GHIBERTI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GHIBERTI

Carlo La Bella

Famiglia di artisti fiorentini attivi nel campo dellascultura, dell'oreficeria e dell'architettura, durante tutto il XV secolo fino alla prima metà del XVI. Capostipite e iniziatore della bottega fu il più famoso Lorenzo (cfr. voce in questo Dizionario), la cui attività fu proseguita dai figli e dai nipoti.

Tommaso. Primogenito di Lorenzo e di sua moglie Marsilia, figlia del cardatore Bartolomeo, nacque a Firenze intorno al 1417, come si ricava dalle indicazioni approssimative delle portate al Catasto presentate dal padre dal 1427 al 1442 (Mather, 1948; Krautheimer, 1956).

Rimangono notizie assai scarse sulla vita e l'attività di Tommaso, che certamente dovette svolgere un periodo di apprendistato presso la bottega di Lorenzo, e che risulta immatricolato nel 1435 all'arte della seta. La prima attestazione del suo operato risale al giugno del 1443, quando lavorava col fratello Vittorio alle ultime quattro formelle ancora da realizzare della porta del Paradiso (Frey, 1911; Krautheimer, 1956). L'anno successivo fu espulso dall'arte a seguito dello scandalo della presunta nascita illegittima del padre e dovette attendere due anni per ottenere nuovamente l'iscrizione. Ancora nel cantiere della porta del Paradiso è documentato, insieme con altri lavoranti, dal settembre al dicembre del 1445, quando fu pagato "per rifare i fornelli" (Mendes Atanasio, 1963, p. 101), quindi per prestazioni svolte durante le operazioni di fusione. In quegli stessi mesi Tommaso appare qualificato come "chompagno" dell'orafo Matteo di Giovanni nei pagamenti per l'edicola d'argento, dalle tradizionali forme gotiche, posta a contenere la statua di S. Giovanni Battista di Michelozzo nel fronte del dossale del battistero, oggi al Museo dell'Opera del duomo.

È possibile che con questo incarico Tommaso abbia dato inizio a un'attività autonoma dalla bottega paterna, in quanto tra il 1447 e il 1448 è documentato come unico autore di due candelabri bronzei placcati in argento, oggi perduti, di nuovo destinati al battistero, che costituiscono però anche l'ultima sua opera di cui rimane notizia (Frey, 1911). Niente di più si conosce del maestro, tranne che era ancora vivo nel 1454, quando stilava un contratto d'affitto (Mendes Atanasio, 1963) e ugualmente ignota è la data della sua morte.

Vittorio. Il secondogenito di Lorenzo e di Marsilia di Bartolomeo viene indicato nelle portate al Catasto presentate dal padre come più giovane di un anno del fratello Tommaso e dovette quindi nascere intorno al 1418 (Mather, 1948; Krautheimer, 1956).

Dopo aver svolto un periodo di apprendistato presso la bottega paterna, Vittorio fu ufficialmente assunto da Lorenzo nel 1437, insieme con Michelozzo, per collaborare alla realizzazione della porta del Paradiso. I documenti che più volte lo menzionano nel corso dei lavori attestano un graduale avanzamento della sua posizione all'interno della bottega ghibertiana fino al 1444, quando poté firmare da solo, in rappresentanza del padre, il contratto di collaborazione triennale di Benozzo Gozzoli (Milanesi, 1878).

Nel 1450 riscosse il pagamento, a nome di Lorenzo, per la porticina bronzea del ciborio dello spedale di S. Maria Nuova, oggi in S. Egidio (Poggi, 1903) e almeno dall'anno successivo affiancò definitivamente il padre nella direzione della bottega, come riportano i documenti relativi alla fase conclusiva dei lavori per la porta del Paradiso, ultimata nel 1452. Il ruolo di Vittorio nella porta, accresciutosi con il progressivo invecchiamento di Lorenzo, dovette essere tutt'altro che marginale, tanto che il suo ritratto compare insieme con quello del padre in uno dei tondi della cornice; non sono stati tuttavia individuati con certezza gli elementi scultorei effettivamente dovuti al suo intervento.

Il 12 febbr. 1453 i due titolari ricevettero l'incarico di realizzare la cornice bronzea per la porta di Andrea da Pontedera del battistero fiorentino; l'inizio dei lavori è però attestato solo a partire dall'aprile del 1456, dopo la morte di Lorenzo.

Una volta eseguito, prima del febbraio del 1457, un busto reliquario d'argento per la badia di S. Donato a Fiesole, oggi perduto (Mather, 1948), Vittorio portò avanti l'impresa che si concluse nel 1463 (Frey, 1911). Il maestro si attenne allo schema delle cornici delle due porte ghibertiane del battistero, componendo nel prospetto esterno dell'architrave un fregio vegetale abitato da uccelli uscente da due anfore sostenute dalle figure di Adamo ed Eva, e corredato, nello stipite superiore, da tre teste di putti; nel fronte interno collocò un secondo fregio a foglie. L'adozione di motivi decorativi caratteristici della bottega paterna è risolta da Vittorio con un gusto autonomo per le forme ben rilevate dal fondo e animate da una flagrante vitalità.

