DELLA GHERARDESCA, Gherardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA GHERARDESCA, Gherardo

Maria Luisa Ceccarelli Lemut

Unico figlio maschio a noi noto del conte di Donoratico Bonifazio di Gherardo e di Adalasia - della quale le fonti non ricordano il casato -, compare per la prima volta nella documentazione il 5 marzo 1305, allorché il chierico Orlando, rettore della chiesa di S. Andrea di San Miniato, lo nominò suo procuratore. A tale data, dunque, il D. era maggiorenne: ciò pone la sua nascita prima del 1284, ossia prima della lunga carcerazione subita dal padre Bonifazio a Genova dal 1284 al 1299.

Non ci sono pervenute altre notizie relative al D. anteriori alla morte del padre, avvenuta alla fine del 1312.Dopo tale data egli assunse nella città di Pisa quel ruolo politico già tenuto dal padre: insieme con lo zio paterno Ranieri compare infatti presso l'imperatore Enrico VII di Lussemburgo durante il secondo soggiorno di costui in città nell'aprile-maggio 1313. Nel gennaio del 1316, durante la signoria di Uguccione Della Faggiuola, era tra i Savi; nell'aprile dello stesso anno fu, con lo Zio Ranieri e con Coscetto del Colle, tra i capi della rivolta contro lo stesso Uguccione: il 12aprile fu nominato capitano del Popolo, ufficio che tenne sino alla fine di giugno, quando gli subentrò lo zio Ranieri per il mese di luglio. Tornata alla normalità la situazione politica interna, si tornò anche all'elezione di forestieri agli uffici di podestà - tenuto per qualche tempo dal conte Ranieri - e di capitano del Popolo. Tuttavia il D. riuscì a conservare il controllo del potere e si fece attribuire le cariche di capitano della masnada a cavallo del Comune e di capitano di Popolo generale, instaurando così una forma larvata di signoria, che durò sino alla sua morte.

La rivolta del 10 apr. 1316 era stata diretta contro il potere assoluto esercitato da Uguccione Della Faggiuola nell'ultimo biennio della sua presenza a Pisa, potere assoluto che si basava da una parte sull'aristocrazia - la nobiltà, e soprattutto i Lanfranchi, ebbero accesso con maggi . ore frequenza agli uffici comunali -, e dall'altra sulle sette arti, alle quali fu concessa una maggiore rappresentanza nel Collegio degli anziani. Uguecione aveva perseguito cioè una tipica politica signorile, filoaristocratica e populista. La ribellione al suo potere era stata perciò la riscossa della parte più agiata del popolo - quella che aveva la sua rappresentanza nei tre ordini, le tre grandi organizzazioni mercantili e industriali del mare, dei mercanti, della luna - contro le limitazioni che il potere assoluto di Uguccione aveva posto al controllo esercitato dai tre ordini sul Comune. Caduto Uguccione, la presenza, delle sette arti nell'anzianato tornò ad essere limitata a quattro membri su dodici, mentre i nobili ricevettero meno incarichi pubblici.

A questa parte del popolo si legò dunque il D., e su di essa egli poggiò i suoi poteri signorili. Ed un ruolo di notevole rilievo ebbe, durante la "criptosignoria" del D., un importante personaggio del popolo grasso, Coscetto del Colle, uno dei maggiori fautori della cacciata di Uguccione.

In politica estera, durante i quattro anni del suo predominio, il D. perseguì il consolidamento delle fortune cittadine attraverso la pacificazione. Riprese alacremente le trattative con il re Roberto d'Angiò per giungere alla stipulazione del trattato di pace, che fu concluso il 12 ag. 1316 e che ricalcava quello proposto nel 1314, che Uguccione, pur avendone promosso i negoziati, non aveva voluto accettare. Si arrivò poi, per volontà del re Roberto, anche alla pace con Firenze e con le altre città guelfe toscane, conclusa a Napoli il 12maggio 1317. Ciò tuttavia non significò in alcun modo Per il Comune di Pisa un mutamento politico in senso filoguelfo o filofiorentino: il Comune di Pisa, il D. prima, e suo zio Ranieri dopo, non dimenticarono mai la tradizione politica ghibeffinao - per meglio dire - tutta quella rete d'interessi politici ed economici che andava allora sotto il nome di ghibeffinismo, nome che non significava più, peraltro, un orientamento programmatico preciso. In ogni modo Pisa seguì, sotto il D., una politica realistica che, mentre la portava spesso in contrasto con Firenze e con le città legate al re Roberto, la spingeva d'altro canto ad allearsi con Castruccio Castracani degli Antelminelli, signore di Lucca dall'aprile 1316.

