dei Ss. Lazzaro e Domenico e oggi nella Pinacoteca di Brera: l'originale ceraniano è collocabile verso la fine del secondo decennio del Seicento, e il Bambino pare premessa dei modi dell'allievo; fra le copie è stata a buon diritto riconosciuta del G. quella nella parrocchiale di Settala. Autonome paiono invece l'Assunta in S. Orsola a Como e il Martirio di s. Agnese in S. Martino a Novara, con spunti d'impostazione che verranno ripresi nella pala di Montagna in Valtellina. Più esplicito è il ruolo del G. in opere tarde del maestro, finite dopo la sua morte: è il caso della Battaglia degli Albigesi dalla chiesa di S. Domenico a Cremona, oggi al Museo civico, finita nel 1633; del lunettone col Miracolo della Vergine e della decorazione ormai frammentaria della cappella delle Grazie nel complesso domenicano milanese, iniziati nel 1631 e finiti nel 1633 col ruolo decisivo del G. e di Girolamo Chignoli; dello Sposalizio della Vergine in S. Giuseppe a Milano, commissionata al Crespi nel 1629 per essere collocata entro il 1630, ma finita probabilmente nel 1632 e in gran parte del G., probabilmente su disegno del maestro.

In tutti questi dipinti il pittore si mostra discepolo fedele, ma intelligente, del Cerano, imitandone i modi ma anche acquisendo una specificità di linguaggio che trova la sua sigla nei movimenti bruschi, nella dilatazione dei tratti del viso, nella preferenza per colori perlacei.

All'inizio del quarto decennio spettano probabilmente opere come l'Adorazione dei magi nei Musei civici di Varese - forse in collaborazione col Chignoli, probabile autore del magio a destra - o la possibile partecipazione, nella figura del Bambino, alla Madonna col Bambino e s. Francesco, già in collezione Uggé a Milano; tale opera, peraltro, potrebbe segnare l'avvicinamento ai modi di Daniele Crespi, e in particolare all'Incredulità di s. Tommaso in collezione privata di Busto Arsizio. A questo crespismo caratterizzato dall'ammorbidirsi dei contorni e dalla scelta di colori più caldi - quasi una via sperimentale in parallelo a quella ufficiale ceraniana - può essere riferita la partecipazione del G. a opere come la Flagellazione, già in collezione Testori, parziale modello, con la Confessione e battesimo di s. Agostino in S. Marco a Milano, per la debole Decollazione del Battista della Galleria dell'Accademia Carrara a Bergamo, forse della stessa mano del Riposo durante la fuga in Egitto della Fondazione Longhi a Firenze; e la Madonna col Bambino e s. Francesco già nella collezione Ganz a New York, premessa della svolta classicista realizzata negli anni Quaranta con la pala del duomo di Milano. La collezione Monti conservava, almeno dal 1638, una Figura di santa (s. Caterina o s. Agata: l'ambiguità iconografica nasce dal fatto che il modello è relativo alla prima santa, ma la semplificazione iconografica porta a identificarla con la seconda), oggi nella Quadreria arcivescovile di Milano: riferita negli inventari coevi al Cerano - e in effetti deriva dal Martirio di s. Caterina nel santuario milanese di S. Maria dei Miracoli - poi data al G. come passaggio decisivo fra le opere di Novara e Montagna, è stata infine ricondotta alla bottega ceraniana; tuttavia, malgrado il mediocre stato di conservazione, i tratti del volto riconducono al G., a riprova peraltro dell'uso della scuola, o dello stesso maestro, di riprodurre particolari di opere maggiori, come ben esemplificano le derivazioni dal Martirio delle ss. Rufina e Seconda nella Pinacoteca di Brera. Risulta affine la Nascita di s. Giovanni dell'omonima chiesa di Voghera.