Degli impegni di Vittorio successivi a quest'opera restano solo sporadiche testimonianze documentarie. Il 6 marzo 1471 fece parte di una commissione di cittadini ed esperti, tra cui Michelozzo, Luca Della Robbia e Giuliano da Maiano, chiamata dall'Opera del duomo a pronunciarsi sul programma di lavoro del cantiere della cattedrale; fu stabilito di dar precedenza all'esecuzione del coro, commissionato sei mesi più tardi (Poggi, 1909). Tra il 1476 e il 1478 eseguiva una cassa per le reliquie in pietra destinata a S. Maria del Fiore (Gaye, 1839), e l'11 marzo del 1481 faceva nuovamente parte di un comitato, questa volta per scegliere il progetto più idoneo per i portali della facciata di S. Lorenzo; Vittorio fu l'unico tra tutti i partecipanti a pronunciarsi a favore dell'idea originaria del Brunelleschi, che prevedeva l'affiancamento di quattro portali di forme e dimensioni identiche (Clausse, 1900; Fabriczy, 1907).

Altre notizie sul maestro si hanno durante i due anni successivi, quando appare coinvolto nell'organizzazione del cantiere architettonico di S. Maria della Pietà a Bibbona, precoce esempio di edificio chiesastico a pianta centrale con copertura a cupola, di cui forse ideò anche il progetto (Marchini, 1962). Intanto nella sua fonderia aveva iniziato a lavorare il figlio Buonaccorso, con il quale realizzava nel 1484 delle campane per la chiesa di S. Maria Nuova (Scaglia, 1979).

Una conferma delle competenze di Vittorio anche in campo architettonico si ha nel 1490, quando presentò un disegno o un modello per la facciata della cattedrale (Milanesi, 1879), che costituisce l'ultima attestazione della sua attività. Fece testamento il 6 ott. 1496 (Gaye, 1839) e morì a Firenze il 18 novembre di quell'anno (Milanesi, 1878).

Buonaccorso. Figlio di Vittorio di Lorenzo e della sua prima moglie Maddalena d'Antonio Bonaiuti, nacque a Firenze il 13 dic. 1451 (Baldinucci, 1768; Milanesi, 1878) e a soli quattro anni fu designato dal nonno Lorenzo come unico erede ufficiale dei suoi cospicui beni (Krautheimer-Hess, 1964).

Buonaccorso diede inizio alla sua attività all'interno della bottega del padre, dove apprese le tecniche della fusione del bronzo e dove cominciò, probabilmente nel corso degli anni Settanta (Scaglia, 1976), a eseguire disegni su di un Taccuino ora conservato nella Biblioteca nazionale di Firenze, che costituisce un raro esempio di libretto di schizzi e appunti di un'artista quattrocentesco pervenuto fino a oggi in forme sostanzialmente integre.

Buonaccorso intervenne più volte sul Taccuino nel corso di diversi anni, forse fino al termine del secolo, copiando per motivi di studio e a uso di bottega disegni e progetti oggi perduti appartenenti per lo più alla cerchia di Lorenzo, e risalenti al periodo tra il 1425 e il 1460; è noto infatti che tra i beni lasciati a Buonaccorso in eredità dal nonno erano compresi anche i libri e i disegni del suo scriptorium (Krautheimer-Hess, 1964). I disegni che per primi furono probabilmente apposti sul Taccuino raffigurano macchinari per la costruzione di edifici, e sono tratti da progetti e invenzioni di Filippo Brunelleschi, a lungo in contatto con Lorenzo durante i lavori per la Fabbrica della cattedrale fiorentina; essi costituiscono una fonte di grande rilievo per la conoscenza delle pratiche costruttive e dei procedimenti tecnici adottati dall'architetto nei suoi cantieri (Scaglia, 1961; 1966).

Più tardo, per quanto non sempre databile con precisione, risulta il restante materiale grafico del volumetto, dove si trovano raccolti in ordine sparso disegni di sculture, monumenti funerari e dettagli architettonici classici, facciate di edifici, tredici alzati di costruzioni immaginarie ispirate all'antico e uno schizzo della torre del Marzocco di Livorno (Id., 1970; 1980). A questi si affiancano numerosi disegni di macchinari bellici tratti in gran parte dal De re militari di Roberto Valturio.

Non mancano inoltre annotazioni di mano di Buonaccorso, tra cui alcuni brani tradotti del trattato di Vitruvio, sicuramente derivanti da appunti presi dal nonno (Id., 1979).