Inizialmente, c'era stata una certa diffidenza tra Pisa e Lucca per la questione di Sarzana e per quella relativa ai beni del vescovo di Luni: a Pisa si credeva di sapere che Castruccio era in segrete trattative per impadronirsi della città. Nel maggio1317 i Pisani riuscirono a convincere i Sarzanesi a darsi loro, prevenendo Castruccio, il quale dapprima pensò di rispondere con una spedizione militare, ma poi, nel giugno, si acconciò ad un accordo, in forza del quale il D. avrebbe tenuto Sarzana a nome di Pisa e di Lucca. Poco dopo, nell'estate 1317, Pisa e Lucca furono spinte ad un'intesa di fronte al comune pericolo rappresentato dal ritorno di Uguccione Della Faggiuola in Toscana. Quest'ultimo poteva contare, all'interno di Pisa, sull'appoggio dei Lanfranchi, che promossero una vasta congiura; ed era sostenuto in Lunigiana dai Malaspina, che rappresentavano un pericolo per Castruccio. Pochi mesi dopo, però, nella tarda primavera del 1318, la nuova intesa tra Pisa e Lucca, tra il D. e Castruccio, corse il rischio d'incrinarsi, allorché i Lucchesi intrapresero la costruzione di un porto fortificato a San Maurizio, presso la foce del Magra. Era una ripresa del vecchio progetto di creare un porto indipendente che liberasse i Lucchesi dal monopolio commerciale di Porto Pisano. Ovviamente il D. e il governo pisano avviarono trattative ed espedirono ogni via per bloccare l'impresa. Si giunse alla fine ad un'intesa: Castruccio e i Lucchesi rinunziarono al progetto, ma ebbero come contropartita importanti agevolazioni commerciali. L'anno seguente, nel giugno 1319, si giunse ad un'alleanza militare con Castruccio, il quale prese le armi contro i Malaspina. Tale alleanza, a partire dall'aprile del 1320, quando era ancora in vita il D., avrebbe assunto uno spiccato significato antifiorentino nel quadro del tentativo allora avviato di mutare in senso più favorevole agli interessi pisani il modus vivendi uscito dalla pace del 1317.

Nel 1319 i Lanfranchi chiesero il ritorno dall'esilio di Vanni Zeno Lanfranchi, uno dei promotori della congiura del 1317. Alcuni esponenti dei gruppi al potere, e in particolare Coscetto del Colle, vollero vedere in tale richiesta un altro maneggio a favore di Uguecione Della Faggiuola e, instaurato un clima di intimidazione, fecero uccidere alcuni membri di quella famiglia. Tornata la calma in città, il D. sarebbe stato nominato, secondo i cronisti, gonfaloniere di Giustizia, carica e titolo del tutto estranei, peraltro, alla tradizione pisana e che non sono attestati, come attribuiti al D., in alcun documento ufficiale, ove egli è costantemente definito capitano di Popolo generale. Ad ogni modo, l'autorità del D., pur grande, subì, dopo questi avvenimenti, una limitazione a causa dell'influenza di un gruppo di popolari, ed in particolare di quella di Coscetto del Colle, l'uomo che aveva diretto la repressione contro i Lanfranchi. Tra il conte e Coscetto fini col crearsi una sorta di alleanza e di accordo personale che giunse in pratica, come afferma il cronista pisano coevo Ranieri Granchi, ad una divisione e collaborazione di potere, in un equilibrio difficile e instabile, che non soffrì crisi perché ben presto, il 1°maggio 1320,il D. morì, improvvisamente, a Pisa. Come accadeva di solito in quel tempo di fronte alle morti improvvise, si pensò al veleno e la voce pubblica accusò, a torto, lo zio Ranieri, desideroso di prendere il potere.

Il D. aveva abitato nella casa, già appartenuta al padre, in Chinzica nella carraia del Grasso. Non ci è noto il nome della moglie, ma conosciamo due suoi figli: Bonifazio, ancora minorenne alla morte del padre, che fu posto sotto la tutela del conte Ranieri e che sarebbe stato signore di Pisa dal 1329 al 1340; e Agostina, poi moglie del conte Guido di Sovana. Il corpo del D. fu sepolto nella tomba della famiglia, nella chiesa di S. Francesco.

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