La fase di passaggio immediatamente postceraniana è documentata da due opere: la S. Felicita della parrocchiale di Turbigo, datata 1632, la Beata Giovanna, nella chiesa genovese dell'Annunciata del Vastato (quinta cappella a destra), che qui si propone, oltre alla tormentata S. Apollonia poi divenuta S. Orsola della parrocchiale di Merate. Legate al moderato classicismo di Daniele Crespi, cui non casualmente la seconda venne attribuita, tali opere sono anche eco del desiderio del G. di uscire dall'ortodossia ceraniana troppo rigida per aprirsi a ricerche più articolate. A Daniele Crespi è in parte legata, nella figura di Collatino, anche la Lucrezia già nella raccolta Settala e oggi alla Pinacoteca Ambrosiana, solitamente datata verso la metà del quarto decennio, che ben collima con l'equilibrio fra gli spunti dei Crespi e la tensione di novità. Potrebbero essere coeve le due Scene di martirio in S. Biagio di Magenta e l'elegante S. Sebastiano curato da s. Irene di collezione privata (altra versione del tema, forse di poco anteriore, in S. Bartolomeo a Pavia), come pure la sperimentale, delicata S. Caterina che bacia il costato di Cristo nel santuario milanese di S. Maria presso S. Celso e la Giuditta nel Museo di S. Eustorgio a Milano proveniente dalla collezione Marone.

L'avvio di una maniera autonoma del G. può essere rappresentato da due opere databili intorno al 1636-37: il Ratto di Elena delle Civiche Raccolte d'arte milanesi e la tela da S. Vito al Pasquirolo, oggi nella Quadreria arcivescovile, il cui soggetto rappresenta probabilmente S. Vito che guarisce il figlio di Diocleziano alla presenza di s. Modesto e di s. Crescenzia. Piuttosto vicina risulta la Pietà nel Museo milanese di S. Francesco di Paola, forse da S. Raffaele.

In questi dipinti una matura consapevolezza delle proprie radici ceraniane si fonde con un più spiccato senso teatrale, ovvio negli anni di governo a Milano di Diego Felipe de Guzmán, marchese di Leganés, e con l'adozione dei caratteristici colori freddi. Nel 1637, però, questo percorso viene relativizzato dai lavori al Sacro Monte di Varallo: entro il 1642 il G. affrescò le cappelle XXXVII (Gesù inchiodato alla Croce) e XXXIX (Deposizione), in dialettica con le statue dei D'Errico e a diretto confronto col capolavoro di Gaudenzio Ferrari della XXXVIII cappella. L'esperienza varallina dovette significare per il G. il contatto ravvicinato con il mondo di Morazzone e di Tanzio da Varallo, relativizzando così il lascito ceraniano.

Emblematiche di questo momento di passaggio le due tele gemelle di S. Maria della Passione a Milano, oggi nel Museo: se la Fuga in Egitto rilegge Cerano col tono dell'Elena o del S. Vito, la Battaglia di Clavijo (non un S. Ludovico) è intessuta di citazioni morazzoniane, evidenti anche in un'opera contigua, la Conversione di Saulo in collezione privata, databile al 1640 circa, e nelle derivazioni di bottega come il S. Giorgio già nel Collegio degli oblati missionari di Rho. Il S. Carlo nella chiesa di S. Gerardo a Olgiate Comasco, situato in una cappella eretta tra il 1631 e il 1639, può quindi collocarsi in questa sequenza; maggiori dubbi attributivi esistono per il S. Carlo della parrocchiale di Turate e per la Madonna con il Bambino e santi in S. Giuseppe di Laino.

Intorno al 1640 è possibile appartenesse anche la Madonna col Bambino e i ss. Ambrogio e Carlo, già pala d'altare nella prima cappella a destra di S. Paolo Converso a Milano (nella quale sopravvivono frammenti della decorazione ad affresco), distrutta ma nota in fotografia e con bozzetto in collezione privata. Importante nel suo coesistere di una ripresa ceraniana - la più richiesta sul mercato milanese e in una Fabbrica dominata dalla facciata del Crespi - e degli aspri stilemi ormai propri del G., con un tono più dolce nel s. Ambrogio; tale figura appare per un verso rielaborazione di quello ceraniano all'Ambrosiana (1610), per un altro anticipazione di un mediocre lavoro di bottega in S. Ambrogio e, nella stessa sede, della tela di Carlo Francesco Nuvolone databile intorno al 1650. Il rapporto con Nuvolone, peraltro allievo dell'Accademia Ambrosiana, dovette farsi sentire anche per il documento più programmaticamente classicista del G., la pala di S. Giovanni (Due angeli che indicano a s. Giovanni Evangelista il candelabro apocalittico) del duomo di Milano, commissionata all'artista nel 1642. Malgrado lo stato di conservazione pessimo, l'opera segna in effetti una delle punte più alte del pittore, certo stimolato in sede milanese dal classicismo di Camillo Procaccini e di Nuvolone, e capace d'intuizioni formali (come l'angelo planante) di notevole fortuna settecentesca; ancora più complessa la predella con Storie di s. Giovanni, curioso insieme di citazioni manieristiche e bozzettismi precoci.