È certo che Buonaccorso fosse rimasto nella bottega paterna almeno fino al 1484, quando a entrambi gli artisti venne chiesto di fornire delle campane per la chiesa di S. Maria Nuova (Id., 1976; 1979). Solo due anni più tardi risulta assolvere incarichi indipendenti, entrando al servizio, fino al 1486, di Virginio Orsini, allora in guerra contro Innocenzo VIII, in qualità di "maestro ingegniere" (Fabriczy, 1903; Scaglia, 1976); in questo periodo Buonaccorso avrebbe provveduto alla fusione di diversi pezzi di artiglieria e avrebbe fortificato alcuni castelli, tra cui quello di Campagnano. Ancora alla produzione di artiglierie lavorava nel 1487, su commissione della Signoria fiorentina, che aveva inviato il proprio esercito a Sarzana. Otto anni più tardi, nel 1495, risulta assolvere un incarico analogo, fornendo passavolanti e bombarde per le milizie di Firenze in guerra contro Pisa (Milanesi, 1878), alle quali lavorava ancora l'anno successivo (Angelucci, 1869). Sulla base di tali notizie è lecito supporre che i disegni del Taccuino raffiguranti cannoni, fornaci e campane, non vadano ritenuti copie di progetti di altri maestri, al pari degli altri disegni, ma siano riconducibili all'autonoma ideazione di Buonaccorso.

Quando morì suo padre, nel 1496, Buonaccorso dovette stilare un compromesso con i fratelli Francesco e Cione, figli avuti da Vittorio in seconde nozze, per la spartizione dell'eredità di famiglia, ma gli fu confermata la proprietà degli oggetti appartenuti al nonno (Krautheimer-Hess, 1964).

Nel 1504 fu convocato, insieme con numerosi artisti, a deliberare sulla collocazione più appropriata per il David di Michelangelo appena terminato (Gotti, 1875). Da allora non si hanno più notizie di lui, fino alla sua morte avvenuta il 16 luglio 1516 (Milanesi, 1869). Nel testamento chiedeva ai monaci di S. Croce di provvedere a un degno monumento funerario per Lorenzo Ghiberti (Baldinucci, 1768).

Vittorio di Buonaccorso. Non sopravvivono opere certe del figlio di Buonaccorso e di sua moglie Lionarda di Bernardo Del Palagio, nato a Firenze il 3 sett. 1501 (Milanesi, 1878) e ricordato dalle fonti come pittore, scultore e architetto. Si suppone che Vittorio abbia svolto un periodo di apprendistato presso la bottega del padre, ma già nel 1521 era presente a Napoli, dove poteva offrire rifugio allo scultore Pietro Urbano, fuggito da Roma perché ricercato dalla polizia papale (Frey, 1911).

A detta del Vasari, che fu suo amico personale e per un breve periodo suo allievo, in questa città Vittorio avrebbe eseguito una serie di busti, dal soggetto ignoto, inseriti entro tondi nella facciata di palazzo Gravina, che rimasero in loco fino all'Ottocento e sono oggi perduti; secondo Celano (1724) sarebbero di Vittorio anche quattro medaglioni contenenti ritratti di personaggi della famiglia Orsini ancora visibili su un lato del cortile interno dell'edificio.

Dopo la morte del padre (1516) Vittorio divenne l'unico erede dei beni e della collezione di famiglia, che nel tempo disperse mettendo in vendita diversi pezzi; tornato a Firenze cedette infatti a Vasari, nel 1528, alcuni disegni del bisnonno Lorenzo, un Evangelista eseguito dal patrigno di questo, Bartolo, e altri fogli, tra cui alcuni ritenuti di Giotto. L'anno successivo Vasari trascorse nella bottega di Vittorio due mesi di apprendistato pittorico, che gli costarono due scudi al mese.

Varchi e Busini ricordano che nel 1530 Vittorio dipinse sulla facciata della sua abitazione in via Larga un'effigie di Clemente VII dai caratteri pesantemente denigratori, che fu duramente biasimata; a seguito di questo episodio, con l'arrivo di Alessandro de' Medici il maestro si vide costretto a lasciare Firenze e a ritirarsi a Venezia, da dove poté far ritorno solo alla morte di questo, nel gennaio 1537.

L'ultima delle scarse notizie tramandateci sull'attività di Vittorio si deve ancora a Vasari, il quale informa che, in data imprecisata, si recò ad Ascoli Piceno per attendere ad alcune imprese architettoniche volute da Paolo III, di cui non restano ulteriori attestazioni; qui il maestro avrebbe trovato la morte, documentata al 1543 (Milanesi, 1878), per mano di un servitore intenzionato a derubarlo.

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