Commissionata nel 1599 al Cerano dal Collegio dei notari per il secondo altare a destra della cattedrale, il supporto in stagno venne ordinato solo nel 1605 a Pietro Antonio Cacciadiavoli, ma solo nel 1642 il Collegio presentò istanza alla Fabbrica perché l'esecuzione fosse affidata al G.: l'assenza di documenti successivi la lascia pensare realizzata in quell'anno. Già Arslan (1960) notava la netta diminuzione di spunti ceraniani a vantaggio di un classicismo di matrice emiliana.

A dimostrazione, però, di come siano bruschi gli scarti formali anche in pochi anni, nel 1643, il G. datò il Martirio di s. Giorgio nella chiesa omonima di Montagna in Valtellina, sintesi efficace di ceranismi e citazioni da Morazzone; nella Decollazione del Battista della chiesa del santo a Cheglio di Taino, che le vicende storiche suggeriscono di datare dopo il 1641, e in quella del Museo civico di Casale Monferrato, l'ascendenza ceraniana è rimeditata con un senso barocco del movimento tale da indurre a riesaminare altre opere che sono state in genere datate al terzo decennio. È il caso della Giuditta e Oloferne e della Decollazione del Battista alla Galleria dell'Accademia Tadini di Lovere, date al Cerano per poi passare alla scuola o a Giovanangelo Ferrario, e infine connesse alla pala di Cheglio di Taino come opere del Gherardini. Tale attribuzione può risultare valida specie se confrontata con la S. Agata guarita da s. Pietro della Fondazione Longhi, probabile opera del G., come già suggeriva Arslan (1965), per il suo ceranismo riletto in chiave compiutamente barocca. Questa svolta è attestata in pieno dalla partecipazione del G., poco dopo il 1648, alla decorazione di palazzo Durini a Milano: un vasto e malnoto ciclo che vede presenti Ercole Procaccini il giovane, Giovanni Stefano Doneda, detto il Montalto, Johann Christoph Storer e nel quale spettano al G. parte delle Storie di Troia al piano nobile. A fianco delle migliori presenze di metà secolo, oltretutto accomunate dalla provenienza accademica, il G. acquisisce un tono decisamente rubensiano e romanista. Il fatto troverebbe conferma se potessimo datare a questo momento la perduta pala dello Sposalizio della Vergine in S. Maria della Presentazione, poiché la stessa commissione dell'opera implica una contiguità con l'Accademia di S. Luca che di tale edificio aveva patrocinio; e del resto parrebbero proprio emblemi accademici gli Stemmi retti da putti divisi fra il Collegio delle vicarie presso il santuario milanese dei Miracoli, le Civiche Raccolte d'arte e una collezione privata torinese. Un altro dipinto vicino a questa svolta è il Pan e Siringa di collezione privata, personale riflessione sui Baccanali genovesi. Naturale conclusione di questo percorso sono gli splendidi affreschi nel S. Giuseppe a Varese commissionati dal priore Andrea Martignoni ed eseguiti nel 1653.

Su due fasce sulla volta del presbiterio sono raffigurati sei episodi veterotestamentari: la Cacciata di Eliodoro, la Trasfigurazione di Elia, lo Sterminio della casa di Davide, l'Intercessione di Ester, la Ribellione di Lucifero e, probabilmente, l'Uccisione di Adonia. Vaporosi e drammatici, questi affreschi rappresentano il vertice della maniera matura del G., e insieme una prova delle sue accentuate capacità di scenografo.

Molto vicini al tono delle pitture varesine, con la loro spigliata libertà scenica, appaiono quattro lacerti del Museo e del chiostro di S. Marco a Milano attribuibili al G. con datazione verso il 1653. Allo stesso periodo sono riferibili la Condanna di una martire della Quadreria arcivescovile di Milano (segnalazione di S.A. Colombo) e la decorazione della cappella di S. Gottardo nel santuario di Corbetta, databile intorno al 1655, comprendente la pala, sontuosa nel suo rubensismo cromatico, dovuto anche al contatto con lo Zoppo da Lugano, e gli affreschi della Gloria, più classicisti ma con qualche chiara reminiscenza varesina.

L'ultimo decennio di vita del G. non è collegabile a molti dipinti, forse anche per la scomparsa dei numerosi cicli ricordati dalle fonti. Sono notevoli le due Storie della Vergine (Nascita e Commiato di Cristo) nel santuario milanese dei Miracoli, ricche di spunti da Nuvolone. Molto problematica è la decorazione della seconda cappella a sinistra nella chiesa di S. Maria della Passione a Milano, che comprende sulla volta l'Assunta e Angeli, nei lunettoni e nel catino Angeli, alle pareti Scene di combattimento; il tutto entro sontuose quadrature di Francesco Castelli e con corniciature dipinte simili a quelle in stucco di Corbetta. La tradizione riferisce l'insieme al G., ma è netto lo stacco fra la parte superiore e le pareti, per le quali si è supposta l'esecuzione da parte del figlio Antonio Maria, noto come battaglista. Committente della decorazione fu, nel 1671, Giuditta Visconti di Brebbia che voleva eternare il ricordo del figlio Carlo von Wattevill, maestro di campo asburgico. È dunque probabile che la decorazione sia stata iniziata dal G. e Castelli nel corso del settimo decennio, interrotta nel 1669 a causa della morte dell'artista, e ripresa in memoria del Wattevill due anni dopo.

La parte attribuibile al G. è ormai schiettamente barocca, con forti analogie con la "sala del Lucchese" in palazzo Crivelli al Pontaccio e in parte anche con la sala n. 49 di palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno; più dubbia la partecipazione alla V cappella di sinistra, assai ridipinta. Noto per la vita sregolata condotta a Roma, Antonio Maria può essere stata una presenza importante accanto al padre: a lui sono forse attribuibili le quattro Storie di s. Giovanni Buono del duomo, e, nella stessa sede, la predella del S. Giovanni.

Sono pochi i disegni attribuibili al G. con qualche fondamento: un nucleo più nutrito si trova all'Ambrosiana di Milano, un altro all'Accademia di Venezia; potrebbe essere autografo il S. Ambrogio del Christ Church di Oxford, ma va sicuramente espunta la pala di New York che ne è derivata.

L'attività di incisore del G. è attestata fin dal 1630, a parte il dubbio Ritratto di Federico Borromeo, dalla serie di cinquanta stampe dei Capricci di varie figure: evidenti i rapporti, ai limiti del plagio, con J. Callot e S. Della Bella, ma anche l'eccentrica vivacità di queste figurine. Una serie di quattordici incisioni, note dagli esemplari della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, è preceduta da una dedica del 1636 a un cardinale principe, probabilmente Teodoro Trivulzio, all'apice della fama milanese. Le incisioni appaiono disomogenee con l'alternare soggetti bellici alla peste e al Convito del cardinale-infante, e rispondono probabilmente a un piano politico preciso dopo l'occupazione di Nördlingen da parte dell'esercito imperiale. S'inseriscono in quest'ottica le incisioni con l'Ingresso del cardinale-infante (1633) e le Feste per l'elezione di Ferdinando III (1637), ed è forse coevo il Corso di carrozze al Castello. In parallelo si pone la produzione per il cardinale Cesare Monti, arcivescovo di Milano, dall'Ingresso del 1635 ai Funerali del 1650, probabilmente autografi. Al nipote dell'arcivescovo, Giacomo Simonetta, è dedicato fin dal 1632 un Ritratto del Cerano, derivato dall'effigie realizzata dal G. per i funerali del Cerano nel santuario dei Miracoli. L'attività di incisore di frontespizi è attestata dalla quarta decade della Storia milanese di Giuseppe Ripamonti, edita nel 1643.

Il G. morì a Milano il 9 sett. 1668.

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